ARRIGO TESTA
L'unica canzone che ci sia pervenuta con attribuzione, peraltro problematica, ad A. è Vostra orgolgliosa ciera. Essa compare in tutti e tre i grandi canzonieri delle origini con varianti anche notevoli e soprattutto accompagnata da rubriche difformi: in V (= Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Lat. 3793), c. 9r-v, Notaio arigo testa dalentino; in L (= Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Redi 9), c. 77r, N[otaio] jacomo; in P (= Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Banco Rari 217, già Palatino 418), c. 34v, Arrigus diuitis. L'attribuzione ad A., piuttosto che al Notaro, può considerarsi plausibile soprattutto alla luce delle risultanze di Contini (1952, p. 392), il quale argomenta che, anche a prescindere dalla solitamente provata affidabilità dell'ordinatore di V, essendo le tre testimonianze indipendenti è possibile in questo caso giungere a conclusioni meno discutibili. Le rubriche dei codici infatti risultano reciprocamente implicate: "Arrigo è provato da VP, il 'Notaio... da Lentino' da V e L (in quanto quest'ultimo trivializzi in Giacomo), se non addirittura per l'ultima parte da diuitis P (corruzione paleografica?); esce confermato nell'insieme V, restandovi isolato 'Testa'". Ma occorre dire subito che molto più complicata risulta, anche in rapporto al brano appena citato, la questione dell'identità del rimatore. Lo stringato 'teorema' continiano pare infatti concludere per un A. notaio da Lentini, a conferma appunto della designazione vaticana. È questa la soluzione proposta per esempio, in modo esplicito, dallo Scandone (1904, pp. 42-45) convinto che il puro e semplice accertamento da lui effettuato dell'esistenza di un Testa a Lentini nella seconda metà del sec. XIII (il cognome figura in una lista di tabernarii, cioè osti, lentinesi stilata per una sorta di operazione di polizia a Messina nel 1278, nel clima che precede i Vespri) fosse in grado di provare quantomeno che una famiglia di questo nome, e dunque eventualmente anche un A. notaio e poeta, potessero trovarsi a Lentini anche nel mezzo secolo precedente. Questa labile traccia è l'unica opponibile alla ben più corposa candidatura (proposta tra gli altri da Torraca e soprattutto, con ampia documentazione, da Albino Zenatti), che mette in campo un ben noto uomo pubblico aretino, signore di Cignano, podestà, tra il 1230 e il 1246, a Siena e poi a più riprese a Lucca e a Parma, morto il 15 giugno del 1247 in un fatto d'armi presso il fiume Taro. Ora, a guardar bene, se non ci si lascia abbagliare dalla notorietà del secondo personaggio (dato, nella fattispecie, non pertinente) le due ipotesi sono più o meno equivalenti. Contro l'Aretino fu mossa l'obiezione che, a esaminare bene i documenti, risulta un Arrigus Testae, cioè, piuttosto che Testa, 'figlio di Testa'; e, quanto alla rubrica di V, occorrerebbe far ricorso, per spiegare l'errore del suo compilatore, alla celebre e ingegnosa ipotesi di Monaci, convinto, come si sa, che spesso nelle didascalie che noi leggiamo siano fusi insieme i nomi dell'autore e del destinatario, originariamente distinti ma giustapposti: nel nostro caso la rubrica vaticana segnalerebbe, attraverso una serie di passaggi, un componimento inviato da A. a Giacomo da Lentini, appunto Notaio. Di un certo interesse anche il fatto che sull'identità di A. pesi tradizionalmente un'altra ipotesi, che lo farebbe nativo di Reggio Calabria o di Reggio Emilia: lo sconcerto può essere forse mitigato dalla considerazione che "negli antichi manoscritti, così 'da Reggio' come 'd'Arezzo' potevano confondersi nella dubbia indicazione dareço" (Zenatti, 1896). Ancor più numerose le spiegazioni della rubrica Arrigus diuitis di P. Sintetizzando al massimo abbiamo: a) la corruzione di un originario dearitio o daretio (= d'Arezzo), non compreso e dunque trasformato nel cognome fittizio dell'autore; b) la designazione esatta dell'autore, della famiglia messinese de Avitis o de Vitis (Restivo, 1895); c) il relitto, sempre secondo l'ipotesi del Monaci, di possibili destinatari originari, per esempio Pier della Vigna (*devineis), se non addirittura Mazzeo di Ricco, del cui cognome quella misteriosa parola sarebbe l'imperfetta traduzione latina. Più semplice, almeno in apparenza, l'eziologia dell'errore di L che determinò l'attribuzione a Giacomo da Lentini già respinta dal suo editore, Roberto Antonelli (sempre, ovviamente, che sia esclusa la possibilità di un A. notaio lentinese): evidentemente il compilatore di L risente di una drastica semplificazione della rubrica originaria di cui viene isolato il solo nome, notissimo, del destinatario.
La canzone Vostra orgolgliosa ciera comprende cinque stanze singulars di sedici settenari ciascuna, divisi in due piedi e due volte tetrastici con concatenatio ma senza combinatio. Le strofe sono capfinidas in tre casi su quattro; in un caso (III e IV) anche capcaudadas. Questa almeno è la fisionomia ricostruibile, con pochi accorgimenti, della versione vaticana che si intende assunta a testo base. Monometria e frequenza serrata dei distici a rima baciata (sei su sedici versi), con rimanti costituiti di preferenza da sostantivi rilevati formalmente e semanticamente, conferiscono al testo una ritmicità incalzante, che talora fa aggio sulla perspicuità dei nessi. Il tema è quello, convenzionale, della durezza eccessiva della donna, sviluppato però qua e là con una non comune energia che provoca passaggi difficili, da trobar clus. Specialmente notevole l'articolazione intellettualistica, se non concettosa, della seconda stanza, dove pure, nel finale, riecheggia la famosa formula di Andrea Cappellano dell'origine della passione ex visione et immoderata cogitatione: "Del vostro cor ciertanza / ben ò veduto in parte, / c'assai poco si partte / vista di pensamento / se non fosse fallanza / o 'mponimento d'artte / che dimostrasse im partte / altro c'ave in talento; / ma lo fin piacimento / di chui l'amor disciende, / solo vista lo prende / ed in cor lo nodriscie, / sì che dentro s'acrescie, / formando sua manera; / poi mette fuor sua spera / e ffanne mostramento". Par di capire che esterno e interno (vista e pensamento) di norma si corrispondono e dunque, in linea generale, di chiunque basta osservare il contegno per conoscerne i pensieri, a meno che uno non progetti di scoprire solo parzialmente, per truffare (fallanza) o per un atteggiamento artificioso, affettato, imposto dalle circostanze ('mponimento d'arte), ciò che desidera, che gli sta a cuore (altro c'ave in talento): eventualità peraltro impensabile se in gioco è l'amore che, quando divampa, non può essere dissimulato ma si irraggia irresistibilmente all'esterno (mette fuor sua spera). L'argomento è sviluppato con una sorta di febbrile tensione formale che prevede il martellare delle rime identiche ed equivoche entro un regime complessivo di rimas caras, ardite dislocazioni sintattiche, repentini cambi di soggetto; ma si noti pure l'uso, che percorre ossessivamente da cima a fondo la canzone, delle conversiones col sostantivo astratto, spesso coinvolgente i provenzalismi in -anza. Nella strofa successiva, l'accennata "fatalità" non occultabile della passione provoca, forse sulla falsariga della grande canzone Ancor che ll' aigua di Guido delle Colonne, l'efficace analogia naturalistica col fuoco che "infin che sente lengna, / inflama e nonn ispengna, / né pò stare nascoso".
Fonti e Bibl.: il testo di Vostra orgolgliosa ciera si cita secondo la lezione fermata nella nuova edizione critica e commentata in corso di allestimento da parte di vari autori per il Centro di studi filologici e linguistici siciliani; la canzone di A. è stata edita da Corrado Calenda. La canzone è compresa nella raccolta complessiva di B. Panvini, Le rime della scuola siciliana, I, Firenze 1962, pp. 409-412; la trascrizione diplomatica della lezione dei tre testimoni è, nella sezione dei componimenti falsamente attribuiti al Notaro, in Giacomo da Lentini, Poesie, a cura di R. Antonelli, Roma 1979, pp. 407-408. Importante l'edizione diplomatico-interpretativa compresa nelle Clpio (Concordanze della lingua poetica italiana delle origini), a cura di d'A.S. Avalle, I, Milano-Napoli 1992, pp. 143, 251 e 314. Queste edizioni più recenti rendono superflui i contributi editoriali precedenti di Nannucci, D'Ancona, Langley, Guerrieri Crocetti, Lazzeri, Vitale, Monaci. Molto scarsi e di dimensioni ridotte (tranne il caso dello Zenatti) gli studi, quasi tutti sulla biografia o sulla questione attributiva, peraltro, come si è visto, intimamente connesse: V. Nannucci, Manuale della letteratura del primo secolo della lingua italiana, Firenze 1856, p. 70; A. Gaspary, La scuola poetica siciliana del secolo XIII, Livorno 1882, p. 14; E. Monaci, Sulle divergenze dei canzonieri nell'attribuzione di alcune poesie, "Atti della Reale Accademia dei Lincei. Rendiconti", ser. IV, I, 1885, pp. 657-662; F.E. Restivo, La scuola siciliana e Odo delle Colonne, Messina 1895, pp. 11-12; A. Zenatti, Arrigo Testa e i primordi della lirica italiana, Firenze 1896; F. Torraca, Studi su la lirica italiana del Duecento, Bologna 1902, pp. 99-100 e 347; F. Scandone, Notizie biografiche di rimatori della scuola poetica siciliana con documenti, Napoli 1904, pp. 39-45; G. Contini, Questioni attributive nell'ambito della lirica siciliana, in Atti del Convegno internazionale di studi federiciani, Palermo 1952, pp. 367-395 (in partic. pp. 388-395); G. Brunetti, Il frammento inedito "Resplendiente stella de albur" di Giacomino Pugliese e la poesia italiana delle origini, Tübingen 2000, pp. 204 n. 270, 254-255.