BIZANTINA, Arte
L'impero bizantino nacque quando Costantino trasferì la sede del governo imperiale da Roma a Bisanzio, antica città greca sul Bosforo ribattezzata Costantinopoli e consacrata nuova capitale nel 330, ed ebbe termine nel 1453, quando la città venne conquistata dai Turchi. In fatto di storia dell'arte, peraltro, i limiti cronologici non sono sempre definibili con altrettanta precisione.
Costantinopoli assunse una propria identità artistica non prima della fine del sec. 4°, entrando in competizione con le antiche metropoli del Mediterraneo orientale (Efeso, Antiochia, Alessandria), importanti centri di produzione artistica sin dall'epoca ellenistica. Anche il secondo limite cronologico è tutt'altro che netto: durante tutto l'ultimo secolo di esistenza dell'impero si produssero solo poche opere d'arte di una certa importanza entro i confini di un territorio che andava drasticamente riducendosi. D'altro canto, le tradizioni bizantine continuarono a essere mantenute in vita per secoli dopo il 1453 sotto la tutela della Chiesa ortodossa, sia nell'arte prodotta da regioni che avevano già fatto parte dell'impero sia nei paesi slavi che originariamente erano stati evangelizzati da Bisanzio.Anche le coordinate geografiche entro cui si svolse la storia dell'arte b. eludono una precisa definizione. Cuore del dominio bizantino era il territorio che può andare genericamente sotto il nome di regione dell'Egeo (Grecia, Asia Minore occidentale e isole egee), area da cui la capitale poté trarre in un primo momento linfa vitale e che a sua volta diventò strettamente dipendente dagli sviluppi culturali di Costantinopoli. Prima dei fatali decenni del sec. 7°, quando l'impero, che aveva già cessato di esercitare il proprio controllo su gran parte dell'Occidente latino, perse i suoi domini orientali e meridionali a opera degli Arabi, l'intero mondo mediterraneo era ancora unitario, almeno dal punto di vista culturale. Per quanto riguarda in particolare l'arte, essa è da considerarsi bizantina fino a quando, soprattutto in Italia ma anche in Siria, Egitto e Africa settentrionale, rimane legata a impulsi provenienti da Costantinopoli. Nei secc. 9° e 10°, con la nuova espansione territoriale, in particolare nei Balcani e nell'Italia meridionale, e con la penetrazione del cristianesimo ortodosso nei paesi slavi (Bulgaria, Serbia, Russia), il territorio di fioritura dell'arte b. si allarga ancora una volta notevolmente intorno al nucleo centrale, costituito dalla regione dell'Egeo. Fino a che punto le popolazioni slave, da poco cristianizzate, siano riuscite a far emergere peculiarità culturali loro proprie è stato a lungo oggetto di dibattito, come lo sono state le reciproche influenze tra capitale e province dell'impero. Ma resta indubbio che le radici dell'arte dell'intera, vasta area in cui il cristianesimo ortodosso divenne religione ufficiale si trovavano a Bisanzio.Tuttavia, lo scenario entro cui si deve muovere lo storico dell'arte b. è più vasto di quello appena delineato. Il prestigio goduto dall'impero bizantino e dalla sua arte nel mondo medievale è di fatto enorme. In Italia, in modo particolare, ma anche Oltralpe, ci furono periodi in cui prototipi 'greci' vennero sistematicamente presi a modello, talvolta con la mediazione di maestranze provenienti dall'Oriente o ingaggiate espressamente in area bizantina.
Rispetto alla storia dell'arte medievale dell'Occidente, in cui si susseguirono attraverso i secoli una serie di grandi rivolgimenti, le variazioni e l'evoluzione che ebbero luogo nello stesso momento nell'arte b. furono di gran lunga meno sensibili. Esisteva nell'Oriente greco un conservatorismo di base che agli occhi di un osservatore esterno sembra rasentare la mummificazione. Questo per ragioni complesse. Un importante fattore è la coscienza, da parte dei Bizantini, di essere Rhomáioi, veri, legittimi eredi e custodi dell'ordine universale creato dai Cesari. Come tali, essi si sentivano in dovere di salvaguardare quanto ritenevano importante per difendere la cultura dell'Antichità in un mondo radicalmente cambiato, ove sussistevano circondati da popolazioni nuove e straniere. Altro basilare fattore è il controllo esercitato dalle autorità ecclesiastiche sull'attività degli artisti, più sensibile dopo la definitiva vittoria dell'ortodossia sull'eresia iconoclasta nel 9° secolo. I teologi riuniti al secondo concilio di Nicea (787) dichiararono che "dipingere icone non attiene all'invenzione del pittore, ma esprime un preciso fondamento e tradizione della Chiesa universale" (Mango, 1972, p. 172).Il conservatorismo, comunque, non riguardava solo le icone: si estendeva all'intera gamma delle attività artistiche, architettura compresa. Suo fondamento filosofico era un modo di concepire la forma sensibile profondamente radicato nella metafisica neoplatonica.Ciononostante, si assistette nel corso dei secoli a importanti sviluppi.Nella storia dell'arte b. si è soliti individuare tre grandi periodi: paleobizantino, mediobizantino e tardobizantino. Naturale confine tra i primi due è la controversia iconoclasta (726-843), mentre il periodo tardobizantino è segnato, all'avvio, dalla quarta crociata e dalla conseguente occupazione latina di Costantinopoli (1204-1261).Il momento culminante del primo periodo è costituito dalla prima parte del regno di Giustiniano (527-565), quando vennero innalzati alcuni dei più famosi monumenti dell'arte bizantina. Ma anche l'arco di tempo che copre i due secoli successivi, fino all'insorgere dell'iconoclastia, rappresenta una fase di grande importanza. Sebbene l'arte prodotta nel tardo sec. 6°, nel 7° e nel principio dell'8° non appaia unitaria, fu allora che si crearono le basi che avrebbero determinato il carattere dell'arte b. del pieno Medioevo.L'arte mediobizantina è comunemente divisa in due fasi, che traggono il loro nome dalle dinastie che si succedettero al vertice dell'impero: i Macedoni e i Comneni. Durante la c.d. rinascenza macedone furono prodotte opere a carattere enfaticamente antichizzante e fu nel sec. 11°, sotto gli ultimi Macedoni e i primi Comneni, che l'arte b. raggiunse la sua piena maturità.L'arte del periodo tardobizantino, anch'essa spesso indicata con il nome della dinastia regnante, quella dei Paleologi, è caratterizzata da un'altra rinascenza, cronologicamente localizzata nel primo cinquantennio ca. dopo la riconquista di Costantinopoli del 1261.Per quel che riguarda i due intervalli di tempo che separano questi grandi periodi, il primo - l'iconoclastia - ebbe una diretta conseguenza sulle arti figurative, proscrivendo la rappresentazione di soggetti religiosi. Benché l'attività artistica non sia certo cessata di colpo, solo pochi monumenti di quest'epoca si sono conservati, così che appare difficile formarsi un quadro coerente di ciò che venne prodotto nel periodo e di ciò che esso può aver significato per le fasi successive dell'arte bizantina.Anche la conquista latina del 1204 fu causa di un radicale rivolgimento; almeno per Costantinopoli, essa determinò infatti una pressoché totale interruzione della produzione artistica. Tuttavia nelle aree rimaste in mano greca (gli imperi di Nicea e Trebisonda, il despotato dell'Epiro), nonché nei limitrofi regni slavi di Serbia e Bulgaria, le tradizioni bizantine furono non solo mantenute ma anche incrementate. Vista nel suo insieme, l'arte del sec. 13° in queste regioni costituisce non tanto un preludio alla rinascenza paleologa quanto di fatto la sua prima fase.
L'arte godeva a Bisanzio di una posizione sociale dominante, assai più di quanto non avvenisse in Occidente. Ciò si deve, in parte, al fatto che a partire da Costantino e quindi senza soluzione di continuità attraverso i secoli gli imperatori, fedeli alla loro immagine di legittimi eredi e successori dell'antica Roma, fecero largo e consapevole uso dell'architettura e delle arti figurative per manifestare davanti al mondo il loro potere, prestigio e opulenza. Il fattore più importante resta peraltro il loro profondo coinvolgimento con il pensiero e la pratica religiosa: e di fatto lo stesso Costantino si considerò rappresentante di Cristo sulla terra. Venne così a crearsi una concezione ideologica dell'impero terreno secondo la quale questo è riflesso di quello celeste e viceversa. All'imperatore spettava l'altissimo compito della definizione e della tradizione della fede ortodossa nonché della sua difesa contro le eresie e l'arte era un importante mezzo per proclamare e rendere tangibili le verità cristiane su cui si basava l'ordinamento sociale.Il fenomeno che più chiaramente e drammaticamente di ogni altro dimostra la centralità dell'arte sacra nella società bizantina è la controversia iconoclasta, per più di un secolo tema politico del massimo rilievo. Nulla di simile si verificò mai in Occidente. La proscrizione delle immagini da parte del governo imperiale è solo l'espressione negativa del suo profondo coinvolgimento con le immagini stesse, largamente incrementato dagli imperatori del precedente secolo e mezzo, mentre negli strati popolari la fiducia nelle immagini di Cristo, della Vergine e dei santi quali garanti della presenza divina e mediatori della grazia celeste era parte integrante della vita quotidiana. La sconfitta dell'iconoclastia comportò nel sec. 9° la conferma e la restaurazione dell'arte nel suo ruolo di testimone indispensabile ed espressione concreta della fede che governava l'universo.In fatto d'arte i più importanti mecenati erano gli imperatori. Nel periodo paleobizantino Costantino e, dopo di lui, Giustiniano si distinsero come fondatori di edifici monumentali esercitando inoltre la loro azione promotrice in modo sistematico e deciso in tutto l'impero. Ma anche allora chi beneficiò della committenza imperiale fu soprattutto la capitale sul Bosforo e il fenomeno appare anche più marcato nei periodi successivi, quando il territorio governato da Costantinopoli è ampiamente ridotto. Tra gli imperatori del periodo mediobizantino, sono da citare Basilio I, fondatore della dinastia macedone, Costantino IX, nel sec. 11°, Giovanni II Comneno, nel 12°, ricordati come costruttori e restauratori di chiese e monasteri, ma anche come donatori o destinatari di libri sontuosamente miniati o di altri preziosi oggetti. Si ricordi inoltre Costantino VII, nipote di Basilio I, egli stesso pittore e conoscitore di tecniche artistiche.Dal canto loro, i dignitari della corte imperiale (come per es. Costantino Lips nel sec. 10° e Teodoro Metochite nel 14°) emularono gli imperatori nel fondare chiese e decorarle riccamente, anche in centri distanti dalla capitale, come Salonicco e Cipro. Notevole importanza ebbe pure la committenza esercitata da membri femminili dell'aristocrazia, come Anicia Giuliana (inizio sec. 6°). In ogni caso il lusso e la superba qualità artistica delle opere da loro commissionate riflettono lo status e l'esigente personalità di tutti questi mecenati altolocati.Relativamente poco spazio appare concesso, invece, dal sistema politico assolutistico e centralizzato di Bisanzio a due importanti categorie di committenti dell'Occidente medievale: signorie locali e alti prelati. Occorre tuttavia ricordare il nome di Fozio, patriarca di Costantinopoli nel periodo della restaurazione delle immagini dopo l'iconoclastia, a cui è stato attribuito un ruolo di primaria importanza nell'ispirazione e nella committenza di decorazioni pittoriche, così di chiese come di codici miniati.Una considerevole attività artistica si sviluppò attraverso i secoli anche a un livello inferiore a quello dell'élite della capitale; vescovi e aristocrazia locale contribuirono infatti a loro volta alla costruzione e alla decorazione di chiese. Soprattutto nel periodo mediobizantino divenne pratica comune la fondazione di chiese e monasteri privati da parte di laici, come pure la produzione di icone devozionali, evangeliari e salteri, miniati per conto di semplici preti, monaci o singoli fedeli. Nel mondo bizantino rimane comunque sempre presente, tanto tra i più alti ranghi sociali quanto a livello popolare, una forte richiesta di ogni genere di ornamento personale e dei più vari oggetti decorativi di uso domestico. Oggetti di questo tipo, realizzati in materiali pregiati, fungevano da prototipi per altri di minor valore; in molti casi pezzi di gioielleria bizantina rientrano nella tipologia degli amuleti.Alcune tecniche artistiche trovarono particolare favore nella società bizantina. Il medium figurativo per eccellenza fu senz'altro il mosaico, preminente nella decorazione di chiese e palazzi e già nel Medioevo ritenuto tipico del mondo greco. Presentando figure del tutto smaterializzate su uno scintillante fondo dorato, esso costituiva di fatto la totale antitesi ai rilievi e alla statuaria in marmo, associati all'idolatria pagana. In forma miniaturizzata, lo si ritrova utilizzato, nei periodi medio e tardobizantino, anche per realizzare pregiate icone per ricchi committenti.In ogni caso, tanto per la decorazione parietale quanto per le icone, la pittura fu comunque la tecnica più comunemente utilizzata, mentre il libro miniato godette di una fortuna crescente nei secoli successivi all'iconoclastia, essendo l'opera del miniatore utilizzata per illustrare testi non solo sacri ma anche profani.Assai sviluppata fu anche l'attività di orafi e argentieri. Già nei primi secoli l'amministrazione imperiale esercitava il controllo sulla qualità dell'argento: si sono conservati molti vasi e utensili, sia liturgici sia di uso profano, con serie di marchi ufficiali. Nel periodo mediobizantino gli orafi costantinopolitani divennero abilissimi nell'applicare smalti cloisonnés a oggetti liturgici e a gioielli. Un'altra tecnica nella quale i Bizantini eccelsero fu l'intaglio dell'avorio: il prezioso materiale era talvolta sostituito da osso e, negli ultimi secoli, da steatite. Dall'Antichità venne ereditata l'arte di foggiare gemme da minerali semipreziosi; si crearono cammei o intagli recanti per lo più l'immagine di Cristo, della Vergine o di santi.Infine, tra le arti suntuarie che fiorirono a Costantinopoli si distingue la produzione di tessuti di seta, decorati e spesso anche figurati, un'industria strettamente controllata e in parte diretta dall'amministrazione imperiale. Negli ultimi secoli, per adornare vesti liturgiche e paramenti d'altare fu impiegato largamente il ricamo.In generale, gli artisti bizantini erano considerati alla stregua di artigiani e restano per lo più anonimi. Il sistema corporativo, altamente sviluppato, comprendeva certamente orafi e argentieri, artigiani della seta e forse anche pittori e scultori. La produzione dei manoscritti era concentrata negliscriptoria, tra cui il più famoso è quello appartenente al monastero di S. Giovanni di Studio a Costantinopoli, restando peraltro non chiarito se i miniatori vi lavorassero con impiego permanente o meno.Un caso del tutto insolito è quello del c.d. Menologio di Basilio II (Roma, BAV, gr. 1613), codice imperiale di altissima qualità ornato da quattrocentotrenta miniature, ciascuna firmata da uno degli otto artisti che vi collaborarono. Tra questi spicca il nome di Pantaleone, ricordato anche come pittore di icone.Pochi artisti raggiunsero una fama tale da determinare il ricordo delle loro opere nella letteratura bizantina. È il caso di Antemio di Tralle e Isidoro di Mileto, gli architetti della Santa Sofia giustinianea, celebrati in scritti contemporanei come abilissimi ingegneri. Tra i pittori, Lazzaro, perseguitato dagli iconoclasti, ebbe nel sec. 9° una certa rinomanza, mentre l'opera di Eulalio, vissuto nel sec. 12°, fu encomiata da vari autori.Sono noti inoltre i nomi di alcuni frescanti del periodo tardobizantino che firmarono le loro opere, come Michele Astrapas ed Eutichio, che decorarono numerose chiese nella Macedonia iugoslava, o Manuele Eugenikos, costantinopolitano, che lavorò in Georgia. Fonti russe hanno tramandato invece il nome di Teofane 'il greco', pittore che raggiunse grande prestigio a Novgorod e a Mosca.
Gli ideali estetici bizantini trovarono la loro piena realizzazione negli edifici religiosi del periodo mediobizantino, con i loro interni decorati da un insieme perfettamente coerente di immagini musive o dipinte. Ed è analizzando in particolare queste opere che è possibile comprendere l'essenza della civiltà artistica bizantina.Tra i monumenti di questo tipo primeggiano tre chiese greche del sec. 11°, la cui decorazione musiva è giunta in gran parte intatta: Osios Lukas, la Nea Moni sull'isola di Chio e Dafni. Dalle forme di queste chiese il potere trascendente di Cristo viene reso presente e manifesto come da quella liturgia eucaristica di cui l'edificio costituisce la cornice. Costruite su pianta centrale cupolata, esse sono 'figura' dell'universo: un universo cristiano, con la divinità incarnatasi in Cristo che compare alla sommità della cupola. Il cielo è aperto, non realisticamente - come nel Quattrocento italiano, in opere come la Camera degli sposi di Andrea Mantegna a Mantova - ma neppure in modo puramente simbolico. Il Pantocratore è una presenza reale, che domina l'intero ambiente. Sotto di essa sta la sua 'corte', ospitata in spazi definiti e sistemata in ordine gerarchico. Formata da angeli, profeti, apostoli, martiri, santi, questa 'corte' possiede una dimensione non solo spaziale ma anche temporale: visualizza stadi successivi del preordinato piano salvifico del Signore. Passaggio cruciale della storia della salvezza è l'Incarnazione: e di fatto la Vergine Maria, strumento per mezzo del quale il Verbo fu fatto carne, compare nella conca absidale al di sopra dell'altare, dove il mistero dell'Incarnazione è presente nel sacrificio eucaristico. Alternate alla serie di figure isolate, sotto il Pantocratore, sono le scene che riassumono la vita terrena di Cristo; note come 'ciclo delle Feste', esse rappresentano i principali eventi commemorati nel calendario liturgico. Ne consegue, in altre parole, che la vita del Salvatore non è qui illustrata come storia passata ma, al contrario, come storia che si rinnova perennemente nella liturgia.È appunto come una presenza vivente che questo sistema di figure e scene deve essere globalmente inteso. Il suo principale proposito non è quello di narrare il passato per istruire gli illetterati; già con la loro stessa presenza, o piuttosto con la loro facoltà di evocare la presenza delle persone e degli eventi da esse raffigurati, le immagini dichiarano il significato dell'edificio e dell'azione liturgica che vi si svolge. Nel sec. 8° il patriarca Germano scrisse nel suo Commentario liturgico: "La chiesa è il cielo terreno in cui risiede il Dio celeste [...], è prefigurata dai patriarchi, preannunciata dai profeti, fondata dagli apostoli, testimoniata dai martiri e ornata dai Padri della Chiesa" (Borgia, 1912). Questo è ciò che l'edificio arrivò a significare in se stesso, in quanto edificio, a prescindere dalla sua decorazione pittorica, la quale a sua volta, con i programmi decorativi sviluppati o più esattamente perfezionati nel periodo mediobizantino, rese tale significato esplicito e tangibile.Alla base di una simile concezione dell'architettura e dell'arte sta la convinzione che il mondo sensibile rispecchia quello intellegibile e che la forma percepita attraverso i sensi è pertanto capace di indirizzare l'uomo verso la sfera del soprannaturale e quindi verso Dio. Una teoria anagogica, derivata dalla filosofia neoplatonica, che restò a lungo familiare al pensiero cristiano orientale, grazie alla grande influenza di quel mistico del sec. 5° che celò la sua identità attribuendo la propria opera a Dionigi l'Areopagita, discepolo ateniese di s. Paolo. "Gli esseri e gli ordinamenti che stanno al di sopra di noi - scrive lo pseudo-Dionigi - sono incorporei e la loro gerarchia appartiene alla sfera dell'intelletto e trascende il nostro mondo. D'altra parte, l'ordinamento umano che noi vediamo è pieno della molteplicità dei simboli visibili, attraverso i quali siamo ricondotti, risalendo la gerarchia secondo le nostre capacità [...], a Dio e alla virtù divina. Essi [...] ragionano come puri intelletti mentre noi siamo guidati, per quanto possibile, attraverso le immagini visibili alla contemplazione del divino" (De eccl. hier., I; PG, III, col. 373 A-B). Lo pseudo-Dionigi non scrisse questo passo pensando in modo specifico all'arte, ma il riferimento fu presto colto da altri autori, al punto che durante la controversia iconoclasta il suo pensiero divenne testimonianza basilare a favore delle immagini.La chiesa, dunque, è un 'cielo terreno' e il prevalere della pianta centrale cupolata - che contraddistingue l'architettura religiosa bizantina nei confronti di quella occidentale - non può essere compreso senza tenere conto di quella specifica concezione mistica, secondo cui le forme materiali sono in grado di riflettere il mondo invisibile. Per spiegare la suddetta peculiarità architettonica sono stati chiamati in causa anche altri fattori, come taluni aspetti della pratica liturgica ortodossa o la persistenza della tradizione, ereditata dall'Antichità, che associava le piante centrali a memoriae e martyria. Ma nessuna delle due tesi è sufficiente a spiegare perché nelle chiese bizantine l'assemblea sia raccolta in uno spazio cupolato e statico che, al contrario di quanto avviene nella basilica, non invita al movimento il fedele che vi entra. Già nei secc. 6° e 7° alcuni autori avevano interpretato l'architettura della chiesa come cosmo fisico; al periodo mediobizantino spettò dare forma concreta all'idea del cosmo governato da Cristo.Lo stile della pittura bizantina, quale si codificò in questo periodo, si accorda particolarmente con la funzione delle immagini all'interno della chiesa, grazie al mirabile equilibrio allora raggiunto tra naturalismo e stilizzazione geometrica. Le figure sono nettamente definite da forti contorni e articolate secondo un sistema lineare di intensa vitalità che descrive forme organiche rese pienamente corporee attraverso l'uso del modellato e della lumeggiatura derivati dal retaggio tecnico e artistico dell'Antichità. Allorché figure così realizzate compaiono sui muri di una chiesa - e con maggiore evidenza là dove sono eseguite a mosaico - esse costituiscono parte integrante delle pareti e di conseguenza di quel 'cielo terreno' che è la loro dimora. Ma al tempo stesso se ne distaccano condividendo lo spazio con noi osservatori.Nella composizione si raggiunse un simile equilibrio conciliando l'eterno con il transeunte. Le figure tendono bensì a essere disposte, a coppie o in gruppi, ai lati di un asse centrale, ma le irregolarità e le divergenze evitano il crearsi di un'eccessiva simmetria. Così pure le emozioni talvolta espresse dai personaggi appaiono rigorosamente trattenute così da raggiungere una complessiva aura di serenità e calma aristocratica.
La classica formulazione architettonica e decorativa raggiunta nelle grandi chiese del sec. 11° può essere presa a riferimento per identificare i punti-chiave dell'evoluzione artistica bizantina.Nei primi secoli la pianta basilicale risulta predominante, anche se spesso si coglie una forte tendenza allo spazio centralizzato; ne è testimonianza la sintesi vigorosa e mai più ripetuta tra pianta longitudinale e schema centrale raggiunta nella Santa Sofia giustinianea. Fu nei secoli successivi, tra il 7° e il 9°, che la tipologia di chiesa a pianta centrale cupolata venne a prevalere, costituendo da allora in poi la norma nel mondo ortodosso.Per ciò che riguarda l'iconografia cristiana, essa emerse dalla sua fase germinale esattamente nel momento in cui venne fondata Costantinopoli e l'area del Mediterraneo orientale si trovò a svolgere un ruolo fondamentale, anche per gli sviluppi storici successivi. Seguendo il modello dell'arte imperiale romana, si crearono rappresentazioni del trionfo di Cristo o della sua 'corte', con il relativo cerimoniale, nonché lunghi cicli storici aventi per soggetto episodi biblici. Tali cicli furono impiegati sia per illustrare testi sacri sia per la decorazione parietale delle chiese. Vennero invece generalmente evitate, nei primi secoli, rappresentazioni isolate di Cristo o di altri personaggi che, venerate nei punti focali della chiesa, avrebbero potuto essere ritenute l'equivalente di una statua di culto in un tempio pagano. Ma anche sotto questo aspetto, come in architettura, l'età postgiustinianea portò mutamenti decisivi. Le figure isolate e in posizione stante non avevano, in realtà, mai cessato di esistere nella ritrattistica e in questo periodo di crisi la richiesta di pitture portatili raffiguranti Cristo o i santi crebbe con ritmo costante. Si assistette così alla nascita dell'icona, che da allora in poi avrebbe ricoperto un ruolo centrale nella vita del cristianesimo ortodosso. Divennero ben presto parte del programma decorativo delle chiese le icone-ritratto, eseguite in pittura o a mosaico e poste per lo più ad altezza d'uomo, perché fossero alla portata dei fedeli, oppure sistemate in splendido isolamento nell'abside. Prese forma in questo modo un elemento essenziale per quello che era destinato a divenire il sistema decorativo delle chiese nel periodo mediobizantino. Sempre in età postgiustinianea fece la sua comparsa anche uno speciale ciclo di scene destinate a riassumere la vita di Cristo in un numero ristretto di episodi opportunamente scelti. Associato da principio a piccoli oggetti utilizzati come amuleti, esso fu il precursore del più tardo 'ciclo delle Feste'. Accanto a esso, le storie bibliche continuarono a essere rappresentate, nel periodo mediobizantino, in lunghe serie di scene, soprattutto nell'illustrazione libraria, ma talvolta anche in cicli parietali. In quest'ultimo contesto cominciò a prendere maggiore spazio, dopo il sec. 11°, l'elemento narrativo, con il dispiegarsi di episodi secondari del Nuovo Testamento e qui in particolare della Passione, come pure di storie apocrife della vita di Cristo e della Vergine o di leggende di santi. In tal modo il criterio di economia, che aveva caratterizzato il sistema iconografico bizantino nella sua fase classica, appare via via sempre meno rigorosamente rispettato. Un'altra particolarità della decorazione delle chiese negli ultimi secoli è l'intima relazione con la liturgia, che da implicita, come era stata per lo più in precedenza, diviene del tutto esplicita. Possono per es. comparire nell'abside santi vescovi nell'atto di celebrare la messa con un Gesù Bambino, in posizione supina, in luogo dell'ostia, mentre il Pantocratore, nella cupola, è raffigurato spesso circondato da angeli che celebrano la 'liturgia celeste'.Prima di passare a considerare anche dal punto di vista stilistico il percorso millenario appena delineato, è necessario riassumere a grandi linee l'evolversi dell'arte profana, una prospettiva per cui è essenziale la produzione artistica promossa dalla corte imperiale, anche se le opere conservate sono in questo caso in numero assai minore. Ben poco resta dell'architettura e della decorazione dei palazzi imperiali di Costantinopoli, per la cui ricostruzione occorre rifarsi largamente alle fonti scritte. Frammenti di colonne onorarie, archi trionfali e statue, così come oggetti in avorio o in argento con figurazioni a rilievo, stanno a dimostrare che nei primi secoli continuò a fiorire nella nuova capitale il patrimonio iconografico elaborato nell'antica Roma per l'esaltazione del potere e delle vittorie degli imperatori. Anche per il periodo mediobizantino si ha notizia di decorazioni musive all'interno di palazzi, celebranti le gesta dell'imperatore regnante. Ma anche nell'arte imperiale, come in quella religiosa, i più importanti cambiamenti si ebbero nell'età postgiustinianea: da allora in poi si preferì mettere l'accento sulla fedeltà dei sovrani a Cristo piuttosto che sulla loro autorità assoluta sulla terra. Nel periodo mediobizantino, la loro immagine ricorre spesso, nelle chiese come su manoscritti a contenuto religioso, di preferenza al cospetto di Cristo, della Vergine o di un santo piuttosto che in autonome rappresentazioni di maestà. Nel Crisotriclinio del Grande Palazzo - la sala del trono cupolata costruita da Giustino II (565-578) - l'imperatore sedeva sotto la raffigurazione di Cristo in trono; dopo l'iconoclastia la sala ricevette una decorazione analoga a quella dei coevi edifici religiosi. L'originaria decorazione del palazzo comprendeva tuttavia anche temi aulici profani. Ne sono testimonianza il magnifico mosaico pavimentale, forse del sec. 7°, ricco di scene bucoliche e di genere, scoperto in situ, come, più tardi, gli automi - leoni ruggenti, uccelli canori posati su alberi - che fiancheggiavano il trono imperiale e la cui memoria è stata tramandata da fonti letterarie. Anche per quanto concerne l'illustrazione libraria, l'incidenza di soggetti profani è stata molto rilevante. Sussistono codici riccamente miniati delle opere di scrittori antichi concernenti l'astronomia, la medicina o altre discipline scientifiche, come pure di cronache o romanzi, come quello di Barlaam e Iosafat. Scene della mitologia greca rivivono nelle illustrazioni del commento dello pseudo-Nonno alle Omelie di Gregorio Nazianzieno. I temi della mitologia, comunque, sono per lo più associati ad alcune categorie di oggetti suntuari comparendo di frequente su avori o argenti del periodo paleobizantino. Prodotti tipici della rinascenza macedone sono le cassettine d'avorio decorate da singole figure o gruppi tratti dalla mitologia greca, estrapolati dal contesto originario e scelti unicamente per le loro valenze estetiche e il loro sapore antichizzante. Nello stesso periodo si diffuse peraltro ampiamente, nell'alto artigianato artistico, anche la moda dei motivi orientali di origine iranica o islamica: ne sono esempi cospicui le sontuose sete prodotte nei laboratori imperiali.Gli sviluppi stilistici dell'arte b. attraverso i secoli si possono meglio riassumere prendendo in esame la produzione pittorica. Un fattore-chiave fu la persistente vitalità di concezioni e tecniche ereditate dall'Antichità, prima fra tutte l'idea della figura umana come organismo animato. Molti degli accorgimenti elaborati, nel periodo ellenistico, per creare l'illusione di una forma tridimensionale avvolta dalla luce e dall'atmosfera, sopravvissero, soprattutto grazie alla mediazione dell'arte romana, anche se per lo più si tratta di accorgimenti impiegati ormai in modo del tutto meccanico, quasi fossilizzati. Tuttavia vi furono anche, particolarmente nelle epoche di rinascenza, consapevoli ritorni a modelli antichi o, più spesso, a modelli che a loro volta riprendevano prototipi antichi. Fino all'età macedone, opere d'arte profana di soggetto antichizzante mantennero una naturale tendenza a conservare le forme date loro dai primi ideatori rivestendo pertanto un ruolo notevole come veicoli della tradizione artistica antica.In ogni caso, l'interesse per la rappresentazione di forme organiche e animate appare costantemente contrastato, come già nell'arte romana a partire dal periodo antonino, da forze di segno opposto: la necessità di dare un'immagine solenne del potere, dell'autorità e dell'ordine; il desiderio di comunicare messaggi nel modo più diretto possibile, tralasciando ogni elaborato descrittivismo; soprattutto la sempre maggiore coscienza dell'esistenza di un mondo al di sopra e al di là di quello sensibile. Tutto questo conduceva all'astrazione, alla geometrizzazione e alla smaterializzazione delle forme.Per tutto il sec. 4° e il 5° le due forze opposte furono in latente o aperto conflitto. Una prima, potentissima sintesi fu raggiunta nei primi decenni del regno di Giustiniano, ma si trattò di un equilibrio di breve durata. Nel secolo successivo si arrivò a punte di astrazione e di distacco dalla realtà, rappresentate per es. dalle figure di santi, sottili e spiritate, tipiche di alcune delle icone-ritratto allora in voga. Ma anche il sec. 7° vide compiuti sforzi notevoli, tesi a conservare e reintrodurre elementi stilistici di origine ellenistica allontanando il pericolo di una totale scomparsa della concezione della figura umana propria all'antichità classica.Il più profondo e consapevole ritorno alle forme antiche dell'intera storia dell'arte b. fu quello che ebbe luogo dopo l'iconoclastia, all'epoca della rinascenza macedone, come si può osservare nell'illustrazione libraria e in altre arti di lusso. I testi decorati da queste miniature pseudo-antiche presentano anche ornamentazioni di origine iranica altamente stilizzate e lo stesso gusto islamizzante informa anche i tessuti serici.Fu solo nel sec. 11° che si raggiunse uno stabile equilibrio tra naturalismo e astrazione, soprattutto nei già menzionati grandi esempi di decorazione musiva. L'ideale estetico che pervade queste opere emblematiche dell'arte monumentale b. è lo stesso che, mutatis mutandis, emerge anche nelle arti minori del sec. 11°, particolarmente in una serie di codici miniati ove la decorazione pittorica si integra alla struttura grafica della pagina, allo stesso modo in cui, nel medesimo periodo, figure e scene si integrano all'architettura. In questi manoscritti, illustrazioni e ornamentazioni cessano di essere entità separate, mentre nella pittura si riduce drasticamente il peso delle reminiscenze dell'antico e tanto le illustrazioni quanto l'ornamentazione risultano bilanciate con la scrittura. Caratteristica di questo periodo è la nascita del c.d. style mignon, con le sue sottili, minuscole ma agilissime figure. Noto soltanto nell'ambito dell'illustrazione libraria, questo fenomeno tradisce un chiaro desiderio di equiparare la miniatura alla scrittura.Con il sec. 12° emersero nuove tendenze. Si cercò di superare il freno all'espressione dei sentimenti caratteristico della più antica pittura bizantina. Nei cicli della Passione di Cristo, ora sempre più ampi, i personaggi esprimono liberamente il proprio dolore. Si registra quella crescente tendenza verso gli effetti 'drammatici' che condusse allo stile 'dinamico' dell'età tardocomnena, con la sua accentuata vivacità e agitazione, e, successivamente, allo stile 'volumetrico' del sec. 13°, quando peso e massa ebbero decisamente il sopravvento sulla rappresentazione bidimensionale. All'inizio del periodo paleologo i tempi erano ormai maturi per un nuovo e generalizzato ritorno a motivi e accorgimenti stilistici di derivazione ellenistica.
L'arte b. ha goduto di grandissimo prestigio nel mondo occidentale, per tutto il Medioevo. Tra le molteplici ragioni del fenomeno due sono fondamentali: la connessione tra l'arte e l'impero della Nuova Roma - con tutto ciò che questo implicava per tradizione, potenza e ricchezza - e il fatto che certi valori essenziali dell'arte dell'Antichità si erano conservati e continuavano a vivere a Bisanzio.Tra i paesi occidentali l'Italia fu quello che di gran lunga intrattenne i rapporti più intensi e profondi con l'arte b., trasmettendone in gran parte la conoscenza al mondo transalpino. Ravenna nel sec. 6°, la Roma papale nel 7° e all'inizio dell' 8°, parte della Calabria e della Puglia nel sec. 11°, furono veri e propri avamposti dell'impero d'Oriente.Potenti mecenati, come l'abate Desiderio di Montecassino, i dogi di Venezia, i re Normanni di Sicilia, si assicurarono l'opera di artisti e artigiani provenienti dal mondo greco. In qualche caso committenti italiani ordinarono opere d'arte a Costantinopoli. Nel periodo delle crociate e soprattutto dopo l'impresa del 1204 - in cui Venezia ebbe un ruolo di primo piano - molti artisti italiani si recarono in Terra Santa, dove si familiarizzarono con stile e tecniche bizantini, e quelli che rientrarono in patria esercitarono una profonda influenza soprattutto sulla pittura italiana del Duecento; del resto anche artisti francesi, tedeschi e inglesi presero parte a questa migrazione. Inoltre, lungo tutto il Medioevo, giunsero da Bisanzio in Occidente numerosi oggetti portatili e questo traffico si ampliò notevolmente al tempo delle crociate, come attestano le collezioni di cimeli bizantini tra cui la più ricca è quella del Tesoro di S. Marco a Venezia.L'influenza bizantina in Occidente è stata intensissima soprattutto nel campo della pittura, dalla decorazione monumentale all'illustrazione libraria; in architettura il riscontro è assai più circoscritto. Un caso a sé è quello della basilica di S. Marco a Venezia, un edificio programmaticamente modellato su un prototipo costantinopolitano (Ss. Apostoli) e divenuto a sua volta il modello per l'elaborato capocroce aggiunto nel sec. 12° alla chiesa di Saint-Front a Périgueux.Nelle arti figurative è bene distinguere tra le influenze iconografiche e quelle stilistiche, per quanto di fatto esse si trovino frequentemente associate. Da un punto di vista stilistico, prototipi greci ebbero un ruolo importante nella formazione di alcune delle maggiori scuole di miniatura carolinge. Almeno un artista greco risulta essere stato attivo alla corte di Carlo Magno e solo un greco può avere dipinto gli affreschi della piccola chiesa lombarda di S. Maria foris portas a Castelseprio, che probabilmente risalgono all'età carolingia.Un'iconografia di corte basata su quella costantinopolitana fu creata per gli imperatori germanici del periodo ottoniano, mentre hanno certamente origini bizantine molte particolarità tematiche degli estesi cicli neotestamentari dei manoscritti ottoniani. D'altro canto, i contatti di Montecassino con Bisanzio sotto l'abate Desiderio si avvertono in primo luogo in ambito stilistico.Un ampio bagaglio così di formule iconografiche come di accorgimenti stilistici provenienti dall'Oriente greco divenne accessibile agli artisti occidentali quando i dogi di Venezia e i re di Sicilia chiamarono in gran numero mosaicisti bizantini a decorare le loro chiese. Al di là delle Alpi sono state individuate due successive ondate di penetrazione bizantina nel sec. 12°, l'una connessa con l'arte della prima età comnena, l'altra con lo stile 'dinamico' della sua ultima fase; in ogni caso ciò che attrasse gli artisti dell'Europa centrale in quel periodo fu in primo luogo la capacità dei Bizantini di rendere la figura umana come un organismo autonomo e animato. L'interesse per l'arte b. era dunque focalizzato, ancora una volta, su questioni di stile e in particolare su aspetti che trovavano la loro origine nel persistente attaccamento dell'arte b. all'eredità antica. Fu questo un fattore di rilievo nel processo che portò, nei paesi transalpini, alla nascita delle caratteristiche immagini classiche del Gotico duecentesco.L'arte b. esercitò in Occidente l'ultima, vasta influenza sulla pittura italiana del Duecento e del primo Trecento. Il fatto che la pittura su tavola raggiungesse proprio allora la sua massima fioritura è già di per sé indicativo della forza di questo rapporto. Del resto, la pittura su tavola del Duecento italiano non è, in sostanza, che un adattamento delle icone bizantine alla funzione di pale d'altare. I temi privilegiati dell'arte delle icone, in primo luogo la Vergine con il Bambino, nella sua ampia varietà di pose, furono attentamente ripresi da artisti italiani, così come gli episodi della Passione (Compianto, Cristo 'passo'), carichi di una grande forza emotiva, messi a punto solo poco prima anche a Bisanzio. Dal punto di vista stilistico, gli influssi bizantini toccarono l'apice nei decenni intorno al 1300.In quanto a possibili influenze in direzione opposta, non è escluso che esse, frutto della migrazione verso Oriente di artisti occidentali all'epoca delle crociate, abbiano avuto anche precedentemente un qualche ruolo nella genesi dell'arte paleologa. Comunque lo stile, essenzialmente bizantino, della rinascenza paleologa esercitò una fortissima suggestione non solo sulle botteghe di mosaicisti veneziani, ma anche e soprattutto sugli artisti romani e toscani che alla fine del Duecento inaugurarono un'epoca nuova nella pittura italiana.
Fu proprio in relazione con l'arte italiana del Duecento che l'arte b. divenne per la prima volta oggetto di critica storico-artistica. Secondo Vasari nel Medioevo solo i Greci avrebbero mantenuto un certo livello qualitativo nel campo della pittura e i "belli ingegni" fioriti in Toscana nella seconda metà del Duecento sarebbero stati tali solo perché istruiti da maestri greci. Ma pur magnificando in tal modo il ruolo di Bisanzio nella storia dell'arte medievale, Vasari parla dell'arte b. in termini tutt'altro che lusinghieri, più che altro per ingigantire i meriti dei discepoli italiani: i Greci "più tosto tignere che dipignere sapevano", usando solo "le prime linee in un campo di colore", e tutto quello che erano capaci di produrre erano figure "con occhi spiritati e mani aperte, in punta di piedi" (Vasari, Le Vite, II, 1967, p. 29). Questo stereotipo, creato dal padre della storia dell'arte, ha condizionato per secoli il giudizio sull'arte b. e ancora oggi fa sentire il suo peso, anche perché contiene, senza dubbio, una piccola parte di verità.Il termine usato da Vasari, e da Ghiberti prima di lui, per indicare l'arte da cui si liberarono gli italiani del tardo Duecento è "maniera greca". Dal contesto si ricava che l'espressione è impiegata in senso spregiativo; per meglio chiarire anzi che l'arte degli antichi greci e romani restava esente da ogni macchia, Vasari creò la distinzione tra 'vecchio' e 'antico', separando con ciò l'arte greca successiva all'età di Costantino da quella che l'aveva preceduta. Una prova dell'autorità del Vasari è il fatto che, sebbene in vari autori già dal Cinquecento (compreso lo stesso Vasari) si trovi l'uso del termine 'bizantino' in relazione alla storia dell'impero d'Oriente, l'arte di esso impero - la pittura in particolare - rimase a lungo designata comunemente come 'greca'. Talvolta denominata anche 'neogreca', per evitare ambiguità, solo all'inizio del secolo scorso si cominciò ad adottare per essa il termine 'bizantino', di cui Goethe propugnò l'uso onde sottolineare l'importanza di Costantinopoli. Ma egli stesso e alcuni dei suoi contemporanei definirono 'greca' o 'bizantina' la pittura dei primitivi e l'architettura anteriore all'età gotica, a N delle Alpi, dando al termine una connotazione decisamente negativa. Van Eyck figurava quale grande liberatore del Nord Europa, come, secondo il Vasari, Cimabue e Giotto lo erano stati per l'Italia. Una valutazione più positiva del 'grecismo' o 'bizantinismo' della pittura anteriore all'età gotica emerse con il Romanticismo (Schlegel, Boisserée). Lo studio scientifico dell'arte b. trova origine nella reazione all'indebita estensione del termine tanto all'arte transalpina quanto a tutta l'arte medievale in Italia. Rumohr (Italienische Forschungen, Berlin 1827-1831) fu il primo a sostenere la necessità di una chiara distinzione tra l'arte realmente creata a Bisanzio e l'arte occidentale che da essa fu solamente influenzata. Il problema arrivò a un primo chiarimento quando Kugler (Handbuch der Kunstgeschichte, Berlin 1842) propose il termine 'romanico' per definire l'arte occidentale precedente l'età gotica. Questi studi pionieristici hanno posto le basi per la 'questione bizantina', che alla fine del secolo scorso divenne un tema scottante nella storiografia dell'arte medievale. Ancora ai giorni nostri non è stato raggiunto un completo accordo tra gli studiosi sull'essenza e sulla portata dell'influenza bizantina nell'arte del Medioevo occidentale.Le nazioni in cui lo studio dell'arte b. si sviluppò in modo particolare, nella seconda metà del secolo scorso, furono Germania, Francia e Russia. Mentre in Germania si registrarono ampie discussioni circa la 'questione bizantina', in Francia l'interesse per questo campo di studi appare legato soprattutto al desiderio di allargare le basi per lo studio della storia dell'impero d'Oriente. Furono gli studiosi russi, la cui cultura traeva origine dalla tradizione ortodossa, a esplorare l'arte b. 'dall'interno', orientando i propri sforzi in primo luogo allo studio dell'iconografia sacra. Al tempo stesso cominciò ad aumentare la quantità di materiale disponibile per gli studi, con un processo che resta tuttora in costante sviluppo. Benché rimangano, infatti, numerose lacune, il moltiplicarsi delle iniziative, da parte di istituzioni pubbliche o di singoli studiosi, di varia nazionalità, ha consentito la documentazione e la pubblicazione di un gran numero di monumenti in Grecia, Turchia, Medio Oriente, paesi balcanici e Russia. Si è proceduto altresì a scavi che hanno rimesso in luce importanti monumenti (per es. parte del palazzo imperiale di Costantinopoli), mentre in molti casi la rimozione di intonaci sovrapposti in epoca moderna ha consentito di scoprire mosaici e pitture murali (ne sono esempi le chiese costantinopolitane della Santa Sofia e della Kariye Cami). Grande è stato anche il progresso nello studio dei materiali delle arti suntuarie. Particolarmente nei primi decenni del nostro secolo, un certo numero di collezionisti privati, come Benaki in Grecia, Morgan, Walters e Bliss negli Stati Uniti, hanno gareggiato con i musei nella costituzione di raccolte sistematiche di oggetti in metallo, avori, manoscritti miniati e icone. Sono stati pubblicati cataloghi di alcune delle maggiori collezioni, come pure dei manoscritti miniati conservati in alcune delle più importanti biblioteche. Gli avori bizantini sono stati pubblicati raccolti in un corpus. Ricche esposizioni (Parigi, 1931; Baltimora, 1947; Atene, 1964) hanno portato l'arte b. all'attenzione di un pubblico sempre più vasto.Sin dall'inizio del nostro secolo, l'apprezzamento delle qualità estetiche dell'arte b. è stato facilitato dalla generale tendenza del gusto artistico ad allontanarsi dal realismo. Nello stesso tempo, gli storici dell'arte hanno iniziato a studiare il processo che ha condotto già nella Tarda Antichità al delinearsi di questi specifici caratteri artistici (Riegl 1901; 1927). Per alcuni decenni la discussione tra gli studiosi è stata dominata dal problema del contributo apportato a tale processo dalle diverse regioni e popolazioni dell'impero. L'importanza dei territori del Mediterraneo orientale è stata giustamente riconosciuta negli studi pionieristici di Ainalov (1900) e Strzygowski (1901), sebbene quest'ultimo abbia finito per assegnare un ruolo eccessivo ad aree asiatiche poste ben al di là della sfera bizantina. In ogni caso l'interesse per i fattori geografici ed etnici è diminuito alla metà del secolo, quando l'attenzione si è spostata soprattutto sull'indagine dei fondamenti ideologici dell'arte b. e della sua funzione nel contesto sociale. Ciò ha portato in primo luogo a concentrarsi sul significato sia delle forme architettoniche sia dei temi iconografici ereditati dall'Antichità e sulla loro fortuna attraverso i secoli (Grabar, 1936; 1946) e inoltre ha permesso di raggiungere una più precisa messa a fuoco dello sviluppo tanto stilistico quanto iconografico dell'arte b. e dell'influenza da essa esercitata sull'arte medievale d'Occidente (Weitzmann, 1935; 1971; Demus, 1947; 1970; Belting, 1981; 1990). Negli ultimi decenni ha prevalso la tendenza a individuare nelle opere d'arte spunti per una ricostruzione della storia sociale bizantina, con il rischio, in qualche caso, di perdere di vista l'effettivo oggetto dello studio.
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La monetazione b. inizia, secondo la comune opinione degli studiosi, con la riforma monetaria dell'imperatore Anastasio (491-518) e termina con la conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453. Prima di Anastasio però si ebbe per poco più di un secolo, dalla morte di Teodosio I nel 395 al 491, una produzione delle zecche orientali, che viene generalmente esclusa sia dalle trattazioni sulla moneta romana sia da quelle sulla moneta bizantina, ma che costituisce l'antecedente immediato per alcuni tipi caratteristici della prima fase della monetazione b., quali il ritratto frontale al dritto e la vittoria stante con lunga croce al rovescio. Se si considera la produzione dei secc. 5° e 6° delle zecche orientali, non si riscontra uno stacco deciso nella tipologia, bensì una lenta evoluzione; l'unico elemento di differenziazione tra le emissioni antecedenti il 491 e quelle successive è costituito in effetti dall'introduzione di un nuovo sistema monetario e di nuovi nominali nella monetazione di bronzo in seguito alla riforma di Anastasio. Nell'arco di un millennio ca. la produzione bizantina si evolve sia nel sistema monetario, che porta alla creazione di nuovi nominali, sia con l'introduzione di nuovi tipi, che riguardano le figure di Cristo, della Vergine e dei santi, sia con il mutare degli atteggiamenti e degli attributi della figura dell'imperatore. I centri di produzione monetale furono, in Occidente, le zecche di Ravenna, Roma e Napoli, fino alla seconda metà del sec. 8°, di Cagliari, per breve tempo tra la fine del sec. 7° e la metà dell'8°, di Catania e Siracusa, quest'ultima fino all'878, anno della conquista della città da parte degli Arabi. In Africa, la zecca di Cartagine rimase operante fino al 697, quando la città fu presa dagli Arabi. In Oriente, la zecca di Costantinopoli fu l'officina monetaria più attiva sia per entità di emissioni sia per continuità di lavoro, avendo coniato ininterrottamente fino alla conquista della città da parte dei crociati nel 1204 e, dopo la parentesi dell'impero latino, fino alla conquista turca nel 1453. Altre zecche, come Antiochia, Tessalonica, Nicomedia, Alessandria d'Egitto, coniarono in modo intermittente fino alla conquista araba.Sebbene la moneta bizantina sia stata prodotta in numerose zecche, dal Mediterraneo occidentale all'Oriente, tuttavia essa presenta una sostanziale unità economica e tipologica. Sono rare le variazioni ponderali o metalliche o di nominali che le zecche italiane presentano rispetto alle zecche orientali tra il 6° e il 9° secolo. Generalmente sono attribuiti alle zecche italiane i solidi con un largo bordo anulare, ma è difficile distinguere tra la produzione dei singoli centri. Nella tipologia monetaria, già nei primi decenni del sec. 6° si avvertono alcuni mutamenti nella figura dell'imperatore, che perde il suo carattere di capo militare, e in quella della vittoria, che si trasforma nell'angelo cristiano. In un certo senso queste due figure assumono carattere sacrale e viene esaltata la figura dell'imperatore, soprattutto nelle monete d'oro. In questo ambito si rivela l'importanza, anche dal punto di vista figurativo, del solido, la moneta degli scambi internazionali, destinata perciò a circolare anche fuori dei confini dell'impero e quindi a diffondere ovunque l'immagine dell'imperatore.Poiché la moneta è documento ufficiale essa riflette le concezioni ufficiali dello Stato, in particolare per quanto concerne la figura dell'imperatore; questa circostanza conduce a una spersonalizzazione dell'effigie imperiale, per cui i tratti individuali si riducono sempre di più, praticamente solo alla barba e ai baffi: l'immagine assume quindi un valore simbolico e l'imperatore è riconoscibile dagli attributi.Il busto dell'imperatore, eccetto alcune emissioni di Anastasio, di Giustiniano e di Giustino II, appare sempre in posizione frontale, quando non viene sostituito dalla figura dell'imperatore stante.Per la tipologia del rovescio, sono da segnalare i due eccezionali multipli d'oro di Giustino I e di Giustiniano - entrambi un tempo conservati a Parigi (BN, Cab. Méd.; il secondo scomparso nel grande furto del 1831) - sui quali appare l'imperatore a cavallo, nimbato e diademato, preceduto dalla vittoria sul pezzo di Giustiniano. Sui solidi, al vecchio tipo della vittoria stante con lunga croce si sostituisce, con Giustino I, la figura che viene comunemente denominata angelo, stante di fronte con lunga croce e globo, crucigero o senza croce, che su alcune emissioni ha lo scettro sormontato dal , che sostituisce la croce. Le figure tradizionali della vittoria stante che scrive sullo scudo o in movimento con corona e globo crucigero rimasero su semissi e tremissi fino alle emissioni di Eraclio (610-641). Con questo imperatore anche sui solidi venne raffigurata la croce su due o più gradini, segnando la definitiva cristianizzazione della tipologia monetaria.Questo processo di trasformazione non comprende le figure di Cristo, della Vergine e dei santi, che appaiono sulle monete bizantine solo alcuni secoli più tardi. Forse si opponevano ancora alla rappresentazione di queste figure la reverenza e il timore di rappresentare le sacre immagini su un oggetto destinato al commercio e quindi a passare anche in mani non degne, che potevano profanarle. La prima rappresentazione di Cristo su di una moneta si ha solo alla fine del sec. 7° con il primo regno di Giustiniano II (685-695): sui suoi solidi appare al dritto il busto frontale barbato di Cristo, con nimbo crucigero, benedicente e con libro; al rovescio compare l'imperatore stante appoggiato alla croce posta su tre gradini. Prima di Giustiniano II si può annoverare solo un rarissimo solido 'nuziale' di Anastasio, sul cui rovescio sono raffigurati Anastasio e Ariadne in atto di stringersi la mano: tra loro è il Cristo con nimbo crucigero. La leggenda FELICITER NVPTIIS indica l'occasione per cui la moneta fu coniata e fornisce la spiegazione del tipo; la stessa scena era stata rappresentata già su di un solido altrettanto raro di Marciano (450-457). Il tipo ha origini molto antiche perché riprende, ovviamente senza la figura di Cristo, la scena della Concordia Augustorum, che risale all'età degli Antonini. L'occasione in cui furono coniate le monete e la loro stessa rarità spiegano il motivo per cui su di esse, insieme alla coppia imperiale, possa essere stata rappresentata anche la figura di Cristo. Con il secondo regno di Giustiniano II (705-711) si registra un'altra immagine di Cristo, simile alla prima, ma giovanile e con una corta barba.Il busto di Cristo frontale, barbato, benedicente e con il libro, riappare dopo il periodo iconoclasta sulle monete d'oro di Michele III (842-867). Nelle emissioni degli imperatori dei secc. 9° e 10°, insieme al busto frontale di Cristo, il tipo più frequente è la figura di Cristo in trono, benedicente e con i vangeli. Su una rara emissione d'oro di Leone VI (886-912) è raffigurata per la prima volta la Vergine orante a mezzo busto. Va sottolineato che, dove compaiono le figure di Cristo e della Vergine, queste sono sempre sul dritto della moneta, mentre l'immagine dell'imperatore è posta sul rovescio. Su un nomisma d'oro di Alessandro (912-913), con Cristo in trono sul dritto, è raffigurato sul rovescio S. Alessandro stante, con lunga barba, che incorona l'imperatore: si tratta della prima rappresentazione di santo su monete bizantine.Nuovi tipi di carattere sacro appaiono per la prima volta sulla moneta bizantina nei secc. 10°-11°: Cristo che incorona l'imperatore sulle monete di Costantino VII (913-959); i busti frontali della Vergine e dell'imperatore che sorreggono una croce su monete di Niceforo II (963-969); il busto della Vergine che sorregge il Bambino su monete d'argento di Basilio II (976-1025); la Vergine che incorona l'imperatore o stante con il Bambino su monete di Romano III (1028-1034); il busto della Vergine orante con il Bambino sul petto su monete di Zoe e Teodora (1042); la Vergine orante su monete d'argento di Costantino IX (1042-1055). S. Giorgio che incorona l'imperatore è raffigurato su monete di Giovanni II Comneno (1118-1143); S. Teodoro con l'imperatore su monete di Manuele I Comneno (1143-1180); S. Michele con l'imperatore su monete di Isacco II Angelo (1185-1195).Con il ritorno dei Paleologi sul trono di Costantinopoli (1261) nacquero nuovi tipi: la figura della Vergine sulle mura di Costantinopoli sulle monete di Michele VIII (1259-1282); sul rovescio delle stesse monete è rappresentato l'imperatore, inginocchiato davanti a Cristo in trono, con alle spalle l'arcangelo Michele. Nell'ultimo periodo della monetazione b., dalla fine del sec. 14° alla caduta di Costantinopoli, non si riscontrano tipi nuovi sulla moneta, che presenta ormai, oltre l'immagine dell'imperatore, solo il Cristo stante, il busto di Cristo e S. Demetrio a cavallo, difficilmente riconoscibili data la rozzezza dell'esecuzione.I caratteri di staticità e di frontalità che si possono individuare sulla monetazione b. già nella prima metà del sec. 6° si accentuano sempre di più nei secoli successivi. Il rilievo e la plasticità che si riscontrano soprattutto sulle monete auree di Giustino I e di Giustiniano diminuiscono già all'inizio del sec. 7°, fino a tradursi in un completo appiattimento della figura. Il processo non è peraltro continuo; vi sono dei ritorni a una maggiore plasticità, per es. sotto Giustiniano II o tra i secc. 10° e 11°, ma l'esito è un'assoluta linearità della figura. Contemporaneamente, la cura dei particolari già presente nelle prime serie della zecca di Costantinopoli si accentua e le figure mostrano una ricerca minuziosa dei particolari fino ad allora ignota. Nell'ultimo periodo della moneta bizantina la rozzezza dell'esecuzione non permette osservazioni.Profonda fu l'influenza, sia sul piano stilistico-tipologico sia su quello del sistema monetario, che le coniazioni bizantine ebbero sulle monetazioni dell'Italia meridionale; essa si manifesta nelle emissioni del ducato di Benevento che iniziano con il duca Gisulfo I (683-706), nella monetazione autonoma di Napoli del sec. 9° sotto il duca Sergio I (840-860) e nella tarda monetazione di rame di Salerno del sec. 11°, che presenta alcuni tipi chiaramente imitati nei coni bizantini. Diversa è invece la situazione in Sicilia, dove la conquista araba troncò di netto ogni rapporto con la moneta precedente.Nell'Italia centrosettentrionale la riforma monetaria di Carlo Magno rappresentò un distacco netto dalle emissioni bizantine e longobarde. Tuttavia, anche se in condizioni tipologiche e monetarie ovviamente mutate, l'influenza della moneta bizantina, derivata direttamente da Costantinopoli e non mediata attraverso i Bizantini dell'Italia meridionale, si manifesta nel grosso d'argento veneziano, la cui coniazione ebbe inizio con il doge Enrico Dandolo (1192-1205) e che mostra al dritto S. Marco e il doge stanti in posizione frontale, mentre al rovescio compare Cristo in trono, anch'egli di fronte, tipi derivati dalle monete d'oro di Leone VI e Costantino VII. Questa moneta, che fu imitata da varie zecche in Lombardia, in Piemonte e, fuori d'Italia, in Serbia, rappresenta non solo un documento economico di importanza eccezionale, costituendo il primo vero 'denaro grosso' d'Europa, ma anche una delle prime monete in Italia con tipi figurativi non epigrafici.
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