Anglosassoni, Arte degli. Ceramica
L'arte di modellare la ceramica sul tornio e di cuocerla in forni si perse dopo il collasso delle strutture politiche ed economiche della Britannia romana tra la fine del 4° e l'inizio del 5° secolo. La ceramica degli invasori e coloni anglosassoni, grossolana e lavorata a mano, era cotta in semplici forni a cumulo (fuochi all'aperto). Molte urne funerarie dal sec. 5° al 7° presentano un'elaborata decorazione a linee incise, a stampo e a bugne. L'urna di Shropham (Norfolk) presenta una forte nervatura di motivi a coste, con rosette e svastiche impresse a stampo in fasce segnate da linee incise (London, British Mus.). Nel secondo quarto del sec. 7° i vasai dell'Anglia orientale e della Northumbria iniziarono a usare un tornio lento per la modellazione dei due tipi di ceramica noti come ceramica di Ipswich e ceramica di Whitby, mentre nel resto dell'Inghilterra si continuò a produrre ceramica lavorata a mano.
Intorno alla metà del sec. 9° a Ipswich e nel Nord dell'Inghilterra si produceva in grande quantità ceramica modellata al tornio, cotta in forni di argilla, mentre intorno al 900 la ceramica lavorata al tornio appare usata in gran parte dell'Inghilterra orientale. Se ne producevano tre tipi principali: la ceramica di Thetford, grigia, sabbiosa e compatta, la ceramica di St Neots, con una forte presenza di conchiglie, e la ceramica di Stamford, spesso di colore bianco, prodotta nella città omonima nel Lincolnshire. L'espandersi della produzione fu stimolato dall'insediamento dei Vichinghi in Inghilterra, dalla formazione di nuove città e dalla prosperità che seguì la riconquista della zona danese dell'Inghilterra da parte dei re sassoni dell'Occidente. Alla metà del sec. 10° la ceramica modellata al tornio era fabbricata in più di trenta centri, molti dei quali città, anche se non cessò per questo la produzione della ceramica lavorata a mano, particolarmente nell'Inghilterra meridionale. Le due innovazioni principali e più significative per l'arte ceramica medievale nel tardo periodo anglosassone furono l'introduzione dell'invetriatura e la produzione di mattonelle invetriate.
Nel periodo successivo alla dominazione romana l'uso dell'invetriatura nella decorazione è attestato per la prima volta nel sec. 9° nella ceramica di Stamford. L'uso della ceramica invetriata ebbe origine nell'area mediterranea e verosimilmente pervenne in Inghilterra attraverso la Francia. La smaltatura piombifera era applicata con un pennello e appariva gialla su una ceramica ossidata e verde su una ridotta. Una forma tipica della ceramica invetriata di Stamford è la brocca con corto versatoio cilindrico e brevi anse laterali, come quella trovata nell'Angel Inn a Oxford (Londra, British Mus.). Ceramica invetriata era prodotta anche a Winchester, la capitale del regno sassone occidentale, a partire dalla fine del sec. 10°: vi si realizzavano brocche, fiaschette, piccoli vasi biconici e anche mattonelle.
Mattonelle invetriate della fine del sec. 10° e dell'inizio del sec. 11° sono state ritrovate in numerose abbazie benedettine del periodo tardosassone, in particolare a Bury St Edmunds, St Albans, Westminster, Peterborough e nell'Old Minster di Winchester. Sono decorate a rilievo con semplici motivi geometrici, cerchi intersecantisi e fiori con petali; l'invetriatura è a colore unico oppure con diversi settori, delimitati da nervature a rilievo, che presentano fino a tre differenti tinte in una sola mattonella; i colori utilizzati sono il marrone, il giallo e il verde. Le mattonelle erano utilizzate probabilmente per la zona intorno all'altare, sul pavimento, sui gradini e sulle pareti. Un esempio tra i più notevoli di questo tipo si trova nell'abbazia di St Albans.
Bibliografia
F. Verhaeghe, La céramique médiévale: problèmes concernant la glaçure, Berichten van de Rijksdienst voor het Oudheidkundig Bodemonderzoek in Nederland 18, 1968, 193-208.
J.N.L. Myres, Anglo Saxon pottery and the settlement of England, Oxford 1969.
J.G. Hurst, Red-painted and glazed pottery in Western Europe from the eighth to the twelfth century, MArch 13, 1969, pp. 93-147.
v. anche Anglosassoni, Arte degli. Parte introduttiva