TESTA, Arrigo (Enrico). – Inserito nel canone degli autori appartenenti alla cosiddetta Scuola siciliana, autore di un’unica canzone La vostra orgogliosa cera, che è presente nei tre grandi manoscritti di lirica italiana antica. Non è nota la data di nascita (per la quale si potrà al massimo fare qualche congettura)
Del tutto isolata è la proposta di Francesco Scandone (1904) formulata senza presentare una documentazione diretta; l’identificazione – sulla scorta della rubrica attributiva dell’unica canzone ascrivibile a Testa, che lo vuole come originario da Lentini – si basava unicamente sul reperimento in tre documenti del 1275 e del 1278 di persone con uguale cognome che rendevano plausibile la possibilità che vi potesse essere un ‘Enrico Testa’ in Sicilia e in Puglia: il terzo documento, a detta di Scandone, chiudeva definitivamente la questione, giacché collocava due ‘Testa’ proprio a Lentini (un oste e un frequentatore di osterie, registrati in un inventario di polizia prodotto nel clima teso che sarebbe poi sfociato nella rivolta dei Vespri). Di Messina lo volle invece Francesco Empedocle Restivo (1895, p. 12), che collegava la misteriosa indicazione della rubrica del manoscritto Vat. lat. 3793 (divitis) alla famiglia locale De Avitis e De Vitis. Ci sono, tuttavia, altri personaggi di ben altra levatura che possono contraddire questa proposta.
Per priorità cronologica va ricordata l’esistenza, intanto, di un Henricus Testa di Bappenheim, marescalcus e legatus Italye, presente come testimone in un atto eugubino del 1187 (cfr. Acta imperii selecta, a cura di J.F. Böhmer, 1870, n. 168, p. 156). Tra le altre cose, è ricordato per essere stato inviato in Italia da Enrico VI con lo scopo di stroncare le velleità governative di Tancredi di Lecce, cugino della moglie Costanza, eletto re di Sicilia dai baroni meridionali (cfr. Annales Casinenses, a cura di G.H. Pertz, 1866, all’anno 1190, p. 314); costui, peraltro, è attestato nello stesso anno come legato imperiale per la Toscana (Zenatti, 1889, n. 1 a p. 26): non si può escludere, dunque, che egli ricevesse per i suoi servizi qualche appezzamento in territorio toscano, dal che si capirebbe perché il candidato principale all’identificazione, che potrebbe a questo punto essere un suo nipote, nei documenti sia detto di Arezzo.
Di quest’ultimo personaggio, Henricus Testa de Aritio, nei documenti in cui è presente, tutti collocati nella seconda metà del Duecento, è ampiamente attestata l’attività di funzionario imperiale itinerante, e in particolare di podestà, stante la possibilità che ufficiali fridericiani inclusi nel canone degli autori siciliani non provenissero direttamente dalla Sicilia (si pensi, per esempio, all’analoga figura di Percivalle Doria). Di costui si potrebbe fissare abbastanza agevolmente anche la data di nascita agli ultimi anni del XII secolo, se è lui il Rigus, che sarà forma apocopata per Arrigus, figlio del quondam Teste che, in un documento aretino del 14 giugno del 1219, giura di essere maggiore di venticinque anni (cfr. Monaci, 1889, pp. 63 s., 69 s.). Pure lui potrebbe essere il Rigonis che, assieme ai fratelli, riceve da Federico II il castello di Cignano (il documento si può leggere in Zenatti, 1889, pp. 26 s.).
Diverse le podesterie di Enrico di cui è rimasta traccia: la prima, a Siena nel periodo compreso tra il novembre 1229 e il dicembre 1230, va ricordata pure per la sconfitta subita da podestà durante il tentativo di difesa della città contro l’assedio delle truppe fiorentine, nell’ambito della guerra tra Siena e Firenze per il possesso di Montepulciano (i cronisti fanno riferimento a un fatto di Camollia, che è la porta senese rivolta verso Firenze: cfr. Zenatti, 1889, pp. 30 s.). A seguito di tale evento Testa rimase prigioniero dei fiorentini: la notizia si ricava da una più tarda pergamena del 22 agosto 1239 (die XI Kalendas semptembris, datata da Albino Zenatti erroneamente al 12 agosto) in cui Arrigo, per mezzo di un procuratore, reclama il denaro che gli sarebbe spettato per i servigi prestati da podestà e come risarcimento della prigionia (Archivio di Stato di Siena, Diplomatico, Riformagioni, 637 e 638). Di particolare interesse è poi la promessa, contenuta nel primo dei due documenti, di restituire ai senesi le carte che, in possesso di Federico II e di Gebhard di Arnstein, avrebbero potuto costituire materia di rappresaglia contro la città di Siena, dal che si può anche dedurre l’orientamento politico di Testa.
Altre podesterie di cui è rimasta traccia nella documentazione furono a Ravenna nel 1234 e nel 1238, a Ferrara nel 1239, a Parma nel 1241, a Lucca nel 1245, e poi ancora a Parma nel periodo compreso tra il 1246 e il 1247 (ampia documentazione in Zenatti, 1889, pp. 22-41, da integrare con Torraca, 1902, pp. 99 s., 220 s., 347, Ferretti, 1907 e 1908); oltre ai documenti ivi indicati, per la podesteria ferrarese si dispone anche della testimonianza di una sentenza, contenuta in una lettera della cancelleria di Innocenzo IV, per fatti avvenuti al tempo «quo Henricus Testa tamquam potestas regebat civitatem Ferrarensiem» (Epistolae saeculi XIII..., a cura di C. Rodenberg, 1887, p. 102); per quella parmense, delle indicazioni contenute nei cosiddetti Annales Parmenses Maiores «Domnus Henricus Testa de Aritio fuit potestas Parme in 1241» e «Henricus Testa de Aritio supradictus secunda vice fuit potestas Parme» (Annales Parmenses..., a cura di G.H. Pertz, 1863, pp. 669 e 671); accenni all’attività di Testa a Parma sono contenuti anche nelle cronache di Alberto Milioli e Salimbene de Adam.
A Enrico Testa si attribuisce la canzone Vostra orgogliosa cera, ma bisogna tenere presente che i manoscritti della lirica italiana delle origini non concordano nell’attribuzione (sulla questione si veda Contini, 1952, pp. 388-395). Il manoscritto Vat. lat. 3793 (c. 9rv) della Biblioteca Apostolica Vaticana attribuisce la canzone al «notaio Arigo Testa da Lentino», dove nella precisazione geografica si è visto il relitto dell’indicazione del destinatario del testo, ovvero Giacomo da Lentini; il medesimo errore potrebbe essere stato compiuto dal copista del manoscritto Laurenziano Rediano 9 (c. 77r) della Biblioteca Medicea Laurenziana, che nella rubrica riporta l’indicazione «N[otaio] Jacomo»; il Banco Rari 217 (cc. 34v-35r) della Biblioteca nazionale centrale di Firenze reca invece la misteriosa indicazione «Arrigus divitis», che potrebbe essere letta come corruzione paleografica di un originario «de Aritio/d’Aretio» e simili, se non addirittura «de Aritiis/de Aretiis», come analoga rubrica nello stesso manoscritto (Gallectus de Pisis, a c. 39r). La canzone, composta di cinque strofe di settenari e caratterizzata da uno stile piuttosto oscuro, svolge il tema dell’appello alla donna, giudicata orgogliosa e crudele (giusto, dunque, il contenuto della miniatura che nel Banco Rari 217 accompagna il testo, con la donna in piedi con una spada, mentre il poeta è raffigurato in ginocchio).
La data di morte di Testa è nota, dal momento che avvenne nell’ambito di uno scontro armato di cui è rimasta testimonianza, durante l’ultima podesteria parmense del 1247. Egli cadde infatti il 15 giugno di quell’anno nel tentativo di difendere Parma dall’attacco dei fuoriusciti guelfi, capitanati da Gherardo da Correggio (cfr. la notizia riportata da Alberto Milioli: «Et eo amnus domnus Gerardus de Corigia cum bannitis imperatoris de Parma per forciam et fecerunt magnum prelium cum potestate Parme et cum militibus Parme ad Burhetum de Tauro, et ibi interfecerunt potestatem Parme, scilicet domnum Henricum Testam, civem civitatis de Arecio», in Alberti Milioli notari regini liber de temporibus, a cura di O. Holder-Egger, 1903, p. 518). Vale la pena citare anche la registrazione dell’evento da parte di Salimbene de Adam, dal momento che il frate sottolinea l’amicizia che lo legava a Testa «ibi interfecerunt potestatem Parme, scilicet dominum Henricum Testam de Aretio, qui fuit notus et amicus meus omnes fratres Minores intime diligebat» (Cronica, a cura di G. Scalia, I, 1966, pp. 271 s.; la notizia non è in contraddizione con la fede ghibellina di Testa, se si tiene conto che le complesse relazioni locali spesso travalicavano una troppo rigida dicotomia che opponeva i guelfi e i ghibellini: si vedano pure le considerazioni in Zenatti, 1889, pp. 37-40).
Fonti e Bibl.: Annales Parmenses Maiores, in MGH, XVIII (Scriptorum), a cura di G.H. Pertz, Hannover 1863, pp. 664-790; Annales Casinenses, in MGH, XIX (Scriptorum), a cura di G.H. Pertz, Hannover 1866, pp. 305-320; Acta imperii selecta, a cura di J.F. Böhmer, Innsbruck 1870; Epistolae saeculi XIII et regestis pontificum romanorum selectae, II, a cura di C. Rodenberg, Berlin 1887; Alberti Milioli notari regini liber de temporibus, in MGH, XXXI (Scriptorum), a cura di O. Holder-Egger, Hannover 1903, pp. 353-571; Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, I, Bari 1966.
E. Monaci, Di una recente dissertazione su A. T. e i primordi della lirica italiana, in Atti della Reale Accademia dei Lincei, V (1889), pp. 59-70; A. Zenatti, A. T. e i primordi della lirica italiana, Lucca 1889; F.E. Restivo, La scuola siciliana e Odo delle Colonne, Messina 1895, pp. 11 s.; F. Torraca, Studi su la lirica italiana del Duecento, Bologna 1902, pp. 99 s. e 347; F. Scandone, Notizie biografiche di rimatori della scuola poetica siciliana con documenti, Napoli 1904, pp. 39-45; G. Ferretti, Nuovi documenti su A. T., in Bullettino della Società filologica romana, 1907, n. 9, pp. 61-91; Id., Ancora per la biografia di A. T., ibid., 1908, n. 11, pp. 19-32; G. Contini, Questioni attributive nell’ambito della lirica siciliana, in Atti del Convegno internazionale di studi federiciani, Palermo 1952, pp. 367-395. La poesia di Testa di può leggere in I poeti della scuola siciliana, II, Poeti della corte di Federico II, Milano 2008, pp. 234-245 (testo e commento sono a cura di C. Calenda, mentre la nota è di F. Carapezza). Si veda, infine, per il profilo critico e biografico più aggiornato, C. Calenda, A. T., in Federico II. Enciclopedia fridericiana, I, Roma 2005, pp. 102 s.