Art. 18 st. lav. e pubblico impiego
Il contributo esamina la questione, controversa in giurisprudenza, dell’applicabilità, o no, al lavoro pubblico contrattualizzato dell’art. 18 st. lav. nella formulazione della l. n. 92/2012, prendendo in considerazione, in particolare, un recente arresto della Corte di cassazione (sent. n. 11868/2016).
2.4 Le ragioni di Cass. n. 11868/2016 3. I profili problematici 3.1 Giustificatezza del regime differenziato 3.2 Il licenziamento disciplinare nel lavoro pubblico 3.3 Inapplicabilità della nuova disciplina sanzionatoria 3.4 Applicabilità della l. n. 92/2012 al lavoro pubblico
L’art. 18 st. lav. (l. 20.5.1970 n. 300) è stato novellato dalla l. 28.6.2012, n. 92, che ha incisivamente modificato la disciplina dei licenziamenti, talché si è posto il problema dell’applicabilità, o no, di tale nuova normativa anche al rapporto di pubblico impiego contrattualizzato. In particolare l’art. 1, co. 42, l. n. 92/2012 ha riscritto radicalmente l’art. 18, sostituendo i commi dal primo al sesto con nuovi dieci commi, nonché la stessa rubrica che è stata significativamente modificata da «Reintegrazione nel posto di lavoro» in «Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo»1.
Il novellato art. 18 non contiene più solo la reintegrazione nel posto di lavoro e quindi la cd. tutela reale, ma disciplina anche concorrenti forme meramente compensative dell’illegittimità del licenziamento. La tutela reale si riduce quanto all’ambito di applicazione e per il resto si applica una diversa (e meno incisiva) tutela del lavoratore illegittimamente licenziato che non contempla più la reintegrazione. In sintesi l’art. 18 novellato contiene ora quattro distinti regimi di tutela riconducibili ad una duplice matrice: a) la tutela reintegratoria sia nella forma “piena” di cui ai primi due commi (corrispondente a quella del “vecchio’’ art. 18) che nella forma “attenuata” di cui al quarto comma; b) la tutela compensativa che non prevede la reintegrazione nel posto di lavoro, ma una compensazione economica e che per il suo contenuto (ossia per la quantificazione dell’indennità) si articola anch’essa nelle due forme – “piena” e “attenuata” – del quinto e del sesto comma del novellato art. 18, le quali si atteggiano a speciali rispetto alla tutela ordinaria, parimenti indennitaria, dell’art. 8 l. 15.6.1966, n. 604.
La maggiore caratteristica della riforma del 2012 è costituita proprio da questa frammentazione delle tutele (due regimi di tutela reintegratoria ed altrettanti di tutela compensativa che si aggiungono a quello della cd. tutela obbligatoria in senso stretto); frammentazione che mostra la matrice compromissoria sottostante alla legge di riforma per aver quest’ultima coniugato il novum del significativo allentamento delle rigidità del regime reintegratorio con la conferma di un ridimensionato zoccolo duro di tale regime2.
I punti di criticità della nuova regolamentazione “frammentata” stanno soprattutto nella definizione della linea di demarcazione risultante nel nuovo art. 18 tra tutela reintegratoria e tutela compensativa.
In particolare il quarto comma del novellato art. 18 fa riferimento, per l’applicabilità del regime reintegratorio, alla non ricorrenza degli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro per “insussistenza” del fatto contestato come fattispecie distinta dalle altre ipotesi in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa allegati dal datore di lavoro e che attivano la tutela meramente compensativa; ipotesi quest’ultima che, per differenziarsi dalla prima, deve predicare la contestuale “sussistenza” del fatto contestato unitamente alla “non ricorrenza” degli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa3.
Inoltre il settimo comma dell’art. 18 novellato fa riferimento alla “manifesta insussistenza’’ del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo come fattispecie distinta dalla semplice “non ricorrenza’’ degli estremi del predetto giustificato motivo, dove la linea di demarcazione tra tutela reintegratoria e tutela compensativa corre sul crinale incerto del carattere manifesto, o no, dell’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; incertezza aggravata dal fatto che l’applicazione del regime reintegratorio piuttosto di quello compensativo è affidato, secondo il dato testuale della norma, alla discrezionalità del giudice (che «può [...] applicare la predetta disciplina [...]»).
Altresì concettualmente contigue sono l’ipotesi del licenziamento discriminatorio e quella del licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo, e non di meno sono destinatarie di regimi di tutela sensibilmente diversi per i “nuovi” licenziamenti4.
L’altra caratteristica del nuovo art. 18 a seguito della riforma del 2012 è la previsione di un rito speciale – quello delle controversie in tema di licenziamenti (co. da 47 a 69 dell’art. 1 l. n. 92/2012) – nel contesto di un rito che già di per sé è speciale, quello delle controversie di lavoro (l. 11.8.1973, n. 533); rito di nuovo conio connotato dal carattere bifasico del giudizio di primo grado e che ha creato notevoli problemi applicativi, tanto che ne è stata proposta l’abrogazione con il d.d.l. n. 2953-A (Delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile), approvato della Camera dei deputati il 10.3.2016 e attualmente all’esame del Senato (S.2284).
In questo contesto di accentuata maggiore complessità del regime sia sostanziale che processuale delle tutele del lavoratore subordinato nei confronti dei licenziamenti illegittimi l’obiettivo della maggiore flessibilità in uscita dal rapporto di lavoro subordinato stabile è stato realizzato dalla riforma del 2012 essenzialmente nella misura in cui la “vecchia’’ reintegrazione ex art. 18 st. lav., oggi ridimensionata e riprodotta nei primi due commi del novellato art. 18, è esclusa in tutte le ipotesi di licenziamento senza giusta causa né giustificato motivo, che non sia discriminatorio.
Nel pubblico impiego contrattualizzato, in cui il licenziamento individuale è essenzialmente quello disciplinare, si è posto allora il problema se il nuovo art. 18 sia applicabile, o no, anche al lavoro pubblico contrattualizzato5.
La questione si pone perché l’art. 51 d.lgs. 30.3.2001, n. 165, sulla disciplina del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, prevede in generale che il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche è regolato secondo le disposizioni degli artt. 2, co. 2 e 3, e 3, co. 1, del medesimo d.lgs. Il cit. art. 2, co. 2, in particolare stabilisce che i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato dell’impresa. Da ciò può desumersi che ogni disposizione normativa che modifichi il rapporto di lavoro subordinato privato nell’impresa è suscettibile di estendersi automaticamente al rapporto di lavoro pubblico, salvo deroghe espresse o desumibili in via logicosistematica secondo gli usuali canoni interpretativi. Si tratta di un rinvio mobile che realizza una continua ed automatica parametrazione della disciplina del lavoro pubblico contrattualizzato a quella che è la disciplina del lavoro subordinato privato.
Il co. 2 dell’art. 51 cit. stabilisce poi, in particolare, che lo Statuto dei lavoratori ed ogni successiva modificazione ed integrazione, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti. La disposizione quindi da una parte pone il canone del rinvio mobile: ogni modifica dello Statuto dei lavoratori – e quindi anche dell’art. 18 – si estende automaticamente al lavoro pubblico contrattualizzato. D’altra parte detta una regola specifica: mentre nel lavoro subordinato privato l’applicabilità delle disposizioni del titolo III dello Statuto (sull’attività sindacale) e dell’art. 18 è condizionata a determinati presupposti dimensionali, invece nel lavoro pubblico contrattualizzato, con norma di maggior favore per i dipendenti, tali presupposti non devono ricorrere e quindi non condizionano l’applicabilità in particolare dell’art. 18, che pertanto è generalizzata.
La previsione di un rinvio mobile, sia quello a carattere generale del co. 1 dell’art. 51, sia quello a carattere particolare del suo co. 2, non esclude però che il legislatore possa derogare a questo canone di parametrazione automatica delle due discipline (per il lavoro privato e per il lavoro pubblico) e possa dettare una regola specifica per il lavoro pubblico creando così una differenziazione rispetto al lavoro privato.
Tant’è che una regolamentazione specifica si rinviene già nello stesso d.lgs. n. 165/2001, nel precedente art. 36 sull’utilizzo di contratti di lavoro flessibile, che al co. 5-ter stabilisce, in sintonia con il canone del rinvio mobile, che le disposizioni previste dal d.lgs. 6.9.2001, n. 368, si applicano alle pubbliche amministrazioni, ma contestualmente detta anche regole specifiche, quali innanzi tutto il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato.
In materia di lavoro flessibile, occupazione e mercato del lavoro, già in passato una regolamentazione specifica si rinviene nel co.2 dell’art. 1 d.lgs. 10.9.2003, n. 276, che ha previsto espressamente: «Il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale». Il successivo co. 8 dell’art. 86 ha stabilito poi che il Ministro per la funzione pubblica convoca le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche per esaminare i profili di armonizzazione conseguenti alla entrata in vigore del cit. decreto legislativo entro sei mesi anche ai fini della eventuale predisposizione di provvedimenti legislativi in materia. Quindi da una parte la deroga al criterio generale del rinvio mobile di cui agli artt. 2, co. 2, e 51 d.lgs. n. 165/2001 è chiara ed inequivocabile; d’altra parte la differenziazione così risultante si accompagna ad un criterio procedimentale per l’armonizzazione della disciplina del lavoro pubblico al lavoro privato anche in riferimento ai profili disciplinati dal d.lgs. n. 276/2003.
Poco meno di dieci anni dopo nella stessa materia e segnatamente in quella dei licenziamenti il legislatore del 2012 segue, nella sostanza, lo stesso modello, ma introduce la deroga al canone del rinvio mobile con una formulazione marcatamente ambigua rispetto a quella invece chiara e netta dell’art. 1, co. 2, cit.. Ossia non si prevede espressamente – come forse sarebbe stato auspicabile che fosse – che le disposizioni della l. n. 92/2012 non trovano applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale. Ma il co.7 dell’art. 1 stabilisce che le disposizioni della stessa legge «per quanto da esse non espressamente previsto» – e quindi salva espressa diversa disposizione – costituiscono «principi e criteri» per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni ed aggiunge che questa prefigurata armonizzazione deve essere in coerenza con quanto disposto dall’art. 2, co. 2, d.lgs. n. 165/2001 sul canone generale del rinvio mobile.
Ma dalla previsione che le disposizioni della l. n. 92/2012 costituiscono (solo) «principi e criteri» per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni può desumersi che esse non sono direttamente ed immediatamente applicabili nel loro contenuto testuale. Il novum della l. n. 92/2012 orienterà la necessaria armonizzazione della regolamentazione specifica, in questa materia dei licenziamenti individuali, del lavoro pubblico contrattualizzato; e ciò dovrà esser fatto «in coerenza» proprio con il criterio del generale rinvio mobile dell’art. 2, co. 2, d.lgs. n. 165/2001. Questa prescrizione, in quanto posta da una norma di rango ordinario nel sistema delle fonti, vale come parametro di legittimità della fonte sottordinata che, nel lavoro pubblico contrattualizzato, è costituito dalla contrattazione collettiva.
L’esigenza della futura armonizzazione è rispecchiata anche dal successivo co. 8 dell’art. 1 l. n. 92/2012 che chiarisce la finalità di tali «principi e criteri» stabilendo che al fine dell’applicazione del co. 7 il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
In sostanza, seppur con una formulazione testuale meno chiara, si riproduce la stessa dicotomia dei cit. artt. 1, co. 2, e 86, co. 8, d.lgs. 276/2003: non applicabilità della nuova disciplina coniugata alla previsione della futura armonizzazione tra privato e pubblico nelle materie di quest’ultima.
La questione dell’applicabilità dell’art. 18 nella nuova formulazione della l. n. 92/2012 è stata affrontata in una recente pronuncia della Corte di cassazione del 9.6.2016, n. 11868 che segue altra di qualche mese precedente, la n. 24157 del 26.11.2015.
In quest’ultima pronuncia (n. 24157/2015) la Corte ha affermato seccamente che «è innegabile che il nuovo testo dell’art. 18 legge n. 300/70, come novellato dall’art. 1 legge n. 92/12, trovi applicazione ratione temporis al licenziamento per cui è processo e ciò a prescindere dalle iniziative normative di armonizzazione previste dalla legge cd. Fornero di cui parla l’impugnata sentenza». Quindi è stata ritenuta la applicabilità delle l. n. 92/2012 al lavoro pubblico contrattualizzato e pertanto anche dell’art. 18 nella sua nuova, e vigente, formulazione. Però nello stesso tempo questa prima pronuncia ha ritenuto che il licenziamento nullo per contrarietà a norma imperativa (quale l’art. 55 bis, co. 4, d.lgs. n. 165/2001) comporta l’applicazione della tutela reale piena del primo comma del “nuovo” art. 18, rientrando la suddetta violazione di legge tra le altre nullità previste dalla legge di cui al medesimo primo comma dell’art. 18, come modificato dalla l. n. 92/2012. Quindi, in sostanza, con riferimento al licenziamento disciplinare, che è la fattispecie tipica del licenziamento individuale nel lavoro pubblico contrattualizzato, sarebbe rimasto vigente il più favorevole regime della tutela reintegratoria piena, come nel vigore dell’art. 18 nella formulazione precedente alla l. n. 92/2012.
Successivamente invece, in una recente pronuncia del 2016 (Cass. n. 11868/2016) la Corte, in dichiarato dissenso con la citata pronuncia del 2015, è pervenuta all’opposto convincimento affermando che «ai rapporti di lavoro disciplinati dal d.lgs. 30.3.2001 n. 165, art. 2, non si applicano le modifiche apportate dalla legge 28.6.2012 n. 92 all’art. 18 della legge 20.5.1970 n. 300, per cui la tutela del dipendente pubblico in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva alla entrata in vigore della richiamata legge n. 92 del 2012 resta quella prevista dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970 nel testo antecedente alla riforma».
Quest’ultima pronuncia è particolarmente significativa non solo perché si pone in critico ed argomentato confronto con il precedente del 2015, che supera, ma anche perché i giudici di merito, in quel caso di specie, avevano ritenuto invece l’applicabilità dell’art. 18 nella riformulazione operata dall’art. 1 della l. n. 92/2012. La singolarità del caso sta nel fatto che il dipendente pubblico, licenziato illegittimamente (secondo Tribunale e Corte d’appello) per un vizio del procedimento disciplinare attinente alla necessaria conformità dell’addebito alla iniziale contestazione, non si doleva, nel ricorso (incidentale) per cassazione della ritenuta (dai giudici di merito) applicabilità dell’art. 18 nella nuova formulazione della
l. n. 92/2012, talché aveva conseguito solo una tutela compensativa; bensì si doleva che non si fosse ritenuta l’insussistenza del fatto contestato da cui sarebbe conseguita, secondo il “nuovo” art. 18, la tutela reintegratoria del co. 4 di tale disposizione6. La Corte, nell’esaminare il ricorso incidentale del dipendente ritenuto logicamente prioritario rispetto al ricorso principale dell’Amministrazione pubblica datrice di lavoro, ha fatto innanzi tutto una premessa in diritto: il “nuovo” art. 18 non si applica al lavoro pubblico contrattualizzato. Ed è questa premessa, diffusamente argomentata, che interessa maggiormente per il suo contenuto nomofilattico. La Corte ha poi rigettato i motivi del ricorso incidentale (perché bene avevano i giudici di merito escluso che nella specie non sussistesse il fatto contestato) ed ha invece accolto il ricorso principale dell’Amministrazione pubblica datrice di lavoro (perché, errando in diritto, i giudici di merito avevano ritenuto un vizio nel procedimento disciplinare).
Al di là della peculiarità del caso di specie la pronuncia è di grande rilievo perché risponde al quesito in esame prendendo nettamente posizione in favore dell’applicabilità, nel pubblico impiego contrattualizzato, dell’art. 18 nella sua formulazione precedente alla l. n. 92/2012. Quindi il regime dell’art. 18 risulterebbe sotto più profili diversificato non solo tra dipendenti con rapporto di lavoro subordinato ante 7.3.2015, ai quali si applica l’art. 18 riformato nel 2012, e dipendenti assunti successivamente a tale data con contratto di lavoro a tutele crescenti ai quali l’art. 18 non si applica affatto ex d.lgs. 4.3.2015, n. 23, ma anche tra dipendenti privati, così peraltro differenziati, e dipendenti del pubblico impiego contrattualizzato, ai quali invece si applica il più favorevole regime dell’art. 18 nel testo precedente alla l. n. 92/2012. Inoltre ai licenziamenti intimati prima dell’entrata in vigore della l. n. 92/2012 continua ad applicarsi l’art. 18 nella precedente formulazione7.
In breve, il panorama complessivo delle situazioni possibili è abbastanza frastagliato e tutt’altro che uniforme. In particolare però la differenziazione di disciplina per il lavoro pubblico contrattualizzato si giustifica in ragione delle persistenti differenze tra lavoro pubblico e lavoro privato come già ritenuto nella contigua materia del lavoro a termine, che, in caso di illegittimità del termine, non prevede, ed anzi esclude, per il lavoro pubblico la conversione in rapporto a tempo indeterminato8.
Nella cit. pronuncia n. 11868/2016 la Corte valorizza innanzi tutto il co. 7 dell’art. 1 che espressamente prevede che le disposizioni del «nuovo» art. 18 costituiscono «principi e criteri» per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni; ed il successivo co. 8 demanda al il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, di individuare e definire, anche mediante «iniziative normative», gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
Ciò comporta che, sino al successivo intervento normativo di armonizzazione, non si estendono ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni le modifiche apportate all’art. 18 st. lav.
Oltre questi argomenti testuali, la citata pronuncia evidenza anche ragioni sistematiche e di coerenza normativa. Da una parte la finalità della l. n. 92/2012, per come formulata nell’art. 1, co. 1, tiene conto unicamente delle esigenze proprie dell’impresa privata. D’altra parte la formulazione del “nuovo” art. 18 introduce una modulazione delle sanzioni dell’illegittimità del licenziamento pensate in relazione al solo lavoro privato, che non si prestano ad essere estese all’impiego pubblico contrattualizzato per il quale il legislatore, in particolar modo con il d.lgs. 27.10.2009, n. 150, ha dettato una specifica disciplina inderogabile nel caso di licenziamento disciplinare intimato senza il necessario rispetto delle garanzie procedimentali.
Il rinvio contenuto nell’art. 51, co. 2, d.lgs. n. 165/2001 alla l. n. 300/1970 «e successive modificazioni ed integrazioni» è sì mobile, ma il legislatore può limitare, con un successivo intervento normativa di pari rango, il rinvio medesimo sì da escludere l’automatica estensione di modifiche della disciplina richiamata. Ciò fa sì che il rinvio si trasformi da mobile a fisso, ossia che la norma richiamata resti cristallizzata nel testo antecedente alle modifiche apportate dalla riforma.
Anche se formalmente sussiste sul punto – applicabilità, o no, dell’art. 18 novellato al pubblico impiego contrattualizzato – un contrasto di giurisprudenza tra le due pronunce sopra richiamate, quella del 2016 è maggiormente convincente per il persuasivo apparato argomentativo che la correda. Il dato testuale dei co. 7 e 8 dell’art. 1 l. n. 92/2012 appare inequivocabile nell’escludere che il legislatore del 2012 abbia voluto estendere subito le nuove norme dell’art. 18 anche al pubblico impiego contrattualizzato, così derogando all’art. 51, co. 1 e 2, d.lgs. n. 165/2001 che – come già rilevato – prevede un rinvio mobile sia in generale per la normativa privatistica del rapporto di lavoro privato sia in particolare per le norme dello Statuto dei lavoratori.
C’è però già in tali disposizioni una scelta di armonizzazione delle due discipline che sta a significare anche una valutazione di compatibilità del sistema di tutele differenziate del nuovo art. 18 con il lavoro pubblico contrattualizzato.
Il legislatore in sostanza ha riservato tale armonizzazione a regolamentazioni future, a ciò specificamente mirate, non necessariamente con atti di normazione primaria.
Nell’immediato però l’arresto giurisprudenziale del 2016, in commento, scava un solco tra le due discipline (per il lavoro privato e per quello pubblico) che ne accentua la differenziazione: da una parte un rapporto di lavoro, quello privato, connotato da una maggiore flessibilità in uscita, contenuta nel “nuovo” art. 18, per di più accentuata per i futuri rapporti instaurati con i contratti di lavoro a tutele crescenti (ai quali l’art. 18 non si applica) e dall’altra il rapporto di pubblico impiego che si giova ancora della massima garanzia della stabilità reale dell’art. 18 nel testo precedente la l. n. 92/2012.
L’elemento differenziale è dato soprattutto dal principio del buon andamento della pubblica amministrazione dell’art. 97, co. 2, Cost. Il pubblico dipendente – a differenza del dipendente privato – opera finalizzando la sua attività al buon andamento della pubblica amministrazione sicché, se egli è privato illegittimamente della sua posizione di lavoro, il principio espresso dal cit. parametro costituzionale richiede che egli possa e debba essere reintegrato nella sua posizione. Se invece il pubblico dipendente potesse essere estromesso anche con un atto illegittimo, fonte solo di una compensazione economica in termini di indennità spettante al dipendente illegittimamente licenziato, il principio del buon andamento della pubblica amministrazione andrebbe in sofferenza con conseguente dubbio non manifestamente infondato di illegittimità costituzionale di una tale disciplina che predicasse la immediata applicabilità del “nuovo” art. 18 anche al lavoro pubblico contrattualizzato.
Ciò però non significa che non sia possibile alcuna modulazione della tutela reale nel pubblico impiego contrattualizzato distinguendo, ad es., tra illegittimità sostanziali dell’estromissione del dipendente ed illegittimità formali legate al procedimento di intimazione del licenziamento. Ma è una scelta riservata al legislatore che da ultimo ha mostrato di non voler adottare, regolamentando il licenziamento disciplinare nel lavoro pubblico, con il d.lgs. 20.6.2016, n. 116.
Il d.lgs. n. 116/2016 ha apportato modifiche all’art. 55 quater d.lgs. n. 165/2001 in tema di responsabilità disciplinare dei dipendenti pubblici in attuazione della cd. riforma Madia (l. 7.8. 2015, n. 124, recante delega al Governo per il riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). In tale disposizione sono stati introdotti i co. 1-bis, 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3-quinquies che arricchiscono la regolamentazione del trattamento disciplinare da riservare ai dipendenti pubblici, dando rilievo al ruolo dei dirigenti quanto al controllo da esercitare sui singoli lavoratori.
Ma ciò che interessa in questa sede di commento della cit. pronuncia n. 11868/2016 è che il decreto è stato emesso successivamente a tale pronuncia, nella consapevolezza che questo era, al momento, l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità. Il legislatore delegato, quindi, legittimato dalla delega cit., sarebbe potuto intervenire introducendo quella modulazione delle tutele del “nuovo” art. 18, di cui si è detto, anche nel lavoro pubblico contrattualizzato.
Ciò non ha fatto – o non ha fatto per ora – confermando indirettamente la scelta dei co.7 e 8 dell’art. 1 l. n. 92/2012 di lasciare inalterata la più favorevole normativa di tutela costituita dall’art. 18 nel testo precedente tale ultima legge.
L’art. 1 d.lgs. n. 23/2015, nel contesto del cd. Jobs act9, ne definisce il campo di applicazione, con riguardo «ai lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore», così da escludere implicitamente i dipendenti pubblici privatizzati, atteso che si fa riferimento ad una categoria tipica dei lavoratori privati (quella dei quadri) che non trova riscontro fra quelli pubblici privatizzati, nonché per il mancato riferimento alla categoria dei dirigenti, che, nel lavoro pubblico, sono ricompresi nella tutela reintegratoria. Pertanto il regime dettato per i nuovi contratti di lavoro a tutele crescenti, ai quali non si applica l’art. 18, appare essere incompatibile con quanto previsto dal d.lgs. n. 165/2001 per i licenziamenti, nonché con i principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento (art. 97, co. 2, Cost.), tali da escludere una tutela sola risarcitoria nel caso di accertata ingiustificatezza del licenziamento. Infatti, sia per i licenziamenti disciplinari, che per quelli oggettivi e da eccedenza, il d.lgs. n. 165/2001 contiene una regolamentazione di legge diversa da quella del settore privato sotto il profilo sostanziale e formale/procedurale.
La cit. pronuncia (Cass. n. 11868/2016) ha poi ritenuto anche la immediata applicazione alle impugnative dei licenziamenti adottati dalle pubbliche amministrazioni del nuovo rito, in primo grado ed in sede di impugnazione, quale disciplinato della l. n. 92/2012 (art. 1, co. 47, ss.)10 nulla ostando né nelle previsioni di tale legge né nel corpo normativa di cui al d.lgs. 165/2001 ed anzi militando, per la generale applicazione ad ogni impugnativa di licenziamento ai sensi dell’art. 18, la espressa previsione dell’art. 1, co. 47, della l. n. 92/2012. Sicché sotto il profilo processuale, diversamente da quello sostanziale sopra esaminato, vi è equiparazione tra lavoro privato e lavoro pubblico quanto alle controversie aventi ad oggetto l’applicazione dell’art. 18 st. lav. – rispettivamente nella vigente formulazione ovvero in quella precedente – in caso di licenziamento disciplinare.
Note
1 Sia consentito richiamare Amoroso, G., Le tutele sostanziali e processuali del novellato art. 18 dello statuto dei lavoratori tra giurisprudenza di legittimità e Jobs act, in Riv. it. dir. lav., 2015, I, 327.
2 Del Punta, R., Il primo intervento della Cassazione sul nuovo (eppur già vecchio) art. 18, in Riv. it. dir. lav., 2015, II,
32.
3 Martelloni, F., Nuovo art. 18: la cassazione getta un ponte tra riforma Fornero e Jobs act, in Riv. it. dir. lav., 2015, II, 39. Cfr. in giurisprudenza Cass., 6.11.2014, n. 23669 e Cass., 10.8.2016, n. 16896.
4 Timellini ,C., Irretroattività dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori riformato dalla legge Fornero, in Argomenti dir. lav., 2015, 230.
5 Miscione, M., Quale art. 18 dello statuto dei lavoratori per il pubblico impiego, in www.quotidianogiuridico.it, 2015; Fiorillo, L., La tutela da licenziamento illegittimo nel lavoro pubblico contrattualizzato: la Cassazione applica il nuovo testo dell’art. 18 l. n. 300/1970, una parte (minoritaria) della giurisprudenza di merito dissente, in Dir. lav. merc., 2016, 1, 165.
6 Cfr. Cass. n. 23669/2014, e Cass. n. 16896/2016.
7 Cass., 19.10.2015, n. 21054.
8 Cfr. recentemente Cass., S.U., 15.3.2016, n. 5072.
9 V. Amoroso, G., Riforma dell’art. 18 st. lav.: prime applicazioni, in Libro dell’anno del Diritto 2014, Roma, 2014, 547.
10 V. Amoroso, G., Quadro d’insieme sul Jobs act, in Libro dell’anno del Diritto 2016, Roma, 2016, 307.