BOITO, Arrigo
Poeta e musicista, nato a Padova il 24 febbraio 1842, morto a Milano il 10 giugno 1918. La madre di lui, contessa Giuseppina Radolinska, polacca, fu abbandonata dal marito cav. Silvestro, miniatore bellunese, con due figlioli grandicelli, A. e Camillo (v.), e ottenne per via di supplica una pensione di stato che permise l'ammissione di Arrigo nel conservatorio di musica di Milano. Il ragazzo, già allievo a Venezia del maestro Antonio Buzzolea, vi fu ammesso, ma la vivacità del precoce ingegno (aveva allora 12 anni) e l'amore agli studî, anche umanistici, non impedirono che il giudizio dato del giovine allievo dai suoi maestri non fosse sempre lusinghiero: Lauro Rossi, direttore del conservatorio, lamentò in lui il "giro viziosissimo dell'armonia" e il suo maestro Alberto Mazzuccato il "deficiente senso del ritmo", che il B. allora cercò di acquistare dandosi alla composizione di ballabili. Compagno di studî di Franco Faccio, si lega a lui di fraterna amicizia e, in collaborazione con lui, compone la cantata Quattro giugno (1860) e il mistero sorelle d'Italia (1861) che gli valgono un premio di duemila lire e gli permettono un viaggio all'estero. A Parigi fa la conoscenza di Berlioz e di Rossini che benevolmente lo accoglie, e vi s'incontra anche con Verdi. Passa a Berlino, a Lipsia, a Dresda, a Monaco, in Polonia, e da Mitzky (1862) scrive al Reale, suo amico milanese, di essersi tuffato nella lettura di Tacito e di rivolgere nella mente un grande melodramma su Nerone.
A Parigi il B. aveva assistito alla caduta del Tannhäuser e ne aveva concepito un'immensa ammirazione per Wagner. Anch'egli volle essere il librettista di sé stesso e, di più, cercò di applicare, nella sua attività di musicista, principî, se non wagneriani, certamente diversi da quelli che in quel tempo imperavano nel melodramma. Egli intese raggiungere una più viva e piena verità drammatica, abbandonando formule convenzionali e giovandosi di un maggiore sviluppo armonico e ritmico.
Appena tornato dal suo giro nei paesi stranieri, si dà in braccio a quell'intellettualissima accolta di giovani milanesi che è chiamata "scapigliatura", della quale fanno parte Emilio Praga, il Rovani, il Dossi. Nel 1862 scrive le parole per l'Inno delle nazioni che il Verdi dovrà musicare per l'Esposizione universale di Londra e che invece è eseguito al teatro della Regina, il 24 maggio. Poi si dà a tutt'uomo alla composizione del Mefistofele cui aveva posto mentre sin da quando era allievo al conservatorio.
Il primo disegno ch'egli tracciò di quest'opera era vastissimo: vi lavorò fino al 1868, con una breve parentesi di due mesi, nel 1866, nei quali seguì Garibaldi nel Trentino, col Faccio e col Praga. Il 5 marzo 1868 l'opera fu eseguita alla Scala di Milano, e cadde. I tradizionalisti le si pronunciarono contro e l'insuccesso indusse l'autore a ritirare e a distruggere lo spartito. Dopo sette anni (6 ottobre 1875) il Mefistofele rifatto trionfava al Comunale di Bologna e iniziava quel giro di successi che dura ancora.
Da allora, per quello che riguarda la musica, il B. si chiuse nel silenzio, dedicandosi invece alla poesia e componendo libretti d'opera. Già aveva dato al Faccio un Amleto in quattro atti, opera che però cadde la sera del 30 maggio 1865 a Genova. Scrisse nel '75 l'ecloga La falce per Alfredo Catalani, nel '76 La Gioconda per Amilcare Ponchielli, Ero e Leandro che destinava a sé stesso ma che fu poi ceduto al Bottesini (1879) e rimusicato dal Mancinelli nel 1897. Per sé preparò anche la commedia in versi veneziani Basi e bote, che però non musicò, e che fu rivestita di note, dopo la morte dell'autore, da Riccardo Pick-Mangiagalli (Roma, Teatro Argentina, 1927). Tracciò per il Catalani il piano del libretto della Deianice e ne vergò qualche verso che appare inequivocabilmente suo: poi, impegnato nel giro trionfale del suo Mefistofele, non poté più accudirvi. Per il Verdi rifece nel 1881 il libretto del Simon Boccanegra: ma la grande collaborazione col maestro si manifesta nei libretti dell'Otello (1887) e del Falstaff (1893).
Scrisse allora libri di versi: si cimentò nella critica d'arte, specialmente nella Gazzetta musicale; compose alcune novelle, e, in collaborazione con Emilio Praga, una commedia, Le madri galanti, che ebbe esito infelice a Torino; tradusse anche dal tedesco.
Coeva a questa produzione poetico-letteraria è la preparazione del Nerone di cui nel 1901 fu pubblicata la tragedia in cinque atti ed annunciata l'esecuzione musicale. Ma questo e gli altri annunci che tratto tratto si pubblicarono, furono smentiti dai fatti. L'autore morì senza aver messo fuori l'opera tanto attesa. Il B. resse interinalmente (per l'amico Faccio ammalato a cui voleva conservare il posto) la direzione del conservatorio di Parma, che da lui poi s'intitolò; fu vicepresidente e poi presidente della Società italiana degli autori: dal 1912 senatore del regno, votò con fervore la guerra e ne visse giorno per giorno le vicende, fra speranze e timori, ma sempre con fede immutata, offrendo alla patria tutti i suoi ori.
Morì, come si è detto, a Milano il 10 giugno 1918. Lasciò per testamento al senatore Luigi Albertini di "disporre come meglio credesse della sua proprietà artistica"; e l'erede, col consiglio di Arturo Toscanini, fece rappresentare il Nerone la sera del 1° maggio 1924. L'opera di poi ha fatto il giro dei principali teatri italiani e stranieri: con essa anzi s'inaugurò il 2 febbraio 1928 il Teatro Reale dell'Opera, già Costanzi, di Roma.
Nella sua forma primitiva il Mefistofele era lunghissimo, ma aveva un libretto più vicino al poema goethiano. Oltre i quadri che poi rimasero, aveva parti ed episodî che furono tolti: fra questi, un quarto atto smisurato, con una corte infernale, una scena di alchimia, un teatro magico, una battaglia, un intermezzo sinfonico con una fanfara guerriera di pifferi. Faust, in questa prima forma del lavoro, non era tenore ma baritono. All'esecuzione si sollevò una bufera: cominciato lo spettacolo alle 71/2 pom., terminò solo alle 2 del mattino: la caduta fu irreparabile. L'opera fu data ancora una seconda volta ma l'esito non mutò. Alla terza, avendo l'impresa offerto soltanto i due quadri che erano piaciuti, facendoli seguire dal ballo Brahma, lo spartito fu ritirato e distrutto. Il B., ventenne appena, sentì la ribellione contro la forma tradizionale del melodramma e arrivò a spregiarla. Cimentandosi col poema goethiano, anelava a una libertà di forme per cui la melodia si congiungesse col testo e lo compenetrasse. Volle entrare nello spirito dei personaggi, esprimerne musicalmente carattere, sentimenti, pensieri. Per queste novità contrastanti con le tradizioni ormai tranquille dell'ora, per lo spauracchio wagneriano, per il preconcetto di difendere la musica italiana, l'opera fu respinta. E ci volle, dopo sette anni, Bologna, musicalmente più progredita, Bologna partigiana della cosiddetta musica dell'avvenire, per consacrare il successo del Mefistofele nella sua f0rma seconda, per verità notevolmente modificata e resa più agile.
Col libretto del Mefistofele, chiaro più nella sua prima forma che nella seconda, quando, forse per motivi di proporzione, più che per ragioni intrinseche, fu dovuto sfrondare, il B. penetra con piena coscienza nel mondo goethiano, rappresentando robustamente l'antagonismo fra le due forze avverse, Dio e Satana. Faust e Mefistofele, osserva il Pizzetti, non sono altro che "le due parti di una sola unità, due aspetti dell'anima di Faust che si è sdoppiata e ha preso due forme umane, una che pensa e indaga e spera e dispera e palpita e freme e sente l'entusiasmo e lo sconforto, l'altra che sogghigna e nega".
La musica dà carattere ai personaggi: contorta, rumorosa, spavalda per il protagonista; scolastica, pedante per Wagner, luminosa per Faust e per Elena, ingenua, pura, melanconica per Margherita. Vi si sentono passare non infrequenti reminiscenze beethoveniane che il Pompeati crede addirittura volute e trasportate di peso come le citazioni di un testo classico; laddove il Torrefranca pensa siano frutto della riassimilaxione "di quei germi d'italianità che il maestro di Bonn aveva svolti e che l'intuizione di quell'artista acuto e sensibile inconsapevolmente ritrovava".
Il valore del Mefistofele è prevalentemente storico, perché segna un punto importante nell'evoluzione dell'opera teatrale italiana. Giustamente il Pizzetti osserva che "mentre i maestri più stimati e più famosi del teatro italiano chiedono ai poeti librettisti niente altro che situazioni, un giovine di venticinque anni sente, primo in Italia, che l'opera musicale non può essere opera di vita e di bellezza se non sia ispirata ad una grande, profonda opera di poesia".
Dopo il Mefistofele la musa di B. musicista si tace. Il Nerone è il suo segreto tormento: vi lavora in silenzio, sino alla morte, ma non giunge a finirlo. È invece notevole la sua attività di poeta e di librettista.
Così di lui, poeta, abbiamo Il libro dei versi, spontaneo, immediato, nel quale attraverso alle poesie Dualismo, Castello antico, Cose nuove, A una mummia, Un torso, Georg Pfecher, Lezione d'anatomia, A Giovanni Camerana, A Emilio Praga, si agita la penosa incertezza tra fede e dubbio, fra ottimismo e pessimismo, sempre inquietamente sognando di "un'arte eterea
che forse in cielo à norma
franca dai rudi vincoli
del metro e della forma
piena dell'Ideale
che mi fa batter l'ale
e che seguir non so".
Segue Re Orso, strana favola che canta il verme (Da L'épopée du ver di Victor Hugo), antagonista di re Orso. "Re Orso - dice il Croce - è vinto dal verme come il male è vinto dalla morte". Versi facili, pieni di freschezza giovanile; ed opera che assume la struttura di un vasto poema sinfonico, come se f0sse stata preordinata per la musica.
La caratteristica della sua verseggiatura - che tale rimane anche nei libretti - è l'andamento rapido e irrequieto, pieno di ricercatezze lessicali e di bizzarrie sonore, con frequenti giuochi di parole. Si può dire che le parole hanno per il poeta valore di sillabe, più che di concetti, e da esse nascono ritmo e armonia: anche nel poeta sopravvive, anzi soprattutto vive, il musicista. Non di rado però l'artificio si sostituisce all'arte.
Si comprende invece come un tale stile si adattasse alla musica, e come il musicista ne ricevesse, anziché impaccio, stimolo a ritmi più varî ed imprevisti.
Dei numerosi libretti giova ricordare: Ero e Leandro vivo e scorrevole, ma un po' artificioso; la Falce, leggiero, con una vaga nota di orientalismo; La Gioconda, con l'insistenza del contrasto fra Bamaba, personificazione del male, e l'idea del bene; Basi e bote in dialetto veneziano che è stata chiamata "festosissima commedia"; Otello, mirabile sintesi della gigantesca tragedia in cui la personalità del B., pur conservando il pathos shakespeariano, si afferma nel foggiare, figura cara al proprio spirito, il personaggio di Jago, genio maligno anch'esso come Barnaba, Mefistofele, Re Orso; Falstaff, infine, in sei quadri snelli e leggiadri, nei quali il panciuto personaggio appare nella sua figura di avventuriero spregiudicato e tuttavia nella sua prof0nda umanità (atto terzo, primo quadro): la veste verbale è scintillante, ricca, festosa, peregrina.
Ed ecco il poema del Nerone. Nella forma di tragedia in cinque atti, come uscì nel 1901, è una "infrangibile compattezza" che attesta come la materia sia stata dal poeta elaborata in modo assolutamente diverso dai precedenti poeti, Seneca nell'Ottavia, Racine nel Britannicus, Cossa nel Nerone, Gazzoletti nel Paolo. La tragedia è divisa in sei quadri.
Il libretto del Nerone ridotto per musica esclude senz'altro il quinto atto e recide alquanti particolari degli altri. Della musica il B. lasciò morendo quasi tutta l'opera compiuta; soltanto alcune parti dello strumentale furono compiute dal maestro Toscanini, con la collaborazione dei maestri Smareglia e Tommasini.
Nella lunghissima opera di elaborazione del Nerone, certamente al B. fu presente e preziosa l'esperienza delle due opere verdiane Otello e Falstaff, soprattutto riguardo ai rapporti tra poesia e musica.
Esaminando l'opera con occhio critico, il Gui dice: "Un vero e proprio stile musicale suo il B. non trovò mai. Oscillante fra il melodrammismo del suo tempo, il melodismo drammatico di maniera verdiana, reso però dal Verdi così strettamente personale da diventare immutabile, e il classicismo sinfonico tedesco da Bach a Beethoven e a Wagner, egli creò una musica che non ha una fisionomia molto forte e scolpita, ma non priva di procedimenti che la caratterizzano. Giusta anzitutto, ed indiscutibilmente, l'espressione musicale: non rari i momenti d'ispirazione vera che hanno regalato al mondo alcune fra le melodie più popolari del Mefistofele e del Nerone, tutte le pagine concernenti i personaggi cristiani e che li seguono nei loro sentimenti. Una freschezza d' ispirazione alta, una semplicità di mezzi espressivi spoglia da qualsiasi preziosismo di maniera, una purezza di linea classica, sono i segni che rivelano alla nostra attenzione appassionata questi personaggi che, più che creature trascinanti il peso della loro mortalità corporea, sembrano ombre che vanno. Il declamato dei personaggi assume nel Nerone accenti di perfetta espressione drammatica. Non motivi conduttori usati a sistema, ma sorgenti naturalmente dalla memoria dei personaggi che accompagnano".
Il B. fu un romantico anzi fu giustamente osservato che il romanticismo ebbe in lui il suo primo e unico poeta e il suo più tipico musicista in Italia. L'uomo fu nobilissimo: austero, chiuso in sé, aristocratico, generoso, patriota.
Devozione fu quella che professò per il Verdi. Da giovane aveva avuto per lui parole non reverenti: ma il pentimento fu sincero e il ravvicinamento definitivo. Dall'Otello in poi è una fedeltà che assume aspetti commoventi. Le lettere che il B. e il Verdi si scambiarono a proposito della preparazione del Falstaff, dimostrano la "sottile aristocratica opera di seduzione artistica (del B.) per indurlo (il Verdi) a lavorare ancora, presentandogli la tela per il Falstaff, e il peso dell'azione svolta dal B. nel determinare il Verdi a scrivere l'opera immortale, e la ponderatezza di artistica preparazione, e la mutua delicatezza con cui i due artisti siano pervenuti a dare il Falstaff. alla scena lirica Nazionale". Al B. si deve se il "colosso di bronzo" (come egli chiamava il Verdi) risonò ancora con gioia grande del poeta, che al Bellaigue scriveva: "L'atto della mia v;ta di cui maggiormente mi compiaccio è la volontaria servitù che ho dedicato all'uomo giusto, nobile fra tutti e veramente grande".
Opere musicali. - Il quattro giugno, cantata musicata in collaborazione con F. Faccio (1860); Le sorelle d'Italia (1861) mistero musicato come sopra (i manoscritti, nella Biblioteca del conservatorio di Milano); Mefistofele, opera: della prima forma, eseguita nel 1868, restano l'intermezzo sinfonico "La Battaglia", ridotto per pianoforte a 4 mani da M. Sala; il duetto Elena-Faust nella "Notte del Sabba classico", ridotto per canto e pianoforte dall'autore; La luna diffonde, barcarola, coro a voci (Ricordi); Ode all'arte, parole di G. Giacosa (1880) inedita; Do mi sol, lirica (Milano 1924); Nerone, opera in 4 atti e 5 quadri (postuma; Milano 1924).
Poesie Per musica. - Amleto, per la musica di F. Faccio (1865); Basi e bote, in La Lettura 1914; Ero e Leandro (musicata nel 1880 da Bottesini, nel 1896 da Mancinelli); Otello, per G. Verdi (1887); Gioconda, per Ponchielli (1876); Iram, per Dominiceti; La falce, per Catalani (1875); Mefistofele, libretto della prima forma (1868, Ricordi; ristampato in Biblioteca rara di Perrella, Napoli, n. XII e XIII, 1916); Mefistofele, libretto della forma corrente; Nerone, tragedia in 5 atti (Milano 1901); Falstaff, per Verdi (1893); Pier Luigi Farnese, per Palumbo (1891); Il quattro giugno, cantata; Semira, per Sangermano; Le sorelle d'Italia, mistero (1861); Tramonto per Coronaro (1873).
Traduzioni e adattamenti. - Freischütz di Weber; Rienzi e Tristano di Wagner; Le cento vergini di Lecocq; Simon Boccanegra rifatto per Verdi; cinque canti, tre melodie e La cena degli Apostoli di Wagner; cinque romanze e dodici canti a 2 voci di Raff; sei Lieder a una voce e diciotto a 2 voci; Le Lyrique e Il requiem di Mignon di Rubinstein. Poi, le parole dell'Inno delle Nazioni di Verdi, l'Inno-marcia a Guido Monaco di Mancinelli; Luna fedel di Denza; La Vergine di Sunam, musicata da Bellardi e da G. Ricordi; La Cipria di Coronaro; Mia madre un dì... di Blumenthal; La canzone del Troviere di Andreoli; Serenata provenzale, di Sinigaglia; Papiol di Ricci-Signorini.
Opere letterarie. - a) in versi: Il libro dei versi (Torino 1877-1902); All'arte italiana, in Museo di famiglia, II (1862), p. 741; Re Orso. b) in prosa: L'alfier nero (1867); Iberia; Il trapezio (novelle); Ritratti di giullari e di menestrelli moderni, in Gazzetta musicale del '70 e '71 (sono bozzetti, cronache, ritratti); Riviste critiche per il Figaro (pseudonimo Almaviva), per il Giornale della Società del Quartetto, per Il Politecnico; poi le lettere di B., contenute ne I copialettere di Verdi di Cesàri e Luzio, in Il Secolo XX (luglio 1919), in Il Primato (luglio 1920), ecc.
Bibl.: Impossibile offrire una bibliografia completa sul Boito. Ricordiamo tuttavia l'Appendice bibliografica al discorso tenuto da Corrado Ricci in Campidoglio (Milano 1919); l'appendice alle Novelle e Riviste drammatiche del Boito, di G. Brognoligo (Napoli 1920); le Notizie bibliografiche pubblicate da G. Cesari nel fascicolo 3, anno II, 15 marzo 1924 della Rassegna di coltura del Circolo filologico milanese. Queste "notizie" dànno la più copiosa bibliografia di quel tempo.
G. Albinati, Bibliografia letteraria e musicale di A. B., in I libri del giorno, Milano 1918, p. 165; C. Bellaigue, Epistolario con A. B., al Museo della Scala, Milano; A. Bonaventura, Mefistofele di A.B., guida, Milano 1924; G. Borrelli, Linee dello spirito e del volto di A. B., Milano 1924; B. Croce, Boito, in Note sulla letteratura italiana nella seconda metà del secolo XIX, in La Critica, II, Bari 1904; R. Giani, Il Nerone di A. B., Torino 1901, 2ª ediz., 1904; V. Gui, Nerone di A. B., Milano 1924; A. Lualdi, Boito un'anima, in Rivista musicale italiana, XXV, fasc. 3 e 4, Torino 1918; M. Marras, Ode a Boito in The Author, Londra 1893; I. Pizzetti, A. B., in Musicisti contemporanei, Milano 1914; id., Il Faust della leggenda del poema e del dramma mus. in Rivista mus. italiana, XIII, 1; A. Pompeati, A. B., poeta e musicista, Firenze 1919; G. Rabizzani, La poesia di A. B., in Marzocco, Firenze, 23 giugno 1918; C. Ricci, A. B., Milano 1919; F. Torrefranca, in La critica musicale, Firenze, nov.-dic. 1919.