Art. 20 tra interpretazione negoziale ed elusione
Il contributo approfondisce l’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità sulla portata dell’art. 20 d.P.R. 26.4.1986, n. 131 in relazione alle ipotesi di collegamento negoziale e la novella del testo dell’art. 20 recata dalla l. 27.12.2017, n. 205, avendo particolare riguardo alla natura innovativa ovvero interpretativa delle modifiche.
L’esigenza di una riflessione ulteriore1 sul disposto dell’art. 20 d.P.R. 26.4.1986, n. 131 trova fondamento anzitutto nelle modifiche ad esso operate dall’art. 1, co. 87, l. 27.12.2017, n. 205 (l. di bilancio 2018) e rivolte, almeno nelle intenzioni del legislatore, a chiarire il criterio di individuazione della natura degli elementi e degli effetti giuridici derivanti dall’atto che devono essere presi in considerazione ai fini della registrazione. A ciò si aggiungano le importanti prese di posizione della giurisprudenza intervenute anche nel 2018, con riferimento sia all’interpretazione ed applicazione dell’art. 20 nella versione precedente alle modifiche di fine 2017, sia alla natura innovativa o interpretativa delle modifiche recate dalla citata l. n. 205/2017.
Conviene procedere alla distinta analisi dei profili di maggior rilievo sia dei più recenti arresti della giurisprudenza sia delle modifiche recate dall’art. 1, co. 87, l. n. 205/2017.
Prendendo le mosse dalla giurisprudenza di legittimità intervenuta nel corso del 2018 sul tema dell’art. 20 d.P.R. n. 131/1986, i giudici della Corte di cassazione, in continuità con l’orientamento largamente prevalente formatosi negli anni precedenti, hanno da un lato affermato che all’art. 20 è estranea una funzione antielusiva, trattandosi di norma che non dà rilevanza «all’eventuale disegno o intento elusivo delle parti e dei singoli motivi soggettivi»2 e, dall’altro lato, hanno precisato che l’art. 20 deve intendersi quale «regola interpretativa», che «impone una qualificazione oggettiva degli atti secondo la causa concreta dell’operazione negoziale complessiva», essendo l’interprete «chiamato a valutare quale fosse il risultato concreto perseguito dalle parti e individuare quali sia l’imposta di registro prevista per quel risultato»3. In questo senso, all’art. 20 d.P.R. n. 131/1986 deve riconoscersi la natura di «norma di “qualificazione” degli atti, che non si sovrappone all’autonomia privata dei contribuenti, ma si limita a definirne l’esercizio insieme agli altri canoni legali di ermeneutica negoziale fra i quali […] non può trascurarsi la comune intenzione delle parti prevista dall’art. 1362 c.c.»4. Aggiunge la Corte che «i criteri indicati dal d.P.R. n. 131/1986, art. 20 non si discostano da quelli generali in tema di interpretazione dei contratti che impongono una interpretazione oggettiva dell’atto alla luce della comune intenzione delle parti»5. È, quindi, «l’operazione economica complessivamente posta in essere che deve, ‘parlando da sola’, rivelare l’oggettiva, concreta e comune intenzione delle parti. In tal modo l’interpretazione aderente ai canoni legali ermeneutici restituisce […] l’operazione negoziale nella sua realtà, scongiurando il rischio di un’alterazione della volontà privata»6. Ad avviso dei giudici di Cassazione occorre annettere rilievo alla «causa concreta dell’operazione, in ossequio al principio costituzionale di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.»7 e di qui la necessità di procedere all’«accertamento della natura, entità, modalità e conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti» – accertamento rimesso, invero, al giudice di merito – quale «meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico complesso, che viene realizzato non attraverso un autonomo e nuovo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è concepito funzionalmente e teleologicamente, come collegato con gli altri, cosicchè le vicende che investono un contratto possono ripercuotersi sull’altro»8. Ecco, allora, la necessità di verificare, ad esempio, se «il conferimento di un immobile ipotecato ad una società, la quasi coincidenza del valore dell’immobile e dell’importo del mutuo, la pressoché contestuale stipulazione di un mutuo da parte del socio conferente e l’accollo di tale mutuo da parte della società conferitaria possano o meno portare a qualificare la complessiva operazione come una compravendita»9 o, ancora, se «il conferimento societario di un’azienda e la successiva cessione della conferente a terzi delle quote della società conferitaria […] [debbano essere] qualificati come cessione d’azienda ove l’interpretazione delle circostanze obiettive del caso concreto faccia emergere la causa unitaria di una cessione aziendale»10. L’illustrato orientamento della giurisprudenza di legittimità deve ritenersi ormai consolidato e costituisce l’ultima tappa di un processo evolutivo. Inizialmente i giudici di legittimità avevano assegnato all’art. 20 d.P.R. n. 131/1986 una funzione antielusiva11, salvo successivamente rivedere tale posizione – riferendo di una mera ispirazione a «finalità genericamente antielusive»12 – anche, se non soprattutto, nell’ottica di evitare l’applicabilità della disciplina sull’obbligatorietà del contraddittorio preventivo tra Fisco e contribuente prevista per le contestazioni fondate sulla clausola generale antielusiva di cui all’allora art. 37 bis d.P.R. 29.09.1973, n. 600, nonché, per quelle riferite ai tributi armonizzati, sulla scorta degli orientamenti maturati a livello di giurisprudenza europea13. Nonostante tali evoluzioni interpretative – rispondenti anche ai rilievi della dottrina sulla distanza tra la finalità sottesa all’art. 20 d.P.R. n. 131/1986 e quella delle previsioni con funzione antielusiva – si può individuare una linea comune nelle motivazioni delle pronunce nel corso del tempo: i giudici di legittimità hanno sempre concentrato l’attenzione sulla ricerca della causa concreta e del collegamento negoziale eventualmente posto in essere dalle parti tra una molteplicità di negozi giuridici. Ciò che invece muta è la giustificazione posta a fondamento di tale rilievo del collegamento negoziale: se nella giurisprudenza più risalente si assiste al richiamo di previsioni del d.P.R. n. 131/1986 diverse dall’art. 20 – è il caso, tipicamente, del disposto dell’art. 21 d.P.R. n. 131/1986 sul rilievo della pluralità di disposizioni contenute in un unico atto14 – nelle pronunce più recenti l’attenzione è rivolta alle norme civilistiche sull’interpretazione dei contratti e, più precisamente, a quelle tra esse che postulano la ricerca della comune intenzione delle parti. Il riferimento è, in particolare, all’art. 1362, co. 2, c.c. che nella determinazione della comune intenzione delle parti richiede all’interprete di tenere conto del loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto.
Come detto il secondo punto che merita approfondimento riguarda le modifiche all’art. 20 d.P.R. n. 131/1986 recate dall’art. 1, co. 87, l. n. 205/201715. Anzitutto, la novella ha sostituito il riferimento agli «atti presentati alla registrazione» con quello dell’«atto presentato alla registrazione», rendendo chiaro che l’Amministrazione finanziaria deve procedere alla registrazione avendo riguardo alla qualificazione del singolo atto e non di un complesso di atti, anche laddove presentati contestualmente alla registrazione e, in ipotesi, tra loro collegati. Tale voluntas legislatoris risulta rafforzata dalla seconda modifica: integrando la previgente formulazione dell’art. 20, si è precisato che all’applicazione dell’imposta di registro secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione deve procedersi «sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi». Come chiaramente desumibile dalla relazione illustrativa16 le modifiche in questione sono intese a superare l’illustrato orientamento della giurisprudenza di legittimità sulla portata dell’art. 20: l’Amministrazione finanziaria, dunque, non è più legittimata ad applicare l’imposta in base agli effetti economici dell’operazione desunti dal collegamento tra una molteplicità di atti. Ferma restando la possibilità per l’Amministrazione di assoggettare a tassazione l’atto discostandosi dal nomen iuris e dalla forma apparente, gli unici effetti rilevanti sono quelli giuridici dello specifico atto da registrare, a prescindere dagli effetti economici che possano derivare dall’operazione nella quale l’atto in ipotesi si inserisca. In dottrina si è rilevato che l’intervento del legislatore, anziché chiarire quanto era (rectius, avrebbe dovuto essere, tenuto conto del riferito orientamento della giurisprudenza) già chiaro in merito alla rilevanza dei soli effetti giuridici ai fini dell’assoggettamento dell’atto ad imposta di registro, appare dotato di carattere tutt’altro che generale, operando solo su specifici problemi17. In particolare, la novella esclude in radice la rilevanza degli elementi extratestuali e, per tale via, introduce quella deroga ai canoni civilistici di interpretazione dei contratti – precisamente, alla rilevanza ex art. 1362 c.c. dei comportamenti delle parti anteriori, coevi e successivi alla conclusione del contratto, su cui si fonda, come detto, anche la rilevanza del collegamento negoziale ai fini del tributo di registro – cui a nostro avviso si sarebbe potuti giungere già sulla scorta di una corretta ricostruzione della portata del previgente art. 20 d.P.R. n. 131/1986. Con la conseguenza che la novella rischia di non incidere su quei casi in cui l’Amministrazione finanziaria proceda ad una riqualificazione18 fondata sui risultati economici conseguiti avendo riguardo ad un singolo atto e, dunque, al di fuori di qualsivoglia collegamento negoziale: il riferimento è, tipicamente, al caso di cessione totalitaria di partecipazioni, che in tempi recenti è stata sovente riqualificata alla stregua di una cessione di azienda19. Per scongiurare tali operazioni di riqualificazione la novella avrebbe dovuto ribadire che l’art. 20 è norma che non consente di addivenire alla sostituzione di fattispecie giuridiche sulla scorta della valutazione economica dell’operazione20; sostituzione che nel nostro ordinamento è bensì permessa, ma solo al ricorrere di tutti i requisiti previsti per l’applicazione della disciplina antielusiva. A quest’ultimo proposito, è degna di nota la conferma recata dallo stesso art. 1, co. 87, l. n. 205/2017 sull’applicabilità delle previsioni dell’art. 10 bis l. n. 212/2000 nel contesto dell’imposta di registro; applicabilità su cui la dottrina aveva avanzato dubbi alla luce della ricostruzione in chiave sostanzialmente antielusiva dell’art. 20 affermata dalla giurisprudenza di legittimità21.
Anche in riferimento ai profili problematici conviene procedere alla distinta illustrazione di quelli relativi agli orientamenti della giurisprudenza sulla portata dall’art. 20 rispetto a quelli afferenti alla novella della l. n. 205/2017.
Come si è rilevato, l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità si fonda sulla qualificazione dell’art. 20 d.P.R. n. 131/1986 quale regola di interpretazione degli atti sottoposti alla registrazione sulla scorta della quale annettere rilievo alla comune intenzione delle parti. Ed è proprio per tale via che i giudici fanno emergere la rilevanza del collegamento negoziale tra una pluralità di atti voluto e realizzato dalle parti contraenti. L’istituto del collegamento negoziale ha formato oggetto di approfondimento soprattutto da parte della dottrina e della giurisprudenza civilistica, atteso che fino a non molto tempo fa non vi era traccia del collegamento tra contratti nel quadro codicistico e legislativo.
È con gli anni Novanta e con l’ingresso nel nostro ordinamento delle norme, di derivazione europea, in materia di contratti con i consumatori che si è provveduto ad inserire una previsione esplicita dei contratti collegati, dapprima con riferimento alle clausole vessatorie – con la verifica della vessatorietà delle singole clausole alla luce anche dei contratti collegati a quello ove la clausola è inserita22 – e, in un secondo momento, con riferimento alla disciplina della multiproprietà23, rispetto alla quale il legislatore ha riconosciuto l’esistenza del collegamento negoziale tra il contratto di multiproprietà e il contratto di mutuo o di finanziamento, qualora questo sia diretto all’acquisto di un’unità immobiliare a tempo parziale24. La dottrina e la giurisprudenza civilistiche hanno individuato gli elementi costitutivi del collegamento negoziale25. Essi si indentificano in un elemento di carattere oggettivo, che attiene alla funzione che i singoli negozi esplicano in concreto e che consiste un nesso economico o teleologico tra essi, ed un elemento di tipo soggettivo, che consiste nell’intenzione di coordinare i vari negozi verso uno scopo comune. Ed è sempre al contributo della dottrina e della giurisprudenza che si deve la distinzione tra le ipotesi in cui la relazione tra più contratti sia istituita direttamente dalla legge – parlandosi in tali casi di collegamento necessario o tipico – e i casi in cui il collegamento sia espressione dell’autonomia delle parti; casi, questi, in cui si può discorrere di collegamento volontario o atipico. Il collegamento negoziale in senso tecnico è solo quest’ultimo, ove si ravvisa un nesso tra i contratti di carattere funzionale e volontario: funzionale poiché la relazione reciproca tra i negozi non ne influenza il momento dell’origine, quanto quello del funzionamento e dello svolgimento del rapporto; volontario in quanto il nesso trova fondamento nella volontà delle parti e non è previsto dalla disciplina legale dei contratti26. Il principale effetto del collegamento negoziale può individuarsi nel principio simul stabunt, simul cadent, sicché le vicende di un contratto – è il caso della risoluzione, della nullità, dell’annullamento o del recesso – si riflettono anche sull’altro contratto ad esso collegato27. Ebbene, l’accertamento dell’esistenza del collegamento negoziale costituisce momento dell’interpretazione del contratto, dovendo l’interprete verificare l’eventuale collegamento tramite l’individuazione della reale volontà dei contraenti che, se pure non espressamente manifestata, si sia comunque oggettivata nei rapporti tra loro intercorsi; verifica effettuata annettendo rilievo preminente alla direzione dei vari atti rispetto al conseguimento di un risultato unitario, di uno stesso fine e, dunque, alla realizzazione di un assetto di interessi unitario28. Il collegamento negoziale viene in rilievo, infatti, alla stregua di un comportamento delle parti, cui assegna importanza l’art. 1362, co. 2, c.c.: in particolare, ai fini dell’interpretazione di un contratto gli atti negoziali intercorsi tra le stesse parti costituiscono comportamento precedente il cui contenuto deve essere esaminato al fine di comprendere se in essi siano enunciate finalità la cui attuazione è rimessa ad atti successivi29. Un’ulteriore conferma della connessione esistente tra verifica dell’esistenza del collegamento negoziale e interpretazione del contratto si ricava anche dalle previsioni in tema di clausole vessatorie: la valutazione di vessatorietà della clausola alla luce dei contratti collegati a quello che contiene la clausola esprime anzitutto un canone ermeneutico globale, cui l’interprete deve attenersi in sede di verifica del significativo squilibrio dell’operazione complessivamente considerata30. Appurato, dunque, che l’accertamento dell’esistenza del collegamento negoziale deve farsi rientrare nella fase di interpretazione del contratto, occorre ora evidenziare un connotato dello scopo che accomuna i contratti tra i quali si ritiene esistente il collegamento. Come rilevato tanto dalla dottrina quanto dalla giurisprudenza civilistiche si tratta di un’unità di interesse economico31: allorché, infatti, lo scopo economico unitario, a causa della sua complessità, non possa essere perseguito mediante un unico contratto, le parti possono far ricorso ad una molteplicità di schemi negoziali, che risultano tra loro avvinti in vista della realizzazione dell’operazione economica32. Le perplessità si pongono allorché si intenda trasporre tel quel tale approccio nel contesto dell’imposta di registro. Oltre alla cennata cautela espressa dalla giurisprudenza civilistica sulla rilevanza dei comportamenti delle parti nel caso di atti per cui si richieda la forma scritta ad substantiam, occorre ricordare come già nella disciplina previgente alla riforma tributaria degli anni Settanta – il riferimento è, precisamente, all’art. 8 R.d. 30.12.1923, n. 3269 – fosse prevista una disposizione di tenore simile all’art. 20, secondo cui «le tasse sono applicate secondo l’intrinseca natura e gli effetti degli atti o dei trasferimenti, se anche non vi corrisponda il titolo apparente». Tale previsione aveva formato oggetto di diversa interpretazione in dottrina: in particolare, lo studio di Jarach sull’imposta di registro33 aveva originato un ampio dibattito sul problema se l’interpretazione degli atti sottoposti all’imposta di registro dovesse avvenire secondo principi e concetti giuridici ovvero economici34. Prevalse nella dottrina e nella giurisprudenza la prima tesi; tesi poi recepita anche dal legislatore con la nuova formulazione della norma recata dall’allora art. 8 in sede di attuazione della riforma tributaria degli anni Settanta: il riferimento è, in particolare, all’art. 19 d.P.R. 26.10.1972, n. 634 – poi ripreso dall’art. 20 d.P.R. n. 131/1986 nella versione previgente alle modifiche della legge di bilancio 2018 – con cui si disponeva che «le imposte sono applicate secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente». Se da un lato, dunque, la disciplina in discorso impone all’interprete di privilegiare l’assetto di interessi effettivamente realizzato dalle parti a prescindere dalla denominazione da esse utilizzata e dalla veste formale scelta, dall’altro lato essa pone taluni limiti all’estensione dei canoni ermeneutici di fonte civilistica nel contesto del tributo che interessa. Tali limiti sono costituiti dal principio di tipicità degli atti che governa il tributo di registro e dalla rilevanza degli effetti giuridici dell’atto35: come si è autorevolmente rilevato in dottrina36, il legislatore del registro «assoggetta a differente imposizione il gestum, classificandolo in base al modello negoziale di riferimento e/o alla natura dell’oggetto dell’atto dispositivo e/o l’effetto che ne scaturisce», sicché ogni qual volta si disconosca il tipo negoziale scelto dalle parti e si equipari una fattispecie ad un’altra per sussumerla sotto una voce della tariffa più onerosa – in quanto ritenuta più coerente con la causa concreta e, quindi, con il risultato raggiunto dalle parti – si perviene ad un’inammissibile divaricazione tra forma giuridica e sostanza economica. È in questa prospettiva che deve apprezzarsi il collegamento negoziale all’interno del tributo del registro, nel cui contesto, peraltro, sembra predicarsi l’esistenza di un collegamento negoziale anche per sequenze di atti cui non sembrano attribuibili gli effetti tipici del collegamento sotto il profilo civilistico37. Ebbene, pur assistendosi ad una diversità di opinioni in dottrina tra coloro che negano recisamente qualsivoglia rilievo del collegamento negoziale38 e coloro che ne ammettono la rilevanza ai fini dell’apprezzamento dell’effetto giuridico complessivamente realizzato mediante lo schema plurifase eventualmente adottato39, l’unanime dottrina concorda nel ritenere che il limite degli effetti giuridici stabilito dall’art. 20 non consente di indagare sulle finalità economiche che le parti intendono perseguire mediante un determinato atto, qualora tali finalità non trovino esplicitazione nella forma giuridica scelta dalle stesse parti40. Nel caso paradigmatico del conferimento d’azienda seguito dalla cessione della partecipazione gli effetti giuridici prodotti dalla sequenza di atti sono ben diversi da quelli propri della cessione d’azienda: se in quest’ultima ipotesi si assiste al trasferimento dell’azienda in cambio di un corrispettivo, nella prima sequenza di atti il terzo acquirente finale riceve, a fronte del trasferimento del corrispettivo, non già un’azienda, ma la partecipazione in una società41. Appaiono chiare, dunque, le perplessità che suscita la ricordata giurisprudenza di legittimità laddove ritiene di trasporre nel contesto dell’imposta di registro approdi dell’interpretazione civilistica dei contratti fondati sull’unità dell’interesse economico perseguito, in tal modo non solo violando i limiti a tale trasposizione posti dal legislatore del tributo di registro, ma anche annettendo rilievo agli interessi economici perseguiti al di fuori delle modalità accertative a ciò deputate, vale a dire l’accertamento antielusivo.
Sia pur con le perplessità sopra illustrate sul merito dell’intervento, non v’è dubbio che se si accoglie la tesi unanimemente diffusa in dottrina e condivisa da un’isolata giurisprudenza di legittimità42 sulla portata dell’art. 20 d.P.R. n. 131/1986 quale norma che annette rilievo ai soli effetti giuridici prodotti dall’atto sottoposto alla registrazione e che, viceversa, non consente di applicare l’imposta avendo riguardo ai risultati economici raggiunti dall’operazione complessivamente considerata, alla novella recata dalla l. n. 205/2017 dovrebbe riconoscersi funzione interpretativa e di mera conferma di una lettura dell’art. 20 cui si sarebbe potuti (rectius, dovuti) giungere già prima delle modifiche. In questo senso si esprimono anche la relazione illustrativa43 e tecnica44 di accompagnamento al disegno di l. di bilancio 2018. A favore della natura innovativa e, quindi, non retroattiva della novella si è schierata, invece, la giurisprudenza di legittimità45. Richiamando gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale e della Corte di Strasburgo sui limiti all’introduzione di norme aventi portata retroattiva nei soli casi in cui si intenda fornire un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore ovvero si voglia superare un dibattito giurisprudenziale irrisolto ovvero, ancora, qualora ricorrano adeguati motivi di interesse generale o ragioni imperative di interesse generale, la Corte di cassazione ha escluso la ricorrenza di ciascuna di queste ipotesi, facendo leva ora sul carattere di novità dei limiti all’attività di riqualificazione giuridica della fattispecie introdotti dalla nuova disciplina – ciò che esclude, ad avviso dei giudici, che «la nuova versione dell’art. 20 porti un’interpretazione del vecchio testo che fosse in qualche modo desumibile da quest’ultimo»46 – ora sul carattere consolidato dell’orientamento giurisprudenziale sulla portata del testo previgente dell’art. 20, ciò che esclude la ricorrenza di un dibattito giurisprudenziale irrisolto. Se a ciò si aggiunge che i passaggi della relazione di accompagnamento a favore della natura interpretativa della novella sono ampiamente contraddetti dalla «rivisitazione strutturale profonda ed antitetica della fattispecie impositiva pregressa»47 si comprende come i giudici di legittimità siano giunti a ritenere le modifiche de quibus come aventi natura innovativa e, dunque, inapplicabili agli atti antecedenti al 1° gennaio 2018, vale a dire alla data di entrata in vigore della l. n. 205/2017. Entrambe le posizioni presentano punti a proprio favore. Nel senso della natura interpretativa della novella depone certamente il chiaro intento del legislatore, espresso nella relazione illustrativa, di dipanare un dubbio interpretativo che vedeva contrapposta l’unanime dottrina e talune, invero isolate, posizioni della giurisprudenza di legittimità all’orientamento largamente maggioritario della stessa Corte di cassazione. In questa prospettiva, non sembra condivisibile l’argomento della stessa Corte ove nega in radice l’esistenza di un dibattito giurisprudenziale irrisolto, in tal modo obliterando (oltre alle voci della dottrina) tale giurisprudenza contraria all’orientamento maggioritario48. A favore della natura innovativa non può trascurarsi l’assenza di autoqualificazione della disposizione come interpretativa, in violazione della previsione recata dall’art. 1, co. 2, l. n. 212/2000, sebbene, come detto, le relazioni di accompagnamento e tecnica rendessero chiaro tale intento. Più complessa appare la valutazione relativa al merito dell’intervento. Se da un lato può ritenersi che obiettivo del legislatore della novella fosse quello di ribadire la centralità degli effetti giuridici nella qualificazione dell’atto ai fini dell’imposta di registro e, dunque, di annettere al testo dell’art. 20 uno tra i significati ad esso attribuibili anche prima delle modifiche49, dall’altro lato occorre rilevare che l’intervento del legislatore non si è situato sul piano della natura degli effetti rilevanti ai fini di detta qualificazione, quanto sul diverso piano delle modalità con cui tali effetti debbono ricercarsi, escludendo in toto la rilevanza degli elementi extratestuali. In particolare, il nesso tra interpretazione civilistica del negozio e sua qualificazione ai fini dell’imposta di registro viene spezzato operando non già a valle mediante la rilevanza dei soli effetti giuridici ai fini della qualificazione nel contesto del tributo di registro – e la conseguente irrilevanza dell’interpretazione civilistica fondata sui risultati economici dell’operazione complessiva – bensì escludendo a monte e tout court la rilevanza ai fini della qualificazione tributaria di qualsivoglia elemento extratestuale, elemento invece rilevante ai fini della ricerca della comune intenzione delle parti ai fini civilistici50. È proprio in ragione di questo piano dell’intervento legislativo che autorevole dottrina ha avuto modo di concludere nel senso del carattere innovativo della disciplina, evidenziando l’incompatibilità tra i contenuti della novella e quelli del previgente testo dell’art. 2051. Non sembra agevole concludere in modo netto per la natura interpretativa ovvero innovativa delle modifiche recate dall’art. 1, co. 87, l. n. 205/2017. L’unico dato che, purtroppo, può evidenziarsi è che la diversità di opinioni sulla portata delle modifiche darà luogo, con tutta probabilità, ad un contenzioso anche su questo profilo; contenzioso che con un intervento legislativo più attento e meditato si sarebbe potuto evitare. In considerazione di ciò, nonché delle perplessità sul merito della novella non sembra azzardato affermare che l’intervento ben avrebbe potuto assumere la forma dell’abrogazione dell’art. 20: come si è evidenziato52, in tal caso non vi sarebbe stato alcun pregiudizio per l’Amministrazione finanziaria che ben avrebbe potuto continuare a qualificare gli atti sottoposti a registrazione diversamente da quanto disposto dalle parti annettendo rilievo agli effetti giuridici degli atti sulla base delle ordinarie regole di interpretazione civilistiche e a colpire le concatenazioni anomale di atti finalizzate ad eludere l’imposta di registro e a conseguire vantaggi tributari indebiti sulla scorta della disciplina antielusiva, in base agli effetti economici conseguiti dalle parti con l’operazione complessivamente considerata.
1 A soli due anni di distanza dall’approfondimento di Mastroiacovo, V., Abuso del diritto e interpretazione degli atti, in Libro dell’anno del diritto 2017, Roma, 2017, 407412.
2 V. Cass., 23.2.2018, n. 4407.
3 V. Cass., 28.2.2018, n. 4589.
4 V. Cass. n. 4589/2018.
5 V. Cass. n. 4589/2018.
6 V. Cass. n. 4589/2018.
7 V. Cass. n. 4589/2018.
8 V. Cass., 28.3.2018, n. 7637.
9 V. Cass. n. 4589/2018.
10 V. Cass., 24.5.2018, n. 12909.
11 V. Cass., 23.11.2001, n. 14900 ove si riferisce di «funzione antielusiva sottesa alla disposizione in esame».
12 V. Cass., 19.6.2013, n. 15319.
13 Come rileva Tabet, G., L’articolo 20 della Legge di Registro e la dottrina della metempsicosi, in GT – Riv. giur. trib., 2016, 588 ss.
14 Si veda Cass. n. 15319/2013, ove ampi richiami alla giurisprudenza pregressa.
15 Su tali modifiche Escalar, G., Il nuovo art. 20 del T.U.R. e l’indebita riqualificazione delle cessioni di partecipazioni in cessioni di azienda, in Corr. trib., 2018, 731 ss.
16 La relazione illustrativa all’art. 13 del d.d.l. n. 2960/2017 precisa che la norma «è volta […] a definire la portata della previsione di cui all’art. 20 del T.U.R., al fine di stabilire che detta disposizione deve essere applicata per individuare la tassazione da riservare al singolo atto presentato per la registrazione, prescindendo da elementi interpretativi esterni all’atto stesso (ad esempio, i comportamenti assunti dalle parti), nonché dalle disposizioni contenute in altri negozi giuridici “collegati” con quello da registrare. Non rilevano, inoltre, per la corretta tassazione dell’atto, gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi in cui gli stessi potranno condurre ad una assimilazione di fattispecie contrattuali giuridicamente distinte (non potrà, ad esempio, essere assimilata ad una cessione di azienda la cessione totalitaria di quote)».
17 Sul tema si veda Carinci, A., L’efficacia temporale del nuovo art. 20 T.U.R., in Il fisco, 2018, 848 ss.
18 Il termine “riqualificazione” è stato utilizzato dalla giurisprudenza di legittimità proprio per riferirsi al giudizio di non conformità con i principi in materia di imposta di registro, con conseguente non opponibilità o diversa qualificazione degli atti e dei contratti. Avverte, tuttavia, Fedele, A., Assetti negoziali e “forme d’impresa” tra opponibilità simulazione e riqualificazione, in Riv. dir. trib., 2010, 1093 ss., che si tratta di terminologia non corretta, atteso che presuppone il superamento di una precedente qualificazione, operata, evidentemente, dai privati. Ma questi, nell’esercizio della loro autonomia, dispongono e non qualificano, essendo sprovvisti del potere di sussumere una fattispecie concreta entro i confini di una fattispecie astratta con effetti vincolanti, almeno parzialmente o limitatamente ad alcuni soggetti. Tale potere di “qualificazione” con effetti vincolanti spetta, in materia tributaria, solo all’Amministrazione finanziaria ed ai giudici.
19 V. Cass., 29.4.2016, n. 8542, che richiama anche la precedente Cass., ord., 2.12.2015, n. 24594. Si tratta di posizione che suscita notevoli perplessità, tenuto conto che la cessione della partecipazione ha l’effetto di trasferire i diritti propri del socio e non anche i diritti afferenti al possesso dei beni che compongono il patrimonio della partecipata; diritti di cui resta titolare la società le cui azioni o quote sono cedute. A ciò si aggiunga che la titolarità delle azioni o quote non consente l’esercizio da parte del socio delle facoltà riferite al diritto di proprietà dell’azienda (si pensi alla facoltà di concederla in affitto o di ipotecare gli immobili in essa compresi), né permette di imputare al socio gli oneri connessi alla proprietà del bene (si pensi alle imposte sul possesso di determinati beni aziendali). Anche la garanzia di cui all’art. 2560, co. 2, c.c. – secondo cui l’acquirente risponde dei debiti relativi all’azienda ceduta – opera nei confronti dell’acquirente dell’azienda e non anche nei confronti del socio che ha acquistato la partecipazione nella società titolare dell’azienda. Ancora, si è rilevata la contrarietà dell’indirizzo giurisprudenziale alla dir. 2008/7/CE sulla tassazione della raccolta di capitali che, all’art. 5, co. 2, esclude l’applicabilità di forme di tassazione indiretta su operazioni aventi ad oggetto partecipazioni. In relazione all’incidenza delle modifiche recate dalla l. n. 205/2017 su tale specifica ipotesi di riqualificazione si veda Della Valle, E., Il nuovo art. 20 del T.U.R. e l’“isolata” cessione totalitaria di partecipazioni: molto rumore per nulla, in Il fisco, 2015, 517 ss.
20 Si tratta dell’iter logico-giuridico tipicamente sotteso all’accertamento antielusivo, come precisa Tabet, G., L’applicazione dell’art. 20 T.U. Registro come norma di interpretazione e/o antielusiva, in Rass. trib., 2016, 913 ss. che richiama La Rosa, S., L’accertamento tributario antielusivo: profili procedimentali e processuali, in Riv. dir. trib., 2014, 499 ss.
21 In particolare, con la novella recata dall’art. 1, co. 87, l. n. 205/2017 si introduce nell’incipit dell’art. 53 bis d.P.R. n. 131/1986 la specificazione secondo cui resta fermo «quanto previsto dall’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212». Per i dubbi sull’applicabilità della disciplina dell’abuso nel contesto dell’imposta di registro prima della novella si veda Mastroiacovo, V., Abuso del diritto o elusione nell’imposta di registro e negli altri tributi indiretti, in Della Valle, E.Ficari, V.Marini, G., a cura di, Abuso del diritto ed elusione fiscale, Torino, 2016, 244255.
22 Il riferimento è all’art. 1469 ter, co. 1, c.c.; ora art. 34, co. 1, d.lgs. 6.9.2005, n. 206 (cd. “codice del consumo”).
23 Si veda il d.lgs. 9.11.1998, n. 427; ora artt. 6981 bis, d.lgs. n. 206/2005.
24 Con la conseguenza che ove l’acquirente eserciti il diritto di recesso dal contratto di multiproprietà si risolve ipso iure anche il contratto di mutuo o finanziamento (art. 8 d.lgs. n. 427/1998; ora art. 77 d.lgs. n. 206/2005).
25 Si vedano, tra gli altri, Barba, V., La connessione tra i negozi e il collegamento negoziale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, 791 ss. e 1167 ss.; Ferrando, G., I contratti collegati: principi della tradizione e tendenze innovative, in Contr. impr., 2000, 127141 ove anche ampie citazioni di giurisprudenza; Messineo, F., Contratto collegato, in Enc. dir., X, Milano, 1962, 4049.
26 Sul punto Ferrando, G., op. cit., 129-130.
27 Sul punto Ferrando, G., op. cit., 132-137.
28 Sul punto Bigliazzi Geri, L., L’interpretazione del contratto. Artt. 1362-1371, in Comm. c.c. Schlesinger, Milano, 1991, 6265.
29 Sul punto Bigliazzi Geri, L., op. cit., 145150. Peraltro, i comportamenti delle parti ex art. 1362, co. 2, c.c. – e, dunque, il rilievo per tale via del collegamento negoziale – devono essere apprezzati cum grano salis nel caso di altri per i quali è prescritta la forma scritta ad substantiam: il consolidato orientamento della giurisprudenza afferma che in tal caso i comportamenti non possono evidenziare una formazione del consenso al di fuori dell’atto scritto (Cass., 4.6.2002, n. 8080; Cass., 5.2.2008, n. 2759; Cass., 27.4.2016, n. 8396; Cass., 9.5.2018, n. 11190).
30 In tal senso Ferrando, G., op. cit., 140141 che richiama Lener, G., La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, in Foro it., 1996, V, c. 145. Sulla connessione tra interpretazione del contratto ed accertamento dell’esistenza del collegamento negoziale si veda anche Ferrando, G., Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, 233 ss.
31 In questo senso Messineo, F., op. cit., 4142. Si veda anche Clarizia, R., Collegamento negoziale e vicende della proprietà. Due profili di locazione finanziaria, Rimini, 1982, 25 ss. che sottolinea come il fine ulteriore perseguito dalle parti e trascendente la funzione dei singoli negozi sia privo di rilevanza giuridica ed attenga al profilo squisitamente economico. In ogni caso, evidenzia il carattere economico dello scopo perseguito tutta la dottrina civilistica richiamata nelle note precedenti a proposito del collegamento negoziale. Quanto alla giurisprudenza si vedano Cass., 28.6.2001, n. 8844; Cass., 18.7.2003, n. 11240; Cass., 4.8.2000, n. 10264 che riferiscono di una finalità complessiva costituita dall’assetto economico voluto dalle parti.
32 Sull’operazione economica quale categoria concettuale ed ordinante nella teoria del contratto e, in particolare, nel contesto del collegamento negoziale si veda Gabrielli, E., L’operazione economica nella teoria del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 905-939.
33 Jarach, D., Principii per l’applicazione delle tasse di registro, Padova, 1937.
34 Su questo dibattito si veda, per tutti, Melis, G., Sull’“interpretazione antielusiva” in Benvenuto Griziotti e sul rapporto con la scuola tedesca del primo dopoguerra: alcune riflessioni, in Riv. dir. trib., 2008, 413 ss.
35 Individua nella registrazione un ulteriore limite all’interpretazione degli atti nel contesto dell’imposta di registro Canè, D., Brevi note sullo stato della giurisprudenza intorno all’art. 20 del T.U. registro, in Rass. trib., 2016, 649 ss. e per tale via giunge a ritenere che l’art. 20 deroghi all’art. 1362 c.c. e non consenta di valutare anche il comportamento complessivo delle parti «per la ragione pratica che non si può chiedere all’Ufficio del registro di investigare l’effettiva volontà delle parti». Evidenzia, tuttavia, Melis, G., L’interpretazione nel diritto tributario, Padova 2003, 296297 che tale comportamento successivo delle parti ben può avere rilevanza ai fini della definizione della portata dell’atto da registrare e che il carattere eccezionale della sua rilevanza consegue non tanto all’art. 20 in sé, quanto essenzialmente alla struttura del tributo – che non annette rilievo ad elementi esterni all’atto – e alle modalità di svolgimento dell’eventuale contenzioso, ove le limitazioni probatorie sarebbero incompatibili con la dimostrazione di una realtà diversa da quella documentale.
36 Si veda Tabet, G., op. cit., 913 ss.
37 Il riferimento è, ad esempio, al conferimento d’azienda seguito dalla cessione della partecipazione: sembra dubbio che per tali atti possa predicarsi l’effetto di simul stabunt, simul cadent proprio dei negozi collegati dal punto di vista civilistico.
38 Si vedano, in particolare, Marongiu, G., L’abuso del diritto nella legge di registro tra principi veri e principi asseriti, in Dir. prat. trib., 2013, 361 ss.; Corasaniti, G., L’interpretazione degli atti e l’elusione fiscale nel sistema dell’imposta di registro, in Dir. prat. trib., 2012, 963 ss.; Mastroiacovo, V., La nuova disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale nella prospettiva dell’imposta di registro, in Riv. not., 2016, 31 ss.
39 Si veda Zizzo, G., Imposta di registro e atti collegati, nt. a Cass., 5.6.2013, n. 14150, in Rass. trib., 2013, 874 ss. ove precisa che «se lo schema plurifase adottato dalle parti produce, valutato unitariamente, il trasferimento oneroso della proprietà di beni immobili, l’imposta deve essere applicata sul trasferimento oneroso della proprietà degli immobili, ossia sull’effetto giuridico complessivamente realizzato, trattandosi di uno degli effetti giuridici indicati nella Tariffa».
40 Si veda Tabet, G., op. cit., 913 ss.
41 Come ben chiarisce Zizzo, G., op. cit., 874 ss. Per l’esposizione dei diversi argomenti di critica alla riqualificazione della sequenza conferimento d’azienda-cessione della partecipazione in cessione d’azienda si veda, per tutti, Carinci, A., Dubbi di compatibilità comunitaria sulla riqualificazione del conferimento d’azienda con cessione di partecipazioni, in Il fisco, 2017, 1943 ss.
42 Il riferimento è a Cass., 27.1.2017, n. 2054.
43 Nella relazione illustrativa al d.d.l. n. 2960/2017 si afferma che «la modifica è volta a dirimere alcuni dubbi interpretativi sorti in merito alla portata applicativa dell’art. 20 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131».
44 Nella relazione tecnica al d.d.l. n. 2960/2017 si precisa che «trattandosi di norma di natura chiarificatrice, dalla stessa non derivano effetti in termini di gettito».
45 Si veda Cass. n. 4407/2018.
46 Così Cass. n. 4407/2018. Va rilevato che il carattere interpretativo della novella era già stato escluso dalla precedente Cass., 26.1.2018, n. 2007 sulla scorta di argomenti similari, anche se svolti in modo più conciso.
47 Così Cass. n. 4407/2018.
48 Sottolinea l’esistenza del contrasto sul piano giurisprudenziale anche Fransoni, G., La Cassazione e l’art. 20 del Testo Unico dell’Imposta di Registro: fra contorsioni argomentative, moniti e scelte di campo, in Riv. dir. trib., suppl. online, 30.1.2018.
49 In questo senso Carinci, A., L’efficacia, cit., 848 ss.
50 Sicché – mette in luce Carinci, A., op. cit., 848 ss. – a seguito della novella si rischia di ricondurre nell’ambito dell’elusione (come erroneamente fa la relazione illustrativa al d.d.l. n. 2960/2017) un chiaro fenomeno evasivo quale quello della cessione cd. “spezzatino” di azienda, ove i singoli atti di trasferimento dei beni sono voluti e l’effetto giuridico voluto dalle parti – vale a dire la cessione dell’intero complesso aziendale – può essere ricostruito solo annettendo rilievo ad un elemento extratestuale, quale è il comportamento delle parti successivo alla prima cessione.
51 Si veda Tabet, G., Il collegamento negoziale tra riqualificazione ed abuso, nt. a Cass., n. 2007/2018, in Rass. trib., 2018, 227 e ss. secondo cui il nuovo enunciato «operando direttamente sulla disposizione e non sulla norma […] si sostituisce alla precedente, abrogandola e non già integrandola per imporre un dato significato» e, inoltre, «dalla sovrapposizione di formule emerge un’incompatibilità, un contrasto di contenuti normativi: il che conduce ad escludere che essi siano soltanto enunciati in modo più chiaro ed incisivo».
52 Si veda Melis, G., Patrimonio sociale, per la cessione tasse da rivedere, in Il Sole 24 Ore, 17.9.2017, 17.