Vedi CINESE, Arte dell'anno: 1959 - 1994
CINESE, Arte
1. Cronologia e sistemi cronologici. - 2. Arte preistorica e Protostorica. - 3. Gli scavi di Anyang e l'arte Shang-Yin e Chou. - 4. I vasi. Tipologia. - 5. Arte arcaica. - 6. Epoca Han e Tre Regni. - 7. Dai Tre Regni alle Sei Dinastie. - 8. Architettura. - 9. Storia delle teorie estetiche.
1. Cronologia e sistemi cronologici.
A) Cronologia. - La storia della Cina viene tradizionalmente divisa in tante epoche quante furono le dinastie che si succedettero nel dominio del paese. Sia i reperti archeologici che le vere e proprie opere d'arte vengono sempre contraddistinti cronologicamente dal nome della dinastia sotto la quale vennero prodotte. Nonostante alcuni recenti tentativi per una nuova periodizzazione della storia cinese - che dovrebbe basarsi non più sul fatto formale dell'affermarsi di nuove dinastie, ma sugli effettivi e sostanziali cambiamenti verificatisi, nel corso dei secoli, nella struttura economica e sociale della Cina - gli studiosi preferiscono mantenere tuttora, per motivi pratici, la suddivisione tradizionale, mentre sia in Cina, donde è partito il movimento, che fuori fervono le discussioni sull'argomento.
Le prime ère tradizionali della Cina si perdono nel campo della leggenda e del mito. La tradizione letteraria ci fornisce delle date anche troppo precise e che, proprio per questo, non possiamo accettare, risultando essere il frutto di tardive ricostruzioni effettuate, con criterî tutt'altro che scientifici, da eruditi cinesi in tempi relativamente recenti. I reperti archeologici relativi a queste prime antichissime epoche appartengono a civiltà neolitiche e vanno quindi ascritte alla protostoria: alle denominazioni tradizionali di "Epoca dei Cinque Imperatori" e "Dinastia Hsia", si preferisce oggi sostituire la denominazione generica di "Età Neolitica", nella quale si possono distinguere poi diverse epoche denominate dai luoghi dove vennero alla luce i primi reperti archeologici relativi, come Yangshao e Lungshan. Si entra nell'epoca storica con la dinastia degli Shang, così chiamati dal nome del feudo che originariamente possedevano. Questa dinastia è nota anche con il nome di Yin, nome che prese dopo il trasferimento della capitale nella città omonima, corrispondente all'odierna Anyang. Con gli Shang termina l'Età della Pietra e comincia l'Età del Bronzo: ci spieghiamo così come mai tutta la produzione bronzea dell'arte cinese possa essere, almeno approssimativamente, datata.
Riguardo alla durata di questa dinastia esistono due tradizioni delle quali l'una - quella derivata dalle fonti letterarie cinesi - ne pone l'inizio al 1766 a. C. e la fine al 1122 a. C., mentre l'altra - fondata su alcune tavolette di bambù contenenti liste cronologiche di re (i cosiddetti "Annali scritti su bambù") ritrovate l'anno 278 d. C. nella tomba del re Hsiang di Wei, morto nel 295 a. C. e quindi risalenti a quest'epoca - ne pone l'inizio al 1522 a. C. e la fa terminare nel 1027 a. C.
Quest'ultima cronologia è ritenuta la più attendibile dalla maggioranza degli studiosi, ma la questione è ancora lungi dall'essere risolta: permane così l'incertezza riguardo alla durata della dinastia Shang, in attesa che nuovi studî forniscano la chiave per una soluzione del problema.
Le stesse incertezze sussistono relativamente all'inizio della dinastia Chou, che succedette agli Shang. Le due cr0nologie si uniscono e combaciano solo dall'anno 841 in poi, da quando cioè inizia la narrazione del grande storiografo cinese Ssŭ-ma Ch'ien. Per quanto riguarda la fine della dinastia Chou non vi sono incertezze: siamo oramai in un periodo dove ci sovvengono numerose le fonti storiche attendibili; il dominio, almeno nominale, dei Chou sulla Cina finì nell'anno 255 a. C.
Vanno ascritti a questa dinastia i due periodi "Primavera e Autunno" (Ch'un Chiu) e dei "Regni Combattenti" (Ch'ang-kuo). Il primo, che va dal 722 al 481 a. C., è chiamato così dal titolo di un'opera a contenuto cronachistico scritta da Confucio e concernente la storia del principato di Lu relativa appunto a quel periodo; il secondo prende il nome dalle condizioni politiche in cui si trovò la Cina alla fine della dinastia Chou e va dal 481 al 221 a. C., comprendendo anche il periodo che vide il progressivo affermarsi della seguente dinastia Ch'in, sotto la quale la Cina fu unificata e costituita in impero, e che andò dal 255 al 206 a. C.
Ai Ch'in seguirono gli Han (206 a. C.-220 d. C.), dinastia che per essere stata abbattuta e per esser poi risorta dopo poco tempo, viene di solito divisa in due periodi: Han Anteriori o Occidentali (Ch'ien Han o Hsi Han 206 a. C.-24 d. C.) e Han Posteriori o Orientali (Hou Han o Tung Han, 25-220 d. C.).
Dopo la caduta della dinastia Han la Cina perse la sua unità sicché, per il periodo seguente, abbiamo tre dinastie che regnarono contemporaneamente: esse contarono gli anni indipendentemente l'una dall'altra, il che potrebbe portare a confusioni cronologiche. In linea di massima però si suole seguire l'uso tradizionale dei Cinesi, designando questo periodo col nome di "Periodo dei Tre Regni", o, più semplicemente "I Tre Regni" (San Kuo, 221-265 d. C.).
Dopo le dinastie dei Chin Occidentali (265-317 d. C.) ed Orientali (317-420 d. C.) la C. fu divisa di nuovo e così divisa rimase fino alla riunificazione compiutasi all'avvento dei Sui (589 d. C.). Il periodo che va dal 420 al 589 d. C. è conosciuto come il periodo della "Divisione tra Nord e Sud" (Nan Pei Ch'ao) o anche delle "Sei Dinastie". Notevole in questo periodo la dinastia Wei (Wei Settentrionali, 386-535 e poi Occidentali 535-557 e Orientali, 534-550), per la sua produzione artistica (v. Tavola a colori). Diamo qui di seguito uno specchio della cronologia cinese sino ai limiti storici della presente Enciclopedia:
Età neolitica (Periodo protostorico e leggendario)
I Cinque Imperatori (2852-2205 a. C.).
Dinastia Hsia (2205-1767 o 1523 a. C.).
Shang (Yin)
1766-1122 a. C. (cronol. tradiz. o "lunga").
1522-1027 a. C. (cronol. "Annali scritti su bambù" o "corta").
Chou
1122-841-255 a. C. (cronolog. lunga).
1027-841-255 a. C. (cronolog. corta).
Primavera e Autunno
722-481 a. C.
Regni Combattenti
481-221 a. C.
Ch'in (Ts'in)
255-206 a. C.
Han
206 a. C. - 220 d. C.
Han Anteriori
206 a. C. - 24 d. C.
Han Posteriori
25-220 d. C.
I Tre Regni (Shu Han, Wei, Wu)
221-265 d. C.
Chin (Tsin) Occidentali
265-317 d. C.
Chin (Tsin) Orientali
317-420 d. C.
Divisione tra Nord e Sud o delle Sei Dinastie
420-589 d. C. (riunificazione sotto i Sui).
Tabella
B) Sistemi cronologici. - Agli inizî della loro storia i Cinesi contavano gli anni a cominciare dall'ascesa al trono dei singoli sovrani. In periodi di indebolimento del potere centrale si faceva lo stesso anche per i maggiori principi feudali. Esistevano quindi liste cronologiche di re e di principi, sulle quali si basava e si basa anche oggi il computo degli anni per la Cina antica.
A partire dall'anno 163 a. C. (17° dell'imperatore Wen Ti della dinastia Han) venne introdotto un nuovo sistema, quello degli "anni di regno" o nien-hao. L'imperatore, in seguito ad una vittoria od altro evento importante, fosse esso fausto od infausto, decideva di assegnare un nome al periodo di anni che sarebbe seguito, e questo nome sarebbe durato fino alla morte dell'imperatore o fino a quando l'imperatore stesso non avesse deciso di cambiarlo. Il primo nien-hao, periodo Hou-yüan, durò dal 163 al 157 a. C. Dopo di allora le liste degli imperatori persero la loro importanza cronologica, che venne assunta invece dalle liste dei nien-hao che si cominciarono appunto a compilare.
All'epoca dell'usurpatore Wang Mang (9-22 d. C.) si cominciò ad applicare anche agli anni il sistema del ciclo sessagesimale, che prima era usato solo per i giorni.
Questo sistema era basato sulla combinazione ciclica dei cosiddetti "Tronchi celesti" (T'ien-kan, in numero di dieci) e "Rami terrestri" (T'i-chih, in numero di dodici) per cui ad ogni annata veniva dato un nome che si sarebbe ripetuto poi dopo sessanta anni. Questo sistema, come del resto quello dei nien-hao, rimase in uso fin quasi ai nostri giorni, ma non ebbe mai una grande importanza, presentando il difetto che potevano molto facilmente ingenerarsi confusioni tra un ciclo e l'altro.
(P. Corradini)
2. Arte preistorica e protostorica.
Non ci è pervenuto alcun esemplare dell'arte c. paleolitica. Forse nelle prossimità dei centri abitati del lago Bajkal, nella Siberia meridionale, potranno scoprirsi in futuro manifestazioni artistiche comuni agli abitanti del Paleolitico Superiore in questa parte dell'Asia orientale. Allo stato attuale degli studî la storia dell'arte c. prende le sue mosse dalla ceramica dipinta neolitica, detta di Yangshao, dal nome d'un luogo dello Honan. I resti meglio conservati di abitazioni neolitiche di questa cultura si trovano ora, posti in luce dagli scavi del 1954-56, nel villaggio-museo di Panpo presso Sian (Shansi).
Le ricerche più recenti hanno apportato alcune modifiche all'ordine di successione definito dallo Andersson. Si tratta dei rispettivi ruoli avuti dalla ceramica grigia, alquanto rozza e diffusa in tutta la Cina settentrionale, da quella dipinta di Yangshao e da quella nera detta di Lungshan e un po' posteriore alla precedente; dell'area di ciascuna e delle interdipendenze di questi gruppi regionali. Conviene qui richiamare alla mente la tesi dell'archeologo Shih Chang-ju, il quale sostiene che la prima civiltà veramente cinese, quella dei Bronzi di Anyang, avrebbe avuto origine da un centro di ceramica dipinta (Honan) e da un centro di ceramica nera (Shantung); in un'epoca posteriore, la zona di espansione di questi antichi centri avrebbe portato alla fioritura di un Neolitico meridionale collegato alle antiche tradizioni delle civiltà costiere che occupavano una lunga striscia di territorio dall'Indocina alla Manciuria. Sembra certo, nonostante la scoperta di alcune tardive ceramiche dipinte nella Manciuria e a Formosa, che l'area della ceramica dipinta fosse la Cina delle pianure, a O della Grande Prateria Gialla. Si ha dunque la tentazione di riavvicinare questa produzione alle grandi fioriture di ceramiche dipinte dell'Occidente, a quella di Tripolje (Ucraina) e ai magnifici esemplari di ceramiche iraniche. Sarebbe stato quindi un vasto movimento dall'O all'E a portare questa bella forma d'arte in Cina. Dal punto di vista cronologico le ceramiche cinesi sono nettamente posteriori a quelle occidentali, per cui bisogna ammettere un'imitazione o una rielaborazione. In favore di quest'ultima ipotesi sta la superiore qualità del materiale usato e della tecnica e, infine, la priorità di certi motivi conosciuti. Come faceva notare Teilhard de Chardin, inoltre, una stessa metamorfosi avrebbe potuto provocare dalla rete sparsa del Paleolitico i Neolitici regionali; tra le civiltà agricole, quindi, avrebbe potuto non esservi alcun legame, ed esse potrebbero rappresentare altrettanti germogli d'uno stesso ramo. A favore della tesi dell'imitazione, sta l'esistenza d'una zona continua, da E a O, di civiltà microlitiche o neolitiche che avrebbe potuto costituire una zona di passaggio, sebbene nel Turkestan cinese siano stati trovati solo esemplari tardivi di ceramica dipinta. Inoltre, l'area della ceramica dipinta è nettamente separata a E dalle aree della ceramica grigia, senza che queste ultime possano essere, a priori, dichiarate posteriori alla prima. L'area della ceramica dipinta si presenta quindi come una provincia estremo-orientale delle civiltà occidentali caratterizzate dalla stessa forma artistica. Non sembra inverosimile che un primo stadio del Neolitico, del quale ci manca per ora qualsiasi traccia, sia succeduto al Paleolitico Superiore della Pianura Gialla. Questa prima civiltà, che possedeva utensili agricoli e stoviglie scadenti, si sarebbe differenziata in civiltà centrale della Pianura Gialla e civiltà orientale, senza dubbio posteriore a quella costiera. Verso O questa civiltà sarebbe venuta in contatto con esemplari delle lontane province dell'Asia Centrale, e a questi contatti si dovrebbe quindi il merito d'aver favorito, nel secondo periodo del Neolitico, alla fine del III millennio a. C., la fioritura dell'arte della ceramica dipinta nella regione occidentale della Cina settentrionale. L'introduzione del bronzo doveva poi apportare un rinnovamento della ceramica grigia e creare le belle forme della ceramica nera. La zona centrale, in cui i lavoratori del bronzo si erano venuti ad unire ai vasai, conobbe allora una nuova ricchezza, mentre la tecnica dell'irrigazione dava alla Grande Pianura Gialla una netta preponderanza su tutte le altre regioni. Questa preponderanza fu causa, nel I millennio a. C., del declino della ceramica dipinta e, quindi, della sua sparizione. In tutto questo lungo periodo di venti secoli la ceramica dipinta si divise in due gruppi distinti, quello del Neolitico con le serie di Yangshao (2500?-1700) e di Mach'ang (2700-1700), e quello del Neolitico con le serie di Hsintien (1300-1000), di Ssŭwa (1000-700) e Shaching (700-500).
Nel primo gruppo, composto di anfore, vasi e recipienti diversi, il disegno è di preferenza localizzato sulla metà superiore del corpo del vaso. I motivi decorativi, spirali e triangoli concavi, dipinti in rosso, porpora, bianco o giallo, sono spesso accompagnati da un motivo a zig-zag, o a onde, che Andersson, sotto la denominazione di deathpattern (schema della morte) crede di poter attribuire unicamente alle stoviglie funebri. Fu infatti nelle necropoli che venne scoperta la maggior parte delle ceramiche dipinte del Kansu, come le più celebri, quelle di P'anshan, dalle spirali elegantemente sistemate intorno a un motivo centrale, che è rappresentato talvolta da una stella, altre volte da un cerchio o da un quadrato arricchito da una decorazione a grani o crocette. I diversi aspetti della decorazione possono suggerire l'abbigliamento d'una divinità di cui le anfore erano la rappresentazione, tanto che spesso erano completate da un cerchio a forma di testa umana. Alle spirali così ridotte, si sostituiscono a volte cerchi decorati di crocette, di reti e di quadrettati: altre volte i cerchi si accompagnano a triangoli, dando luogo a motivi romboidali.
All'epoca di Mach'ang, tutti questi motivi tendono a sostituire le linee curve con rette e hanno origine così i disegni a meandro, paragonabili alla "greca". I vasi "Kià" di questo periodo presentano interessanti analogie con i tripodi iranici di Tepe Giyan e Tepe Giamshidi.
Il secondo gruppo di ceramiche è contemporaneo ai bronzi arcaici; nel complesso è meno ricco del primo e le forme sono meno variate dei disegni. I motivi si compongono e si mescolano e così ecco apparire il disegno di Ω ornato da una graffa, che è il motivo iniziale delle T intrecciate, tema favorito dagli artigiani del bronzo. L'ultimo sprazzo della ceramica, quella di Shaching, presenta una finezza e una varietà che dànno luogo a un repertorio molto ricco di motivi, in cui si alternano spirali, meandri, losanghe, figure di animali, serie di uccelli, punteggiati e linee parallele o ondulate.
(V. Elisséeff)
3. Gli scavi di Anyang e l'arte Shang-Yin e Chou.
Come nella Mesopotamia, nell'Egitto, nell'India, anche nella Cina la civiltà materiale e quella artistica si sono sviluppate, a partire dalla fase neolitica, entro una società agricola stabilizzatasi attorno a un grande fiume. Quello che l'Eufrate e il Tigri furono per i Sumeri, il Nilo per gli Egiziani, l'Indo per gli Indiani, lo Huangho, il grande "Fiume Giallo" fu per la Cina. Con la possibilità di restituire, mediante l'irrigazione, periodicamente la fertilità al suolo agrario, il fiume determina lo stanziamento fisso e il sorgere della civiltà urbana; esso è la culla della civiltà cinese. Le funzioni di mantenere in efficienza le dighe e i canali di irrigazione è fondamentale per il wang cinese, come per l'ensi sumero e per il faraone egiziano. Del leggendario Yü, fondatore della I dinastia, è detto che "egli guidava i fiumi"; e la sua funzione era di "far coincidere la Terra e il Cielo"; cioè i lavori agricoli con le stagioni. E in questo periodo che si costituiscono gli elementi artistici che a noi si palesano già perfetti in una loro particolare sintesi formale ed espressiva, nei più antichi oggetti che possediamo finora, tra i quali, in modo particolare eccellono i vasi di bronzo attribuibili all'epoca Shang-Yin e all'epoca Chou. L'antica società cinese fu così consapevole della decisiva importanza di quei secoli per la formazione dei cànoni fondamentali della sua arte, che gli artisti di epoche posteriori sempre tornarono a imitare le opere di quei tempi e i loro motivi ornamentali. Ciò ha portato di conseguenza a una notevole incertezza nella attribuzione cronologica dei singoli pezzi che si trovavano nelle collezioni o nel commercio antiquario. Per trovare una data sicura in opere di scultura bisognava scendere alle figure di animali che decorano la tomba di un generale Han morto nel 117 a. C. Sono invece stati decisivi per il chiarimento della preistoria cinese, ma specialmente per la attribuzione cronologica dei bronzi Shang-Yin e Chou, gli scavi condotti fra il 1928 e il 1937, e poi ripresi nel 1947, dall'Academia Sinica, ad Anyang, centro prossimo alla antica capitale di Hsiaot'un, che fu distrutta dalla conquista dei Chou.
Oggi si è indotti a ritenere che la Civiltà del Bronzo già nel III millennio a. C. sia penetrata dall'Asia Anteriore, probabilmente attraverso il Turkestan, nelle regioni del Fiume Giallo, e di là, rivolgendosi verso N-O, in Siberia (la via del Turkestan è la stessa attraverso la quale verrà il nichelio e la seta al mondo ellenistico; la stessa attraverso la quale nel 128 a. C. il generale e diplomatico Chang-ch'ien arriverà nel regno ellenizzato della Battriana, lasciandoci un prezioso documento nella sua relazione che, non senza qualche interpolazione, ci è conservata nel capitolo 123 del Shihchi di Ssŭ-ma Ch'ien, il creatore della storiografia cinese, che terminò la sua opera nel 99 circa a. C.).
Cercando di attenuare il divario di circa 500 anni che esiste fra le cronologie estreme proposte (la più alta, proposta dall'Andersson, lo studioso svedese che iniziò le ricerche preistoriche in Cina e scoprì le grotte di Chukut'ien con le prime tracce dell'"uomo di Pechino", e quella più bassa proposta dello studioso cinese G. D. Wu e che sembra più attendibile), si può dire che la collocazione della ceramica dipinta del tipo Yangshao I e II alla prima metà del II millennio (2000-1500 a. C.) appare prudente e accettabile. In tal caso questa ceramica si collocherebbe in età predinastica e all'inizio della dinastia Shang. Insieme alla ceramica anzidetta si trova il gruppo P'anch'an, corrispondente allo stile Yangshao intermedio, dove, accanto a semplici vasi, si trovano già figurine di argilla, e nel gruppo immediatamente seguente, tripodi in terracotta che presentano già le forme che rimarranno peculiari, e rituali, per i vasi in bronzo più arcaici: la forma del vaso detto li, a tre piedi con "allusioni mammarie", e quella della marmitta a tre piedi con alta ansa detta ting. Gli scavi più importanti, nella regione di Anyang, sono stati quelli condotti in una località con sorgenti d'acqua, a Hsiaot'un, e nella località di Houchiachuang, dove sorgeva una vasta necropoli con tombe di minori e di maggiori proporzioni, quest'ultime dette "tombe regali" ed effettivamente appartenenti, con ogni probabilità, ai defunti della dinastia regnante. Presso le sorgenti di Hsiaot'un sono state trovate in abbondanza le cosiddette "ossa oracolari", o "ossa di drago", cioè ossa scapolari di bovini, o scaglie di tartaruga, recanti iscrizioni, che sono state nella maggior parte dei casi interpretate come richieste e domande rivolte agli spiriti. Questi antichissimi documenti presentano un sistema di scrittura già evoluto che, se pure è di 1800-1600 anni più recente delle più antiche scritture sumeriche, presenta una complicata combinazione di oltre 2000 segni, del tutto indipendenti dai caratteri cuneiformi. Nella necropoli di Houchiachuang, pur essendo oltre un migliaio le tombe aperte, non si è trovato nessun osso iscritto, mentre si è trovato un ricchissimo repertorio di vasi in bronzo, sui quali, in rari casi, erano segnate iscrizioni di non più di dieci caratteri. Mancava pertanto la correlazione fra documenti iscritti e bronzi. Ma nella quarta campagna di scavi a Anyang, nel 1931, fu scoperto a Hsiaot'un un deposito circolare (deposito E 16, v. Preliminary Report, iv, 1933, p. 564 ss.) dove, a oltre 9 m di profondità, furono trovate ossa scapolari e gusci di tartaruga con iscrizioni e un piccolo tesoro di arnesi e di armi in bronzo in buono stato di conservazione. Si ebbe così la prova della contemporaneità dei bronzi e delle ossa oracolari.
Altro elemento cronologico scaturito dalla osservazione dei materiali archeologici è l'ascia detta ko. La sua evoluzione si può seguire attraverso un millennio, dagli esemplari del periodo pre-Anyang al periodo dei Regni Combattenti dove raggiunge la forma più elegante, più complessa e al tempo stesso di maggior efficacia offensiva, quale è descritta dalle fonti letterarie.
Gli scavi hanno stabilito che negli strati più profondi di Anyang si ha la ceramica nera del tipo di Lungshan. La zona settentrionale della provincia del Honan, a N del Fiume Giallo presenta, alla fine del Neolitico, una divisione in due aree culturali (alle quali si potrà forse aggiungere una terza, ancora insufficientemente investigata). L'area, caratterizzata dalla ceramica dipinta di Yangshao nel N-O e lungo il confine mongolico, sembra doversi riconoscere come quella nella quale ebbe origine la leggendaria dinastia Hsia, precedente a quella Shang. L'area caratterizzata dalla ceramica nera di Lungshan si colloca più a E e il popolo che la abitò entra nella leggenda col nome di "barbari accoccolati". La terza area culturale dovrebbe essere quella dei proto-Shang, i quali, dopo aver conquistato il gruppo orientale dei "barbari" e averlo assorbito, conquista e assorbe il gruppo settentrionale. La civiltà Shang sarebbe il risultato di questa triplice commistione.
Gli scavi hanno rivelato: un 1° periodo premetallico, corrispondente al tardo Neolitico, con ceramica nera (I strato, posante ovunque sul terreno vergine); un 2° periodo Shang predinastico, nel quale si trovano oggetti di bronzo e una innovazione nella tecnica di costruire, consistente nella formazione di platee di argilla pesta (pisé francese) che vengono dette hang-t'u, sopra le quali si trova ceramica nera. Questo periodo giunge sino alla prima metà del XIV sec. a. C. Segue poi un periodo 3°, o Medio Bronzo I, corrispondente al pieno della dinastia Shang e giunge sino al suo termine, cioè dal sec. XIV all'XI (data tradizionale 1122 oppure 1027 a. C.), caratterizzato anch'esso dall'uso del hang-t'u. Un periodo 4° post-Shang o Medio Bronzo II, nel quale scompare l'uso del hang-t'u nella tecnica edilizia.
Di particolare interesse sono i trovamenti di numerosi frammenti di matrici in terracotta o argilla secca da usarsi per la fusione dei vasi di bronzo. In alcuni di questi frammenti la decorazione appare dipinta; essa doveva essere poi incisa come negli esemplari rifiniti. In una delle matrici di terracotta si ha una iscrizione sul rovescio, che doveva indicare il proprietario dell'oggetto. I bronzi di Anyang sono stati classificati in cinque gruppi fondamentali e in 19 tipi, secondo la forma; per tre di questi gruppi si ha la chiara derivazione da forme di recipienti in legno o anche in terracotta.
Fra i pezzi più antichi (fine del II millennio a. C.) sono da notarsi alcune sculture in marmo di non grandi dimensioni: una specie di civetta, una tigre, un bufalo, tutte figure solide, massicce, fortemente caratterizzate in senso espressivo, concepite in larghe masse e decorate in superficie da incisioni, che in parte ne sottolineano le forme, sempre arricchendole in senso ornamentale. Appare anche la figura umana accoccolata (frammenti di Houchiachuang e di Hsiaot'un) o seduta con le braccia portate indietro e le mani appoggiate in terra. (Un tale schema ritorna, come del resto altri elementi fondamentali di quest'arte, nella scultura delle popolazioni protomongoliche che costituiranno la civiltà Maya nell'America Centrale). Va notato che, dopo la conquista da parte dei Chou, la scultura in pietra sembra scomparire per tutta la durata di questa dinastia. Invece l'arte del bronzo portata a grande altezza tecnica e artistica (per dati analitici v. bronzo) in epoca Shang, continuerà a fiorire sugli stessi principî fondamentali anche nei primi due secoli dell'epoca successiva. Ciò rende difficile distinguere tra pezzi Shang-Yin e pezzi Chou arcaici, quando non soccorrano dati di scavo o iscrizioni. In genere nell'epoca Chou le forme si fanno più pesanti, meno eleganti, e talvolta un po' barbariche. Spesso si hanno animali applicati alle anse o al corpo dei vasi, trattati in modo decorativo, ma intesi con spunto naturalistico (per esempio rane attaccate all'orlo del secchio).
Dinanzi alla immediata perfezione artistica dei bronzi Shang si è discusso sul come si sia andato costituendo il loro repertorio decorativo e la ricca varietà delle loro forme rituali; e si è supposto che i bronzi siano stati preceduti da una lunga pratica in materie deperibili, che non sono giunte a noi (legno o anche cucurbitacee). La tecnica del bronzo, altrove già nota da molto tempo, appare infatti importata in C. attraverso l'Asia Centrale e applicata all'arte aristocratica dei vasi di uso rituale. (Per la terminologia dei tipi dei vasi v. più avanti, paragrafo 4).
Nelle "tombe regali" di Anyang, presso la camera in tronchi o in grosse tavole di legno, nella quale era posto il sarcofago, si trovano sempre larghe fosse contenenti scheletri umani maschili e scheletri di cani tutti sacrificati perché accompagnassero il padrone nell'al di là. Per quanto in cattivo stato di conservazione, questi elementi in legno recano testimonianza della esistenza di un'arte dell'intaglio in legno. In una delle tombe di questo tipo a Houchiachuang si è trovato un intaglio con un motivo di mostro del tipo detto fei-i, con faccia sul tipo del t'ao-t'ieh e due corpi araldicamente disposti e desinenti in code che si incrociano tra loro. Questo motivo si ritrova analogo in Egitto e H. Frankfort lo riconosceva come di derivazione sumerica (The Birth of Civilisation in the Near East, Londra 1951, tav. x, 16; xxi, 41). Anche un altro motivo, che ritorna inciso sui bronzi più antichi, rappresentante una figura umana fiancheggiata da due animali, riecheggia, secondo alcuni studiosi, un motivo mesopotamico. Questo emblema viene poi sostituito dal carattere significante wang che significa re (si veda, più avanti, l'espressione "reggere il fianco est e il fianco ovest di un personaggio"). Anche talune ceramiche con coperchio a elemento centrale ombelicato, più o meno sviluppato, potrebbero esser collegate con tipi di Mohenjo-Daro in India e di Gemdet Nasr in Mesopotamia (Chi Li, Beginnings, fig. 4).
Dopo la conquista da parte dei Chou, che sopraffanno gli Shang alla fine del II millennio e pongono la capitale presso l'odierna Ch'angan, nello Shansi (per poi trasferirla nel 771 a. C. presso l'odierna Loyang, nello Honan), come abbiamo detto sopra, lo stile e soprattutto il repertorio dei bronzi non subisce sostanziali variazioni. Sarà solo attorno al X sec. che appariranno motivi ornamentali nuovi e nuove forme di vasi. Il fondamentale realismo viene attenuato da un certo formalismo; gli animali rappresentati, più che esprimere la propria tipica qualità, sono pretesti per motivi plastici decorativi; Sicché i pezzi di età Chou media (fra 950 e 750 a. C.) si può dire che raggiungano ormai una essenza stilistica originale rispetto al periodo precedente.
Uno degli "ossi oracolari" scavati presso Anyang contiene un elenco di prede cacciate dal re a Chiu: una tigre, 40 cervi, 164 volpi, 159 cervidi senza corna (Archaeologia Sinica, n. 2, ii B 2908). L'iscrizione è attribuita al sec. XIV a. C. e al re Wuting. Essa ci mostra la caccia come impresa preferita del sovrano. Altre notizie sulla società del tempo degli Shang e dei Chou si hanno indirettamente da scritti dell'epoca dei Regni Combattenti e della dinastia Han. Il Maspéro ha dimostrato come, pur con la mescolanza di idee nuove, i fatti riferiti siano sostanzialmente attendibili. Specialmente nella raccolta aniministrativa del Chou-li, risalente al IV sec. a. C., si hanno riferimenti all'epoca Shang e Chou, che si illuminano a vicenda con le scoperte archeologiche e con i passi dei Classici. Da queste descrizioni possiamo ricavare non soltanto l'aspetto pittoresco del paesaggio prima dei grandi disboscamenti, ma anche la struttura di carattere feudale-terriero della società del tempo, basata sull'agricoltura. Il sovrano felice, cui sta a cuore il bene del suo popolo, è mostrato che va a ispezionare le coltivazioni e particolarmente il dissodamento delle terre. Vi è la cerimonia della "zappatura del re": il re dà tre colpi di zappa, i tre duchi cinque colpi, i ministri e i principi nove, e il popolo finisce di dissodare il campo. La vita dei sovrani era quella di un grande proprietario sulle sue terre: coltivazione, allevamento, caccia, pesca, viaggi da una proprietà all'altra, spedizioni contro i saccheggiatori vagabondi e contro le razzie dei barbari, cerimonie religiose per assicurare i raccolti.
La Cina era costituita da stati a sistemi economici chiusi: in basso i gentiluomini proprietarî fondiarî, al disopra di essi i signori, in alto il re. La terra era ancora l'unico valore: a qualunque grado, era con la terra che si ricompensavano i servizi resi. Il semplice gentiluomo allogava a chi egli doveva ricompensare piccole particelle di terreno: il re allogava ai dignitarî vasti dominî. L'arte è dunque al servizio di una società feudale, aristocratica e agraria. I bronzi Shang e Chou non costituiscono (come, per esempio, le ceramiche greche) oggetti prodotti da un artigianato industriale che vive sul commercio. Erano oggetti di lusso con intento rituale o anche commemorativo, prodotti per un ristretto ambiente cortigiano.
Ce lo dicono i vasi in bronzo di epoca Shang più tarda nelle iscrizioni che spesso li adornano. Per esempio: "Il giorno ... il re cacciando a Mailu prese un rinoceronte maschio nel fiume Shang. Il giorno... il re era a Tung-hsien. Ovunque il re andò, io, l'intendente Hao, lo seguii. Il re mi donò cinque legature di cauri: io ne approfittai per fare per mio padre un vaso tsuen. Il ventesimo anno del re. Coppa n. 5" (Maspéro, p. 376). Altro esempio: iscrizione sopra un kuei (Kuo Mo-jo, n. 111): "ora, il primo anno del re, il primo mese, il primo giorno favorevole, il conte Ho-feng parlò così: Mastro Hui, il vostro nonno e il vostro padre si sono dati pena per la mia casa. Voi assisterete il nipotino qui presente. Vi do la carica di dirigere i miei famigli, di reggere il mio fianco ovest e il mio fianco est, i miei domestici, i miei palafrenieri, i miei artigiani, i miei pastori, i miei servitori e le mie serve, di regolare il didentro e il difuori. Non osate non essere eccellente".
Purtroppo il materiale degli scavi 1928-37, interrotti dall'invasione giapponese, è andato in parte perduto e in parte confuso nel successivo esodo a Formosa. Quello degli scavi recentemente ripresi potrà supplire in gran parte con i nuovi dati acquisiti ciò che è andato disperso. Ma si tenga presente che l'eplorazione archeologica del vastissimo territorio cinese è appena iniziata e si è rivolta sinora a una zona limitata. Nell'anno 1954 regolari scavi dell'Academia Sinica hanno posto in luce tombe di epoca Han a Wang-tu (Hopei) e a I-nan (Shantung), che hanno permesso per la prima volta lo studio delle forme architettoniche delle tombe di quest'epoca. Le osservazioni che si son potute fare sinora non possono pertanto avere altro che un carattere provvisorio.
Bibl.: Li Chi e altri, Preliminary Reports of Excavations at Anyang, I-IV, Pechino-Shanghai, 1929-34; S. Umehara, Antiquities Exhumed from the Yin Tombs outside Chang tê Fu, in Artibus Asiae, XIII, 1950, p. 149 ss.; E. Pottier, Vases Susiens et vases Chinois, in Préhistoire, IV, 1935, p. 22 ss.; O. Karlbeck, Anyang Moulds, in Bullet. of the Mus. of Far Eastern Antiquities, Stoccolma 1936, p. 39 ss.; G. Creel, The Birth of China, Londra 1936; G. D. Wu, Prehistoric Pottery, Londra 1938; J. G. Andersson, Researches into the Prehistory of the Chinese, in Bullet. of the Mus. of Far Eastern Antiquities, Stoccolma 1943; L. Chi, Depositi di culture pre-Yin sotto lo strato di Hsiaot'un (in cinese), in Hüsch Shu Hui Ch'an, n. 1, 1944, p. 1 ss.; Lodge-Wenley-Pope, A Decriptive and Illustrative Catalogue of Chinese Bronzes (Or. Ser. 3), Freer Gall. of Art, Washington 1946; Shih Chang-ju, Recenti scoperte a Yinshu, Anyang, con una nota sulla stratificazione (in cinese), in The Chinese Journal of Archaeology, Istituto di Storia e di Filologia dell'Academia Sinica, Nanchino 1947, p. 39 ss.; Li Chi, The Beginnings of Chinese Civilisation (three lectures), Seattle, Univ. of Washington Press, 1957. Per gli scavi del 1954: Illustrated London News, 17 e 24 agosto 1957; 13 sett. 1958 (W. Watson). Una raccolta di pezzi scelti di ogni epoca si trova nella pubblicazione ufficiale (con didascalie inglesi) The Great Heritages of Chinese Art, 2 voll., Pechino 1955. Cfr. inoltre E. Erkes, The Present State of Arch. in China, in Artibus Asiae, XVIII, 1955, pp. 288-93.
Per le condizioni della società cinese primitiva: H. Maspéro, Contribution à l'étude de la société Chinoise à la fin des Chang et au debut des Tchou, in Bullet. de l'École Franc. d'Extrème Or., XLVI, 2, 1951, p. 350 ss.; id., Le régime fèodal et la proprieté foncière dans la Chine antique, in Mélanges posthumes, III, p. 120. iscrizioni: Kuo Mo-jo, Leang Chou Chin-wen t'sen ta-hsi, Tokio 1932.
(Red.)
4. I vasi. Tipologia.
I vasi di bronzo, che s'incontrano a partire dalla dinastia Shang e la cui produzione continuò senz'altro fino alla caduta della dinastia Han, derivano tutti, nelle loro forme principali, dai vasi di terracotta che venivano manufatti nel precedente periodo protostorico, quando l'uso del bronzo non si era ancora diffuso in Cina. Essi possono essere distinti in tre diverse categorie, a seconda dell'uso cui erano destinati, e precisamente: I. Vasi destinati alla cottura degli alimenti. - II. Vasi destinati alla presentazione di offerte sacre di frutta e cereali. - III. Vasi destinati alle libagioni sacre. - Quanto alla decorazione esterna, questi vasi presentano sulla loro superficie motivi ornamentali caratteristici sul cui valore simbolico sono state avanzate diverse ipotesi. I principali di questi motivi, cioè quelli più frequenti, sono: il t'ao-t'ieh, ("il ghiottone") specie di maschera terrifica, la cui derivazione zoomorfica resta evidente nonostante la stilizzazione che viene aumentando sempre di più con il passare dei secoli; il k'ui o drago stilizzato; il lei-wen, la linea del fulmine, motivo ornamentale ripreso abbondantemente anche dalla stessa architettura cinese, simile alla "greca", ed infine cicale e montagne stilizzate (ch'an-wen e shan-wen). Sorti in epoca Shang, ma continuati anche in epoca Chou sono il miao, uccello stilizzato a lunga coda e il chiüeh, il cane; dalla cui fusione nasce il chiüehfeng, una specie di drago.
Data l'abbondantissima produzione ed i più svariati usi per cui il rituale cinese prescriveva l'uso di appositi vasi di bronzo, questi si presentano sotto un numero elevatissimo di forme e sotto specie di cui vengono qui elencate le principali.
I. Vasi destinati alla cottura degli alimenti: 1. Li: questo tipo di vaso è senz'altro il più antico e compare frequentissimo, eseguito in terracotta, fin dall'Età Neolitica. È un tripode caratterizzato dal fatto che i suoi piedi non sono altro che un prolungamento della pancia del vaso stesso e sono internamente vuoti, il che aumenta sensibilmente la sua capacità ricettiva. Adatto per essere messo sul fuoco, doveva essere usato soprattutto per la cottura di alimenti liquidi. Tra tutti i vasi cinesi il li è il più semplice; in alcuni la decorazione manca completamente, in altri essa si limita a semplici scannellature verticali esterne. Solo in epoca molto tarda (Han) compaiono dei li con decorazioni orizzontali, sempre molto semplici, e dove i piedi, che di solito sono a punta, si allargano ed assumono la forma di zoccoli di cavallo.
2. Ting: vaso frequentissimo e molto antico, adibito alla cottura di cibi solidi, dato che in esso i piedi sono dei semplici sostegni del recipiente, pieni e privi di volume utilizzabile. Esistono tipi a 3 e a 4 piedi.
Dal punto di vista della decorazione nei ting antichi la saldatura tra i piedi ed il corpo del recipiente è dissimulata da una maschera di t'ao-t'ieh mentre il corpo stesso del recipiente presenta di solito il motivo ornamentale a forma di greca o lei-wen; nei ting posteriori, invece, il t'ao-t'ieh tende a scomparire mentre sul corpo del recipiente appaiono i motivi ornamentali più diversi.
3. Hsien: è un vaso di cui si trovano esemplari sia in ceramica che in bronzo. È formato da un treppiedi su cui posa un vaso rotondo con manici. All'attaccatura di ognuno dei tre piedi appare una maschera di t'ao-t'ieh che, negli esemplari in bronzo, si presenta molto più grande ed elaborata che nei corrispondenti esemplari in ceramica.
II. Vasi destinati alla presentazione di offerte sacre di frutta e cereali: 1. Kuei: si tratta di una coppa molto profonda, con due anse o manici laterali, poggiante su di uno zoccolo che può essere indifferentemente rotondo o quadrato. In molti manuali a questo tipo di vaso viene dato il nome tui o yi; il primo risale ai cataloghi cinesi del periodo Sung (960-1279 d. C.), ma gli studî di Jung Keng hanno dimostrato che tui rappresenta un'errata lettura dell'antico segno chiu, equivalente di kuei. Molto probabilmente i primi kuei furono di ceramica e solo in seguito vennero fusi in bronzo. I manici, su cui appaiono scolpite delle teste di animali, dividono la superficie esterna del kuei in due facciate, ognuna delle quali è occupata da una grande maschera di t'ao-t'ieh, il cui naso è composto da tante striature verticali che sono uno degli elementi più caratteristici della decorazione del kuei.
2. Lei: è un vaso rotondo poggiante su di uno zoccolo basso. Analogo al kuei, se ne distingue per la forma che si avvicina a quella di un'urna, per l'altezza, che è maggiore, ed inoltre perché si va restringendo verso la bocca e possiede un coperchio.
La decorazione è composta unicamente di maschere di t'ao-t'ieh.
3. Fu: anch'esso è un vaso analogo al kuei, da cui si distingue perché, invece d'esser tondo, è quadrangolare, ed inoltre non poggia su di uno zoccolo bensì su quattro piccoli piedi. Oltre a ciò possiede dei grandi manici ed anche un coperchio.
È un vaso molto tardo, che compare solo dal sorgere della dinastia Han in poi.
4. Tou: è una coppa rotonda poggiata su di un alto piede a forma di candelabro: serviva per presentare in offerta le frutta. Se ne eseguivano anche in ceramica ed è probabile che il piede a forma di candelabro che sostiene la coppa fosse originariamente una canna di bambù. Ai lati della coppa si trovano dei piccoli manici. Alcuni esemplari sono stati rinvenuti forniti anche di un coperchio a forma di cupola.
5. K'ui: è una coppa circolare poco profonda e piuttosto larga, fornita di coperchio. Non è un tipo di vaso molto diffuso.
III. Vasi destinati alle libagioni sacre: 1. Tsun: con questo nome vengono di solito indicati vasi che appartengono in effetti al tipo ku, hu e lei, specialmente i ku di proporzioni meno slanciate. Probabilmente tsun è un nome generico dato ai vasi per libagioni a forma di animali, e precisamente di elefanti (hsiang tsun) e di uccelli o animali sacrificali (hsi tsun).
2. Yü: sorta di brocca fornita di coperchio e di un unico grande manico superiore. Nelle epoche posteriori apparvero degli yü dalle forme più svariate, soprattutto forme di uccelli. Questo tipo di vaso non veniva usato per la libagione vera e propria, ma solamente per conservare e trasportare il vino del sacrificio.
3. Ho: è un vaso che serviva a mescolare i vini delle libagioni. Di forma molto semplice, è munito di tre piedi, un becco, un coperchio ed un manico: simile ad una teiera. Se ne trovano però anche senza piedi. La parte inferiore lo ravvicina al ting e, come nel ting, là dove incominciano a delinearsi i piedi compaiono maschere di t'ao-t'ieh. Tutto attorno al collo si trovano motivi ornamentali raffiguranti draghi stilizzati (k'ui).
4. Chia: simile al li nella forma, serviva a riscaldare il vino sul fuoco. Ce ne accorgiamo dai montanti quadrati sormontati da grosse teste che si elevano ai lati come delle orecchie: dovevano servire per dare la possibilità di togliere facilmente il vaso dal fuoco facendo passar dei bastoni sotto quelle teste.
5. Chüeh: questo vaso si presenta simile nella forma al chia, ma è più elegante, essendo fornito di due becchi, uno anteriore ed uno posteriore, che ne slanciano sensibilmente la linea.
6. Ku: è un vaso stretto, a forma di tromba, molto slanciato. Ne esistono alcuni la cui base è formata da una vera e propria campana. La decorazione è varia: vi si possono trovare maschere di t'ao-t'ieh, draghi (k'ui), cicale (ch'an-wen) o montagne (shan-wen).
7. Hu: è il vaso dalla forma più semplice, rotondeggiante, dove il ventre si allarga, permettendo così una notevole capienza, per restringersi poi a fiasca verso il collo dove sono due piccoli manici.
8. Chih: è un piccolo vaso, privo di manici, simile ai tipi yü e hu; usato per offerte di vino.
9-10. Kuang e I: vasi molto affini tra loro, di cui il primo costituisce il prototipo del secondo, hanno forma allungata, spesso zoomorfa, del tipo a salsiera.
11. P'an: recipiente per acqua a forma di bacino, per lo più circolare; non mancano però esempi di p'an ellissoidali.
12. Chien: recipiente per ghiaccio a forme di piatto fondo circolare; può raggiungere notevoli dimensioni.
Bibl.: E. A. Voretzsch, Altchinesische Bronzen, Berlino 1924; A. J. Koop, Ancient Chinese Bronzes, Londra 1924; W. P. Yetts, Chinese Bronzes, in Chinese Art, Burlington Magazine Monographs, Londra 1925; Tchou Tö-yi, Bronzes antiques de la Chine appartenant à C. T. Loo et C.ie, Parigi 1924; O. Sirén, Histoire des arts anciens de la Chine, vol. I, Parigi-Bruxelles 1939; Jung Keng, Shang Chou i ch'i t'ung k'ao (I bronzi Shang e Chou), Pechino 1941; Freer Gallery of Art: A Descriptive and Illustrative Catalogue of Chinese bronzes Acquired During the Administration of J. E. Lodge, Washington 1946; W. Willetts, Chinese Art, I, Harmondsworth 1958, pp. 125-173.
(P. Corradini)
5. Arte arcaica.
Il declino della grande arte della ceramica dipinta coincide con l'apparizione del bronzo verso il 1700 a. C. Il primo gruppo di bronzi che possediamo proviene da Anyang, capitale degli Shang (Yin) nel XIV sec. a. C. È quindi normale, che dopo ben quattro secoli di esperienza, i bronzisti siano in grado di offrirci pezzi la cui bellezza e perfezione tecnica ci stupiscono, dal momento che sono per noi le prime testimonianze in quel campo artistico. A questi oggetti così raffinati, gli scavi cinesi hanno aggiunto anche alcuni esempî del grande talento degli architetti, dei vasai e degli intagliatori di marmo e giada.
Dagli Shang agli Han l'arte dei bronzi sarà predominante rispetto a tutte le altre produzioni. Per meglio comprenderne l'evoluzione, possiamo adottare una cronologia che li raggruppa in tre lotti: quello della dinastia Shang, quello dei Chou e quello dei Regni Combattenti. (L'analisi di alcuni bronzi ha dato le seguenti composizioni percentuali: Shang: Cu 88,98, Pb 2,55, Fe 0,13, Sn 4,01; Chou: Cu 82,72, Pb 0,78, Sn 4,01, Fe 0,05, Zn 0,10).
La civiltà degli Shang si riferisce a un periodo che copre anche in parte la dinastia Chou e ci rivela gli splendori d'una corte reale la cui economia a base agricola aveva arricchito i signori e anzi aveva procurato lussi e mollezze che confinavano con la decadenza. Situati in immense tombe, accanto a illustri morti con a fianco le loro consorti, i loro servitori, i loro carri e i loro animali, questi bronzi ci recano l'eco di secoli che conobbero i lavori forzati e i sacrifici umani. Vasi per riti, vasche o tripodi, destinati a contenere cereali o liquori, armi o ornamenti di carri, strumenti musicali o gioielli, tutti questi bronzi portano i segni della fede primitiva, in cui gli animali venivano divinizzati, e i cui totem venivano onorati come le loro rappresentazioni sacre. Il motivo principale dei bronzi è la maschera detta t'ao-t'ieh, o "ghiottone". In questa maschera si aprono due occhi immensi, mentre la bocca aperta al riso è sottolineata da rughe e le narici larghissime arrivano talvolta a coprire tutta la superficie del vaso dandogli quel forte rilievo che caratterizza questa prima epoca. Questo disegno risalta spesso su un fondo di motivi decorativi, come meandri, o giochi di triangoli e linee parallele. In uno stile seguente, in cui i motivi decorativi sopraffanno il motivo ornamentale, la maschera realistica scompare sotto le decorazioni secondarie, tanto da diventare invisibile, trasformata in una complicata figura geometrica senza tratti riconoscibili. Questo passaggio dal realismo al disegno geometrico, per cui propende tra gli altri anche il Karlgren è, invece, contestato da coloro che, come M. Loehr, preferiscono spiegare l'origine delle maschere realiste partendo dalle figure senza significati precisi. Nell'epoca seguente, quella dei Chou, un cambiamento nella società, dovuto all'intrusione della popolazione dei mercanti dell'Ovest, più agguerrita ma meno raffinata, conferisce ai bronzi, detti medi Chou, un aspetto più sobrio e talvolta anche una più severa maestosità. Gli elementi decorativi sono meno ricchi e meno intrecciati, i motivi sono meno carichi e un rilievo più marcato disegna con nettezza il gioco delle composizioni, come quello degli animali addossati.
All'epoca dei Regni Combattenti l'arte vede il trionfo del naturalismo e una più netta separazione tra le decorazioni e gli ornamenti plastici; in questi ultimi si nota un realismo che può senza dubbio essere spiegato con l'espansione, avvenuta in quel tempo - V sec. a. C. - dell'Arte delle Steppe, quest'arte in cui predomina la raffigurazione degli animali, e che, con molto anticipo rispetto a tutta l'Eurasia settentrionale, si era familiarizzata con la raffigurazione plastica degli animali. Ciò non vuol dire che si debba attribuire ai barbari l'introduzione di questo particolare genere di arte. Sin dal tempo degli Shang, infatti, vediamo che il bronzista cinese conosce l'arte di ritrarre gli animali, ed è possibile spiegare lo stile dei Regni Combattenti appunto seguendo l'evoluzione della sua tecnica; bisogna però sottolineare che l'influenza dell'Arte delle Steppe poté esercitarsi liberamente su un terreno propizio qual'era l'arte cinese. Accanto a questa influenza occidentale, però, si può anche riconoscere un'influenza opposta; recenti scoperte in Siberia ci hanno infatti dato la prova che fortissime influenze cinesi hanno agito nell'Ovest, dal lago Bajkal all'Irān, verso gli inizi del I sec. a. C. Da ciò deriva che non è assolutamente impossibile che una tradizione cinese abbia contribuito a costituire, nelle regioni del Mar Caspio, uno degli elementi dell'arte scita. Lo studio dell'Arte delle Steppe ci riserva ancora molte sorprese sulla parte avuta dall'arte cinese nell'arte antica sia dell'Occidente che dell'Oriente. In Cina, anche accanto agli elementi realistici, la decorazione presenta nastri piatti le cui volute e i cui nodi fanno da cornice a maschere t'ao-t'ieh ben definite, e danno quindi al vaso un carattere vibrante di vita, specialmente sulle anse o sui coperchi, su cui si trovano figure di animali straordinariamente piene di vita. Questo miscuglio di geometrizzazione e di naturalismo caratterizza questa ultima fase della grande epoca dei bronzi.
Parallelamente all'arte del bronzo si sviluppò quella della lavorazione della giada. La giada, venerata in Cina come materia preziosa, sia per la sua sonorità che per il piacere tattile che procura, è il simbolo della purezza, della virtù e del potere imperiale. Si incontra già nel Neolitico, ma è solo a partire dal XIV sec. a. C. che, accanto alle forme, severe dei dischi forati o dei cilindri racchiusi in parallelepipedi rettangoli e delle tavolette o delle armi, scopriamo l'arte dell'incisore, nelle giade funerarie destinate a chiudere gli orifizî dei morti, o negli amuleti. A somiglianza dei bronzi, la giada e il marmo saranno trattati in maniera realistica o geometrica, stilizzata o naturalista (v. Tavola a colori).
Infine, ci sono alcuni gruppi di oggetti particolari dell'una o dell'altra epoca, come il vasellame bianco degli Shang, le cui forme e le cui decorazioni annunciano, imitandole, quelle dei bronzi contemporanei. Nei vasi compaiono nuove forme, con la scomparsa delle superfici sotto i rilievi della decorazione; tra i nuovi motivi compare la figura umana. I Regni Combattenti vedono nascere l'arte raffinata delle lacche e delle incrostazioni. Gli scavi di Ch'angsha (effettuati nel 1948 e 1949 mettendo in luce circa duemila tombe tra quelle di questa epoca e di epoca Han) ci hanno fatto pervenire, accanto a statuette in legno molto stilizzate, magnifiche lacche dipinte, dai molteplici motivi geometrici e numerosi bronzi, vasi e fibbie, incrostati d'oro e di argento, anche sul tipo dei bronzi dell'Ordos, oltre al più antico documento sinora apparso di pittura su seta databile a circa il 400 a. C.
Prima della dinastia Han, dopo più di due millenni, l'arte cinese si trova alla fine d'un ciclo dominato dal culto per gli animali. Ma a partire dal V sec. a. C., profondi sconvolgimenti daranno origine a un nuovo indirizzo. Il periodo tormentato dei Regni Combattenti stimola tutte le energie, un grande movimento religioso e intellettuale scuoterà fin dalle radici le antiche strutture. È questa l'età d'oro della filosofia cinese che da un regno dilaniato trarrà le fondamenta di un impero. Vedremo allora entrare nell'arte alcuni personaggi testimoni di un nuovo soffio vitale, che gli Han sapranno giustamente sfruttare, di un umanesimo che contraddistinguerà l'arte asiatica del periodo seguente.
Bibl.: J. G. Andersson, An Early Chinese Culture, Pechino 1923; T. J. Arne, Preliminary Report on Archaeological Research in Kansu, Pechino 1925; id., Painted Stone Age Pottery of Honan, Pechino 1925; M. Boule, H. Breuil, E. Licent, P. Teilhard, Le Paléolithique de la Chine, Parigi 1928.
(V. Elisséeff)
6. Epoca Han (206 a. C. - 220 d. C.) e Tre Regni (221-265 d. C.).
Al momento della sua fondazione, nel 206 a. C., la dinastia Han ricevette in eredità l'opera compiuta dal principe di Ch'in (Ts'in) il quale, prendendo nel 221 il titolo di Primo Augusto Imperatore (Ch'in Shih Huang Ti) aveva in tal modo consacrato la sua vittoria sui proprî rivali e l'unità, finalmente conseguita, della Cina. Ponendo fine, con metodi autoritarî, alla lunga rivalità dei numerosi principati che si dividevano il territorio cinese, Ch'in Shih Huang Ti si era sforzato, al fine di prevenire qualsiasi reazione dei grandi feudatarî, di staccare la Cina dalle sue tradizioni secolari. Subito dopo la sua morte, lo scontento causato dal suo governo tirannico si manifestò con disordini che il successore non poté reprimere. Liu Pang, soldato di ventura, riuscì allora a impadronirsi del potere e a consolidare l'unità da poco conquistata. Il fondatore della dinastia Han e, in seguito, i suoi eredi, conservarono le principali innovazioni del loro geniale predecessore. Essi ristabilirono la pace in una Cina da secoli dilaniata da lotte fratricide e tale pace, mantenuta all'interno per quasi quattrocento anni, permise all'impero di conseguire magnifici sviluppi economici e culturali. La necessità di proteggere le frontiere settentrionali contro le incursioni degli Unni organizzati in potente confederazione, indusse i sovrani cinesi, verso la fine del II sec. a. C., a una politica di espansione a E, verso la Corea del Nord, e all'O verso l'Asia Centrale. Tali conquiste conferirono maggiore stabilità a quelle correnti di scambio di merci, di tecniche e idee che, lungo le strade della seta, avevano incominciato a costituirsi già nel V sec. a. C., e favorirono l'introduzione di nuovi apporti provenienti dall'India e dall'Irān.
Nelle province meridionali, infine, lo stabilizzarsi d'un movimento di colonizzazione già molto antico, permette, verso il S e fino nell'Annam settentrionale, un'ampia penetrazione della civiltà cinese, mentre, d'altra parte, tecniche ed abitudini locali vengono a incorporarsi con quella.
L'epoca della dinastia Han, ponte tra l'Antichità e il Medioevo cinesi, manifesta in tutti i campi uno spirito di sintesi e d'unità che è particolarmente sensibile nell'arte. Questa tendenza favorì la creazione d'una prima arte imperiale che si diffuse per tutta la Cina e si espanse largamente anche al di là delle sue frontiere, come testimoniano le innumerevoli scoperte di oggetti Han avvenute in questi ultimi anni nelle regioni periferiche: Mongolia, Corea, Annam del Nord, Asia Centrale, fino nel lontano Afghanistan (Begram) e sui bordi del Mediterraneo (Palmira). Questa unità, naturalmente, non esclude particolarità locali ma, nonostante ciò, si afferma uno stile la cui diffusione può essere spiegata con la presenza, in alcune regioni più distanti dalla capitale, di botteghe imperiali le cui creazioni dovettero conformarsi al gusto della corte. Fu così che si ritrovarono a Lo-lang (Corea), nelle tombe di alti funzionarî cinesi, lacche lavorate con la tecnica imperiale dello Szŭch'uan.
Amante del lusso, il periodo dei Regni Combattenti (V-III sec. a. C.) aveva fatto dell'arte rituale e sacra dei tempi arcaici uno strumento di prestigio e di ornamento. Il bronzo tradizionale fu sostituito da metalli preziosi. Accanto ai motivi antichi: spirali, maschere di t'ao-t'ieh, draghi attorcigliati come nastri, rinnovati con innumerevoli particolari e sottomessi a un ritmo stringato, ecco apparire elementi realistici: uccelli, buoi, anitre, trampolieri. Tali elementi presero a poco a poco il sopravvento sulla decorazione ornamentale e, nei vasi detti di caccia, coprirono tutta la superficie dell'oggetto, facendo prorompere il gioco sottile delle curve e controcurve. L'epoca degli Han Anteriori (206 a. C. - 24 d. C., capitale Ch'angan) non portò, in un primo momento, che pochi cambiamenti; si può tutt'al più constatare un irrigidimento della spirale, mentre il realismo progrediva, trovando pian piano un ritmo nuovo. Tale ritmo è quello delle stesse forme che da un millennio i Cinesi avevano saputo cogliere nel loro insieme e senza ricerca di particolari superflui. Questa insistenza su un ritmo interno particolare a ciascuna forma, resterà una delle caratteristiche dell'epoca, e la si nota chiaramente nei grandi leoni di pietra che ornano i dintorni delle tombe, così come negli animali di bronzo dorato, di cui l'Orso della Collezione Stoclet (Bruxelles) rimane l'esempio più affascinante.
La perizia degli artisti Han nelle figurazioni animali - si tratti di profili cesellati nella pietra o di figure in terracotta - è frutto d'una lunga esperienza acquisita nel corso di secoli. Ma è un tratto nuovo, quello che costituisce una delle particolarità dell'epoca: l'uomo non aveva mai avuto una parte importante nell'arte più antica. La tematica decorativa dei tempi arcaici era stata dominata dall'animale, simbolo di potenze occulte. All'epoca dei Regni Combattenti, la figura dell'animale fu maggiormente individuata nei particolari, ma la presenza dell'uomo al suo fianco rimaneva episodio del tutto sporadico. Un posto preminente l'uomo assunse invece all'epoca Han, che vide la nascita dell'umanesimo cinese.
I movimenti di pensiero che erano fioriti così numerosi nelle piccole corti dei Regni Combattenti - e da cui dovevano emergere le due correnti (confucianesimo, dal VI sec. a. C. e taoismo, dal II sec. d. C.) che hanno fino a un'epoca molto recente dominato la mentalità cinese - quelle correnti avevano per centro l'uomo e il suo comportamento nell'universo. Il confucianesimo l'aveva considerato in quanto animale sociale che si uniforma al ritmo universale osservando i riti e le regole morali mistiche, il taoismo aveva invece predicato l'adesione totale alla natura per mezzo di una comunione estatica.
Sotto il regno di Wu Ti (140-86 a. C.), conquistatore della Corea e dell'Asia Centrale, si videro trionfare i difensori del confucianesimo. Sotto la loro influenza, l'arte assunse un fine edificante e pedagogico e i palazzi imperiali si ornarono di pitture rappresentanti personaggi che fossero esempî della Virtù o del Vizio, scelti tutti tra gli eroi leggendari dell'antichità cinese. Nel I sec. d. C. vi si aggiunsero i temi della pietà filiale. Anche le usanze funerarie favorirono lo sviluppo della rappresentazione umana. Nello Shantung e nel Honan, davanti alle tombe sono situate alcune piccole stanze destinate ai sacrifici rituali. Le lastre di pietra che le compongono si fregiano di rappresentazioni graffite o in rilievo, che imitano i dipinti delle abitazioni imperiali, di scene di banchetto o di omaggio riferentisi ad un aldilà nel quale il defunto continua un'esistenza simile alla sua vita terrestre. Alle celebri lastre di pietra del Wu-Liang Tien (dopo la metà del II sec. d. C.) analizzate dallo Chavannes, si possono ormai aggiungere quelle di Yinan, in cui sono raffigurati i preparativi e la celebrazione d'un banchetto rallegrato da un'orchestra e da giocolieri e danzatori. Disposte di profilo o di tre quarti, le figure sono circondate da una linea morbida che si adatta soprattutto a esprimere il movimento delle danze, dei cortei, delle cavalcate. In questo mondo mitico, l'uomo appare accanto ad animali fantastici, che sono rappresentati, però, in scala umana. I rari dipinti che ci sono pervenuti ci mostrano le stesse qualità di movimento ed eleganza, e anche qui le forme sono circondate da un uguale cerchio, che rimarrà tradizionale nel largo campo della pittura cinese. Scoperte di recente, le decorazioni della tomba di Wangtu (Honan) rivelano, sin da quell'epoca, l'abilità dei Cinesi nella ritrattistica. Nelle ming-ch'i, piccole figure di terracotta che, con la rappresentazione della sua casa e dei suoi animali domestici, accompagnavano il defunto nella tomba, si possono seguire i progressi del modellatore nello studio del corpo umano. Le più antiche sono piatte, trattate ad ampî spazî che ricordano la lavorazione del legno, ma ben presto la figura si anima e il movimento vi è reso felicemente, nonostante la mancanza del volume.
In un secondo tempo, allo studio dell'uomo venne ad aggiungersi quello della natura. Nelle rappresentazioni dipinte o scolpite, solo raramente figura l'ambiente naturale; talvolta, un albero serve a dividere un gruppo da un altro. Due sono gli elementi che definiscono l'universo e delimitano lo spazio: la montagna e la nuvola. Sui bronzi dorati, sulle lacche, sulle sete, questi due elementi si sostituiscono alla spirale e assolvono quello stesso compito di divisione con un ritmo diverso. Solo nel II e III sec. della nostra èra, nello Szŭch'uan, sui mattoni impressi, e nel Liaotung, nelle pitture funerarie, appaiono paesaggi meno schematici, in cui la montagna continua ad occupare il primo posto, creando il quadro in cui si profilano personaggi, alberi e animali.
Questa tardiva apparizione del paesaggio coincide con un atteggiamento nuovo delle persone colte, che avevano incominciato a esprimere nella poesia il loro amore per la natura. Ma ecco che già l'impero Han trema sulle sue basi e si riaffaccia l'instabilità, che viene sentita tanto più profondamente in quanto diversi secoli di pace avevano abituato i Cinesi alla tranquillità. L'etica del confucianesimo non poté confortare la loro angoscia, mentre la mistica taoista apparve loro come un rifugio. Questa tendenza si manifesta in numerosi specchi ornati a rilievo con effigi di Saggi taoisti, tra le quali, verso la metà del III sec., faranno capolino le prime figure buddiste.
Il crollo degli Han e il turbolento periodo dei Tre Regni (Han, nello Szŭch'uan, 221-263; Wei, nel Nord, 221-263; Wu, nel Chechiang, 222-277) accentuarono questo processo. Abbandonando le città in preda all'anarchia, l'aristocrazia si rifugiò nella Cina centrale e cercò l'oblio nella contemplazione degli incantevoli paesaggi della valle dello Yangtzekiang. Ai principî morali del confucianesimo si sostituì un edonismo di cui il gruppo dei Sette Saggi del Boschetto di Bambù è rimasto il simbolo. Godere dell'istante che passa, dedicarsi alla poesia e alla musica, ecco le principali occupazioni dei Letterati. E nei loro piaceri un posto speciale fu dedicato alla nuova, nobile arte della calligrafia.
L'arte della calligrafia aveva avuto la sua fioritura nel I sec. d. C., grazie alla trasformazione del pennello e all'apparizione della carta e dell'inchiostro. Valendosi di questi stessi strumenti, anche la pittura non tardò ad essere adottata negli ambienti aristocratici; essa fu elevata quindi dall'artigianato al livello dei Letterati (Wen Jen), che da allora cercarono di evocare con l'immagine quei temi per l'innanzi riservati solo alla poesia. Nessun esemplare ci rimane di questa prima pittura dei Letterati, ma il suo orientamento spirituale e intellettuale fu all'origine delle realizzazioni degli artisti del IV sec.: Ku K'ai-chih, Tsugh Ping e Kang Wei, i cui scritti, in mancanza di opere autentiche, rivelano quali fossero le ricerche e spiegano l'evoluzione dell'arte pittorica in Cina.
Sotto gli Han, al moltiplicarsi dei temi, si era affiancato il moltiplicarsi delle tecniche: l'oreficeria, la lavorazione della seta, le lacche, ebbero un periodo di fioritura. Ci mancano elementi per distinguere gli apporti dell'epoca dei Tre Regni in ciò che riguarda le arti minori, mentre siamo meglio informati sull'evoluzione della ceramica. Sotto gli Han, accanto al vasellame verniciato e colorato di verde per mezzo dell'ossido di rame, tecnica derivata dall'Occidente, si era iniziato quel lento processo che doveva, qualche secolo dopo, dare origine alla porcellana. La pasta vitrea, introdotta dal mondo romano, sostituisce la giada. Grande importanza assume la plastica, documentata dai grandi animali in pietra, posti nei recinti funerarî, e dalle statuette funerarie di argilla. In queste opere è molto vivo il senso del volume; ed è probabile che alla stilizzazione dei leoni ruggenti abbia contribuito notevolmente un influsso iranico pervenuto attraverso l'Asia Centrale. Nel Chechiang, nella regione di Shaohsing, apparvero le prime porcellane dalla superficie feldspatica cotte ad alta temperatura. Scavi recenti hanno mostrato che, fin dal III sec., questo tipo di porcellane cedette il posto ai primi verdazzurri di Yüeh, dalla superficie colorata con ossido di ferro cotta a calore moderato. Quest'ultimo tipo si sviluppò molto durante i Tre Regni (221-265 d. C.).
(M. P. David)
7. Dai Tre Regni alle Sei Dinastie (265-589 d. C.).
La cultura Han, forte e potente in tutti i campi dell'arte, dominò anche i secoli successivi. Il mutamento di stile si compì lentamente in quei tempi irrequieti, sviluppando tendenze già manifestatesi durante la dinastia Han. Accanto ad una più profonda comprensione della natura si osserva nell'arte una corrente che tende a forme convenzionali, araldiche, specie nelle rappresentazioni di animali. Gli alati esseri favolosi che fiancheggiano i viali dei sepolcreti, per lo più datati, presso Nanchino dànno ancora la sensazione della forza animale nella sua potente tensione; ma rivelano, nello stesso tempo, una diminuita freschezza dell'ispirazione artistica. Questi guardiani dei sepolcri formano un gruppo a sé, che mantenne i proprî caratteri sino all'epoca nostra. Dopo il primo millennio, gli accessori cominciano a sopraffare le loro grandi linee: ali riccamente ornate, barbe e riccioli rendono meno compatto il blocco, distruggendo l'impressione originaria.
L'avvenimento più importante, in quel tempo, fu l'introduzione del buddismo in Cina. Solo al principio del sec. V, non nel II, come vuole la tradizione, il buddismo appare come tema nell'arte dell'Estremo Oriente. Con la sua dottrina la scultura acquistò un'importanza religiosa mai prima avuta. Si soleva rappresentare il pantheon buddista nei templi in figure per lo più di bronzo o di legno, nelle stele votive e nella scultura in pietra dei santuari rupestri, nella suppellettile funeraria e nei doni votivi in bronzo. I capolavori eseguiti per i templi sono andati perduti nelle continue devastazioni: ma le sculture dei santuarî rupestri e le stele votive ci dicono abbastanza dello stile dell'epoca. I più importanti santuarî rupestri si trovano nel N, a Yünkang (Shansi), Lungmen e Kunghsien (entrambi nel Honan) e sul T'ienlungshan (Shansi). La scultura buddista del tempo delle Sei Dinastie, pur ritraendo la figura già nel suo reale aspetto, ne compone le singole parti con intenti ornamentali. Il panneggio si dispone secondo un ritmo lineare, e non secondo il peso naturale; le figure paiono tirate secondo la linea verticale; i visi esprimono una fissità ieratica: è uno strano miscuglio di primitività e di raffinatezza. Poiché il pantheon buddista giunse in Cina dall'India, iconograficamente già del tutto sviluppato, per via di mare, ma soprattutto attraverso le strade di pellegrinaggio del Turkestan, necessariamente elementi stranieri s'infiltrarono nell'arte religiosa cinese.
Conosciamo la pittura di quest'epoca soltanto attraverso copie. Erano già sviluppati allora i tipi principali di dipinti portatili: il quadro da appendere e il rotolo illustrato. Ben noto è il rotolo di Ku K'ai-chih nel British Museum di Londra. Malgrado tutta la perfezione dei singoli elementi, non si può parlare, però, di composizione pittorica organica nello spazio. Figure e gruppi hanno movimenti eleganti e leggiadri, mentre il paesaggio non ha che funzione di quinta.
(† A. Salmony)
Bibl.: Opere generali: St. W. Bushell, Chinese Art, voll. 2, Londra 1902-1904; O. Münsterberg, Chinesische Kunstgeschichte, voll. 2, Esslingen 1910; O. Fischer, Die Kunst Indiens, Chinas und Japans, Berlino 1928; O. Sirén, Hist. des arts anciens de la Chine, voll. 6, Parigi-Bruxelles 1929 ss.; O. Kümmel, Die Kunst Chinas, Japans und Koreas, Potsdam 1929; R. Grousset, La Chine et son art, Parigi 1951; M. P. David, Arts et styles de la Chine, Parigi 1953; O. Sirén, Sekkai Bijutsu Zenshu. Chugoku, I (Storia universale dell'arte. Cina), Heibonsha, Tokyo 1952; L. Sickman-A. Soper, The Art a. Architecture of China, Harmondsworth 1956. V. inoltre le riviste: Bull. of Museum of Far Eastern Antiquities, di Stoccolma: Artibus siae, di Ascona; Harvard Journ. of Asiatic Studies; Archives of the Chinese Art Society of America; Arts Asiatiques.
Sulla scultura in pietra: S. Mizuno, Chinese Stone Sculpture, Tokyo 1950. Sulla pittura: A. Waley, An Introduction to Chinese Painting, Londra 1923; M. Sullivan, On the Origin of Landscape Representation in Chinese Art, in Archives of the Chinese Art society of America, VII, 1953, pp. 54-65; id., Notes on Early Chinese Landscape Painting, in Harvard Journ. of Asiatic Stud., XVIII, 1955, pp. 442-46; O. Sirén, Chinese Painting. Leading Masters and Principles, Londra 1956. Sulla porcellana e la ceramica. B. Laufer, The Beginnings of Porcelain in China, in Field Museum of Natural History, Anthropological Series, XV, 2, Chicago 1907; F. Koyama, The Story of Old Chinese Ceramics, Tokyo 1950; D. Gray, Early Chinese Pottery a. Porcelain, Londra 1953; T. Dexel, Die Formen chinesischer Keramik, Tubinga 1955; D. Lion Goldschmidt, Poteries et porcelaines chinoises, Parigi 1957 (v. inoltre più avanti din. Han). Giade: A. Salmony, Carved Jades of Ancient China, Berkeley 1938. Lacche: Ch'ang-sha ch'ou t'on kou tsi (Lacche scoperte a Ch'angsha), Pechino 1955(v. più avanti din. Chou).
Per il periodo della dinastia Shang: Chi Li, Preliminary Reports on Excavations at Anyang, I, Pechino 1929; S. Umehara, Nouvelles découvertes archéologiques en Corée, in Rev. des Arts Asiatiques, III, 1928; Chi Li, The Beginnings of Chinese Civilisation, Seattle 1957 (con ampia bibliografia di pubblicazioni cinesi); Hsia Nai, Scavi di Chengchou (Honan) in Archaeology 11, 1958, pp. 267 ss.
Per il periodo della dinastia Chou: B. Laufer, Jade, Chicago 1912; K. Hamada, Sen-Oku Seisho, voll. 7, Tokyo 1921; id., Early Chinese Jade in the Uyeno Collection, Osaka 1926; U. Pope-Hennessy, Early Chinese Jade, Londra 1923; A. J. Koop, Frühe Chinesische Bronzen, Berlino 1924; M. Tch'ou Tö-yi, Bronzes antiques de la Chine, Parigi 1924; P. Pelliot, Jades archaïques de la Chine, Parigi 1925; W. P. Yetts, The George Eumorfopoulos Collection, Catalogue of the Chinese and Corean Bronzes, sculpture, Jade, Jewellery and Miscellaneous Objects, voll. 6, Londra 1929: W. Hochstadter, Pottery a. Stonewares of Chang, Chou a. Han, in Bull. of Far. a. Middle East Ass., XXIV, 1952; L'arte delle figurine di terracotta delle antiche epoche cinesi (in cinese), Pechino 1955.
Per il periodo della dinastia Han: B. Laufer, Chinese Pottery of the han Dinasty, Leida 1909; id., Chinese Grave-Sculptures of the Han-period, Londra 1911; id., Chinese Clay Figures, I, Chicago 1914; Oōmura Seigai, Shina Bijutsushi Chōsohen, Tokyo 1915; E. Chavannes, Mission archéologique dans la Chine septentrionale, voll. 4, Parigi 1909 ss.; R. L. Hobson, Chinese Pottery and Porcelain, voll. 2, Londra 1915; id., The George Eumorfopoulos Collection, Catalogue of Chinese and Persian Pottery and Porcelain, voll. 6, Londra 1925 ss.; A. H. Hetherington, The Early Ceramic Wares of China, Londra 1922; V. Segalen, J. Lartigue, G. de Voisins, Mission archéologique en Chine, voll. 2, Parigi 1924 ss.; A. Salmony, Chinesische Plastik, Berlino 1925; C. Hentze, Les figurines de la céramique funéraire, Hellerau 1927; Kosaku Hamada, Ancient Chinese Terracotta Figurines, Tokyo 1927; O. Fischer, La peinture chinoise au temps des Han, in Gaz. des Beaux Arts, luglio 1932; W. C. White, Tombs of Old Loyang, Shanghai 1934; J. Harada, The Tomb of the Painted Basket of Lo-lang, Keijo (Seul) 1935; id., The Tomb of Wang Kuan of Lo-lang, Keijo (Seul) 1935; V. Segalen, G. de Voisins, J. Lartigue, L'art funérarie à l'époque des Han, Parigi 1935; B. Karlgren, Huai a. Han, in Bull. of Mus. of East Ant., 1941; W. Fairbanks, A Structural Key to Han Mural Art, in Harv. Journ. Asiat. Stud., VII, 1943-44; C. Richard, C. Rudolph, Wen-yu, Han Tomb Art of West China, Berkeley-Los Angeles 1951; Pitture dell'epoca Han (in cinese), Pechino 1955.
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(M. P. David - † A. Salmony)
8. Architettura.
A) Generalità. - I caratteri dell'architettura cinese sono tali, da consigliarne una trattazione a parte, oltre ai cenni che già si son visti sopra nel disegno storico delle altre arti cinesi. Infatti il grande rispetto delle tradizioni ha fatto sì che la Cina non abbia avuto in tutta la sua storia che un solo tipo d'architettura. Quattro o cinquecento anni prima di Cristo i Cinesi costruivano già i loro monumenti e le loro case sul tipo e modello di oggidì.
Non vi sono in Cina rovine architettoniche importanti all'infuori della Grande Muraglia: e la causa è da attribuirsi, sia alla qualità dei materiali impiegati per le armature (il legno), sia alla leggerezza del tipo di costruzione adottato.
Due leggi regolano in genere l'architettura cinese: l'uso in grandissima parte del legno e la predominanza dei vuoti sui pieni; carattere fondamentale è l'importanza del tetto o t'ing.
B) Materiali. - L'architetto cinese, innanzi tutto, è carpentiere; la sua costruzione è l'applicazione più in grande degli incastri e connessure. Sopra un battuto di calce leggermente sfiorita, e terra vagliata, formante una specie di platea, si poggiano lungo il perimetro le basi, per lo più di pietra, sostenenti le travi che formano l'ossatura dell'edificio: su questa, per mezzo di altre travi di collegamento, s'innalza il tetto. Si riempiono poi i vani dell'ossatura con muri di fango e ciottoli, rivestiti da uno spesso intonaco formato di calce, poca sabbia o terra e stoppa. Raramente si usano i muri di calce e mattoni e, quando si usano, si lascia sempre la cortina scoperta.
Le poche costruzioni tutte di pietra, dette p'ai-sang o p'ai-lou, sono specie d'archi di trionfo commemorativi, di altezza variabile dai 5 ai 20 m, con tre, cinque o più passaggi. Ve ne sono poi di legno e pietra. Talvolta negli incroci delle strade se ne trovano posti ai quattro imbocchi; più spesso a due, uno dopo l'altro.
I Cinesi hanno conosciuto la vòlta fin dall'antichità, ma ne hanno fatto uso raramente, e solo per le porte dei bastioni e per i ponti (ponte a gobba di cammello nel Palazzo imperiale d'estate, quello in marmo bianco di Kuanochoshan). Non hanno mai costruito cupole, e solo qualche monumento buddista, come lo stupa (v.), affetta esteriormente la forma d'una cupola, ma in realtà è una massa piena.
C) I "t'ing". - Il tipo generale delle costruzioni cinesi è il t'ing, consistente in colonne di legno che sostengono un tetto ricurvo all'insù e strapiombante.
Tutti gli edifici, templi, palazzi, case private, porte di città, archi di trionfo, ecc. sono costruiti, salvo pochissime eccezioni, sul tipo del t'ing. Il tetto è quindi in tutte le costruzioni, data la poca elevazione delle pareti verticali, la parte principale.
Per variarne l'aspetto, il tetto, specialmente nei templi e nei palazzi, si fa doppio, o spesso triplo; è decorato e ornato: alle punte rialzate si pongono draghi o altri mostri dipinti o dorati; altri ornamenti e simboli ornano anche i quattro displuvi agli angoli, e il colmo orizzontale, rialzato all'estremità, termina con teste di draghi o di mostri.
Il t'ing ha reso necessario l'uso di molte colonne. Esse sono di legni comuni; per i palazzi e i grandi templi s'impiega di preferenza il cedro. Il fusto è svelto, cilindrico, talvolta poligonale, in alcuni casi scanalato. Il capitello è una sorta di mensola squadrata o scolpita a testa di drago, o a fiore di loto; la base è di pietra, a tronco di piramide, o a forma di coppa rovesciata.
D) Architettura civile. - Poiché i Cinesi annettono maggior importanza all'estensione che non all'altezza delle abitazioni, gli edifici in generale sono a un solo piano, sollevato variamente dal suolo mediante un terrapieno e fornito d'un pavimento in mattoni grigi, quadrati e perfettamente levigati; solo nei palazzi imperiali, in alcuni edifici di città, come le trattorie e i teatri, e spesso nelle residenze estive, esiste anche un piano superiore. Alla povertà di concezione architettonica che ispira le costruzioni cinesi fa riscontro una grande profusione di particolari decorativi: tegole verniciate in giallo, turchino, violetto, verde; ogni parte dell'edificio è dipinta o scolpita o decorata; ma rimane pur sempre la monotonia del tipo originale.
Un'importanza capitale ha l'orientazione in conseguenza della credenza che influssi misteriosi provengano dalla configurazione del terreno, dalla direzione dei corsi d'acqua nel suolo, dai vapori che ne emanano, dagli astri. L'insieme di queste influenze forma ciò che si dice fêng shui (il vento e l'acqua): un sistema di geomanzia in cui sono riuniti principî scientifici, pratiche astrologiche, credenze religiose.
L'architettura civile in Cina è sottoposta a un regolamento ufficiale che si fa risalire più in là del I millennio a. C. e che fissa altezza, larghezza e lunghezza dei diversi corpi di fabbricato, il numero dei cortili, l'elevazione del pavimento sul suolo, il numero delle colonne, ecc. Viene pure stabilito il colore dei mattoni e dell'intonaco esterno, quello delle tegole e la loro qualità. La misura e il numero degli elementi costruttivi vanno aumentando, a seconda della dignità di chi vi abita. Solamente il palazzo imperiale può comprendere nove o più intercolumnî.
Costruite sul tipo del t'ing, le abitazioni, una per famiglia, sono costituite di muri di malta, non hanno finestre sulla strada né sulla proprietà del vicino. Sono divise per solito in tre parti; la prima serve ai domestici e alle sale da ricevimento, la seconda al padrone, la terza alle donne e ai bambini.
E) Architettura militare. - Ha una fisionomia sua propria perché in essa il legno è stato sostituito dalla pietra, cadendo in tal modo le caratteristiche più tipiche dell'architettura cinese. Basti por mente alla Grande Muraglia.
La sua costruzione viene attribuita all'imperatore Shih Huang Ti dei Ch'in, che unificò le fortificazioni esistenti come baluardo dell'impero, contro le incursioni dei barbari del Nord, gli Hsiungnu. Il suo nome cinese è Wan-li-ch'ang, "muro di 10.000 leghe", lunghezza corrispondente all'incirca a 6000 km. Misura un'altezza di circa 10 m, con sei di spessore, ed è rafforzata ogni mezzo chilometro da torri alte 13 × 14 m. Si compone d'un basamento in pietra e d'una parte superiore di mattoni imperiali grigi all'esterno, con riempimento di terra all'interno. Tali mattoni misurano per lo più m 0,40 × 0,20 × 0,10. Bellissima è la porta che si apre nel lontano villaggio di Chinyung-Kuan: è in marmo bianco, meravigliosamente scolpito. Di forma esagonale, è ornata di figure a bassorilievo e d'iscrizioni in diverse lingue.
Altre mura e altre porte meritano menzione e, anzitutto, quella della città tartara di Pechino. Nei bastioni e in genere fra due torri si aprono porte decorative: in Pechino una di tali porte, la Ch'ien mên posta nel lato S della città tartara, distrutta dalle truppe europee nel 1900, fu poi ricostruita con minuziosa riproduzione dell'antica.
Quanto ai teatri (Hua-yüan) è da notare il fatto che essi sono costruiti in modo che gli spettatori per lo più debbono starsene all'aperto; come struttura essi non presentano differenze dalle costruzioni comuni. E così pure i tribunali (ya-men).
F) Architettura religiosa. - Gli edifici religiosi del culto ufficiale non hanno in Cina caratteristiche architettoniche che valgano a farli distinguere a prima vista, ma quando s'introdussero ed ebbero culto pubblico il buddismo prima, e l'islamismo poi, la vecchia arte c. rimase inevitabilmente modificata.
Anzitutto va fatto un breve cenno del Tempio del Cielo (T'ien-t'ang), nella città cinese di Pechino. Esso è piuttosto un altare che un tempio, giacché il monumento si presenta all'aria libera, senza tetti né pareti. Consiste in tre terrazze sovrapposte, di forma circolare, protette da una balaustrata di marmo, sulla più alta delle quali vi è una tavola di marmo destinata ai sacrifici. La terrazza inferiore misura m 80 di diametro, quella superiore si eleva a 9 m dal suolo. Di fronte all'altare vi è il tempio circolare con tre tetti di tegole turchine, terminante in alto in una gran palla dorata, circondato da una triplice scalinata di marmo bianco. Le travi sono finemente decorate e così le incavallature del tetto, giacché non vi è soffitto. Nel centro sorge il trono imperiale in legno scolpito.
Questi due monumenti, consacrati a un culto speciale e in cui l'imperatore era il solo officiante, sono unici nella loro specie e fanno eccezione allo schema generalmente adottato in Cina per gli edifici religiosi. Essi ci rappresentano senza dubbio il tipo primitivo del tempio cinese. L'idea di costruire per la divinità un edificio chiuso e coperto non essendo naturale nei Cinesi, solo quando il culto si complicò si pensò a riparare sotto un tetto e tra mura le pratiche della vita religiosa. Più tardi ancora, quando il buddismo portò la sua liturgia e il commercio delle immagini sacre, il piano dei templi subì una nuova modificazione e ricevette tutto lo sviluppo e l'importanza architettonica che ha conservato fino a oggi.
All'infuori di quello descritto, gli edifici dedicati al culto ufficiale ed a Confucio rientrano nel tipo comune di edifici, e si compongono in generale di numerose costruzioni disposte sullo stesso asse e separate da cortili interni; le costruzioni talvolta non si elevano che d'un piano. Nei cortili si osservano spesso pagodine in bronzo di squisita fattura che forse servivano per bruciare profumi. La decorazione interna è semplicissima. Tavolette d'ebano o legno laccato in nero, portanti in lettere il nome di Confucio e dei 60 suoi discepoli, sono appese al muro nella sala principale del tempio. Non vi sono né statue, né pitture. L'aspetto esterno dei templi buddisti non differisce da quello degli edifici consacrati al confucianismo, ma la decorazione interna è ivi caratteristica.
I templi dedicati al culto del Buddha sono orientati nella direzione S-N e si compongono, come quelli del culto ufficiale, di parecchi edifici posti nelle stesse direzioni, separati da corti. Dopo l'ingresso a tre porte, sotto un vestibolo, vi sono generalmente quattro statue di legno; tra esse e il muro altre due statue di aspetto e abito guerriero, degli dèi Tsen e Ho, difensori del tempio. Dietro tale vestibolo, vi è l'edificio principale, ove si trova la statua del Buddha, con ai lati quelle dei suoi due discepoli favoriti, Ananda e Kashyapa; dietro queste tre, altre minori. Tale distribuzione varia però talvolta e varia pure per il numero degl'idoli esposti. Talora nel recinto dei templi come in quello dei Lama, v'è anche un edificio detto dei moribondi, ove sono i sacerdoti malati gravi o molto vecchi.
Si comprende l'impressione profonda che dovettero fare sui primi adepti del culto del Buddha l'aspetto grandioso e le ricche decorazioni di tali templi buddisti. E come la religione, furono prese ancora dall'India le forme architettoniche, differenti certo dal tipo generale costruttivo che era loro bastato fino a quel tempo.
Le principali di tali forme sono le pagode e lo stūpa. Le prime sono torri poligonali, esagone ed ottagone, che dalla base diminuiscono gradatamente verso la sommità e sono divise a cinque, sette, nove, undici e tredici piani. Esse sono di legno come quella di "T'ien-i-kuan", di muratura e di marmo: ogni piano ha una specie di cornice che sostiene una tettoia sporgente, agli angoli della quale sono sospese delle campanelle; attorno a ciascun piano è una galleria ornata di balaustra.
Gli stūpa (v.) possono essere di forme svariatissime, per lo più a cono, o a torre rigonfia in alto, su cui s'innalza una soprastruttura che ricorda le cupole delle chiese russe. Il rivestimento, che si dice fosse anticamente fatto di piastre dorate o argentate, è ora di pietra liscia, di terracotta verniciata o di pietra scolpita. I più antichi di questi edifici risalgono al sec. VII d. C.
I templi taoisti furono costruiti press'a poco sullo stesso modello dei templi dedicati al culto del Buddha.
G) Architettura funeraria. - Le tombe imperiali ci offrono il tipo più completo della sepoltura cinese; esse si compongono di due parti distinte: la tomba e i templi che la circondano.
La tomba propriamente detta consiste in un sotterraneo scavato in un poggio o nel fianco d'una collina e vi si accede per un lungo corridoio coperto a vòlta; la porta ne è murata dopo che il feretro vi è stato deposto. I templi sono disposti avanti al poggio.
Le rivoluzioni dinastiche hanno distrutto quasi tutte le sepolture imperiali; soltanto i Ming restaurarono i monumenti funerarî dei principali sovrani della Cina; e così una trentina di sepolture furono ricostruite. Le tombe dei privati sono costruite con meno lusso, ma secondo lo stesso criterio di quelle degli imperatori. I personaggi di grado elevato sono sotterrati in campagna: il monticello che ricopre il feretro è situato nel mezzo d'un giardino, e un piccolo tempio o un semplice altare ricoperto da un t'ing si eleva presso l'entrata. Stele di pietra e di marmo sormontate da dragoni e altri simboli s'innalzano davanti alla tomba.
I preti buddisti si fanno sotterrare generalmente sotto uno stūpa.
Bibl.: Per una bibliografia completa sull'arch. cinese, v. H. Cordier, Bibl. sinica, Parigi 1908-1924. Inoltre: E. Boerschmann, Chinesische Architektur, Berlino 1926; O. Sirén, Histoire des arts anciens de la Chine, IV, L'architecture, Parigi-Bruxelles 1930; L. Sickman-A. Soper, The Art and Architecture of China, Harmondsworth 1956.
(G. Barluzzi)
9. Storia delle teorie estetiche.
Lo sviluppo estetico dell'arte cinese è così strettamente legato alla sfera della pittura, e gli scritti su di essa sono così numerosi, che quest'arte forse più di ogni altra, può rivelare qualche cosa dei tratti culturali dominanti della civiltà cinese. Ma la vera forza che diede impulso e, da ultimo, perfezione al pensiero estetico in Cina, e quella intorno alla quale tende a imperniarsi tanta parte dell'arte cinese, è il regno della natura a cui tutto si informa. È certo che i misteri del mondo esterno dominarono la più antica civiltà cinese, ma anche col progredire della espressione creativa questo tema continuò ad occupare la mente cinese in variazioni molteplici. Intorno a questo punto focale crebbe e si sviluppò quella che possiamo chiamare la maniera cinese di considerare la vita.
Il vasellame di bronzo del più antico periodo storico a noi noto, quello della dinastia Shang, giunta a un alto grado di organizzazione, ci dà già qualche indizio di questa cultura distintamente cinese. L'intricata decorazione a reticolato ci rivela, se osservata da vicino, un mondo di animali e uccelli reali insieme a esseri fantastici o compositi. Questi sono stati interpretati come le forze della natura a cui l'uomo ha attribuito poteri magici in cerimonie dedicate al culto degli antenati. Ed è significativo che la figura umana entri a far parte del repertorio solo verso la fine della successiva dinastia Chou (1122-255 a. C.), forse appena prima dell'inizio del periodo Han. Dalle tombe Han (206 a. C.-220 d. C.) provengono statuette di servitori e di buffoni. Di grandi proporzioni, in funzione di guardiani dello shen-tao (la via dello spirito) che conduce alle tombe Han, la figura umana ha posa solenne e composta, mentre leoni e chimere di dimensioni monumentali fanno la guardia allo stesso viale in atteggiamenti minacciosi e mostrano tutta la loro combattività e forza. La concezione cinese nel rappresentare l'animale nella scultura a tutto tondo non si sofferma tanto sulla struttura anatomica, quanto invece sull'"idea" dell'animale stesso. L'interesse dominante è concentrato sulla silhouette; ed è il ritmo e l'essenza dell'animale che sono messi in evidenza.
I soggetti delle pitture murali, dei quali esiste una descrizione che risale al sec. IV a. C., confermano questo atteggiamento verso il mondo che circonda l'uomo. Nel Li Sao di questo periodo, Ch'u Yüan parla di antichi palazzi e templi decorati con scene di miti cosmologici e del caos primordiale, temi questi che si ritrovano nelle superstiti pitture murali del sec. V d. C. delle tombe di Tung Kou in Manciuria. Tali soggetti erano ancora assai amati nella Cina vera e propria durante la dinastia Han. Nella Han-Shu ("Storia degli Han") vi è una descrizione di tali soggetti: sono dèmoni e divinità del cielo e della terra, caos primordiale, scene moraleggianti, ritratti di coppie di alto lignaggio, fatti storici e eroi dell'antichità. Può darsi che l'aggiunta dei tipi terreni al repertorio tradizionale sia dovuta ai re Han, poiché questa dinastia vigorosa ebbe come sue caratteristiche le scoperte e l'espansione. Questi temi favoriti degli Han furono affidati anche a rilievi di pietra. Il mondo della favola gareggiava così con quello della realtà per rispondere al desiderio dei regnanti di lasciare una documentazione permanente delle imprese che li avevano fatti grandi.
La forza più potente durante il periodo Han era un concetto, basato su leggende del mondo dello spirito che investiva tutti gli aspetti della vita e che è conosciuto come Taoismo. Il significato del Tao è espresso nel Tao Têh Ching: "Vi era qualcosa di informe e tuttavia completo, che esisteva prima del cielo e della terra; non aveva suono, non aveva sostanza, era indipendente da tutto, immutabile, tutto pervadeva, era infallibile. Si può pensare ad esso come alla sorgente di tutte quante le cose sotto il cielo. Il suo vero nome è a noi sconosciuto. Tao è la denominazione che gli diamo". Le persecuzioni che dilaniarono il paese nei 400 anni di tumulti e di guerre che seguirono la caduta della dinastia Han e videro l'affermarsi del Buddismo non hanno lasciato quasi nulla dell'arte nutrita da questa filosofia allora assai diffusa. E se gran parte delle energie creative durante i secoli seguenti si misero al servizio della religione buddista, è pure interessante osservare che lo spirito del Taoismo non venne mai completamente sradicato dall'arte cinese; infatti il suo atteggiamento verso il mondo da cui l'uomo è circondato doveva riaffermarsi nei periodi successivi con vigore e in forme molteplici.
La tradizione artistica cinese era già chiaramente affermata al tempo in cui il Taoismo preparò la strada al Buddismo. Quando la dottrina buddista prese il sopravvento, il fervore religioso creò una stragrande quantità di figure del pantheon buddista. Buddha, bodhisattva e altri membri di questo pantheon furono scolpiti su stele, nella roccia vergine dei fianchi delle montagne, come immagini di culto a sé stanti, come bronzi votivi, e furono inoltre dipinti sulle pareti di sacre grotte. Ma le rigide regole iconografiche imposte dalla religione furono largamente modificate e trasformate rispetto ai modelli indiani originali nel corso del loro sviluppo durante la dinastia T'ang (618-907 d. C.). Lo stile cinese trionfa in questo periodo e da allora gli artisti sembrano perdere il loro atteggiamento reverente e i bodhisattva vengono ad assomigliare a dame di corte. È evidente che, nella scultura, i Cinesi usavano la figura umana solo per esprimere un'azione o uno stato d'animo. I visi sono infatti caratterizzati da introspezione religiosa; il corpo non ha quasi nessuna importanza sua propria e ha per lo più la funzione di un substrato su cui fluisce ritmicamente il panneggio che non accentua, ma piuttosto nasconde la figura. Quando questa, nel periodo Sung (420-479 d. C.), viene rappresentata in modo più realistico, ciò avviene per l'influenza della pittura. La figura umana, nel migliore dei casi, trova un equilibrio fra un'esistenza astratta e una naturale.
Ma è la pittura - l'arte maggiore della Cina - quella che è stata l'oggetto di una vastissima letteratura sull'arte. La passione dei Cinesi per le categorie e le regole è evidente nei cataloghi alle collezioni, nelle note bibliografiche e critiche, che risalgono al sec. VII d. C., e alcuni perfino al periodo Han. A partire dal sec. III d. C. ci sono tramandati nomi di maestri famosi e esistono trattati sullo stile che mettono in relazione determinati motivi e composizioni con particolari periodi e personalità. Pittori, studiosi e collezionisti scrissero intorno alla tecnica e al soggetto della pittura, intorno alla sua storia, ai singoli maestri e al modo di "vedere" la pittura. Lo stretto legame che unisce la pittura alla calligrafia è evidente nel rotolo, dipinto dal famoso maestro delle Sei Dinastie (265-589 d. C.), Ku K'ai-chih. Questo legame con la calligrafia è fondamentale per tutta la pittura cinese che, per costruire la forma, si serve del pennello piuttosto che dipendere dai contrasti di luce e di ombra. Il grande teorico di questo periodo, Hsieh Ho, fissò sei principî-base per l'intendimento della pittura, principî la cui influenza si fa sentire negli artisti cinesi fino al tempo nostro. Essi sono: risonanza dello spirito e movimento della vita; uso del pennello per costruire la forma; conformità agli oggetti per ottenere la somiglianza; i colori devono essere adeguati alle caratteristiche; la composizione deve essere preordinata; i modelli devono essere trasmessi per mezzo del disegno. Il primo di questi principî (chi-yun) è il più importante perché definisce l'ispirazione creativa come derivante dallo spirito del cosmo che penetra nell'artista e produce il movimento di vita (shêng-tung). Grande artista era colui che non si lasciava ingannare dalle apparenze della realtà, ma dipingeva opere che avevano in sé tanta vita da assumere esistenza e movimento effettivi.
(G. Scaglia)