HORTIS, Arrigo
Nacque a Trieste il 19 giugno 1823 da Francesco e da Carolina Clerici. La famiglia, originaria di Rovereto, era giunta in città all'inizio del secolo con il nonno Tommaso, commerciante in cerca di maggiori fortune economiche.
Compiuti gli studi ginnasiali a Gorizia in una scuola tedesca e quelli liceali a Klagenfurt, l'H. si iscrisse all'Università di Vienna, riuscendo poi a passare a Pavia e infine a Padova, dove si laureò in giurisprudenza il 14 ag. 1845. In novembre ottenne il suo primo incarico nell'I.R. Procura camerale, esercitando insieme l'avvocatura, prima come praticante presso l'avvocato F. Bressan, quindi autonomamente, quando il ministero viennese, il 25 sett. 1851, lo autorizzò ad aprire un proprio studio. Insieme con gli studi giuridici coltivò l'amore per i classici (ai quali educò i figli: Attilio, soprattutto; Bice; Silvio; e Laura) e per la storia: all'ampia e sicura erudizione, unì una non comune eloquenza, appassionata e precisa. Anche per questo, oltre che per il suo impegno costante per l'italianità di Trieste, divenne la guida del movimento liberale e patriottico e nel 1859 fu nominato fiduciario della Società nazionale italiana per Trieste, insieme con D. Livaditi, che nel 1857 aveva fondato e diretto per due anni La Ciarla. Pochi mesi dopo, nell'ottobre 1859, l'H. fu arrestato per aver compilato e diffuso un'energica petizione al governo austriaco, con trecento firme, perché istituisse a Trieste il ginnasio italiano in forza di un decreto imperiale che ne aveva ammesso la possibilità.
Rilasciato dopo qualche giorno, riprese a organizzare il movimento, promuovendo da un lato l'arruolamento nell'esercito sabaudo e dall'altro (dicembre 1859) costituendo un comitato segreto che pubblicò un memoriale da indirizzare al congresso della pace previsto per l'anno successivo a Parigi. In esso era contenuta una fiera protesta contro le usurpazioni commesse dall'Austria ai danni di Trieste, con il ricorso a scuole tedesche, alla predicazione di preti slavi, a impiegati di ogni parte dell'Impero, per mortificare la nazionalità italiana. Interessante era la richiesta al congresso, in attesa di unificare la città "alla gran patria", di costituire Trieste in città libera, con proprie rappresentanze elettive, autorità giudiziaria e sistema monetario. In questo modo, pur controllata da un governatore politico-militare austriaco, Trieste avrebbe potuto essere annessa alla nascente Confederazione italiana.
La prova che i tempi erano cambiati venne nel 1861, quando il governo viennese accettò la proposta del podestà M. Tommasini, che, preso atto che il Consiglio comunale, mai rinnovato dal 1850, era spesso deserto, indisse nuove elezioni, nelle quali l'Unione elettorale triestina, raggruppamento liberale che faceva capo all'H., ottenne la maggioranza con 41 seggi su 54. Così, grazie alla sua presenza attiva in Consiglio e alle frequenti visite effettuate a Capodistria e Gorizia per curare i rapporti con i patrioti istriani e friulani, e al viaggio a Milano e Torino (agosto-settembre 1862) per rafforzare i legami con il governo italiano, l'H. divenne il capo riconosciuto del partito rivoluzionario, secondo le parole della polizia che ricordava come non vi fossero discorsi pronunciati o azioni politiche intraprese che non fossero state dapprima concordate con lui. La lunga battaglia, sua e di F. Hermet, con cui mantenne sempre forti legami, per fondare una scuola nazionale, si concluse nel giugno 1862, quando il Consiglio decise, nonostante il parere contrario del governo, di aprire (1863) a sue spese un ginnasio italiano, affidandone la direzione a O. Occioni.
Il 1865, anno del sesto centenario dantesco nel corso del quale l'H. organizzò una serie di iniziative e presenziò alle celebrazioni fiorentine, gli consentì di rinnovare i contatti con l'Italia; analoga possibilità gli offrì, di lì a qualche anno, l'anniversario petrarchesco.
Nel 1866, espulso da Trieste per ordine della polizia che temeva manifestazioni filoitaliane, gli fu inibito di raggiungere "il Regno Lombardo-Veneto, il Tirolo meridionale e la Dalmazia": insieme con i figli Attilio e Silvio si recò dapprima a Vienna, quindi, attraverso la Baviera e la Svizzera, in Italia, dove, a Milano, ebbe modo di costituire il Comitato triestino istriano, per influire sull'opinione pubblica nazionale sostenendo l'unificazione di queste zone, grazie ai molti esuli (S. Picciola, A. Madonizza, N. De Rin e la moglie Eloisa Zaiotti, D. Livaditi, C. Combi) di cui era composto. Venne mandato anche un memoriale, steso dal figlio Attilio, al cancelliere prussiano O. von Bismarck, ma l'azione del Comitato non sortì effetti positivi, cosicché l'H. si recò personalmente al quartier generale italiano per incontrare sia A. Ferrero della Marmora, sia E. Visconti Venosta, a Ferrara, e l'inviato di Napoleone III, Gerolamo Bonaparte, a Bologna. Dopo tale azione il governo italiano gli affidò l'ufficio di commissario regio per Trieste, carica che restò sulla carta per la brusca interruzione delle operazioni militari, al termine delle quali la famiglia si riunì a Padova, rientrando poi a Trieste.
In questo periodo l'H. si associò al programma dell'amico avvocato G. Benco che, riprendendo alcune proposte di D. Rossetti, diede nuovo impulso alla coscienza artistica e letteraria italiana attraverso l'antica istituzione della Società di Minerva; sostenne la ripresa delle pubblicazioni dell'Archeografo triestino (1869), che pubblicò inediti di D. Rossetti, per il quale ottenne dal Comune l'erezione di un monumento, occasione per celebrare le speranze degli irredentisti in una grande manifestazione (22 marzo 1874). Nel 1870, all'indomani della presa di Roma, pronunciò, in un'assemblea popolare promossa dalla Società del progresso, un celebre discorso contro il potere temporale della Chiesa e inneggiante alla liberazione di Roma.
Il 21 genn. 1878, sicuro di essere ormai rovinato economicamente a causa del fallimento di alcune speculazioni, l'H. si tolse la vita, convinto così di non causare danni economici al primogenito Attilio e a tutta la famiglia.
Fonti e Bibl.: A. Tamaro, La Vénétie Julienne et la Dalmatie, Rome 1918, pp. 772 ss.; Id., Storia di Trieste, Roma 1924, II, passim; A. Gentile, A. e Attilio Hortis e il liberalismo triestino, in Rass. stor. del Risorgimento, XLII (1955), pp. 281-288; G. Stefani, Cavour e la Venezia Giulia, Firenze 1955, passim; A. Gentile, A. H.(1823-1878), in La Porta orientale, XXXIII (1963), pp. 278-286; A. Stella, Il Comune di Trieste, in Storia d'Italia (UTET), XVII, Torino 1987, pp. 160-167.