arsura
Il sostantivo ha scarsa frequenza nelle opere dantesche. Significa " arsione " in Pg XXVI 81, dove dei lussuriosi è detto che, avvolti dalle fiamme, aiutan l'arsura vergognando, accrescono, con il vergognarsi, la pena fisica del venir bruciati. Di poco differente è il valore dell'occorrenza in Cv II XIV 5 'l Sole alcuna fiata errò ne la sua via e, passando per altre parti non convenienti al suo fervore, arse lo luogo per lo quale passò, e rimasevi quella apparenza de l'arsura, cioè dell' " ustione ". In If XIV 42 invece, dove i sodomiti sono raffigurati nell'atto di scuotere dal loro corpo l'arsura fresca, " il fuoco che continuamente di nuovo piovea " (Boccaccio) - si noti l'antifrasi - il vocabolo trapassa al senso concreto di " materia ardente ".
Infine nelle parole di mastro Adamo a Sinone, s'i' ho sete e omor mi rinfarcia, / tu hai l'arsura e 'l capo che ti duole (If XXX 127), a., essendo in relazione a sete, può denotare, inserito com'è dentro una cruda tenzone di stile comico, una sete di grado più intenso e tormentoso, o avere semplicemente l'accezione medica, attestata già nel secolo XII da Rogerus Salernitanus per il corrispondente termine latino arsura, di " secchezza e bruciore delle labbra " in seguito a febbre o malattia, in pieno accordo, in questo caso, con il contesto ricco di connotazioni patologiche.