BENEVENTANO-CASSINESE, Arte
Nozione introdotta dalla critica in riferimento alla pittura e alla miniatura che hanno avuto corso durante l'Alto Medioevo nel territorio storicamente noto come Longobardia Minore. Tale concetto si è venuto precisando nel contenuto semantico solo in tempi relativamente recenti, in contrapposizione alla più generica ed equivoca denominazione di arte 'benedettina' o 'benedettino-cassinese', a lungo invalsa negli studi. Il binomio intende rilevare, in primo luogo, l'esistenza di una profonda omogeneità culturale di quell'area e, insieme, il ruolo di centri focali svolto, con diversa incidenza nel corso dei secoli per le loro alterne fortune, da Benevento, per molto tempo capitale dei domini longobardi del Sud, e dall'abbazia benedettina di Montecassino, subito propostasi, dopo la ricostruzione del sec. 8°, come grande polo di cultura in grado di attrarre, con il suo vivace scriptorium, energie intellettuali da ogni parte d'Europa (Bloch, 1972; Cavallo, 1975; 1977; 1987).La tesi dell'esistenza di una 'scuola benedettina', che, facendo perno su Montecassino, avrebbe operato con caratteristiche proprie e unitarie in gran parte dell'Italia meridionale dal sec. 9° al 12° - a partire, cioè, dagli affreschi di S. Vincenzo al Volturno, datati agli anni 824-842, fin oltre la grande stagione artistica dominata dalla figura dell'abate Desiderio (1057-1086) - fu argomentata per la prima volta in modo organico da Bertaux (1903). Impressionato dal numero e dal livello delle imprese desideriane, ma anche dalla loro effettiva risonanza, lo studioso francese aveva finito per riguardare, attraverso il loro schermo, la produzione artistica di età longobarda, considerandola una sorta di preistoria degli esiti raggiunti a Montecassino nell'avanzato 11° secolo. La tesi, tra accomodamenti in chiave psicologico-contenutistica e arbitrarie dilatazioni di campo (Coletti, 1949), ha goduto di ampio e incondizionato credito, non scalfito da avvertimenti in senso contrario (Toesca, 1927; Bologna, 1950), fino alla definitiva messa a punto di Francovich (1955). Questi, con l'attenzione rivolta soprattutto alla pittura, nel ribadire l'impossibilità di ridurre a un unico denominatore comune fatti tra loro troppo distanti per cronologia, qualità e moventi di cultura, aveva preferito ripiegare sulla più concreta nozione storica di una scuola regionale campana, articolata al suo interno, ma differenziata dalle altre scuole regionali e con una spiccata attitudine a volgere l'evento sacro in racconto spigliato, di immediata presa emotiva, per l'influenza di correnti espressionistiche siriache.Mentre Pantoni (1959) tornava a riproporre, ma in forma più sfumata, le posizioni di Bertaux (1903), e Wettstein (1960), riconsiderando l'intera materia della pittura campana dei secc. 10°-11°, si poneva in buona sostanza sulla stessa linea di Francovich (1955), un fatto nuovo - la scoperta, nel 1947, di alcuni affreschi frammentari nella chiesa di Santa Sofia a Benevento - determinò una definitiva svolta nel dibattuto tema. Il pronto riconoscimento dell'altissimo livello stilistico del ciclo beneventano (Bologna, 1950) - nel suo infervorato linguaggio, di monumentale respiro, consono in tutto all'empito passionale degli affreschi di S. Vincenzo al Volturno, già da tempo valorizzati (Toesca, 1904) - e il lavoro di approfondimento storico-critico che ne è seguito, con il suo ancoraggio intorno al 760 (Bologna, 1962; 1966), hanno posto al centro dell'attenzione il ruolo di Benevento e della sua corte (Belting, 1962b). Quasi negli stessi anni, ma con premesse non in tutto coincidenti, Bologna (1962; 1966) e Belting (1962a; 1967; 1968) giungevano così alla definizione di una pittura 'beneventana', nei termini di un vero e proprio movimento d'arte di notevole portata (coinvolgente anche i due centri monastici di Montecassino e di S. Vincenzo al Volturno, legati a Benevento da rapporti politico-religiosi assai stretti) per svolgimento cronologico ed estensione territoriale, parallelo al fenomeno della scriptura beneventana, vale a dire la scrittura 'nazionale' dei Longobardi del Sud, la cui formazione è stata posta dai paleografi proprio nel sec. 8° (Lowe, 1914; 1929; Cavallo, 1970). La convincente proposta di una datazione alta degli affreschi in Santa Sofia - motivata ancora di recente con buoni argomenti (Rotili, 1986) - e le forti risonanze del loro stile rintracciabili in tre rotoli miniati dell'avanzato sec. 10°, quasi unanimemente ricondotti a scriptoria di Benevento (Pontificale De ordinibus conferendis e Benedizionale, Roma, Casanat., 724, gi'a B.I.13/I-II; Exultet, Roma, BAV, lat. 9820), con la prova che il centro fondante e propulsivo del movimento andava localizzato proprio a Benevento, fornivano a Bologna (1962) solidi argomenti per porre sul terreno la questione di un rapporto attivo della Longobardia Minore con i centri dell'Italia settentrionale e con gli ambienti carolingi d'Oltralpe, contraddistinti tra il sec. 8° e il 9° da eventi artistici di sorprendente analogia (affreschi in S. Salvatore a Brescia, in S. Maria in Valle a Cividale, in S. Giovanni a Müstair, in S. Benedetto a Malles; Evangeliario di Godescalco, Parigi, BN, nouv. acq. lat. 1203; Omelie di s. Gregorio e testi di diritto canonico, Vercelli, Bibl. Capitolare, CXLVIII; Codice di Egino, Berlino, Staatsbibl., Phill. 1676). Una circolarità di esperienze che, a più di uno studioso, è sembrata riassumersi emblematicamente nella vicenda umana e intellettuale di Paolo Diacono, da Pavia passato nella Longobardia Minore, alternando soggiorni tra Montecassino - dove teneva scuola - e la corte di Arechi II (758-787), della cui moglie Adelperga, figlia di re Desiderio, fu precettore, prima di trasferirsi nel 782 alla corte di Carlo Magno.Belting (1968), da parte sua, nel ripercorrere lo svolgimento della pittura beneventana, ha non poco contribuito ad arricchire la documentazione figurativa di supporto con un capillare recupero di altre testimonianze di pittura (Castellammare di Stabia, cripta di S. Biagio; Benevento, cattedrale; Prata, chiesa dell'Annunziata; Capua, chiese dei Ss. Rufo e Carponio, di S. Michele e di S. Salvatore a Corte; Cimitile, basiliche dei Ss. Martiri e di S. Calionio; Calvi, grotta dei Santi; Olevano sul Tusciano, grotta di S. Michele; S. Maria de Olearia, in costiera di Amalfi) e di miniatura (Montecassino, Bibl., 3 e 175; Firenze, Laur., Plut. 73.41; Napoli, Bibl. Naz., Vind. lat. 58, già Vienn. lat. 6; Troia, Tesoro, Arch. Capitolare, VI.B.2; oltre ai tre rotoli già citati), a vario titolo riconducibili sotto quell'esponente culturale, ma con una differente angolazione. Bologna (1962), infatti, nel rilevare le peculiarità linguistiche della pittura 'beneventana' e le sue potenzialità espansive, aveva fatto leva sul momento più intensamente creativo e caratterizzato da quelle esperienze (affreschi di Santa Sofia a Benevento e di S. Vincenzo al Volturno), le cui dirompenti novità egli vedeva poggiare, in sintonia con Francovich (1955), su premesse siro-palestinesi. Belting (1967), invece, è sembrato preoccupato piuttosto di restituire la trama di un'autoctona tradizione pittorica regionale, rivendicandone l'indipendenza da Roma e dal mondo carolingio, ma nella più vasta cornice del progressivo costituirsi di una frühitalienische Tradition, fondata su radicali tardoantiche permeate di apporti bizantino-costantinopolitani, alla cui definizione avrebbe partecipato autonomamente anche l'Italia settentrionale, già longobarda e poi carolingia. Senonché, nel legittimo intento di liberare il discorso dalla condizionante ipoteca 'cassinese', lo studioso tedesco ha finito per dilatare eccessivamente i confini cronologici e linguistici del movimento, riconducendo al suo interno, con palesi forzature, opere nelle quali la critica ha giustamente colto fermenti di altra natura (Thiery, 1969; Carotti, 1974; Zuccaro, 1977).Il dibattito successivo ha per lo più oscillato tra questi due poli, malgrado la riproposizione di vecchi argomenti (Cilento, 1966) e il tentativo, non sufficientemente motivato, di spostare verso Roma il centro di gravitazione degli affreschi di S. Vincenzo al Volturno (de' Maffei, 1973; 1985). Mentre gli studi di Rotili (1967; 1978) e di Bertelli (1975) sulla miniatura e quelli di Cavallo sulla cultura letteraria (1975; 1987) e sulla liturgia (1973) confermavano, con varie sfumature, i tratti distintivi della Longobardia Minore, a dare più forza alla tesi 'beneventana' sono venuti negli ultimi anni importanti ritrovamenti di affreschi a Matera, nella c.d. cripta del Peccato originale, a Seppannibale (Bertelli, 1990), a Monte Sant'Angelo (D'Angela, 1980), nella stessa S. Vincenzo al Volturno (Mitchell, 1982; Hodges, Mitchell, 1983; Mitchell, 1985). Resta invece aperta la questione dei rapporti tra Benevento e l'Italia settentrionale, che ha visto schierati su opposti fronti Rotili (1967; 1978), allineato alle posizioni di Bologna (1962; 1966), e Bertelli (1983) - affiancato da Hodges e Mitchell (Mitchell, 1982; Hodges, Mitchell, 1983; Mitchell, 1985) -, sostenitore di una direttrice di scambio N-S, nel presupposto di una datazione del ciclo di Santa Sofia dopo l'847.Ricondotta nei limiti suoi propri, cronologici e di campo, la nozione di arte 'beneventana', è stato possibile anche ridefinire, con maggiore aderenza al reale svolgimento dei fatti, il peso del secondo termine del binomio, quello 'cassinese'. Si è trattato, in buona sostanza, di valutare natura e conseguenze della vicenda culturale che, nella mutata congiuntura storica del sec. 11° e di fronte alla crisi dei principati longobardi, vede emergere con ruolo di assoluta protagonista l'abbazia di Montecassino (Bloch, 1986), partecipe di un complesso disegno politico-religioso ispirato dalla Chiesa riformata di Roma e sostenuto militarmente dai Normanni. La grandiosa opera di ricostruzione dell'abbazia e le iniziative in tutti i settori della cultura promosse da Desiderio, sullo slancio dell'opera già avviata dai predecessori Atenulfo (1011-1022) e Teobaldo (1022-1035), tuttavia con una lucidissima progettualità che ne rese più incisiva l'azione, fissarono una sorta di paradigma, al quale - se non proprio negli stretti termini di 'scuola' - guardarono le regioni finitime, in modo particolare la Campania (D'Onofrio, Pace, 1981) e l'Abruzzo (Carbonara, 1979). Se molti problemi critici restano tuttora insoluti - tra i più dibattuti, quello dei complessi rapporti tra Roma e Montecassino (Bertelli, 1990) e l'altro relativo all'incidenza dell'arte costantinopolitana e di quella ottoniana -, le ricerche hanno sostanzialmente confermato le linee di fondo della costruzione critica che dell'età desideriana prospettò a suo tempo Bertaux (1903). Il duomo di Salerno, la chiesa di Sant'Angelo in Formis, quella di S. Liberatore alla Maiella, per citare solo gli episodi più rappresentativi e di più individuata fisionomia, sono indiscussi testimoni di una nuova stagione artistica che, almeno fino agli inizi del sec. 12°, ha in Montecassino il suo condizionante punto di riferimento.
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