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ARREDAMENTO

di Agnoldomenico PICA - Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)
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ARREDAMENTO (IV, p. 577; App. I, p. 157)

Agnoldomenico PICA

Nel periodo dal 1937 al 1948 nel campo dell'arredamento, la schematicità strutturale del primo "razionalismo" è, come era prevedibile, del tutto scaduta. Era logico, d'altra parte, che il razionalismo ortodosso, appunto in quanto movimento non gratuito e vitalissimo, fosse destinato a sviluppi che, a un certo momento, potessero perfino cambiarne la fisonomia.

L'evoluzione ha seguito tre strade, originate tutte dal bisogno di restituire alla casa quel tanto di intimità e, dove necessario, proprio di ricchezza che il razionalismo primitivo aveva, non negato, ma praticamente obliterato.

Delle tre direzioni nuove, la prima, e forse la più coerente dal punto di vista dell'arte, corrisponde allo sviluppo spregiudicato di quelle idee che improntarono il razionalismo primitivo. I concetti funzionali, e cioè pratici, sono logicamente i medesimi, il gusto della materia, già snobisticamente rivolto ai cosiddetti "nuovi materiali", s'è riavviato verso i materiali, diciamo, classici (legno, stoffe, marmi) trattandoli e intuendoli con una nuova raffinatezza, e s'è allontanato dall'uso e dall'abuso dei metalli (sono quasi spariti i mobili di tubo d'acciaio ch'erano stati, dal Breuer in poi, i protagonisti dell'arredamento d'avanguardia). Quanto alle forme il gusto rigoroso della linea retta, dell'ortogonalità, dell'essenzialità si è tradotto in quello della linea diagonale (nella quale già Sant'Elia presentiva un maggiore potere di emotività dinamica), in quello della curva e perfino, cautelosamente, in quello della modinatura. Si è avuta da una parte una certa influenza della linea aerodinamica (curvature paraboliche e iperboliche), dall'altra un certo influsso che potremmo dire "anatomico" (si vedano taluni mobili di C. Mollino, di R. G. Angeli, C. De Carli e L. C. Olivieri, di E. Isotta, di F. Clerici, di E. Ciuti, di L. Vietti, di A. Larsson) che viene forse, e chissà per quali contorte e sotterranee strade, da certi modi surrealisti alla Salvador Dalí. Che in tutto questo vi sia il rischio, se così lo si voglia chiamare, di un "barocchismo della modernità" come ebbe a denunciare E. De Angeli, può anche essere vero; che tuttavia questi nuovi modi abbiano consentito un più ampio e umano respiro all'arredamento moderno, una sua maggiore duttilità, una sua più suggestiva ricchezza di espressioni è anche verissimo.

Per rinnovare e rendere meno nuda l'ambientazione moderna taluni hanno introdotto le forme dell'arte popolare. Con maggiore eleganza, su questa via, sono riusciti gli architetti e gli arredatori austriaci, come gli artisti della "Haus und Garten" di Vienna, tedeschi come il Crodel o i due Königbauer e ungheresi come Pál Szivó o Karl Nagy. L'arredamento con inclinazioni rustiche è naturalmente molto piaciuto agli anglosassoni e agli scandinavi (Eyvind Moestue); ed è appunto in questa corrente che, in un certo senso, si potrebbe far rientrare l'ambientazione cara a Fr. L. Wright che molto deve allo spirito pittoresco dell'antico Giappone, ambientazione che conta fra i suoi proseliti più illustri nientemeno che un W. Gropius rinnovato dal soggiorno americano, e, fra i meno illustri, W. e G. Fr. Keck, K. Houston, B. Zevi. Si deve anche dire che nell'America Latina (con Casado Sastre, Armesto, ecc.), in Francia (con J. Royère, Dominique, C. Guédon, L. Rollin, P. Frechet) e specialmente da noi, in Italia, questa dell'arredamento alla rustica è una strada che rade volte ha condotto a risultati ottimi o anche soltanto buoni.

Un'altra piega presa dagli arredatori ultimi è quella dell'arredamento con pezzi antichi. Non si tratta a vero dire di una trovata: durante la seconda metà dell'Ottocento e il primo quarto del nostro secolo la mania dell'arredamento "all'antica" aveva raggiunto veri eccessi (spesso i "pezzi" erano falsi). Oggi tuttavia la situazione è molto cambiata, anzi diversa. Nessuno parla più di arredamenti "all'antica" o "in istile", anche se qualche arredatore come J. Ch. Moreux o, si ponga, André Carlhian, pare inclinarvi. Il mobile antico è amato e capito come pezzo d'arte unico, slegato dalla grammatica di un determinato stile e immesso liberamente nell'ambiente moderno. Fra i più lontani responsabili di questo gusto (che ha certo la sua nobiltà) è da annoverarsi proprio Le Corbusier. Certo, dal pezzo unico e veramente raro, introdotto come una pittura o una scultura nell'ambiente moderno, si è presto scivolati nell'arredamento composito, messo insieme a forza di pezzi raccogliticci e così, nei casi migliori, si è giunti a magnifici insieme da antiquario dove il problema estetico dell'arredamento è risolto in maniera talmente retrospettiva da non interessare il gusto vivo. Senza dubbio anche in quest'ordine di idee il gusto vigilato di qualche arredatore (I. Gardella, R. Zavanella, G. Ulrich, C. E. Rava, M. Cereghini, il messicano J. Rubio, l'argentino Aslan y Ezcurra) o di qualche raffinato collezionista come Mario Praz, e il prestigio di una misura sapiente hanno potuto talora compiere il miracolo di comporre ambienti modernissimi, per i rapporti nuovamente creati, per il nuovo senso dei volumi e della disposizione, esclusivamente con pezzi antichi. Si può dire che qui appare un certo alessandrinismo decadente. Vorrà dire che anche questo è un indizio dei tempi, indizio non esclusivo del nostro vecchio mondo, ma evidentissimo anche, e forse più, nell'America del Nord dove gli ambienti composti con mobili inglesi dell'Ottocento, vittoriani, restaurazione, reggenza, Luigi Filippo, "coloniali", sono ormai frequentissimi.

Sono anche da considerare i molti studî recenti per il mobile-tipo, da prodursi in grande serie e al minimo costo. Questo è un problema di prima grandezza dal punto di vista artistico, tecnico, industriale, economico e sociale; esso si riconnette alle prime esperienze del Gropius al Bauhaus ed ha avuto interessanti sviluppi per opera di architetti come G. Pagano, F. Albini, G. Romano, L. Mattioni, C. Mollino, T. Bussi, il finlandese A. Aalto, lo svizzero A. Roth, gli svedesi A. Larsson e E. Svedberg, i cecoslovacchi Koželka ed E. Linhart, ed altri.

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