BAROCCA, ARTE
. Il termine mnemonico artificiale di baroco, adoperato dagli Scolastici per designare il quarto modo della seconda figura del sillogismo, assunse, per reazione alla pedanteria scolastica, un significato spregiativo, cosicché la parola divenne nel linguaggio comune sinonimo di ragionamento stravagante o capzioso. Così, dall'indicare una forma logica del ragionare, quella parola giunse a significare la negazione stessa della logica e della misura. Fu quindi applicata a designare la letteratura gonfia, ricca di iperboli, smaniosa di stupire, di cui furono rappresentanti tipici l'Achillini, il Marino, l'Artale. Degli aspetti letterarî del fenomeno si parlerà, oltre che sotto i nomi dei rispettivi autori, alle v. secentismo e italia: Letteratura.
Quanto alla musica, il Seicento offre due grandi fenomeni nuovi, entrambi manifestatisi in Italia prima che altrove: il melodramma e la musica strumentale (su strumenti di nuova invenzione, restati poi nell'uso moderno, come quelli ad arco a quattro corde). Ma in tali novità è da vedere, soprattutto, il coronamento ideale degli studî e delle aspirazioni del Rinascimento. Un vero e proprio barocchismo si avverte però nella scuola romana, sia polifonica (Benevoli), sia d'oratorio (Carissimi), la prima come ultima trasformazione dello stile palestriniano - trapasso analogo a quello avvenuto nell'architettura - l'oratorio sotto l'influenza dell'opera. Barocca può anche chiamarsi la scuola bolognese di musica sacra. Maggiore rispondenza agli spiriti del barocco si nota in Francia, ove l'opera ebbe più dello spettacoloso (pittorico) che non del drammatico (musicale), valendosi anche del décor scenografico e della coreografia. Ma in Germania veramente il barocco ebbe la sua più alta espressione musicale, per ricchezza di forme e potenza di membrature nell'arte di Giovanni Sebastiano Bach. Rimandiamo per la storia musicale di questo periodo, alle voci musica; italia: Musica; francia: Musica, ecc.
Ma, anche più frequentemente che di letteratura e di musica si parla d'arte barocca; e dell'arte, e poi in particolare dell'architettura, intendiamo toccare in quest'articolo.
L'epiteto di barocca, affibbiato all'arte di tutto un periodo che ha il suo pieno sviluppo nel Seicento e le sue propaggini in gran parte del Settecento, fu usato a titolo di spregio dalla critica accademica del primo Ottocento. Essa, in quanto reagiva violentemente contro le leziosaggini, le stravaganze, le teatralità, le vacuità del barocco degenerato nel rococò e caduto troppo spesso nella maniera, da che s'era esaurita la prima ed esuberante vena creativa, era la meno capace a comprendere l'arte barocca e quindi a valutarla con giustizia. Ne scherniva e ne esagerava per fine polemico i difetti, ne dimenticava o misconosceva i pregi reali. D'altra parte la critica medesima, che poneva come ideale supremo dell'arte l'euritmia dei Greci e l'imperturbabilità delle loro figure umane atteggiate con estrema parsimonia di gesti, non poteva se non disprezzare quanto v'era di movimentato, di accidentato, di drammatico e talvolta di enfatico nell'arte barocca,
Una più serena valutazione dell'arte del Seicento e del Settecento ha cominciato a farsi strada sul principio del sec. XX per opera di studiosi che hanno cominciato a mettere in luce le principali figure d'artisti del periodo barocco, avendo abbandonato i pregiudizî accademici che s'erano radicati per tutto l'Ottocento e avendo adottato concetti critici meno parziali e più comprensivi. Qualcuno anche oggi insiste nel dispregiare con l'appellativo di "barocco" ciò che dovrebbe addirittura essere escluso dal campo dell'arte. Ma ciò dipende da taluni presupposti concettuali che, limitando l'analisi critica alla mediocre o insulsa letteratura di quel tempo e restringendo l'arte ad espressione di lirica pura, ne eliminano per coerenza dialettica molti elementi che sono pure parte integrante dell'arte in genere e dell'arte barocca in specie.
In realtà l'arte barocca fu nell'origine un moto di legittima reazione contro quell'arte della seconda metà del Cinquecento che s'era fatta in architettura una ripetizione stracca di canoni elaborati durante tutto il Rinascimento, in scultura e in pittura il riflesso d'una adorazione idolatra per l'arte di Michelangiolo e di Raffaello, imitati dagli artisti nelle forme esteriori e non nel loro spirito eternamente vivo, sì da giungere a quel formulario ripetuto fino alla nausea che prese poi il nome di "manierismo". E come Roma era stata il centro di fioritura del manierismo, così Roma fu il centro della battagliera e trionfante reazione. Contribuì notevolmente al definirsi e al diffondersi dell'arte barocca il mutato spirito della Chiesa cattolica, la quale, costrettasi durante quasi tutto il Cinquecento in quella austerità di vita, di atteggiamenti e di pratiche che doveva scagionarla dalle accuse di rilassatezza nei costumi e quasi di degenerazione pagana lanciatele dall'intransigente Riforma protestante, aveva ripreso animo sul principio del Seicento quando la compagnia di Gesù s'era dimostrata la forza militante della Controriforma; aveva poi nettamente trionfato e aveva anzi inaugurato quella che può definirsi l'epoca imperiale del Papato, quando la vittoria della Montagna bianca vicino a Praga (1620) aveva affermato la superiorità decisiva delle forze cattoliche di fronte a quelle della Riforma. Allora tutto ciò che per lunghi anni era stato compresso e represso tornò a manifestarsi: letizia del vivere e dell'adornare, senso del reale e del drammatico, bisogno della libertà e della fantasia fuor dai canoni in cui l'arte come la vita s'era irrigidita e cristallizzata.
In architettura (v. sotto) s'instaurò un gusto dei rilievi risentiti nelle masse e nelle sagome e del chiaroscuro fortemente accentuato, che traeva la sua origine dallo stile di Michelangiolo, vigorosamente plastico anche nelle architetture, e si collegava quindi spontaneo con l'arte dell'Impero romano, giunta, attraverso i movimenti liberi delle masse, il senso del vasto spazio interiore, la curvatura delle pareti, delle vòlte e delle cupole, l'indipendenza dai canoni ellenici, l'arditezza e l'originalità dei metodi costruttivi, a forme che oggi si possono riconoscere vicinissime a quelle dell'architettura barocca, sebbene per risuscitarle e svilupparle sia intercorso più d'un millennio. Al vigore del chiaroscuro nello sporgersi e nell'arretrarsi delle masse, alla libertà ricca di fantasia con cui furono interpretate le forme classiche, usati gli ordini, riprese le modanature dell'antichità, va aggiunto nell'affermarsi dell'architettura barocca il gusto dominante degli effetti prospettici, sì che tutto parve intonarsi alle norme di quell'arte della scenografia che allora entrava in rigoglio e alla quale si dedicavano con entusiasmo non solo gli specialisti della prospettiva teatrale ma anche i maggiori architetti del Seicento, primo fra gli altri Gian Lorenzo Bernini. Giungeva così l'architettura barocca a effetti drammatici di prospettiva e di chiaroscuro che costituiscono la sua originalità e il segreto della sua piena affermazione e diffusione in un'epoca in cui piacevano intensamente i contrasti violenti, nella vita come nell'arte.
La scultura barocca si ridusse essenzialmente a un commento figurato dell'architettura; come questa, s'ispirò nelle origini a Michelangiolo e alle opere dell'arte ellenistico-romana. In Michelangiolo, che del resto adorava il torso del Belvedere e il Laocoonte, trovarono gli scultori barocchi il senso d'una plastica vigorosa che sottolineava il rilievo anatomico in una ondulazione di larghi piani, che volentieri s'addentrava nel frastaglio dei panneggi e delle chiome e amava gli atteggiamenti drammatici delle figure; nella scultura ellenistico-romana essi videro il gusto del movimento attraverso gl'intrecci delle composizioni, lo sbandieramento dei drappi, l'esuberanza dei gesti, l'affollarsi delle figure in gruppi e in altirilievi che dovevano avere una funzione ornativa nell'ambito delle architetture; e sentirono anche la vita che c'era in certi ritratti romani fortemente espressivi del carattere dei personaggi. Anche in scultura Gian Lorenzo Bernini fu il capostipite d'una lunga discendenza; in certo senso egli reagì contro quel manierismo scultorio che aveva avuto i suoi rappresentanti nel Danti, nel Montorsoli, nell'Ammannati, nel Bandinelli fino a quegli scultori compassati, freddi, mestieranti che avevano operato molto sotto i pontificati di Sisto V e di Paolo V. A tali maniere leziose e ristampate, il Bernini aveva opposto l'esuberanza della sua scultura d'impeto, fatta di moto, di torsione, tratta da studî sul vivo, ricca di gesti, di pose, compiaciuta da certe bravure nate dalla virtuosità dello scolpire il marmo e ridurlo ad eburnee sottigliezze del traforo. S'aggiunga a questo il gusto del teatrale, il bisogno di decorare le architetture con rilievi, con statue nelle formelle, entro le nicchie, sui timpani, oltre i cornicioni, in quantità più che in qualità; si noti che Bernini stesso fu capo d'una compagnia di scultori che interpretò semplici suoi schizzi e popolò di figure chiese, palazzi e fontane; si capirà allora come si formò e si sviluppò la scultura barocca. Non per questo essa ebbe scarsa originalità e vitalità. L'impronta che le aveva dato il Bernini creatore e la funzione che aveva assunto di decorare le architetture con tanta aderenza allo spirito del tempo in cui fioriva, bastano a giustificarla anche negli eccessi a cui furono condotti gli scultori, come il Mochi, il Raggi, il Ferrata, il Fancelli, il Guidi, il Rusconi e lo squisito Serpotta, nella disinvoltura del loro molto operare. La forza espressiva di certi ritratti in busti o statue del Seicento, primi fra tutti quello del Bernini e dell'Algardi (v.), dimostrano quanta profondità potevano raggiungere anche coloro che sembravano più superficiali. La fantasia degli scultori fu, come quella degli architetti, così esuberante nell'età del barocco che furono creati i tipi monumentali del sepolcro e della fontana in una stragrande varietà di motivi. Talora anche la scultura, che si compiaceva d'effetti pittorici, giunse a sostituire i quadri sugli altari, ridotti quasi a palcoscenici, con effetti paesistici negli sfondi; e si giovò largamente di marmi policromi, di dorature, di stucchi colorati, di metalli rapportati per sottolineare proprio col colore queste sue tendenze pittoriche. Anche in ciò si ricollegava al gusto ellenistico-romano, ricco d'effetti tratti dal materiale policromo in architettura come in scultura.
Nel campo della pittura l'arte barocca ebbe maggiore varietà di effetti per il maggior numero di figure d'artisti degne d'esser poste in prima linea. Impulso primo a rinnovarsi fu dato anche alla pittura dalla nausea generale contro il manierismo di Giulio Romano, del Vasari, degli Zuccari, del Cavalier d'Arpino e di tutti gli sfiaccolati epigoni di Michelangiolo e di Raffaello. Allora la reazione si concretò in due opposte correnti: nel realismo possente di Michelangelo da Caravaggio e nell'eclettismo suadente dei Carracci e dei loro compagni. L'arte del Caravaggio fu un richiamo brutale alla realtà della vita e allo studio attento della natura; fu tanto più efficace quanto fu più franco e improvviso. Il realismo del Caravaggio è però prettamente un impulso, un pretesto per rinnovare dai fondamenti l'ambiente pittorico a cui si contrapponeva, per organizzare composizioni spaziali in cui le masse emergevano in cruda luminosità dalle oscurità fonde dell'ombra, masse rilevate e tagliate da lame di luce trasversa, intrige di colore a corpo, disposte in nette linee prospettiche, animate dalla drammaticità d'un chiaroscuro vivissimo di contrasti. In ciò l'arte del Caravaggio, che è di tale schiettezza e semplicità da contrastare vivamente con le definizioni dispregiative in cui è compreso superficialmente tutto il Seicento, si ricollega pienamente con l'arte barocca del suo tempo dando vigore ad alcuni caratteri essenziali affermati contemporaneamente dall'architettura. La rivoluzione che egli portò nel campo della pittura fu grande ed ebbe effetti vastissimi; molti pittori del Seicento ne furono conquistati, dagli immediati seguaci, Saraceni, Gentileschi, Serodine, ai pittori dell'Italia meridionale fra i quali primeggia Mattia Preti, agli stessi veneti attraverso al Feti, al Lys ed ai carracceschi, come il Reni e il Guercino; gli echi se ne prolungarono fno ai primi impressionisti dell'Ottocento, specie nell'arte del Manet.
L'eclettismo fondato dai Carracci, lasciate al Caravaggio ed ai seguaci la drammaticità del chiaroscuro e l'organizzazione sintetica dello spazio con poche linee e pochi toni essenziali, prese tutt'altra via. Si tenne allo spirito decorativo, al carattere scenografico e paesistico dell'arte barocca; e mentre alla rivoluzione caravaggesca era estranea qualunque velleità ornativa, la pittura secentesca che ha come capostipiti i Carracci, il Domenichino, l'Albani e che molto deve all'arte del Correggio, mirabilmente servì ai temi dettati dall'architettura quando, unendosi con i prospettici e con gli scenografi, invase le mura, le vòlte e le cupole popolandole di figure volanti e gesticolanti, di scorci, di prospettive, di paesaggi, di voli, di drappi al vento e di nuvole. In ciò questa corrente della pittura secentesca, di cui i maggiori rappresentanti furono, dopo i carracceschi, il Sacchi, il Maratta, Luca Giordano, il Baciccia, Pietro da Cortona, il padre Pozzo, fino al Batoni ed al Tiepolo, interpretò la tradizione pittorica italiana che risaliva allo spirito decorativo della pittura ellenistico-romana nelle pareti dipinte e organizzate in prospettive architettoniche onde i primi tre secoli di Cristo furono ricchi. Può sembrare talora che a tale corrente della pittura secentesca, specialmente se la si confronta con la profondità caravaggesca, si debbano rimproverare alcuni dei difetti che si rimproverano al Barocco: eccesso di spirito decorativo, disinvoltura, superficialità, teatralità, tendenza a stupire più che a convincere; ma è innegabile che il fenomeno della sua affermazione e diffusione fu grandioso e tale da rispondere in modo spesso eccellente ai bisogni e ai gusti di un'epoca sfarzosa, conscia dei proprî ideali e decisa ad affermarli in ogni campo.
Chiamare tale epoca età di depressione spirituale e di ariditb creativa, come alcuni hanno fatto, è esprimere giudizio parziale in quanto viene a disconoscere in quell'età l'affermarsi del pensiero scientifico moderno, il nascere della nuova musica, il fiorire delle arti figurative, ricche proprio di facoltà creative.
Le arti che si dicono minori parteciparono largamente a determinare in ogni campo il gusto di quell'epoca. L'arte dell'incisione al bulino e all'acquaforte ebbe una larghissima fioritura e sempre meglio conquistò la padronanza delle sue tecniche, sia nella riproduzione di opere d'arte di cui diffuse la conoscenza contribuendo allo scambio d'influenze, tipico dell'arte barocca, sia nelle vedute di città, di campagne, nei ritratti, nelle acqueforti originali di Salvator Rosa e di Benedetto Castiglione, fino a quelle eccellenti del Tiepolo, del Canaletto, del Piranesi. Il mobilio fu architettonico, pomposo, ricco d'intagli e di dorature che divennero sempre più preziosi e minuti nel Settecento; l'arte dell'arazzo, in quanto era ricca di risorse decorative, fu di moda con una produzione larga, fastosa, invadente; la ceramica ebbe un impulso grande e una fioritura di tipo industriale più per la quantità che per la qualità nel campo della maiolica, mentre si iniziava, sull'esempio della Cina, la fabbricazione sempre più perfetta della porcellana; il vetro, specialmente nelle fornaci di Murano, riprese dignità d'arte, s'arricchì, sulle nitide e semplici forme del Cinquecento, di rabeschi, di fogliami, di riccioli. Le arti dei metalli, esperte di tutte le tecniche, dallo sbalzo al cesello e dall'ageminatura allo smalto, si sbizzarrirono in tutti i campi: cancellate, ringhiere, armi, oreficerie; le stoffe di tutti i generi furono tessute, ricamate o dipinte con disegni larghi di fiorami grassi, con motivi d'ampie volute e di cartelle in affollamenti variopinti.
Insomma, si venne in questo modo creando "l'ornato barocco"; come in un clima caldo e umido e in una terra fervida di succhi nasce una vegetazione opulenta, grassa, fiorita, così l'ornato barocco in fogliami, fiori, volute, cartelle, festoni, panneggi, animati da una fantasia sempre desta e vivace, si diffuse dovunque, straripando talora dai limiti della misura. Infine, tutta l'arte barocca, dall'architettura alle arti minori, ebbe caratteri uniformi e affermò un gusto suo proprio, assolutamente originale, non immune da gonfiezza e da enfasi, amante del ridondante, dello stupefacente, del vistoso, ma non per questo meno ammirevole nell'esuberanza di vita, di fantasia, di qualità creatrici e in uno stile che è inconfondibile con quello di qualunque altra epoca della storia.
Arte di pura origine italiana, nata e sviluppatasi nel tempo in cui il pensiero scientifico fondava molte fra le moderue discipline e si veniva affermando la nuova arte musicale, e gli scambî fra popolo e popolo si facevano più facili e frequenti anche al di là degli oceani, l'arte barocca conquistò rapidamente il mondo. Si può, secondo i gusti e i presupposti critici, discutere sulle qualità durature di quest'arte e distinguerle da quelle caduche; ma il fenomeno della sua diffusione nel mondo fu così imponente che non è possibile spiegarlo con un traviamento generale del gusto e bollarlo come espressione d'una decadenza.
Per l'architettura Francia, Spagna, Olanda, Germania ed Austria furono invase e trasformate da esso, e giunsero con rapido moto a quel barocchetto infiocchettato, infiorettato, bizzarro, melodrammatico che sommerse troppo spesso, sotto la vegetazione rampicante degli ornamenti, ogni schiettezza e larghezza struttiva e meritò la taccia di lezioso e di decadente.
Per la scultura già alcuni berniniani più diretti erano stranieri come il Duquesnoy, il Monnot, il Legros; e poi il Fernández, il Montañes e il Cauo in Spagna, il Quellinus e il Verhulst in Olanda, il Puget, il Girardon, il Coysevox in Francia, gli scultori decoratori della Baviera, della Svevia, di Würzburg, di Bamberga, di Dresda e di Praga - e su tutti Andrea Schlüter - furono i tipici e fecondi rappresentanti dell'arte barocca, la quale, come aveva avuto in Italia, tra gli scultori, gli ultimi epigoni settecenteschi nel Bracci, nel Celebrano, nel Queirolo, nel Mattielli, nel Macchiori, alcuni dei quali avevano emigrato dalla penisola, ebbe gli ultimi riflessi di splendore e di nobiltà nell'olandese Vervoort, nel fiammingo Delvaux, nei francesi Bouchardon, Houdon, Lemoyne e Falconet, nel tedesco Neumann, fin sulle soglie del neo-classicismo. Per la pittura indubbiamente il Velázquez fu nei suoi primi tempi influenzato dal Caravaggio; e Charles Lebrun fu seguace di Pietro da Cortona come Nicola Poussin era stato attratto nell'orbita del Domenichino e Claudio Lorrenese in quella dei paesisti italiani; Rubens, fattosi sui Veneziani, interpretò del Barocco italiano la pomposità e la disinvoltura decorativa; il van Dyck infuse arte veneta nei suoi quadri e lo stesso Rembrandt, sovrano della pittura secentesca, sentì fortemente le seduzioni della rivoluzione caravaggesca, della quale erano stati proseliti e facili divulgatori lo spagnolo Ribera e l'olandese Gherardo delle Notti. Le linee di penetrazione della pittura barocca attraverso l'Europa sono straordinariamente intrecciate nello scambio d'influenze che fanno di quest'arte un fenomeno internazionale, pur nelle varietà molteplici derivanti dalle insopprimibili differenze di razza. Quelle linee si prolungano per quasi tutto il Settecento, giungono alle espressioni tipicamente francesi del Watteau, del Boucher, del Fragonard, a tutta la pittura di paesaggio e di natura morta che fiorì nelle Fiandre ed in Olanda per opera di centinaia di piccoli maestri. Legioni di decoratori, pittori, stuccatori, intagliatori si partirono dall'Italia e migrarono in tutta l'Europa, missionarî del gusto barocco, così come intorno al Mille i maestri comacini erano stati missionarî del gusto romanico e come, un poco più tardi, i cluniacensi, i cisterciensi e le maestranze al loro servigio avevano diffuso il gotico.
In conclusione, tutta l'arte del Seicento e di gran parte del Settecento si deve dire arte barocca non solo perché ebbe caratteri unitarî e interpretò profondamente lo spirito del suo tempo, ma perché fu tutta quanta compresa nel disprezzo e nel dileggio con cui la denigrarono i neo-classici, i quali le riconobbero appunto con ciò la solidarietà e l'internazionalità del carattere. Ora che la si guarda senza pregiudizî critici e senza necessità polemiche di reazione la si vede nei suoi pregi di potenza, di coerenza, di unità creative come nel suo difetto, insito in ogni affermazione esuberante e grandiosa, di cader facilmente nello squilibrato, nel superficiale e nell'enfatico. E l'epiteto spregiativo di barocco si trasforma in titolo di gloria.
L'architettura barocca. - Giudicata con dispregio durante la reazione neoclassica, perché se ne rilevavano le deficienze e gli eccessi astraendo dalla vitale sua complessità, si riconosce ormai ch'essa costituisce un organismo nuovo, uno stile, con propria anima e forme, con proprie figure rappresentative ed opere insigni, e che è un'evoluzione e non già una degenerazione del Rinascimento. Essa reagì, in sostanza, allo spirito di armonia, di serenità, di purezza della Rinascenza, affermando l'esser suo nella libertà della fantasia, nel contrasto, nella magnificenza.
L'architettura del Rinascimento era regolata da una legge di euritmia: quella barocca vive, invece, nel contrasto e nell'accentuazione di taluni elementi. Nell'una i membri costruttivi son ridotti all'essenziale, affermando ciascuno una sua squisita personalità benché tutti siano equilibrati fra loro e subordinati all'insieme in una composizione di spirito intimamente musicale; nell'altra s'accrescono e tendono a soverchiarsi l'un l'altro, ad assumere singolari strutture (colonne a spirale, pilastri rastremantisi, frontoni spezzati, ecc.), spesso sono frammentarî o tali rendono altri elementi innestandovisi o sovrapponendovisi. Dalle fabbriche del Rinascimento spira un senso di sovrumana quiete, di spirituale appagamento; quelle barocche sono esagitate, come in un'indefinita aspirazione. La decorazione già sobria e sottomessa all'organismo costruttivo diventa esuberante, viene sovrapplicata ai membri costruttivi con accentuazione teatrale, che informa altresì le prospettive, l'illuminazione e anche quel che v'ha d'impreveduto, di bizzarro, di maraviglioso in talune disposizioni.
Le facciate delle chiese si eressero su gradinate distese per l'intera loro larghezza, ebbero considerevole sviluppo verticale, esente dal fantasioso lirismo gotico, anzi, grave e tozzo, con membrature colossali, e constarono di due o tre corpi sovrapposti, di frequente ad andamento concavo o convesso oppure ondulato. L'animazione fu più intensa nella zona mediana, che ebbe portale sovrastato da finestrone e fu divisa dalle ali mediante colonne o pilastri talvolta abbinati; e le ali ebbero portale e nicchie e furono raccordate mediante volute al secondo ordine del corpo mediano. Il risalto della fronte fu accresciuto dallo slancio e dalla singolarità della torre campanaria, specialmente nei corpi superiori a edicole ovali su colonne, concave o convesse, a spirali, a strani fiorami terminali. L'interno venne delineato spesso su planimetria latina con le navate laterali rese esigue o addirittura soppresse a vantaggio della mediana, maestosa per vastità; il transetto fu dominato da un'ampia cupola, il coro fu piuttosto profondo. Non di rado si usò anche lo schema centrale: grandiose croci greche con qualche disposizione speciale, signoreggiate anch'esse da trionfali cupole. In entrambi i sistemi l'effetto spaziale si sostituì all'armonia spaziale propria del Rinascimento, viva luce illuminò la zona centrale mentre l'ombra s'addensò in quella periferica, nelle cappelle e nel coro soprattutto. E accanto a siffatte planimetrie si trovano icnografie singolari: ovali, talvolta di profilo tormentato, con cupole analoghe, a cappelle o senza; circolari o poligonali a cupola, con e senza cappelle; con vani annessi di bizzarra pianta e rare disposizioni. Le coperture, di regola a vòlta, accrebbero la sensazione del movimento, cui contribuì anche la ricca decorazione che segnò di una nota sontuosa l'insieme.
Il palazzo durante il Rinascimento era stato inteso con stupenda unità, come una piccola ed organica forma geometrica; nel Barocco si sviluppò considerevolmente in senso orizzontale, si articolò in varî corpi, rifuggì talvolta la linea retta per assumere andamento poligonale o concavo o convesso, accentuò il movimento nell'intenso avvicendarsi di luci ampie e di limitati pieni, di nicchie con statue o senza, di bassorilievi, di pilastri e colonne, anche abbinati. Le facciate constarono di varî corpi sovrapposti, l'atrio assunse rilevante sviluppo ed importanza; ma più notevole fu il cortile, spesso a pianta circolare, ovale, poligonale, oltre che quadrangolare, su pilastri o binati di colonne, avvivato da ricca ornamentazione, inteso in scenografie prospettiche al pari delle scalee, larghe e solenni quando non prediligono sviluppi rari, ad ovali o a spirali segnatamente, con animato effetto di sotto in su, ricche di suggestione e d'impreveduto. Anche i corridoi acquistarono risalto nel dilungarsi prospettico, nella briosa ornamentazione. Talune sale ebbero planimetria speciale e il salone fu magnifico per ampiezza e decorazione, con gallerie e colonne aggettanti.
Dati i caratteri generali dello stile, la villa sviluppò appieno i primi impulsi avuti nel Rinascimento. Il trionfo della fantasia nell'organismo costruttivo e nelle singole forme, la ricerca del pittoresco, dell'impreveduto, dello scenografico, del singolare, del contrastante trovarono in essa le più facili e smaglianti estrinsecazioni. Venne costruita con elaborati disegni di viali e prospettive arboree, talvolta a terrazze digradanti, sempre a forti dislivelli di terreno, collegati da scalee o cordonate, con chioschi e tempietti a sfondo delle prospettive, oppure occhieggianti in recessi occulti per suscitare il senso del mistero e dell'inatteso.
Statue, busti, urne collocati tra il verde, confusero in una sola sinfonia le voci della natura a quelle della storia e dell'antichità. L'attenzione si volle continuamente attirata da bizzarre fontane, cascate, giuochi d'acqua, organi idraulici, grotte, sotterranei, belvedere, ecc. Il casino constò di varî corpi mossi e snodati, di portici, terrazze e fu non di rado isolato tra giardini, con proprio ingresso bizzarro, analogamente a quello della villa, che fu tuttavia più imponente e scenografico.
Grande importanza acquistò la fontana come costruzione isolata. Il Rinascimento ne aveva prodotte parecchie, piccole, graziose, ad ornamento di modeste piazze: il Barocco le ampliò, le improntò di lussuosa scenografia, le intonò alla grandiosità delle vaste piazze. Il bacino principale fu assai ampio e di profilo tormentato, spesso si elevò sopra una scalea di analogo andamento; da esso sorsero bacini e tazze minori, oppure intorno intorno vi furono collocate statue di naiadi, di tritoni, di mostri.
Bisogna, infine, mettere in evidenza la sistemazione prospettica delle città. Nel Rinascimento essa era già stata oggetto degli studî dei teorici, ma in pratica ogni fabbrica fu considerata per sé stante, e qualche rara eccezione (come p. es. Pienza), è una conferma dell'individualismo architettonico; il Barocco, invece, fin dall'esordio, intende la piazza e la via come un complesso di monumenti disposti e articolati in modo da determinare un effetto unitario; pur mantenendo a ciascun edificio propria personalità, distende le vie con dislivelli e sfondi, sicché esse presentano il carattere di movimento verso una meta indefinita, di scenografia, d'impreveduto, di ricchezza, tipici dello stile.
Le origini dell'architettura barocca son da ricercare nell'ultima fase del Rinascimento. Il primo annuncio lo dà, forse, Raffaello col distrutto Palazzo dell'Aquila a Roma. Ma ben più importante e complessa è l'azione spiegata da Michelangiolo. Già nella Cappella medicea di Firenze (1520-24) egli segna il nuovo indirizzo dell'arte nell'organismo strutturale dell'aula e in quello delle tombe: tendenza al grandioso, sovrapposizione, linee incrociantisi, frontoni spezzati, balaustri capovolti, sarcofaghi a profilo curvilineo interrotto con attorto a volute, accentuata notazione coloristica. E a Firenze stessa, cioè nel sacrario del Rinascimento, fra il 1523-26 il Buonarroti crea anche la biblioteca Mediceo-Laurenziana, il cui atrio vive nel contrasto determinato dall'alternarsi di nicchie a colossali binati di colonne. Spiriti baroccheggianti ancor più profondi improntano altre sue opere: il monumento funerario a Giulio II (1544) in San Pietro in Vincoli a Roma, la piazza del Campidoglio (circa 1546) specialmente per lo schema dei palazzi laterali e la loro disposizione che determina il movimento caratteristico della piazza stessa, la pianta della ricostruenda Basilica Vaticana (1547), in cui la cupola mediana soverchia le quattro laterali ed esprime un risalto grandioso più che un'armonia di spazio, e infine la fronte interna di Porta Pia ove si trova già un doppio timpano. Con Antonio da Sangallo il Giovane appaiono le prime facciate concave, col Peruzzi la facciata convessa.
Collateralmente alla manifestazione michelangiolesca si ha quella di un gruppo di maestri veneti e lombardi, che per tradizione erano più vicini alle tendenze del nuovo stile. Il saggio più antico è il trattato di Sebastiano Serlio (1537-47), nel quale si rilevano chiese su schemi ovali o pentagonali; a cappelle alternamente semicircolari o poligonali; ottagone inscritte entro quadrato con cappelle ovali sulle diagonali e rettangolari nei lati obliqui; a croce greca rielaborata, oltre a certi prospetti di palazzi, a sovrapposizioni di corpi, in movimentato avvicendarsi di spazî e luci, con particolari singolari. Preannunzî barocchi si colgono anche nella Libreria (1536) e nella Loggetta (1540) di Iacopo Sansovino, a Venezia, in questa soprattutto; nelle opere di Andrea Palladio, dalla "Basilica" di Vicenza (circa 1549) alle facciate del Redentore e di S. Giorgio Maggiore a Venezia e specialmente al Teatro Olimpico di Vicenza. Altri accenni si riscontrano nelle fabbriche del Sanmicheli (Palazzo Bevilacqua a Verona), dell'Alessi (Palazzo Marino e S. Maria presso S. Celso a Milano), del Tibaldi (S. Fedele a Milano).
Ma un contributo assai più importante nel divenire del Barocco, anzi decisivo, reca Iacopo Barozzi detto il Vignola. Non tanto per il palazzo farnesiano di Caprarola (1547-49) su planimetria pentagona inscrivente un cortile circolare a due ordini balaustrati e coronati da statue, quanto per la chiesa del Gesù a Roma, che per la pianta e lo spirito ond'è animata (concentrazione dominante di spazio, contrasto tra la luminosità della nave e l'oscurità delle cappelle, risalto di particolari decorativi) fu un prototipo. Si può dire che le date rappresentative per la formazione del Barocco siano l'anno 1520 in cui s'inizia la Cappella medicea e il 1568 in cui fu cominciata a costruire la chiesa del Gesù. Michelangiolo annuncia il nuovo stile, il Vignola lo afferma.
Un apporto alla formazione di esso fu dato anche dall'architettura di Roma imperiale. Il Pantheon nel sistema di animazione della cella esprime ricchezza di contrasti: sacrarî rientranti e gruppi di colonne colossali intramezzati da nicchie con statue. Caratteri baroccheggianti più accentuati improntavano il Settizonio, sia che sorgesse a tre ordini porticati, vivamente ondulati da rientranze semicircolari o triangolari animate da fontane, e coronati da statue; sia che presentasse due ordini porticati e rientranze rettangolari e al disopra di esse un terzo piano ad arcate sopportante una trabeazione rilevata da statue e quadrighe. Fra altri esempî si possono notare il mausoleo di Diocleziano a Spalato, il teatro d'Orange, talune delle aule più solenni delle terme romane, alcune tombe rupestri di Petra, con corpo centrale a mo' di edicola che taglia le ali, sormontate da due mezzi frontoni.
L'architettura barocca ebbe a Roma le sue estrinsecazioni più alte. Fra i primi maestri fu Carlo Maderna (1556-1629; v.), la cui opera più tipica è la facciata della chiesa di S. Susanna a Roma (primi del sec. XVII); il più insigne rappresentante è G.L. Bernini (1598-1680; v.). Nel 1633 s'inaugurò il baldacchino in bronzo sovrastante l'altare papale in S. Pietro in Vaticano, animato di potente vivacità scenografica; fra il 1656 e il 1668 sorge il colonnato di S. Pietro in Vaticano, semplice e grandioso come le forze elementari ed eterne della natura; nel 1658 S. Andrea al Quirinale, di vaga pianta ovale, lussureggiante per marmi, misteriosa e balenante come una gemma. Contemporaneo, ma di diverso temperamento fu il Borromini (1599-1667; v.); egli fu, in sostanza, il maggior precursore del Rococò, come appare nella bizzarra chiesa di S. Carlino alle Quattro Fontane, dalla fronte ondulata, di pianta ellittica con profilo tormentato, cupolina ovale, tutta improntata di grazia raffinata, al pari della piccola torre e del chiostro dell'attigua Casa religiosa; nell'interno di S. Giovanni in Laterano lucido ed elegante pur nella sua grandiosità, nella chiesa di S. Ivo e campanile di S. Andrea delle Fratte. Più vicino allo spirito del Barocco egli appare nel prospetto di S. Agnese in Piazza Navona.
Figure notevoli del Barocco romano sono altresì Martino Lunghi il giovane (morto nel 1657; v.) per la singolare facciata della chiesa dei Ss. Vincenzo ed Anastasio; Pietro da Cortona (1596-1669; v.) per la fronte di S. Maria in Via Lata, sentita in maniera pittorica, nel gioco dell'ombra e della luce; Carlo Rainaldi (1611-1691; v.) per S. Maria in Campitelli, animata dal sistema di solenni colonne aggettanti nella facciata e nell'interno; Alessandro Algardi (1592-1654; v.) per la fronte colossale di S. Ignazio, il cui interno si deve (1626) a Orazio Grassi, sulla direttiva del Gesù, interpretata con imponente maestà; e nell'ultima fase del Barocco, Alessandro Galilei (1691-1737; v.), che si giova superbamente della facciata di S. Pietro in Vaticano per la fronte di S. Giovanni in Laterano (1734); Niccolò Salvi (1699-1751; v.) per la Fontana di Trevi in cui il prospetto architettonico, che già sente il neo-classicismo, si fonde con l'elemento pittoresco della scogliera e della massa d'acqua.
Dopo Roma i più cospicui centri del Barocco furono Venezia, Genova, Torino e Napoli; ma vanno ricordati altresì Milano, Bologna e Lecce. (Per la facciata di Santa Croce a Lecce, vedi anche la tavola sotto la voce balcone). A Venezia il primo insigne maestro fu Vincenzo Scamozzi (1552-1616; v.), architetto dell'imponente palazzo Corner della Cà Grande; ma artista più rappresentativo fu Baldassarre Longhena (1604-1682; v.), vero genio dell'architettura sì che poté iniziare a soli 27 anni la chiesa della Salute, quasi una fantastica forma marina, una scenografia portentosa a specchio del bacino di S. Marco e, più tardi, fece sorgere dal Canal Grande la gagliarda grazia di palazzo Pesaro, che movendo dalla Libreria del Sansovino e dal palazzo Corner assurge a sovrana magnificenza.
A Genova eccelle Baccio di Bartolomeo Bianco (1604-1656; v.) che costruì il collegio dei Gesuiti, ora università, solenne soprattutto nel cortile e nella scalea, che è la regina delle sontuose scale costituenti la nota distintiva del Barocco genovese. Torino si afferma per opera di Guarino Guarini (1624-1683; v.) e di Filippo Juvara (1685-1735; v.). Il Guarini costruì su non comune planimetria S. Lorenzo e la Consolata, oltre al palazzo Carignano, che risente del Borromini. Al quale si ricollega altresì lo Juvara nella basilica di Superga, audace e brillante contaminazione del Pantheon e di S. Agnese in Piazza Navona a Roma, con chiari accenni neoclassici. Di lui va ricordato anche il superbo scalone di Palazzo Madama. Per Napoli il rappresentante più tipico è il bergamasco Cosimo Fanzago (1591-1678; v.), cui si deve la calda decorazione della certosa di S. Martino, forse il puro e ardimentoso chiostro di essa, oltre all'originale e animata fronte della chiesa della Sapienza.
Già prima della metà del sec. XVIII si accenna chiara la reazione al Barocco, la quale, come sempre nella nostra civiltà, fa appello all'antichità classica. Essa si estrinseca nel secondo cinquantennio del secolo impersonandosi segnatamente in due architetti: Ferdinando Fuga (1699-1780; v.) e Luigi Vanvitelli (1700-1773; v.). Nelle opere loro le disposizioni, le forme, le stesse visioni costruttive permangono barocche, talvolta illeggiadrite da una spolveratura di rococò, ma lo spirito è mutato: tutto è raffrenato, anzi raffreddato per l'aspirazione a una dignità e maestà interamente classiche. Tuttavia questo rappresenta l'aspetto più debole di tali fabbriche, che vivono segnatamente degli estremi splendori del Barocco. Del Fuga va ricordato in special modo lo scalone del Palazzo Reale di Napoli, oltre alla facciata della Consulta a Roma, di elegante distinzione, e la fronte di S. Maria Maggiore. Del Vanvitelli le opere più gloriose sono la chiesa dell'Annunziata a Napoli, di singolare pianta, tutta animata da colonne aggettanti, e soprattutto la reggia di Caserta, la più sontuosa reggia italiana, che nella prospettiva dell'atrio, nella scenografia dello scalone e del vestibolo d'onore, nella cappella, nel parco, esprime il più raggiante spirito barocco.
In Francia durante la prima metà del sec. XVII gli architetti continuarono a guardare all'Italia, inspirandosi sia alle nuove fabbriche sia a quelle dell'antichità classica: ma soltanto per ciò che riguarda l'architettura religiosa, la quale ebbe i suoi modelli maggiori nelle chiese del Gesù e di S. Pietro in Vaticano a Roma. Tra i più insigni monumenti del periodo si possono citare la chiesa di Val-de-Grâce a Parigi, opera essenzialmente di Giacomo Le Mercier (1585?-1654; v.) che succedette al Mansart; la chiesa di S. Paolo e S. Luigi anche a Parigi, probabilmente dello stesso Le Mercier. L'architettura civile, invece, prolungò la tradizione nazionale, nei palazzi e soprattutto nei molti grandiosi e caratteristici castelli, esempio quello di Vaux, eretto nel 1656-61 da Luigi Le Vau (1612-1670; v.). Nella seconda metà del secolo si determinò a Parigi una considerevole attività edilizia che trasformò e accrebbe la città secondo elaborati piani del Blondel e del Bullet (1676-1690). Di Francesco Blondel è da ricordare anche la Porta di Saint-Denis a Parigi (1672), che si sottrae nobilmente all'influenza degli archi romani di trionfo. Nell'edilizia religiosa le opere più notevoli sono la chiesa degli Invalidi (1700), costruita da Giulio Arduino Mansart (1646-1708; v.) e quella di S. Sulpizio, tutt'e due a Parigi, con richiamo alla facciata minore di S. Giovanni in Laterano. Però è sempre l'architettura civile che trionfa col Louvre e con Versailles. Alla vasta fabbrica del Louvre posero mano parecchi maestri, e per essa anche il Bernini (che si recò apposta in Francia nel 1665, dove fu accolto trionfalmente), Carlo Rainaldi e Pietro da Cortona disegnarono progetti. La facciata più rappresentativa, quella animata da un colonnato classico (1667-68) si deve a Claudio Perrault (1613-1688; v.) che costruì anche le fronti a sud e a nord e buona parte delle fabbriche sul cortile. Pure a Versailles, modello delle regge moderne, una sontuosa città regale tra parchi e giardini, diedero opera parecchi artisti. Cominciata nel 1660 dal Le Vau, venne ampliata da lui medesimo, dal Le Nôtre, dal Mansart, ecc.
Il Barocco non ebbe grandi ripercussioni in Spagna e in Portogallo. Dapprima fu ostacolato dal prolungato influsso del Rinascimento italiano, poi venne soffocato dal sorgere del Rococò e del Neoclassico. In Spagna lavorarono artisti italiani: G. B. Crescenzi (morto nel 1660; v.) edificò il Pantheon dell'Escurial e prese anche parte ai lavori per la fabbrica del Buen Retiro; Filippo Juvara fu invitato per la ricostruzione del Palazzo Reale distrutto da un incendio il 1734, ma il nuovo fu poi innalzato da G. B. Sacchetti, nello spirito neoclassico, ponendosi la prima pietra nel 1737. Fra gli artisti locali di tendenza italianeggiante si può citare Francesco Herrera del Mozo, che nel 1677 iniziò la chiesa di Nuestra Señora del Pilar a Saragozza, sul piano della basilica Vaticana, fabbrica che venne proseguita a partire dal 1751 da Ventura Rodríguez. La fantasia prese, però, spesso il sopravvento (portale della chiesa di S. Andrea a Valencia, Arco della Certosa presso Jerez). Il più tipico stile barocco s'identifica con lo stile churrigueresco, dal nome di Giuseppe Churriguera (v.): lo si osserva nei portali dell'ospizio di S. Ferdinando a Madrid, nel transcoro della cattedrale di Toledo, nel palazzo di S. Elmo a Siviglia, nella cattedrale di Santiago di Compostella (opera questa di Ferdinando Casas y Novoa), nella sacrestia della certosa di Granata.
Anche nel Portogallo lavorarono artisti italiani. A Oporto l'architetto Nicola Nazodi costruì la chiesa dell'Assunta e la torre che le sorge davanti (1732-79). Quivi è da ricordare anche uno degli esempî più caratteristici del Barocco portoghese, la chiesa Dos Extinctos Carmelitas (1619-28).
Il Belgio, nell'architettura religiosa in special modo, afferma la propria vitalità durante il periodo barocco. Uno dei più antichi e fastosi saggi è la chiesa dei Gesuiti ad Anversa (1614-21), in cui l'influsso dell'arte italiana appare evidente; ma ancor più chiaro esso si manifesta in un'altra chiesa dei Gesuiti, quella di Lovanio (1650-1666), eretta da Luca Faydherbe. Anche nell'edilizia civile si affermò spesso l'azione dell'arte italiana ma meno vivamente, perché le tendenze nazionali prevalsero. La Casa del Giardino ad Anversa, opera di P. P. Rubens (1577-1640; v.), che formò la sua educazione in Italia, è d'inspirazione palladiana. Venceslao Coeberger eresse il grandioso palazzo delle Corporazioni a Bruxelles, oltre alla chiesa della Madonna di Montaigu (1610), mostrando di ricordare il tempio della Salute a Venezia.
Anche in Olanda il Barocco fu penetrato da vivaci riflessi classici assimilati attraverso le fabbriche italiane. Vanno ricordati segnatamente Enrico de Kajser, architetto del Palazzo comunale di Delft (1618), ch'ebbe due figliuoli, Pietro e Tommaso, nelle cui opere il Barocco più apertamente si estrinseca; Giacomo di Campen, che costruì il Palazzo Reale di Amsterdam. I Paesi Bassi furono il tramite dell'influenza italiana verso il nord.
L'architettura italiana penetrò largamente anche in Austria, sia per il tramite degli architetti indigeni reduci da viaggi in Italia, sia per quello dei numerosi maestri italiani che in quel paese spesero l'opera propria. Però a Vienna, accentratrice del movimento artistico, il Barocco ebbe breve dominio, sopraffatto dal Rococò. Fra gli architetti italiani che operarono nella capitale austriaca furono Ferdinando Bibbiena, il quale costruì il teatro dell'Opera, Andrea Pozzo, che collaborò alla decorazione della chiesa di S. Anna e a quella dei Gesuiti, L. O. Burnacini (1636-1707), Domenico Martinelli e Gabriele Gabrielli i quali innalzarono il palazzo Liechtenstein, Carlo Lurago che eresse la chiesa dei Carmelitani a Ratisbona (1642), i Carbone, ecc. Gli architetti austriaci s'inspirarono di regola alle chiese di Roma. Giovanni Bernardo Fischer (1650-1723) eresse il S. Pietro a Vienna (1702), un ovale berniniano, e fra il 1716-37, in collaborazione col Martinelli costruì il S. Carlo Borromeo che richiama soprattutto il Pantheon e la facciata di S. Agnese in Piazza Navona: le due colonne onorarie che fiancheggiano la facciata sono ricalcate su quella del Foro di Traiano. A Luca von Hildebrandt (1666-1745) si deve il Belvedere a Vienna.
Nei paesi slavi la penetrazione artistica italiana fu sensibile dal sec. XVI al XVIII, particolarmente in Polonia e in Boemia. A Varsavia Giovanni Bellotto eresse fra il 1682 e il '96 la chiesa di S. Croce e la villa reale di Wilanów; il Merlini costruì nel 1725 il Palazzo comunale. Il castello costruito da Sigismondo III ripete la pianta di Caprarola. A Praga, ove lavorò lo Scamozzi, Cristoforo Dientzehnofer (1655-1722) costruì la chiesa di S. Nicolò imitando il Guarini, il quale appunto per Praga aveva dato i disegni per la chiesa teatina di S. Maria di Öttingen.
In Germania il Barocco ebbe grande importanza. Anche in questo paese lavorarono artisti italiani: Agostino Barelli ed Enrico Zuccali eressero la chiesa dei Teatini a Monaco ispirandosi per la facciata a S. Alessandro di Milano e a S. Maria di Carignano a Genova, per l'interno al Gesù e a S. Andrea della Valle a Roma; Santino Solari costruì tra il 1614-34 il duomo di Salisburgo, richiamandosi anch'egli al Gesù; Gaetano Chiaveri (v.) eresse la chiesa cattedrale di corte a Dresda (1738-51). Le città in cui meglio s'affermò il Barocco furono Dresda e Berlino. A Dresda Daniele Pöpplemann (1662-1736) eresse un sontuoso edificio per feste, lo Zwinger. A Berlino è da notare il Palazzo Reale, opera di Andrea Schlüter (nato nel 1664) che ha analogie col palazzo dei Conservatori e il palazzo Barberini a Roma. Baldassarre Neumann tagliò il superbo scalone del Palazzo dell'elettore a Würzburg. Numerosi e importanti furono i castelli, in cui lo stile nazionale si affermò rigogliosamente, talvolta con sopravvivenze gotiche.
Per l'Inghilterra u̇no dei maggiori maestri fu Inigo Jones (1573-1651; v.) che vi trapiantò le forme delle fabbriche italiane, soprattutto quelle del Palladio (villa della Regina a Greenwich, Whitehall, Londra 1622). Artista di più vigorosa tempra fu Cristoforo Wren (1632-1723) la cui maggiore opera è la cattedrale di Londra (1675-1710), inspirata a S. Pietro in Vaticano per la planimetria e anche per la facciata, oltre che ad altre chiese romane. L'influsso italiano è palese anche in altri artisti: per esempio in Giovanni Vanbrugh per il castello di Blenheim (1715) di Oxford, il quale nella visione generale deriva dalla piazza S. Pietro a Roma; in Giovanni Gibbs, che guardò alla romana S. Maria della Pace per S. Maria Lo Strand a Londra e alla basilica di Superga per quella di S. Martino. (V. Tavv. XXV a XLVIII).
Bibl.: Per l'età barocca in generale, v. B. Croce, Storia dell'età barocca, Bari 1928.
Gli studî sull'arte barocca, per solito in Italia dedicati agli artisti principali, furono condotti in modo più generale dalla critica d'oltralpe, che ha riconosciuto giustamente l'origine italiana del Barocco e ne ha cercato la diffusione all'estero. Tra molti altri sono più importanti i seguenti: A. Schmarsow, Barock und Rokoko (Beiträge zur Âsthetik), Lipsia 1897; H. Wölfflin, Renaissance und Barock, Monaco 1907 (4ª ed., 1927); A. Riegl, Die Entstehung der Barock-kunst in Rom, Vienna 1908 (2ª ed., 1923); K. Escher, Barock und Klassizismus, Lipsia 1910; H. Wölfflin, Kunstgeschichtliche Grundbegriffe. Das Problem der Stilentwicklung in der neueren Kunst, Monaco 1915 (6ª ed., 1923); A. E. Brinckmann, Barockskulptur, Berlino-Neubabelsberg 1917; id., Barock-bozzetti, Francoforte sul M. 1923-24, voll. 4; A. Muñoz, Roma barocca, 2ª ed., Roma-Milano 1928; E. Tietze-Courat, Ôsterreichische Barockplastik, Vienna 1920; W. Weisbach, Die Kunst d. Barock in Italien, Frankreich, Deutschland und Spanien, Berlino 1924 (Propyläen-Kunstgeschichte, XI); id., Barock als Kunst der Gegenreformation, Berlino 1921; J. Weingartner, Der Geist des Barocks, Amburgo 1925; W. Drost, Barockmalerei in den germanischen Ländern, Wildpark 1926; N. Pevsner, Barockmalerei in den germanischen Ländern, Wildpark 1926; N. Pevsner, Barockmalerei in d. romanischen Ländern, Wildpark-Potsdam 1928; M. Dvorak, Geschichte der italienischen Kunst, Monaco 1929, II, pp. 95-210; A. E. Brinckmann, Die Kusnt des Barocks und Rokokas, Berlino-Neubabelsberg s. a.
Per l'architettura, oltre alle opere generali già citate, v. R. Dohme, Studien zur Architekturgeschichte des 17. und 18. Jahrh., in Zeitschrift für bildende Kunst, XVIII (1878), pp. 289-304, 321-333, 364-375; C. Gurlitt, Geschichte des Barockstiles in Italien, Stoccarda 1887, oltre altri volumi sul Barocco nei singoli paesi; A. E. Brinckmann, Die Baukunst des 17. und 18. Jahrh. in den romanischen Ländern, Berlino-Neubabelsberg 1915; O. Schubert, Geschichte des Barocks in Spanien, Esslingen 1908; G. Magni, Il Barocco a Roma, Torino 1911-13; S. Obřich, Příspěvky k dějinám české barokní architektury (Contributi alla storia dell'arch. barocca cèca), in Památky archeologické, XXXV, 1°, 4°; P. Pollak, Die Architektur in XVII Jh. in Rom, in Zeitschr. der Geschichte der Architektur, VII (1909-10); L. Serra, Le origini dell'architettura barocca, in L'Arte, XIV (1911), pp. 339-358; G. Giovannoni, Chiese della seconda metà del Cinquecento in Roma, in L'Arte, XV (1912), pp. 401-16; XVI (1913), pp. 81-106; C. Ricci, Architettura barocca in Italia, Bergamo 1912; M. Briggs, Barock-Architektur, Berlino 1914; P. Frankl, Die Entwicklungsphasen der neueren Baukunst, Lipsia 1914; D. Frey, Architettura barocca, Roma-Milano s. a.; S. Sitwell, Southern Baroque Art, Londra 1927.