MATHURĀ, Arte di
Mathurā, l'odierna Muttra, fu sin dall'antichità un importante centro religioso del vishnuismo. Situata sul fiume Jumna, lungo le vie commerciali che congiungevano il N-O dell'India con le pianure del Gange e le coste occidentali del sub-continente indiano, la città assunse sin dall'antichità una notevole importanza come centro di traffici e di commerci. Entrata dapprima a far parte della sfera politica degli Shaka e dei Parthi, ed in seguito di quella dei Kuṣāna - i cui sovrani la scelsero a loro residenza invernale - la città godette per molti secoli di una eccezionale vitalità culturale ed artistica.
Una grande scuola di scultura vi nacque e fiorì nei secoli II e III d. C., e continuò a mantenere rilevante importanza fino a tutto il VI sec. dell'èra cristiana. Iniziata sotto il dominio degli Shaka e dei Parthi, fu grandemente appoggiata dai Kuṣāna e risentì, nel corso di tutto il suo sviluppo, delle influenze straniere - iraniche, parthiche, ed ellenistico-romane - che convergevano nella regione dall'Asia centrale e occidentale, adattandosi, ed in parte modificando, al patrimonio indiano tradizionale. In forza delle tendenze eclettiche e sincretistiche proprie dell'ambiente, si venne così affermando una corrente figurativa, che traendo derivazione diretta dalle più pure tradizioni artistiche dell'India ed operando su di esse un adattamento palese di forme straniere, venne ad esprimere con rinnovato vigore i contenuti e i temi dell'arte tradizionale è ad introdurre nuovi generi e forme (v. indiana, arte).
L'arte della scuola di M. fu di contenuto religioso e profano. Al primo appartengono una serie innumerevole di sculture, sia a tutto tondo che a bassorilievo, di ispirazione gainista e buddista. In questa sede è da ricordare l'importanza che la scuola ebbe, unitamente a quella del Gandhāra, nella elaborazione dell'iconografia del Buddha e dei Bodhisattva. A tutt'oggi è incerto quale delle due scuole abbia per prima realizzato la raffigurazione del Buddha in forme umane, abbandonando la precedente tradizione aniconica del buddismo. Secondo taluni fu un innovazione determinata dall'introduzione di schemi plastici e figurativi provenuti dall'Occidente; secondo altri fu una conquista stessa dell'arte indiana. Ma in ogni caso fu il risultato di nuovi suggerimenti e di nuovi orientamenti spirituali; e sebbene sia ormai accertato che alcune forme iconografiche di derivazione ellenistico-romana siano state talora adottate per esprimere contenuti buddisti, è tuttavia anche certo che sulla iconografia del Buddha abbiano direttamente influito, e specialmente a M., alcuni schemi figurativi della più antica arte religiosa indiana. Sui piano iconografico, stretti legami d'ordine compositivo e strutturale riallacciano le figure del Buddha, in posizione stante ed assisa, rispettivamente alle immagini stanti degli Yaksha (divinità degli alberi) e alle figure del Mahāyogin, cioè dell'asceta assiso in contemplazione, il cui tipo cominciava a prestarsi nella stessa scuola di M., ed approssimativamente intorno alla stessa epoca, per la rappresentazione iconografica del jina. Sono diverse infatti le sculture della scuola di M. che rappresentano le immagini di questi saggi, in posizioni ed atteggiamenti simili, appunto, a quelli del Buddha.
L'attinenza a forme di diretta derivazione indiana che il tipo iconografico del Buddha di M. rivela, pone una differenza profonda, al di là degli elementi simbolici comuni e dei tratti propri della sacralità del Buddha, con il tipo iconografico del Buddha del Gandhāra, in cui e un attinenza più palese agli schemi figurativi classici. Tale differenza si riscontra talora nel Buddha di M. in una maggiore raffinatezza dei tratti del volto: gli occhi sono pienamente aperti, le guance tonde e la bocca atteggiata ad un lieve sorriso. Il mantello scende ampio, scoprendo spesso la spalla destra, ed aderisce al corpo in un panneggio sottile, dalle pieghe a linee incise. Nell'impostazione della figura e nella distribuzione dei volumi si nota maggiore pesantezza che non nel Buddha del Gandhāra. Ed è in genere questa una delle caratteristiche di tutta la scultura di M.: maggiore pienezza e robustezza delle forme, minore spiritualità di espressione, ed un senso di gioiosa partecipazione alla vita. Ne sono caratteristiche alcune figure muliebri dai seni turgidi e dalla vita sottile, riccamente adorne e coperte nella parte inferiore del corpo, nelle quali si rivela quella predilezione per il nudo femminile che è tipica appunto del gusto indiano. E ad uno stile prettamente indiano riportano pure, in genere, le composizioni a bassorilievo, ove le figure rimangono sul piano di fondo, senza che si ricerchino effetti illusivi di profondità e giochi di chiaroscuro. A differenza ancora del Gandhāra, non esiste nella scuola di M. una particolare attitudine alla elaborazione, nel bassorilievo, degli schemi narrativi, ma si accentua al contrario una spiccata tendenza verso il decorativismo, che tradisce ancora il concetto della scultura come opera di complemento dell'architettura.
Ad un genere di carattere secolare appartengono, nell'arte di M., alcune grandi statue di re e di alti personaggi Kusāna, che costituiscono i primi ed unici esempi a noi noti di una ritrattistica ufficiale nell'India antica e si riportano direttamente a schemi figurativi scito-parthici e centro-asiatici. Sono grandi statue in rigide posizioni frontali, a figure stanti o sedute che indossano il costume cosiddetto scitico dei cavalieri nomadi, dal lungo ed ampio mantello e dagli alti stivali. Celebre fra tutte è la statua acefala del monarca Kaniṣhka, le cui mani ai fianchi stringono saldamente le impugnature della spada e della mazza.
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