Anglosassoni, Arte degli. Avori
Gli elementi che permettono di riferire piccoli oggetti preziosi, come gli avori, a un particolare luogo di origine sono, generalmente, la presenza di iscrizioni, la provenienza antica e, forse con minore affidabilità, l'iconografia e lo stile. Il corpus degli avori che, secondo questi criteri, può venire costituito con una certa sicurezza per l'Inghilterra dell'Alto Medioevo comprende solo una trentina di oggetti.
L'origine germanica delle popolazioni anglosassoni spiega la mancanza di una tradizione della lavorazione dell'avorio. Intorno al sec. 7° le forniture di zanne di elefante non erano ormai più facilmente disponibili, neppure nell'area mediterranea, cosicché, quando gli A. iniziarono a produrre ornamenti preziosi, che nel Sud erano talora in avorio, essi probabilmente incontrarono grandi difficoltà nel reperire la materia prima.
In un primo tempo il loro desiderio di riprodurre oggetti eburnei di origine mediterranea poté essere soddisfatto usando, in sostituzione, ossi di balena. L'esemplare più noto di questa produzione è il Franks Casket (Londra, British Mus.; Firenze, Mus. Naz. del Bargello), eseguito in Northumbria verso il 700 e interamente decorato con scene narrative e iscrizioni. Nonostante il fatto che alcuni dei temi iconografici siano tratti dalla mitologia nordica e molte delle didascalie siano scritte con rune anglosassoni, la loro disposizione, la forma e la tecnica costruttiva stessa del cofanetto sono del tutto simili a quelle degli esemplari in avorio paleocristiani, come per es. quello conservato a Brescia (Civ. Mus. Cristiano).
Analogamente a quanto avviene nel Franks Casket, un frammento di una placca in osso, databile intorno all'800, proveniente da Larling (Norfolk) e conservato a Norwich (Castle Mus.), presenta una raffigurazione della Lupa che allatta Romolo e Remo in uno stile, però, assai più vicino a prototipi classici. La placca mostra anche ornati animalistici a intreccio di origine anglica, simili a quelli presenti sul cofanetto c.d. 'di Gandersheim', anch'esso databile verso l'800 (Braunschweig, Herzog Anton Ulrich-Mus.). Diversamente dal precedente, questo cofanetto è alto e stretto, con coperchio a spioventi; del tutto indipendente da influssi mediterranei, esso costituisce un esempio di impiego, da parte degli artefici anglosassoni, di un sostituto dell'avorio - ancora una volta l'osso di balena - per l'esecuzione, peraltro, di un oggetto dalle caratteristiche autoctone.
Le invasioni vichinghe del sec. 9° sembra abbiano interrotto ogni genere di iniziativa artistica in Inghilterra, il che appare particolarmente vero nel caso della scultura in avorio. Il primo accenno a una ripresa di questa produzione si trova nel famoso resoconto del viaggio di Ottar, inserito nella traduzione anglosassone degli Historiarum adversus paganos libri septem di Orosio, risalente alla fine del 9° secolo. Lo scopo principale di Ottar nell'avventurarsi nel mar Bianco era, secondo il resoconto, la caccia dei trichechi, poiché l'osso delle loro zanne era di ottima qualità; e di fatto alcune di esse vennero portate al re Alfredo. In ogni caso è certo che le zanne di tricheco fornirono l'avorio necessario all'esecuzione di piccole sculture preziose per tutto il resto dell'età anglosassone.
I tipi di oggetti prodotti furono necessariamente diversi da quelli eseguiti precedentemente su osso di balena; la zanna di tricheco presenta in superficie una grana molto più fine, ma all'interno è ruvida e granulosa. Il fatto che una zanna potesse raggiungere mm. 700 di lunghezza, la larghezza massima di mm. 70 e una profondità di mm. 30, faceva sì che si preferisse eseguire oggetti di forma longitudinale o a tuttotondo, a differenza dei bassorilievi in uso di norma nella scultura eburnea continentale. Le placche che venivano lavorate a rilievo erano di dimensioni molto piccole, ma esse potevano, comunque, essere unite insieme per formare superfici più ampie; va detto tuttavia che nessun esempio di simili congiunzioni è finora venuto alla luce in Inghilterra.
Una caratteristica produzione inglese è costituita dalle terminazioni in avorio dei pastorali, che potevano essere a riccio semplice o doppio o a tau, a seconda delle diverse funzioni che sembrano aver avuto. Di ogni tipo rimane un esemplare anteriore alla conquista normanna. Quello con il riccio a voluta semplice (Londra, British Mus., in deposito da coll. privata), raffigurante un Miracolo di s. Giovanni di Beverley (m. 721), sarebbe stato assai appropriato per un vescovo, in modo particolare per un vescovo di una diocesi settentrionale, dal momento che s. Giovanni di Beverley era stato vescovo della diocesi di Hexam, in Northumbria. Lo stile suggerisce una datazione intorno alla metà del sec. 11° e nel complesso sembra bene proponibile il periodo tra il 1037, anno della traslazione delle spoglie del santo, e il 1066, quando il culto dei santi anglosassoni subì probabilmente un regresso. Il Tau di Alcester (Londra, British Mus.), così chiamato dal nome del luogo di rinvenimento, nel Warwickshire, apparteneva invece, molto probabilmente, a un abate. Sicuramente è nella loro dignità di abati che s. Dunstano e s. Etelvoldo sono raffigurati con in mano bastoni di questo genere nel frontespizio del manoscritto contenente la Regularis Concordia (Londra, BL, Cott. Tib. A.III). Le estremità a testa di dragone e i motivi vegetali e floreali che decorano il tau possono forse essere un richiamo ai bastoni di Mosè e Aronne (Es. 4; Nm. 17). Il bastone ritrovato nella tomba di s. Eriberto a Deutz, vicino Colonia, dove è conservato (Höhe Domkirche), presenta anch'esso terminazioni a testa di dragone e, come l'esemplare di Alcester, ha le immagini sacre al centro dei lati lunghi. È quest'ultima caratteristica, insieme all'elaborazione generale, che rende quasi certa la sua funzione ecclesiastica. Non era tuttavia usato come un normale bastone processionale, poiché la faccia superiore della barra orizzontale si presenta assai consunta, il che lo farebbe pensare usato piuttosto come bastone da passeggio o gruccia. Nonostante la provenienza germanica, la sua origine anglosassone è evidente, sia per lo stile dell'avorio, sia per le incisioni e le iscrizioni della ferula a esso sottostante.
La combinazione dell'avorio con altri materiali sembra essere stata assai diffusa in Inghilterra. Le scene narrative sulle due facce del Pastorale di s. Giovanni di Beverley erano probabilmente separate da una sottile lamina d'oro, mentre il Tau di Alcester presenta intorno alle estremità piccoli fori che servivano forse per l'inserimento di perle o grani in pasta vitrea o giaietto, che si ritrovano spesso su altri avori, usati per eseguire gli occhi delle figure. Tra gli esempi anglosassoni, solo il frammento con le immagini della Maiestas Domini su un lato e dell'Agnus Dei sull'altro (New York, Metropolitan Mus. of Art) conserva sul fondo la foglia d'oro; ma anche parecchi altri pezzi sembrano aver avuto una lavorazione di questo tipo, come per es. una placchetta con la Vergine e il Bambino nella mandorla (Londra, Vict. and Alb. Mus.). Quale fosse la funzione e la destinazione di questi oggetti è ancora materia controversa: alcuni poterono forse essere utilizzati su tessuti, come fermagli per mantelli, mentre solo pochissimi dovettero svolgere la funzione di coperte di codice, tradizionale invece nel continente.
Si è in ogni caso assai poco informati sulle più antiche coperte di codice inglesi; solo le figure dolenti della Vergine e di S. Giovanni, ora a Saint-Omer (Mus. Sandelin), sembrano ragionevolmente aver avuto una funzione di questo tipo, ma si tratta comunque non di placche ma di statuette, tra le quali doveva trovarsi una Crocifissione. Un esemplare coevo, in cui le figure sono ancora in situ, è costituito dalla coperta del Messale di Saint-Denis (Parigi, BN, lat. 9436), che non è però inglese, bensì della Francia settentrionale. Una coperta eburnea di codice, la cui attribuzione all'Inghilterra è stilisticamente convincente, si trova su di un evangeliario eseguito a Marchiennes e conservato a New York (Pierp. Morgan Lib., M.319A) ove è raffigurata la Maiestas Domini. Comunque, poiché l'avorio di questa coperta è di elefante e non di tricheco e la provenienza del manoscritto è continentale, si deve essere cauti sull'individuazione del suo luogo di origine.
Tra le placche in avorio di tricheco lavorate a bassorilievo solo poche dovettero essere utilizzate per la decorazione di coperte di codici. Era forse usata a tal fine una placchetta raffigurante il Giudizio finale conservata a Cambridge (Univ. Mus. of Archaeology and Anthropology); la composizione rigidamente ieratica e simmetrica e l'immagine del Cristo in maestà nella mandorla collega questo avorio a due coperte metalliche di codici inglesi del sec. 11°, una delle quali è conservata a New York (Pierp. Morgan Lib., M.708), mentre l'altra, oggi distrutta e già unita a un evangeliario inglese di Saint-Remi a Reims, è nota da descrizioni.
La funzione originale delle placchette con la Natività e il Battesimo di Cristo (conservate rispettivamente a Liverpool, Merseyside County Mus., e a Londra, British Mus.) è di incerta natura; presumibilmente esse facevano parte di un più ampio ciclo iconografico che decorava forse la coperta di un codice o un altro tipo di oggetto liturgico. La placchetta triangolare con due angeli volanti, di Winchester (City Mus.), si trovava probabilmente sul coperchio di un piccolo cofanetto; l'inclinazione delle facce posteriori dei margini suggerisce che a essa fossero accostate parecchie altre placchette, a formare una copertura rettangolare o poligonale, forse per un reliquiario.
Si conservano anche alcune placchette con la Crocifissione, quasi tutte molto consunte, forse perché usate per il bacio della pace durante la messa. Peraltro, una placchetta raffigurante la Vergine con il Bambino (Oxford, Ashmolean Mus. of Art and Archaeology), con profondità di rilievo e stato di conservazione analoghi, suggerisce una diversa causa dell'usura, cioè la possibilità che questa sia dovuta al continuo sfregamento contro gli abiti del proprietario, essendo la placchetta usata forse come pendente. Un crocifisso in oro, smalti e avorio (Londra, Vict. and Alb. Mus.), anch'esso molto consunto, presenta alla sommità un anello di sospensione che fa pensare a una utilizzazione come oggetto personale, probabilmente come pettorale. Un piccolo crocifisso d'avorio del sec. 11°, conservato nel tesoro della cattedrale di Chartres, sebbene probabilmente originario della Francia settentrionale, mostra come, in una montatura adatta, queste placchette potessero servire da piccoli reliquiari per uso personale.
A volte l'avorio veniva colorato: un esemplare a Cambridge (Fitzwilliam Mus.) presenta una colorazione in grigio-blu pallido, tanto da sembrare eseguito in steatite, materiale peraltro spesso usato nell'area bizantina per piccole sculture devozionali a rilievo, come per es. piccoli crocifissi.
Si sono conservati anche diversi oggetti di uso profano, tra cui una matrice di sigillo (Londra, British Mus.) appartenuta al Thane Godwin, databile probabilmente intorno al 1040, dotata di un'impugnatura scolpita a rilievo, raffigurante il Padre e il Figlio, a illustrazione delle parole iniziali del salmo 109: "Dixit Dominus Domino meo, sede a dextris meis". Una cassettina allungata, bassa e stretta e con un coperchio scorrevole (Londra, British Mus.), è generalmente ritenuta una custodia per penne; i lati presentano scene di caccia e di lavoro nei campi, mentre la sommità è decorata da uno stelo con simmetrici girali di acanto popolati da uccelli, leoni e draghi. Il coperchio e una parte della custodia sono in avorio di tricheco, mentre il resto è ricavato da una zanna di elefante; ciò dimostra che, almeno occasionalmente, questo materiale raggiunse le Isole Britanniche. Un frammento di un'altra cassettina, d'osso in questo caso (Parigi, Mus. de Cluny), mostra anch'esso un girale vegetale con uccelli e dragoni. Questo pannello a giorno è simile, nella forma delle foglie, alla coperta dell'Evangeliario di Marchiennes.
Le sculture in avorio tardoanglosassoni trovano i più stretti confronti nei manoscritti coevi. Sotto certi aspetti ciò può apparire sorprendente, poiché ci si aspetterebbe piuttosto una maggiore affinità con la scultura in pietra oppure con oggetti eseguiti in materiali preziosi, come oro o argento. D'altronde, anche nel continente gli avori sono molto vicini alla decorazione dei manoscritti. Quale che sia la spiegazione, questa particolarità presenta il vantaggio di offrire una serie di materiali di confronto databili, attraverso i quali gli avori possono essere sistemati in un ordine cronologico di massima. Da quest'ordine si ricava che la maggior parte di essi fu prodotta alla fine del 10° e nell'11° secolo.
Non si è conservata nessuna delle opere in avorio di elefante portate da Ottar a re Alfredo. Il crocifisso in oro e avorio donato dal re Etelstano a Chester-le-Street e il reliquiario con figure in avorio che il re Edgardo offrì all'abbazia di Glastonbury sono scomparsi senza aver lasciato traccia. Nel complesso le perdite degli avori anglosassoni sono state assai elevate (forse più del 99%); ma da quel poco che si è salvato o che è stato portato alla luce dagli scavi archeologici, si può ricavare la considerazione che gli A. diedero un contributo rilevante alla scultura in avorio dell'Europa altomedievale.
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v. anche Anglosassoni, Arte degli. Parte introduttiva