GANDHĀRA, Arte del
1. - Il termine "Gandhāra" si incontra la prima volta nel Rigveda - una raccolta di antichi inni indiani risalenti al II millennio a. C. - dove indica, del pari che nelle fonti achemènidi, greche e romane, una regione alla frontiera nord-occidentale dell'India, senza nessuna indicazione più precisa. Una definizione più particolareggiata la si incontra per la prima volta nel racconto del pellegrino cinese Hsiuan-chang che, ai primordî del VII sec. d. C., visitò i centri buddistici dell'India. Secondo Hsiuan-chang, il regno del G. si estendeva su quella che in termini moderni chiameremmo la Valle di Peshawar comprendente, tuttavia, a N i distretti montani dello Swāt e del Buner e prolungantesi ad oriente fino alle sponde dell'Indo.
Il territorio così delimitato costituiva il cuore della regione del G., alla quale vanno inclusi alcuni dei distretti limitrofi di S-E, tra cui Taxila che ai giorni di Hsiuan-chang era bensì una dipendenza del Kashmir, ma che precedentemente era stata compartecipe del destino politico e culturale del Gandhāra.
Chiuso da alte montagne a N, a E e ad O, ma con la valle dell'Indo che si espande a S per circa settecento miglia fino a toccare l'Oceano Indiano, il passo di Khyber mettendo a N-E la regione in comunicazione con l'Afghanistan, ne fece con ciò stesso uno dei tratti di collegamento di quella via carovaniera che fu per secoli il tramite commerciale e culturale tra la Cina e l'Occidente. Nelle fonti storiche il G. viene per la prima volta mentovato come parte dell'impero achemènide sotto Ciro (559-529 a. C.); nell'iscrizione di Dario a Bīsutūn (521-486 a. C.), le genti del G. sono annoverate tra le nazioni assoggettate e le troviamo quindi partecipanti alle disastrose campagne di Serse contro i Greci (480 e 479 a. C.) in qualità di soldati del Gran Re. Il G. rimase sotto il dominio iranico fino a quando non fu conquistato da Alessandro Magno nel 327-326 a. C.; la sovranità greca sulla regione non durò, tuttavia, che una ventina d'anni, ossia finché uno dei successori di Alessandro, Seleuco, non cedette il G. al re indiano Chandragupta, fondatore della dinastia dei Maurya. Il più importante dei successori di Chandragupta fu il nipote Ashoka (272-237 a. C.) che si convertì al buddismo. Dopo la morte di Ashoka, l'impero Maurya si smembrò e, a partire dal 190 a: C. all'incirca, il G. passò di nuovo sotto il dominio degli stranieri. Di questi i primi furono i Greci cacciati dal vicino regno di Battriana, i quali rimasero nella regione fino a quando soccombettero all'attacco di uno dei tanti gruppi di nomadi, di lingua e costumi Iranici, erranti in tribù tra il lago d'Aral e il Mar Caspio ad O e i monti del Pamir ad E. I primi di costoro a conquistare il G. furono chiamati Saka dai Greci (Σάκαι) e dopo i primi contatti con questi in Battriana erano entrati in stretto rapporto con la Parthia. Erano condotti dal loro re Maues, il cui figlio Azes consolidò ulteriormente la conquista. Per un secolo e mezzo all'incirca i Saka riuscirono a mantenere le loro posizioni nel G., ma alla fine furono soppiantati da un altro gruppo consimile, quello dei Kuṣāṇa, oriundo della provincia del Kansu nella Cina nord-occidentale. Noti nelle fonti cinesi col nome di Yueche, i Kuṣāṇa erano stati sospinti verso occidente intorno al 175 a. C. e attraverso la Battriana penetrarono finalmente nella valle del Kābul e nel Gandhāra. Il primo re della dinastia Kuṣāṇa, Kujula Kadfises, accrebbe territorialmente la conquista e il figlio di questi Vima Kadfises, intorno al 99 d. C. portò probabilmente a compimento la conquista di Taxila. Ma il più famoso dei sovrani Kuṣāṇa fu Kaniṣka. Il suo impero abbracciava un' area in verità assai vasta, che si estendeva ad occidente fino a Marga, ad oriente fino a Khotan (v.), e a settentrione fino alle sponde meridionali del lago d'Aral includendo il Choresm (v.) e la Sogdiana mentre a mezzogiorno comprendeva l'odierno Afghanistan, l'intera valle dell'Indo e il rimanente della penisola indiana tranne l'estremità meridionale ed una striscia di terra pressocché parallela alla linea costiera orientale. Come già prima di lui Ashoka, Kaniṣka si convertì al buddismo e molti monasteri e stūpa (v.) attestano lo zelo del neofita sovrano. L'esatta data dell'accessione al trono di Kaniṣka è stata assai discussa (v. più avanti, 4) e le opinioni dei competenti studiosi oscillano tra il 78, il 128 e il 144 d. C. Egli regnò per circa ventuno anni e a lui successero il figlio Huviṣka e, ultimo della stirpe, Vasudeva. A questi toccò di fronteggiare un nuovo e formidabile avversario: i Sassanidi, nuovi signori della Persia, i quali sotto la guida di Ardashīr avevano debellato i Parthi nel 226, e sotto il figlio e successore di Ardashīr, Shāpūr I, riuscirono - probabilmente intorno al 241 d. C. - ad annettersi il Gandhāra. I Sassanidi, tuttavia, non si provarono ad esercitare la loro sovranità sulla provincia in modo diretto e dopo alcuni anni consentirono a una nuova dinastia di governare la regione. Sembra che questi nuovi sovrani Kuṣāṇa rimanessero al potere per circa un secolo; tre di essi ebbero nomi che richiamavano quelli della precedente dinastia: Vasudeva (Il), Kaniṣka (II), Vasudeva (III).
Benché sulle prime essi non fossero di certo in grado di governare senza un riconoscimento esplicito dei Sassanidi, si mostrarono tuttavia pronti a cogliere ogni occasione che potesse loro giovare ai fini di una riconquista piena del potere, fosse pur quella di un'alleanza con i Romani, ovvero con i pretendenti al trono di Persia. Ma nonostante qualche temporaneo successo, essi non riuscirono a sbarazzarsi del giogo sassanide e nel 340 una battaglia decisiva dava a Shāpūr II la vittoria sull'ultimo re della dinastia, Vasudeva (III).
Ancora una volta i Sassanidi si mostrarono restii ad un governo diretto e così riconobbero come signori della regione un nuovo gruppo di Kuṣāṇa guidato da un certo Kidāra. Questi Kuṣāṇa Kidariti - o Piccoli Kuṣāṇa come vengono talora chiamati - erano stati cacciati dalla Battriana come i Saka avevano fatto con i Greci e i Kuṣāṇa con i Saka. Insediatisi nel loro nuovo habitat, i Kidariti dimostrarono il medesimo, indomito spirito d'indipendenza dei loro predecessori e insorsero non soltanto contro i Sassanidi, ma pure contro i loro vicini meridionali: i Gupta. Anche i loro successi, tuttavia, furono di breve durata ed essi non riuscirono probabilmente a reggersi che fino al 460 circa, quando il G. e tutto il resto dell'India nord-occidentale fu invaso dagli Unni bianchi o Eftaliti che, ovunque arrivarono, portarono rovina e distruzione.
Il viaggiatore cinese Fa-Hsien, che visitò la valle di Peshawar poco dopo l'anno 400, descrive come fiorenti e ben tenute le costruzioni promosse da Kaniṣka e dai suoi successori, ma il quadro cambia completamente nei racconti dei pellegni i posteriori. L'ambasciatore cinese Sung Yün, che attraversò la regione nel 520, osserva che "due generazioni sono passate da quando gli Ye-ta (ossia gli Eftaliti) devastarono il Gandhāra" e il suo quadro è confermato ai primordi del VII sec. da Hsiuan-chang che trovò la regione in condizioni di rovina e di spopolamento, con la maggior parte delle fondazioni buddiste in stato di completa decadenza.
2. - La religione buddistica costituì un fortissimo vincolo non solo tra i gandhariani stessi, ma anche tra questi e il resto dell'India: e le manifestazioni artistiche ad essa ispirate che nacquero nel G., rafforzarono materialmente quel vincolo e influenzarono profondamente la successiva arte buddistica, tanto nell'Asia centrale che in Cina, in Giappone, in Indocina e in Indonesia.
L'arte del G. si estende nelle sue forme più caratteristiche oltre che sul G. anche nelle limitrofe regioni indiane e afghane, e particolarmente nel Kāpishā: (Shotorak (v.), Kābul (v.), Fondukistan (v.), nella Battriana (v.) e nella Arachosia (Ghaznī v.), mentre assai più vaste sono le sue influenze lontane che giungono in Asia Centrale, Cina e Giappone (VII sec. d. C.). È anzitutto un'arte religiosa che, senza la sensualità così frequente in altre tradizioni artistiche indiane, serve alla fede buddistica, dispiegando agli occhi dei devoti tutti quei caposaldi della dottrina che era possibile comunicare mediante espressioni figurate. La materia sulla quale gli scultori per lo più lavoravano era una specie di pietra bluastra tenera, una lavagna o schisto che si estraeva dalle alture. dello Swāt e del Buner a N di Peshawar. Il tamburo di un piccolo stūpa da Sikri ricostruito nel museo di Lahore (Lyons-Ingholt, tav. i, 1) i cui tredici rilievi illustrano ciascuno uno degli eventi significativi della vita del Buddha, dà un'idea eccellente del modo in cui si attuava questa diffusione della dottrina "attraverso l'immagine" e, insieme ad altri consimili rilievi, anche del come gli scultori del G. concepissero la biografia del Buddha (v.).
Fra i contrassegni della perfezione sono sempre rappresentati l'ushṇīsha e l'ūrnā; gli episodi più comuni del repertorio sono: scene dell'infanzia, della giovinezza, del matrimonio, come principe Siddhārtha; la prima meditazione fra la vita di corte, la rinuncia e la grande partenza; la parentesi ascetica, l'illuminazione; comincia qui la sua vita di Buddha: predicazione nel parco delle Gazzelle a Sarnath e i successivi episodî, reali o creati dalla leggenda, della predicazione e della vita monastica. Ma oltre le sculture illustranti la sua vita, furono eretti anche rilievi e statue isolate del Buddha, che lo rappresentano stante o assiso. Di essi alcuni lo raffigurano come bodhisattva (v.) indossante il sontuoso costume di principe Siddhārtha, ma di gran lunga più numerosi sono i rilievi, o le statue, che lo rappresentano come egli fu dopo la "grande dipartita". Il Buddha stante ha sempre la mano destra sollevata nella cosiddetta abhaya-mudrā o gesto della rassicurazione; il Buddha assiso è pure raffigurato nell'abhaya-mudrā in un certo numero di casi, ma più spesso nella dhyāna-mudrā, o gesto della meditazione, nel quale le mani riposano in grembo con le dita distese e il dorso della destra posato sul palmo della sinistra; ovvero nella dharmachakra-mudrā o gesto dell'insegnamento, nel quale entrambe le mani sono tenute contro il petto con le punte dell'indice e del pollice destro che unite toccano un dito della sinistra.
Il principe Siddhārtha non è il solo bodhisattva che compaia nella scultura del G.; molti altri bodhisattva sono difatti rappresentati in statue o rilievi e ciò è una delle interessanti conseguenze dell'evoluzione subita dal buddismo dopo la morte del Buddha. Questa forma riveduta di buddismo fu dai suoi seguaci designata col nome di mahāyāna o "grande veicolo" (di salvazione) per distinguerla dal primitivo buddismo chiamato, non senza una punta di disprezzo, hīnayāna, cioè "piccolo veicolo".
Il Buddha venne ad essere considerato non più come un ispirato maestro mortale, per quanto riccamente dotato, ma come un dio, e l'ideale cui i suoi seguaci miravano non fu più l'egoistico nirvāṇa, ma il bodhisattva.
Della schiera dei bodhisattva uno almeno era già noto al buddismo primitivo: Maitreya, il Buddha del futuro che alla fine dell'evo in corso discenderà dal cielo a predicare la Legge. Mentre il suo tipo iconografico sembra chiaramente fissato, quello degli altri bodhisattva permane piuttosto oscuro. Di essi, a giudicare dalle fonti letterarie, il più popolare doveva essere Avalokiteshvara, il Signore della compassione.
Nella scultura del G. non mancano le divinità non buddistiche, la maggior parte delle quali è, naturalmente, di origine indiana. Primeggiano le divinità induistiche Indra e Brahma e il fedele compagno del Buddha, Vajrapāni, il portatore della folgore. A queste si affiancano un certo numero di divinità minori, come Panchika e Hārītī, rispettivamente dio della ricchezza e dea della fertilità; i naga divinità delle acque aventi corpo di serpente; il Garuda, mitico uccello solare; gli yaksha e le yakshī esseri associati alla fertilità; e due classi di musici celesti, i kimnara e i gandharva. All'antico pantheon parthico-mesopotamico appartiene invece la dea Nanaia, mentre Farro e Ardokhsho sono probabilmente le interpretazioni Kuṣāṇa di Panchika e Hārītī. C'è, infine, un numero considerevole di divinità importate dal mondo greco, delle quali alcune si mantengono ancora abbastanza prossime ai loro lontani prototipi, come il tipo della divinità fluviale, l'Atena o Roma, Harpokrates, il centauro, Sileno; altre presentano segni evidenti e crescenti di indianizzazione, come la Demetra-Hārītī, gli Atlanti, le divinità marine e gli amorini-yaksha. Un elemento in comune con il culto zoroastriano è l'altare del fuoco venerato come simbolo del Buddha.
I ritratti, più o meno veridici, di offerenti, di donatori e di monaci che compaiono nelle sculture del G. ci rivelano nel medesimo tempo i differenti costumi maschili e femminili indossati dai vari gruppi etnici che andavano a rendere omaggio al Buddha.
Pochi sono gli esempi di metalli lavorati tra cui il più importante è il cosiddetto reliquiario di Kaniṣka.
3. - Mentre per ciò che riguarda i soggetti delle sculture del G. l'accordo è generale, c'è una singolare divergenza d'opinioni circa la loro cronologia. In relazione con ciò stanno anche le diverse denominazioni di arte "greco-buddistica" o "romano-buddistica" con le quali è stata designata questa produzione. Nonostante l'opera monumentale del pioniere degli studî gandhariani, Alfred Foucher, e il valido contributo portato da studiosi come Sir J. Marshall - l'eminente scavatore di Taxila -, L. Bachhofer, B. Rowland, H. Buchthal, Sir M. Wheeler, la signora I. E. van Lohuizende Leeuw e A. Coburn Soper, le soluzioni sono altrettanto numerose quanto gli esperti.
Poiché nel G. nessuno scavo è stato eseguito in siti buddistici che presentino una stratigrafia, è naturale che, al fine di stabilire una cronologia, l'attenzione maggiore sia stata rivolta verso i pochi oggetti datati esistenti. Il Buddha stante da Loriyān Tāngai (Lyons-Ingholt, tavv. i, 2; II, 1) è datato al 318, ma noi non sappiamo quale èra sia qui usata. J.-Ph. Vogel e L. Bachhofer hanno proposto l'èra seleucide, che incomincia nel 312 a. C.; Foucher preferisce l'èra Maurya con il 321 a. C. come anno di partenza, mentre il Rowland ha adottato un'èra Saka incominciante nel 150 a. C. e la van Lohuizen-de Leeuw sostiene un era datante dal 129 a. C., l'anno in cui i Kuṣāṇa conquistarono la Battriana; R. Ghirshman, infine, computa secondo l'èra Vikrāma, che incomincia nel 58 a. C., l'anno dell'accessione al trono del re Saka Azes. Queste varianti, tutte proposte da studiosi competenti, coprono uno spazio di 264 anni, dando, soltanto per questo pezzo, le seguenti diverse date: 3 a. C.; 6, 168, 189, 261 d. C. Impiegando i medesimi cinque sistemi, il Buddha stante di Hashtnagar (Lyons-Ingholt, tav. 1, 3) datato al 384, offre una scelta tra il 62-63, il 72, il 234, il 255 e il 327 d. C. Il terzo pezzo, una statua della dea Hārītī (Lyons-Ingholt, tav. II, 3) da Skārah Dherī reca una data generalmente interpretata come 399 che, secondo gli ultimi quattro sistemi di computo, può rispettivamente corrispondere all'87, al 249, al 270 e al 342 d. C.
Le difficoltà si accrescono con il quarto pezzo - un rilievo rappresentante la visita di Indra alla grotta di Indrashāla (Lyons-Ingholt, fig. 131) - perché la data "anno 89" è evidentemente calcolata secondo un'èra differente da quella impiegata nei tre casi precedenti. La soluzione generalmente accettata è quella di ritenere che l'èra in questione sia quella di Kaniṣka, ciò che tuttavia non migliora la nostra situazione giacché ignoriamo l'anno d'accessione al trono del sovrano Kuṣāna. Secondo la van Lohuizen-de Leeuw questa sarebbe avvenuta nel 78 d. C., mentre il Marshall, il Rowland e il Soper preferiscono collocarla nel 128-129, sicché il rilievo può essere datato o 166 o 216 d. C. Pari difficoltà presenta l'ultimo dei pezzi datati, il reliquiario in bronzo detto di Kaniṣka. L'iscrizione - secondo la lettura di S. Konow - lo data "anno 1 del [mahāraja] Kaniṣka" vale a dire o 78 (van Lohuizen-de Leeuw), o 128-129 (Rowland, Soper) o, se seguiamo la cronologia del Ghirshman, 144 d. C. Un reliquiario da Bimarān in Afghanistan (Lyons-Ingholt, tav. III, 1) viene talora incluso tra i pezzi datati perché fu trovato in esso un certo numero di monete di Azes I o II le quali lo farebbero perciò risalire o al 50 a. C. all'incirca, o alla prima decade del I sec. d. C. Oggi, tuttavia, viene generalmente ammesso che queste monete provano solo che il reliquiario è posteriore ad Azes. Queste incertezze hanno provocato una certa sfiducia nella attendibilità delle sculture datate. Nondimeno sembra che, computate secondo l'èra Vikrāma (inizio nel 58 a. C.), le date delle iscrizioni non risultino archeologicamente insostenibili. È naturale che a tale varietà di interpretazioni cronologiche corrisponda un'altrettale varietà di opinioni riguardo al corso tenuto dall'arte del G. nel suo svolgimento. Quantunque a si trovi generalmente d'accordo nel ritenere che la civiltà buddistica del G. sia tramontata nella seconda metà del V sec. in seguito alle distruzioni su vasta scala operate dagli Unni bianchi, il Marshall, per esempio, non crede che fino a quella data l'arte del G. si sia svolta senza subire interruzioni. L'attività artistica sarebbe cessata intorno al 250 con la conquista sassanide, finché nel 390 l'arrivo dei Kuṣāṇa Kidariti dalla Battriana non ristabili condizioni favorevoli al fiorire dell'arte buddistica. Così, per altri sessant'anni, dal 390 al 450 circa, gli artisti buddistici sarebbero stati nuovamente attivi, ma la materia da essi usata sarebbe adesso stata soprattutto l'argilla e lo stucco. Questa teoria è stata severamente criticata dal Wheeler e più recentemente tanto il Soper che il Foucher hanno del pari insistito sulla continuità dell'attività artistica del G. anche dopo la conquista sassanide. In simil modo, mentre si è d'accordo sulla data finale, i pareri dissentono su quella d'inizio dell'arte del Gandhāra. Nella scultura indiana più antica il Buddha era rappresentato soltanto mediante simboli; nel G., al contrario, egli è ritratto in forma umana (v. buddha), ma resta in discussione se il passo decisivo debba attribuirsi all'arte del G. o alla scuola di Mathurā (v.). Il Foucher ha sostenuto con coerenza la tesi che la prima immagine del Buddha debba la sua origine all'influenza greca, essendo probabilmente stata fatta verso la fine dell'occupazione greco-battriana del G., ossia intorno al 100 a. C. Questa data così alta non ha, tuttavia, molto fondamento. Il Bachhofer e il Marshall, preferiscono una data di più che cent' anni posteriore, cioè la prima metà del I sec,. d. C. quando sul G. regnavano i Saka. Altri, e sono i più, attribuiscono la creazione della prima immagine del Buddha ad influenze provenienti dall'Impero romano, vedendo in essa il Buchthal una copia di statua romana togata, forse addirittura quella dello stesso Augusto, il Soper piuttosto il prodotto di influenze originarie delle botteghe del periodo adrianeo. Tanto il Soper che il Wheeler si trovano d'accordo su di una data che cada nel periodo degli Antonini, ma mentre il Wheeler pensa ad influenze imperiali provenienti da Alessandria via Mar Rosso, il Soper suggerisce che uno scultore possa essere stato condotto da Roma a Peshawar e quivi aver iniziato l'arte del G. o dato ad essa concretamente impulso.
Analizzando le cose più dappresso si vedrà, senza dubbio, che l'azione degli elementi ellenistici è riconosciuta tanto dalla teoria "greco-buddistica" quanto da quella "romano-buddistica", nondimeno tra queste due opinioni estreme corre ancora una differenza di 250 anni.
4. - Datazioni assolute sono di rado raggiungibili nella scultura, tranne casi isolati, e ci si potrà sforzare di ottenere tutt'al più una cronologia relativa; ma nel caso del G. si è fronteggiati da un ostacolo che non si presenta nel caso di Palmira o di Hatra. Mentre in questi due luoghi ci si può, difatti, riferire ad una scuola d'arte principale dotata di elementi conservatori e innovatori insieme, nel Gandhāra è possibile che le diverse città abbiano reagito differentemente alle influenze esterne, ed è per di più probabile che ad ogni suggestione di mutare la consueta maniera di rappresentare il Buddha e la sua vita, i grandi villaggi abbiano reagito con una lentezza di gran lunga maggiore. Solo quando la maggior parte del materiale ancora inedito sarà stato pubblicato e gli scavi avranno riportato alla luce sculture databili stratigraficamente, si potrà forse chiaramente vedere come quest'arte ebbe svolgimento. Allo stato attuale degli studi si può proporre il seguente schema. Si può prendere come punto di partenza una indiscussa antropomorfizzazione del Buddha: quella che ricorre su certe monete del re Kaniṣka. Ma occorre fissare la cronologia di questo sovrano. Tra le diverse soluzioni proposte, quella avanzata dal Ghirshman appare la più seducente, basata com'è sull'osservazione stratigrafica combinata a dati epigrafici. A Begram (v.) il Ghirshman trovò che la città del suo strato II era stata conquistata e distrutta, e che la vita vi era ripresa solo dopo un intervallo di alcuni decenni. Grazie alle monete, la città dello strato II poté essere identificata con la città di Kaniṣka, Huviṣka e Vasudeva, mentre la città dello strato seguente, il III, appartiene chiaramente alle due dinastie Kuṣāṇa che fecero seguito a quella di Kaniṣka. La distruzione fu molto probabilmente perpetrata dai Sassanidi, giacché tra il 241 e il 251 queste regioni vennero a trovarsi sul sentiero di guerra del re Shāpūr I. Per stabilire la data di inizio della dinastia di Kaniṣka, il Ghirshman ricorda l'esistenza di un certo numero di iscrizioni datanti ora da questo, ora da quell'anno di regno di uno dei tre sovrani della dinastia. Poiché queste date vanno dall'anno I all'anno 98, sembra si possa concludere con sicurezza che la dinastia di Kaniṣka durò in tutto 98 anni. Sottraendo 98 da 241, il Ghirshman arriva al 144 come anno dell'accessione al trono di Kaniṣka; deduzione che deve definirsi, se non decisiva, assai probabile. Pertanto, sapendo che Kaniṣka regnò per circa 27 anni, le monete sono databili al periodo 144-173 d. C. Di esse una soltanto è d'oro e mostra sul recto il re Kaniṣka in piedi dinanzi ad un altare, sul verso il Buddha con aureola, avvolto nella saṃghāti; la destra molto verosimilmente sollevata nel gesto della rassicurazione e la sinistra che stringe una piega del panneggio. A sinistra, la leggenda ΒΟΔΔΟ stabilisce l'identificazione con il Buddha.
Esaminando le altre monete d'oro fatte coniare da Kaniṣka, si constata un fatto sorprendente, cioè che esse non erano destinate all'uso interno, ma al commercio con l'estero. Le leggende sono interamente in lettere greche e le divinità rappresentate sul verso formano una singolare galleria di una trentina di dèi dai nomi greci, indiani ed iranici, la maggior parte dei quali proviene però da Babilonia e dalla Caracene. I sovrani Kuṣāṇa controllavano tanto il Gandhāra che la foce dell'Indo, ed erano nella condizione di poter dirottare il commercio della seta cinese, attraverso il passo di Khyber, verso Barbarikon alle foci dell'Indo. Non vi ha dubbio che molta della loro potenza i Kuṣāṇa la fondarono sul loro ruolo di felici intermediari tra la regione cinese del Pamir e la Mesopotamia meridionale. E interessante notare che proprio a datare da questo periodo - prima e dopo il 150 d. C. - troviamo un buon numero di iscrizioni palmirene che non soltanto accennano ad un movimento di carovane tra Palmira e Carace nella Caracene, ma alcune delle quali fanno riferimento a relazioni dirette tra Palmira (v.) e la regione della foce dell'Indo controllata dai Kuṣāṇa. Questa ricostruzione dei rapporti politici e commerciali dell'impero Kuṣāṇa sotto Kaniṣka spiega i confronti stilistici che si possono istituire tra le opere della I fase dell'arte del G. e opere parthiche e palmirene.
5. - Generalmente si è riconosciuto nell'arte gandharica una prima fase che va dal I sec. d. C. alla metà del III, e una seconda che giunge alla fine del V sec. e oltre, e che comprende la grande fioritura degli stucchi, con persistenze e prolungamenti di influenze anche oltre l'area geografica del Gandhāra. Tuttavia, prendendo come punto di partenza i dati qui esposti, si può proporre (Ingholt) di riconoscere nell' arte del G. quattro gruppi stilistici. Il primo gruppo andrebbe dal 144 al 240 d. C., ossia dall'ascesa al trono di Kaniṣka alla conquista di Shāp̄r I; il secondo gruppo dal 240 al 300; il terzo gruppo coprirebbe il sec. IV, dal 300 al 400 e il quarto gruppo occuperebbe gli ultimi sessanta anni di indipendenza politica della regione, dal 400 al 460. La prima fase è contrassegnata dalle influenze ellenistiche della Mesopotamia parthica; nella seconda fase si fanno avanti le influenze sassanidi e nella terza un'ondata di influssi nuovi giunge nella regione dal centro indiano di Mathurā. Nella quarta fase, infine, si assiste al riaffacciarsi delle influenze sassanidi.
Prendendo come base più probabile il computo delle date secondo l'èra Vikrāma (v. sopra) i pezzi con iscrizioni datate verrebbero così distribuiti: il Buddha di Loriyān Tāngai datato in tal modo al 261 d. C. verrebbe a cadere ai primordî della seconda fase; il Buddha di Hashtnagar, che cadrebbe al 327 d. C., andrebbe assai bene nella terza fase, col caratteristico motivo triangolare sulla destra del petto e la mescolanza di pieghe a cannello e di pieghe biforcate. Lo stesso dicasi per la Hārītī da Skārah Dherī, che verrebbe datata al 432 d. C. Una data, l'anno 89, segnata sul rilievo di Mamāne Dherī è rimasta sinora inesplicata: ma si potrebbe formulare l'ipotesi che la cifra indicante il centinaio sia stata omessa, che tale cifra fosse il 4 e che la data, cosi ottenuta, del 489 computata secondo l'èra Vikrāma, corrisponda al 432 d. C., data che si attaglierebbe benissimo a questa scultura della quarta fase. Tale ipotesi trovasi rafforzata dal confronto con una base di Mathurā, datata nell'anno 9 di un'èra che deve essere quella Gupta (v.), corrispondente al 417 d. C., e con il Buddha di Mankuwar datato al 129 della stessa èra, cioè al 448-449 d. C.
In quanto ai quattro gruppi, se ne può tentare una caratterizzazione in base a differenze stilistiche e in parte anche iconografiche.
a) Il I gruppo è caratterizzato da panneggio a fitte linee parallele e classiche pieghe a zig zag; tipiche le pieghe a forma di lyra sul petto. La composizione delle figure è paratattica, ma mai frontale; i personaggi restano isolati l'uno dall'altro, e si evita ogni composizione a piani sovrapposti. L'anatomia è naturalistica spesso accentuata secondo lontani modelli ellenistici. Si possono citare paralleli tardo-ellenistici e parthici (per esempio, un sarcofago di Palmira con sei figure, degli inizi del III sec. d. C.; un sarcofago del II sec. da Tell Barak presso Cesarea di Palestina; la statua della principessa Shpry, a Hatra, morta nel 137 d. C.; le Vittorie delle pitture di Dura, paragonabili alla cosiddetta "Roma" del museo di Lahore; la statua bronzea da Samī di arte parthica). Significativo è il confronto con pezzi provenienti da Hatra, perché tutti di data anteriore alla distruzione di questa città ad opera di Shāpūr I nel 241 d. C.
b) Il II gruppo si colloca dopo la conquista sassanide del 241. Ma già nel 224 l'impero parthico era stato rovesciato da Ardashīr I della casa sassanide e la Caracene era passata a quest'ultima, sicché la strada della seta, che attraversava il G. e la Scizia cessò concretamente di funzionare. In questo periodo si manifesta, sotto influenza sassanide, una tendenza accentuata alla simmetria e alla frontalità; il motivo dei complessi nodi di pieghe fluttuanti che si trova nel manto dei sovrani sassanidi, appare nel drappeggio ricadente sulla gamba destra di alcune figure, specialmente quelle di bodhisattva. Tale constatazione ha una notevole importanza per quelle sculture che mostrano così evidenti assonanze col costume dei monarchi sassanidi, e che verrebbero così a esser tutte datate dopo il 240 d. C. Appaiono in questo gruppo i primi tentativi di figure che si sovrappongono sul fondo in più piani. Scompare lo spazio fra i singoli personaggi, le scene sono più dense e affollate. Particolarmente interessante è un rilievo conservato nel museo di Peshawar (Lyons-Ingholt, fig. 72) che rappresenta forse il primo Buddha assiso nella posa della rassicurazione, che si conosca. Non sembra che vi fossero ancora statue isolate, a tutto tondo, del Buddha assiso. Il già accennato reliquiario di Kaniṣka potrebbe essere assegnato alla fine di questo periodo, o all'inizio del III gruppo. Per la fattura alquanto trascurata, piuttosto che al primo Kaniṣka sarà da attribuirsi al meno importante pronipote Kaniṣka II, che regnò probabilmente fra il 280 e il 300 d. C., se non addirittura agli inizi del IV secolo. Va anche notato che Kaniṣka I appare sempre barbato; inoltre il sedile a forma di fiore di loto rovesciato e il nimbo decorato sono elementi indicativi del tardo periodo Kuṣāṇa. Secondo il Buchthal, tenendo conto dell'accentuato movimento che percorre i festoni sostenuti dagli eroti (motivo che sarebbe stato introdotto attorno al 209 d. C.), egli ritiene che il reliquiario possa risalire al più presto al 250 d. C. circa. Altri (Deydier) hanno addirittura impugnata la lettura proposta per l'iscrizione, sicché questa non presenta più nessuna certezza, ma soltanto una probabilità nella lettura del nome del regnante.
c) Il III gruppo è assai ampio e ulteriori ricerche potranno anche suddividerlo in varie fasi. Appaiono in esso nuove mudrā (letteralmente "sigillo"; gesto delle mani che viene associato a un determinato episodio) del Buddha: quella della meditazione a mani scoperte (dhyāna-mudrā) e soprattutto quella dell'insegnamento (dharmachakra-mudrā). Si avverte l'influenza del centro artistico di Mathurā, nel quale si fissò, all'inizio del regno di Kaniṣka, il tipo del bodhisattva assiso con la mano destra sollevata nel gesto della rassicurazione, che dovette ben presto essere usato anche per il Buddha.
Queste immagini mathurensi sono diverse dal tipo di Buddha del G. per l'aureola ampia e circondata di raggi, ushṇīsha a forma di conchiglia, piede e spalla destra lasciati scoperti dalla saṃghāti, panneggio diafano, trono fiancheggiato da leoni di prospetto. Le loro imitazioni ben riconoscibili non solo nella figura del Buddha rassicurante, ma anche negli altri tipi, non si trovano nel G. prima di questo terzo periodo. Anche in questa fase appaiono le prime immagini di Buddha assiso nella posa della predicazione. Caratteristiche di questo gruppo, di origine gandharica, sono: le pieghe indicate con una serie di cannelli alternati ad altri più sottili, e le tipiche pieghe biforcate; nuove fogge di portare la samghāti a coprire l'omero destro, e di drappeggiare la dhotī al modo del paritalone iranico; i capelli a chiocciola, il fiore di loto usato come seggio del Buddha, la mandorla che la pettinatura forma attorno alla radice della fronte.
Appaiono in questo gruppo le scene costruite per registri orizzontali sovrapposti. Ciò è particolarmente evidente nelle scene rappresentanti la visita alla grotta di Indrashala (cfr. Lyons-Ingholt, figg. 130-131) la cui iconografia risale probabilmente non tanto, come era stato detto, alla tauroctonia mitriaca, quanto al motivo di Orfeo che incanta gli animali quale lo si trova espresso in alcune sculture tardo-antiche.
In base a queste osservazioni, il Buddha da Takht-i Bahai nel Völkerkundemuseum di Berlino, già considerato come il più antico Buddha assiso, andrebbe collocato in questo periodo.
Al III gruppo può ora venire assegnato un gran numero di altre sculture delle quali citeremo alcune delle più caratteristiche. Vengono innanzitutto i rilievi dello stūpa di Sikri che la van Lohuizen-de Leeuw aveva definito i documenti più antichi della primitiva arte del G., mentre il Soper sostiene la più tarda data del III o dei primordi del IV secolo. Tra i contrassegni propri del III gruppo sono chiaramente discernibili: la mandorla formata dai capelli, il circolo inciso sul palmo della mano destra e, in particolar modo, le strane pieghe che la dhotī forma sul ginocchio destro.
Di pari passo con l'intensificarsi del processo di deificazione, la figura del Buddha tende gradatamente ad assumere proporzioni più grandi di quelle di chi gli è rappresentato vicino. Così è nel rilievo dallo stūpa di Sikri, nel quale alla sinistra del Buddha - il posto d'onore - è rappresentato il dio Brahma, e alla destra il dio Indra. L'identica posizione che queste due divinità hanno sul reliquiario di Kaniṣka unitamente al fatto che l'aureola del Buddha è adorna sull'orlo di raggi foliati, rendono praticamente certa l'appartenenza anche del reliquiario al III gruppo.
Riferendoci ai Buddha stanti, notiamo che un piccolo gruppo di essi si distingue per alcune ben definite caratteristiche. Il tratto che essi hanno in comune è un ushṇīsha piuttosto basso e formato da ciocche rese accuratamente come in due dei Buddha assisi di Calcutta (Lyons-Ingholt, taV. XII, 2-3). Uno di questi ultimi ha ciocche ondulate che corrono in linee parallele verso l'occipite mentre l'altro ha, al di sopra della fronte, bande di capelli ondulati divise in cunei da solchi verticali, obliqui ed orizzontali. Non c'è dubbio che queste statue appartengono al III gruppo se non altro per il fatto che la samghāti presenta la ben nota alternanza di pieghe ampie e strette; e le pieghe biforcate. Ma se le cose stanno così, allora il famoso Buddha da Hoti Mardan deve essere incluso nel III gruppo e non può essere più riguardato come uno dei più antichi Buddha stanti. Riguardo ai rilievi che illustrano la storia del Buddha, non possianio qui scendere in particolari, ma indicheremo poche caratteristiche che sembrano comparire soltanto dal III gruppo in poi. Una di queste è l'architrave spezzato, dettato dalla necessità di rappresentare il Buddha, anche assiso, più grande di chi gli sta intorno; un'altra è l'impiego di modiglioni, caratteristici elementi di sostegno del cornicione corinzio; un'altra ancora è la decorazione di pilastri indo-corinzî con Buddha, amorini o sciolte corone di fiori. È probabilmente tipico del III gruppo anche la singolare combinazione di acanti e mezze rosette.
Passando in rassegna i Buddha del III gruppo si vede molto chiaramente che c'è un'evoluzione nel trattamento delle pieghe, del panneggio da un'alternanza di cannelli ampî e stretti ad una molteplicità di pieghe che si biforcano. Importante, dal punto di vista cronologico, è, tuttavia, la presenza di tali pieghe nella lontana Cina. In questo paese il buddismo penetrò presto e la sua popolarità crebbe rapidamente soprattutto al tempo in cui la dinastia dei Wei settentrionali regnava sul N della Cina, tra il 398 e il 532 d. C. Numerose e grandiose sculture rendono ancora testimonianza a questo regale favore concesso da quei sovrani tartari alla fede buddistica. Nelle grotte di Yünkang è un colossale Buddha meditante sulla cui spalla e braccio sinistro si notano delle pieghe biforcate simili a quelle del G., come lo sono anche quelle a zig zag dell'orlo interno della veste che dalla spalla sinistra ricade verso le mani. La data di questo Buddha cade probabilmente verso la fine del V sec.; ciò frapporrebbe l'intervallo di un secolo tra il prototipo gandhariano e la sua versione cinese.
d) Il IV gruppo è forse il più facile a riconoscersi, giacché ha per motivo caratteristico l'uso di indicare le pieghe del panneggio semplicemente con delle linee parallele appaiate. Esempio tipico di questo stile è un rilievo della Collezione Gai di Peshawar (Lyons-Ingholt, tav. xx, 1), che rappresenta i quattro lokapāla divinità guardiane dei punti cardinali - nell'atto di offrire al Buddha delle auree ciotole per l'elemosina del cibo: tanto nel Buddha che nei lokapāla, le pieghe del panneggio sono indicate da linee parallele appaiate. In altri casi, le pieghe del panneggio del Buddha sono rese con un'alternanza di cannelli e solo il panneggio degli adoranti o delle divinità minori presenta le linee appaiate incise. Tale è il caso, tra l'altro, del rilievo di Karachi rappresentante il miracolo di Shrāvastī con l'"emanazione dei Buddha" (Lyons-Ingholt, tav. xx, 2). Anche Buddha assisi nella posa della meditazione possono presentare le pieghe della veste indicate con linee parallele appaiate, come si verifica, per esempio, nella statua di Berlino (Lyons-Ingholt, tav. xxi, 1). Qui l'aureola è molto ampia, la base della statua è decorata da rettangoli in ciascuno dei quali due solchi diagonali delimitano delle depressioni triangolari, ed entrambe le gambe sembrano coperte dalla sola dhotī. Un Buddha assiso consimile, trovato a Takht-i Bahai presenta su entrambi i lati e al di sopra del capo motivi opportunamente illustranti certe concezioni teologiche del mahāyāna, ossia sette mānushi buddha della nostra èra con in più il mānushi buddha del futuro, Maitreya, rappresentati come se emanassero dalla testa dell'Illuminato. Sul rilievo della visita alla grotta di Indrashala datato nell'anno 89 le linee parallele, anziché incise, sono rilevate: è questo un caso unico.
Di dove è originaria questa singolare tecnica per indicare le pieghe del panneggio? Certamente non dall'India. È probabile che gli scultori gandharici abbiano derivato questo rapido impiego dello scalpello dai loro colleghi sassanidi. Lo troviamo, difatti, nei piatti d'argento sassanidi sia pure soltanto per uno spazio di tempo relativamente breve, ossia dal regno di Shāpùr I (309-379 d. C.) a quello di Shāpūr III (383-388). Pertanto potremmo datare la comparsa di questi solchi appaiati nell'arte iranica, alla seconda metà del IV sec., ciò che fornirebbe per la loro comparsa nel G. la ragionevole data della prima metà del V secolo.
Un altro dato di controllo cronologico lo possiamo in fine ottenere dalla Cina e dall'Asia centrale. In una delle pitture murali di Kuchā, eseguita prima del 700 d. C., è raffigurato un panno con quattro scene dalla vita del Buddha: nascita, assalto di Mārā, prima predicazione, parinirvāṇa. In tutte e quattro le scene si notano le linee appaiate. Ed ancora esse appaiono in una statuina lignea di Buddha stante - ora nel Metropolitan Museum of Art di New York - che si asserisce proveniente da Qocho, ma che potrebbe essere arrivata colà da Khotan o forse dall'India (Le Coq). In tal modo si assiste all'avanzare, insieme alle mercanzie, dell'evangelo buddistico dal G. alla Cina, via Khotan. Si possono, difatti, citare anche due sculture cinesi datate che mostrano chiare influenze gandhariane.
Una è una tavoletta che si conserva nella Freer Gallery of Art di Washington, datata al 565, decorata con una duplice raffigurazione del bodhisattva Maitreya (Lyons-Ingholt, tav. xxiv, 3). L'altra è una stele datata al 547 che si trova ora nell'Isabella Stewart Gardner Museum di Boston (Lyons-Ingholt, tav. xxiv, 4) e che rappresenta il Buddha con ai lati due monaci e due bodhisattva. I solchi paralleli a due a due che indicano le pieghe del panneggio sono chiaramente visibili sia sulla veste del Buddha, sia su quella dei due monaci. La mano destra del Buddha è nel gesto della rassicurazione abhaya-mudrā) e anche il palmo della sinistra è volto verso lo spettatore, ma con le dita all'ingiù, nella posizione detta "del dono" (dāna-mudrā; o varada-mudrā) pur essa già nota all'arte del Ghandhāra.
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