ARROGAZIONE (dal lat. adrogatio)
Con questa parola s'indicava in Roma l'adozione di una persona sui iuris, cioè l'aggregazione a una famiglia in qualità di filius familias di un pater familias, il quale traeva seco necessariamente nella nuova famiglia i suoi filii familias, se ne aveva, e il suo patrimonio. È istituto prestatale, la cui funzione si comprende in una società nella quale le famiglie rappresentano dei centri di vita politica; ma, poiché esso modifica la serie delle famiglie, è naturale che, fin dalla prima costituzione, il comune primitivo abbia cercato di esercitare sulle arrogazioni una speciale vigilanza. Di qui la primitiva forma solenne di questo atto, che si compieva, in Roma, innanzi ai comitia curiata, cioè al popolo ordinato in assemblea secondo la divisione in trenta curie: i comizî erano convocati dal pontefice massimo, dopo un'inchiesta preventiva sul caso, e venivano interrogati (rogatio, donde adrogatio), dopoché sia l'arrogante sia l'arrogando avevano espresso la loro volontà (Gaio, Inst., I, 99; Ulpiano, fr. 8, 2-4; Cicerone, Pro domo, 29,77-81; Gellio, Noctes Atticae, V, 19). È dubbio se questa cerimonia fosse in antico preceduta dalla detestatio sacrorum (Servio, ad Aen., II, 156). È certo invece che davanti alle curie non poteva avvenire arrogazione di donne o di impuberi; solo Antonino Pio (Gaio, Inst., I, 102) con una lettera ai pontefici, permise, per giusti motivi e sotto certe condizioni, anche l'arrogazione degl'impuberi che venne poi circondata da particolari cautele. Requisiti legali non pare che esistessero durante il diritto classico; dovettero bensì esistere condizioni imposte da convenienze sociali, delle quali erano giudici i pontefici. I testi di Ulpiano contenuti nelle Pandette, in cui si espongono regole e restrizioni, sono di dubbia genuinità. L'arrogazione ha per effetto l'attribuzione della posizione di filius familias all'arrogato, il quale perde così ogni eventuale suo diritto sulle persone soggette e sul patrimonio a favore del suo nuovo pater familias: assume i sacra, il nome, il prenome dell'adottante, il patronimico, la tribù: subisce, dicono le fonti, una capitis deminutio. Questi effetti, per quanto riguarda la tribù e il nome, si attenuano sotto il principato.
L'istituto subì però una profonda trasformazione nell'epoca romano-ellenica. Accanto alla forma antica descritta s'introduce l'arrogazione per rescritto imperiale, che, sorta probabilmente per le provincie, venne poi a sostituire completamente nell'epoca cristiana l'arrogazione comiziale. Inoltre viene ammessa l'arrogazione delle donne, e, cosa veramente contraria ai fondamenti dell'istituto, anche l'arrogazione da parte di donne in solacium amissorum liberorum (Cod., VIII, 47 de adopt., 5, costituzione dioclezianea interpolata).
Nel diritto giustinianeo, in cui, come per l'adozione, vengono imposti numerosi requisiti anche per l'arrogazione, questa si compie per rescritto imperiale, e formalmente (salvo nel caso di arrogazione da parte di donna) produce ancora gli antichi effetti; ma sostanzialmente, dato il nuovo carattere della patria potestà, il nuovo regime dei peculî, e il nuovo ordinamento del diritto ereditario, l'arrogazione giustinianea non è che l'ombra dell'antico istituto.
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