ARRIGHI, Ludovico, detto il Vicentino (Ludovicus Vicentinus, Ludovicus Henricus, de Henricis, degli Arrighi)
Nativo di Cornedo Vicentino (e non di Tarquinia, come ha creduto il Wardrop, male interpretando una delle sottoscrizioni di lui: "Ludovicus de Henricis de Corneto Vicentinus"), fu in dimestichezza con il Trissino (Cornedo era feudo di quest'ultimo) e si può ritenere che per suo intervento l'A. venne a Roma, probabilmente nel 1510, poiché è del dicembre di quell'anno l'edizione romana dell'Itinerario nello Egypto di Ludovico da Vartema stampato da Stefano Guilleret e Ercole de Nani "ad instantia de maestro Lodovico de Henricis da Corneto Vicentino". Una testimonianza ulteriore si avrebbe due anni dopo, secondo il parere del Donati, che attribuisce all'A. la xilografia su pergamena di un privilegio incompleto di Giulio II in data 23 luglio 1512, poiché vi si riscontrano caratteri identici a quelli esemplati per la Littera da bolle nella seconda parte del trattato dell'Arrighi. Ad ogni modo era certamente a Roma nel 1517: infatti il codice dell'Etica aristotelica in latino, conservato nella Universiteits-Bibliotheek di Amsterdam (II A 19) e scritto probabilmente per Vittoria Colonna, reca il colophon "Ludovicus Vicentinus scribebat Romae, anno salutis MDXVII, mense octob.". Del 1520 è la trascrizione del magnifico Messale per il cardinale Giulio de' Medici, il futuro pontefice Clemente VII, decorato da Marco Attavanti e conservato oggi a Berlino (Kupferstichkabinett, 18 D 17). Due anni più tardi l'A. intraprendeva la sua Operina: nel verso del f.1 egli si qualifica per "scrittore de brevi apostolici", e alla scrittura dei brevi si ispira appunto la sua teoria calligrafica; è falsa invece l'opinione che egli esercitasse anche il pubblico notariato, poiché la testimonianza invocata a sostegno di questa tesi è soltanto un esempio che lo stesso A. ha dato nella seconda parte dell'Operina per illustrare la "littera per notari", immaginando un rogito notarile con la sottoscrizione "Et ego Ludovicus de Henricis laycus Vicentinus publicus imperiali auctoritate notarius quia premissis omnibus et singulis presens fui eaque rogatus scribere publice scripsi et in hanc formam redegi". Alla mano dell'A. si deve probabilmente anche il ins. Add. 26873 del British Museum di Londra, oggi mutilo, contenente la Sofonisba del Trissino.
La operina di Ludovico Vicentino, da imparare di scrivere littera cancellerescha è il primo trattato teorico di calligrafia che sviluppi sistematicamente le regole di esecuzione della umanistica cosiddetta corsiva; è divisa in due parti: la prima, di sedici pagine interamente in xilografia, reca nel verso della prima carta il titolo Il modo et regola de scrivere littera corsiva over cancellarescha novamente composto per Ludovico Vicentino scrittore de brevi apostolici in Roma nel anno di nostra salute MDXXII; la seconda, pure di sedici pagine, con il titolo Il modo de temperare le penne con le varie sorti de littere ordinato per Ludovico Vicentino, in Roma nel anno MDXXIII, consta di otto pagine a stampa, in caratteri italici (ossia la realizzazione tipografica della "cancelleresca" dell'A.) e le altre in xilografia, e mostra, dopo la descrizione delle maniere di temperare la penna, esempi di scrittura mercantesca veneziana, di notarile ("littera per notari"), di scrittura per privilegi solenni ("lettera da bolle") e per brevi, di capitale e di littera antiqua (umanistica rotonda), di iniziali varie, di gotico fiorito. Poiché i vari esempi recano date diverse, si è creduto da taluno che tutti gli anni espressi nell'Operina, inclusi il 1522 del titolo della prima parte e il 1523 del titolo della seconda, rappresentino soltanto l'epoca di composizione degli originali, per cui l'edizione sarebbe posteriore alla data del 14 febbr. 1525 (o addirittura 1526, se riferita more veneto), che è il termine cronologico più tardo, messo in fondo all'esempio di lettera mercantesca: sennonché tali date, a differenza di quelle dei titoli, sono parte integrale dei singoli esempi e come pura esemplificazione vanno interpretati, analogamente al titolo di "notarius" che accompagna il nome dell'A. in una di tali scritture. Si possono quindi accettare come date di stampa il 1522 per la prima parte e il 1523 per la seconda.
Interessante il colophon di quest'ultima, dove si legge: "Stampata in Venezia per Ludovico Vicentino scrittore et Eustachio Celebrino intagliatore" (molti hanno letto "stalata" e confermato con un "sic !" quello che invece è un errore di lettura, avendo attribuito a fregio ornamentale di una ipotetica l il segno abbreviativo per m e l'ansa, sia pure capricciosa, della p): esso ci avverte che l'opera, data nel titolo come edita in Roma, fu, in realtà, stampata a Venezia, e che i legni furono lavorati, su disegni dell'A., dal famoso incisore Eustachio Celebrino da Udine. È probabile quindi che tra il 1522 e il 1523 il Vicentino abbia fatto un breve soggiorno a Venezia, ma è fuor di luogo sostenere che vi sia passato dopo il 1523 e vi si trovasse ancora nel 1526: l'attività tipografica dell'A., in quegli anni assai intensa, si svolse certamente a Roma, e forse già nel rione di Ponte, dove abitava, avendo a carico quattro persone, tra il 14 nov. 1526 e il 30 genn. 1527, epoca a cui risale un censimento che lo registra appunto in tale zona: precedentemente aveva invece dimorato, stando ad una indicazione dell'Operina, in Parione.
Come per la seconda parte del suo trattato l'A. si valse del Celebrino, così è probabile che per la prima, sebbene non se ne trovi menzione nel colophon, si sia giovato dell'opera dell'ancor più celebre Ugo da Carpi: infatti, per quanto il Vicentino avesse ottenuto dal pontefice il privilegio dell'esclusiva per una durata di dieci anni, nel 1525 fu pubblicata La operina di Ludovico Vicentino, da imparare di scrivere littera cancellarescha con molte altre nove littere agiunte et una bellissima ragione di abbacho molto necessario a chi impara a scrivere et fare conto. Ugo scrisse, cioè col nome di Ugo da Carpi; orbene tale edizione ripete, con alcune varianti ma sostanzialmente copiandole dall'edizione del 1522, le lettere della prima parte dell'Operina, sostituendo altra materia a quella della seconda, per la quale era intervenuto il Celebrino; inoltre nel recto della terza carta essa riproduce un breve di Clemente VII rilasciato il 3 maggio 1525, con il quale si riconosce "ut ipse Ugo possit ipsos characteres imprimere libellosque formare quos et quoties voluerit eosque dare vaenum" e si dichiara di fare con ciò opera di giustizia, poiché Ugo da Carpi era stato da Ludovico Vicentino defraudato, e pertanto non doveva aver valore il privilegio dallo stesso A. invocato contro tale concorrenza. È probabile quindi che Ugo da Carpi, avendo intagliato i legni della prima parte, si ritenesse in qualche modo partecipe dell'invenzione e per questo fosse venuto a diverbio con l'autore che ne trasse vendetta tacendo il nome del collaboratore, il quale volle in seguito rivalersi dell'affronto subito.
Altre edizioni dell'Operina si ebbero nell'agosto 1532 (in Vinegia per Nicolo d'Aristotile detto Zoppino: furono utilizzati gli stessi legni della prima edizione, ad eccezione di uno, scomparso e sostituito) e nel 1533 (ristampa della precedente, con aggiunta una "recetta da far inchiostro fino", già annunciata nel titolo ma non stampata nel 1532); nel 1538 e di nuovo nel 1539 e poi nel 1548 a Roma (per i fratelli Dorici bresciani); nel 1543, nel 1545 e nel 1546 ad Anversa (per Giovanni Loe); nel 1632 a Venezia. I fratelli Dorici ristamparono a Roma nel 1557 anche la edizione del 1525 di Ugo da Carpi.
L'importanza dell'A. come teorico di calligrafia riguarda prevalentemente la "cancelleresca", cioè una particolare canonizzazione dell'umanistica corsiva che, usata presso la curia romana, era al Vicentino ben nota per averla praticata sia come scrittore di brevi sia come calligrafo dell'Etica aristotelica (mentre per il Messale aveva adoperato l'umanistica rotonda, ricorrendo alla gotica corale soltanto per la formula della Consacrazione). La scrittura dell'Etica è tuttavia aulica, povera di legature, con il corpo delle lettere a schema quadrato, mentre nell'Operina il Vicentino mira ad insegnare una scrittura che non sia esclusiva dei professionisti: egli perciò la rende più semplice, sviluppando con eleganza e in maniera omogenea i tratti ascendenti e discendenti, scegliendo un tracciato angolare a preferenza di quello rotondo, riducendo il corpo delle lettere in uno schema oblungo anziché quadrato e muovendo per la sua costruzione da alcuni tratti fondamentali (ingrossati quelli orizzontali, affusolati quelli verticali o leggermente obliqui). Con altrettanta eleganza seppe tradurre la sua cancelleresca in caratteri tipografici, valendosi per i punzoni dell'opera di Lautizio de Bartolomeo dei Rotelli da Perugia, medaglista famoso lodato dal Cellini.
La più antica edizione datata a cura dell'A. (a parte la sua Operina) è la Coryciana (collezione di poemetti latini in onore di Giovanni Goritz (Coryciusl, protonotario apostolico) del luglio 1524: ma all'anno precedente deve probabilmente riferirsi l'Itinerarium Philippi Bellucii, privo di indicazioni cronologiche. Nell'ottobre 1524 stampava del Trissino l'Orazione al serenissimo Principe di Venezia, e da allora curò per il suo amico - che ne fece il più ampio elogio - moltissime edizioni, tra cui la famosa Epistola de le lettere nuovamente aggiunte ne la lingua italiana, con la quale il Trissino patrocinava la differenziazione grafica tra u e v e tra i e j, ed aggiungeva i segni greci di ε e di ω per distinguere i diversi suoni di e e di o; fedele interprete di tali teorie, l'A. stampatore ne dette esempi concreti che riscossero il plauso dei suo amico, il quale probabilmente acquistò da lui i nuovi caratteri, poiché essi si ritrovano nell'edizione che dell'Epistola, insieme con altre opere del Trissino, curò a Vicenza, qualche anno dopo, Tolomeo Janicolo di Brescia. D'altra parte l'amicizia con il Trissino non impedì al Vicentino di stampare nel dicembre dei 1524 (e cioè dopo un mese circa dall'Epistola, che si colloca tra la seconda metà di ottobre e la prima di novembre di quell'anno) la decisa stroncatura di quelle teorie, fatta dal Firenzuola con il Discacciamento de le nuove lettere inutilmente aggiunte ne la lingua toscana. L'ultima edizione nota dell'A. è rappresentata dai poemi latini di Girolamo Vida, con la data del maggio 1527: il 6 dello stesso mese le truppe del conestabile di Borbone davano l'assalto a Roma, e dopo il Sacco non si hanno più notizie dei Vicentino.
L'A. usa, come tipografo, due tipi diversi di carattere "cancelleresco", corrispondente a quello che oggi si usa chiamare "italico": il primo, riproducente le caratteristiche della scrittura teorizzata nella sua Operina, con lettere fornite di lunghi tratti ascendenti e discendenti, incurvati a destra nella parte terminale, e linee ondulate, si incontra fino al 1525 compreso. Dopo il 12 apr. 1525 il nome di Lautizio Perugino non figura più nelle edizioni dell'A., che rivelano un secondo tipo di "cancelleresca" (si considera di solito come il più antico esempio del nuovo tipo il motu proprio di Clemente VII, Perpetuatio officiorum Romanae Curiae, attribuendolo, come si legge nella stampa, al MDXXV: ma la datatio del documento, priva del giorno e del mese, ricorda l'anno quarto del pontificato, che aveva inizio il 26 nov. 1526): in questa seconda maniera spariscono le linee ondulate e le curve terminali vengono sostituite da trattini di coronamento; il tipo, venne poi ripreso, qualche anno più tardi, dal Blado, il quale, secondo l'opinione di alcuni studiosi, sarebbe addirittura entrato in possesso dei caratteri del Vicentino dopo il Sacco di Roma. È controversa la questione se sia ancora opera dell'A. la bozza della bolla di Clemente VII indirizzata da Castel Sant'Angelo, in data 8 giugno 1527, a Filiberto d'Orange, comandante supremo delle truppe imperiali, con la quale il papa, piegandosi alle condizioni degli assalitori, li assolveva dalla scomunica. Certamente manca del Vicentino ogni notizia dopo la caduta della città in mano dei vincitori.
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