Khattusa, arte e architettura della capitale ittita
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del XVII secolo a.C., su un promontorio posto fra due piccoli fiumi, il re ittita Hattusili fonda la città di Hattusa, che cresce nel corso del tempo fino a diventare nel XIV secolo a.C. la maestosa e gloriosa capitale dell’Impero ittita. La sua importanza è riconosciuta dall’UNESCO che nel 1986 l’ha aggiunto fra i siti Patrimonio dell’Umanità.
Nell’altopiano anatolico scorre il Kızılırmak, il fiume rosso. All’interno della sua grande ansa, dove oggi si trova il piccolo villaggio di Bogazkale, 1500 abitanti, quasi 4000 anni fa, sorgeva la grande capitale ittita, Hattusa. La città, fondata alla fine del III millennio a.C., è distrutta verso il 1750 a.C. dal primo re ittita, Anitta di Kushshara. Nonostante la sua maledizione lanciata contro chiunque tentasse di ricostruirla, un secolo più tardi, un altro uomo di Kushshara, riuscendo ad imporre il suo dominio sulla regione, decide di spostare proprio qui la capitale e di farsi chiamare lui stesso Hattusili (sovrano dal 1650 al 1620 a.C. ca.). Anche nel XIV secolo a.C., quando l’Impero ittita giunge a comprendere tutta l’Anatolia e parte della Siria, lasciando la città in posizione assai decentrata, Hattusa continua a crescere e prosperare, rimanendo capitale fino al suo misterioso abbandono, avvenuto intorno al 1200 a.C.
Il sito è edificato su un’area di forma irregolare di oltre 160 ettari, attraversata da due torrenti. Fra essi si trovano a nord la città bassa e a sud-est la collina di Buyukkale, sulla quale sorge l’acropoli. La vasta città alta, dalla forma ellissoidale, si estende a sud; il suo punto più elevato si trova a circa 1250 metri sul livello del mare, oltre 300 metri in più rispetto alla città bassa.
La natura irregolare del suolo è ben sfruttata per accrescere il potere difensivo delle imponenti mura, lunghe 6 km, che nel XIII secolo a.C. circondano tutto il sito. La parte più antica delle fortificazioni è quella che cinge la città bassa ed è formata da due muri paralleli ravvicinati, larghi ciascuno circa tre metri, dai quali emergono a distanze piuttosto regolari varie torri aggettanti. Più recenti e meno spesse ma simili nella struttura, sono le mura che corrono attorno alla città alta. Di entrambe le cinte oggi non restano che grossi blocchi di pietra squadrati, le fondamenta sulle quali un tempo si elevavano le mura costruite in mattoni d’argilla e legno. Per quanto si sia conservato ben poco degli alzati, possiamo immaginare il loro aspetto grazie al frammento dell’orlo di un grande vaso di ceramica trovato a Hattusa, che riproduce miniaturisticamente una cinta muraria: le torri e le mura sono orlate da parapetti merlati e i loro soffitti sostenuti da doppie travi con le estremità sporgenti all’esterno dei muri.
In tre punti della cinta muraria si aprono le porte urbiche, ciascuna protetta da due torri laterali aggettanti. Una doppia porta dotata di pesanti battenti in legno ruotanti su cardini di pietra consentiva un tempo l’ingresso in città. I battenti della cinta esterna si aprivano verso l’interno, viceversa quelli della cinta interna ruotavano verso l’esterno, per cui solo le persone che si trovavano fra le due porte potevano aprirli o chiuderli.
Presso le porte, perfettamente integrati nel contesto architettonico, sono conservati alcuni dei migliori esempi della scultura imperiale ittita. Ad ovest della città, la Porta dei Leoni, di forma ogivale, porta scolpiti sugli stipiti esterni due di queste fiere, raffigurate minacciose, con le fauci spalancate, quasi pronte a difendere la città da eventuali nemici. Ad est, su uno stipite interno della cosiddetta Porta del Re è raffigurata una figura umana, ritenuta a lungo l’effige di un sovrano. La figura indossa un elmo conoidale dotato di un paio di corna, tipico elemento divino, e va identificato più verosimilmente con il dio della tempesta. La resa realistica delle gambe massicce, quasi sproporzionate, e la carnosità del volto sono ottimi esempi dello spiccato senso volumetrico e del corposo plasticismo che caratterizzano la scultura ittita di epoca tarda. L’abilità dagli artisti imperiali nell’intagliare la pietra è mostrata chiaramente anche dalla cura con cui sono resi i dettagli: le rotule, la decorazione del gonnellino o la testa lunata della mazza.
La stessa ricerca di maestosità abbinata alla cura per i dettagli è visibile anche nelle sfingi, esseri dal corpo leonino, la testa umana e le ali d’aquila, scolpite a tutto tondo negli stipiti interni ed esterni della porta sud, chiamata per questo Porta delle Sfingi. La porta, che sorge nel punto più alto della città, a Yerkapi, fa parte di una monumentale struttura, per far posto alla quale fu artificialmente tagliato l’altopiano circostante. La complessa struttura architettonica è formata da un bastione trapezoidale rivestito in pietra, lungo 250 metri, sui cui lati inclinati si trovano due scalinate che conducono alle mura della città e alla porta. Uno stretto tunnel, realizzato con blocchi di pietra rastremanti fino a formare una volta a sesto acuto, attraversa nel mezzo il bastione e collega l’esterno della città con l’interno, offrendo un passaggio secondario rispetto a quello dalla porta principale. Simili strutture sono presenti in altri luoghi della città, dove hanno funzione difensiva, offrendo una via d’uscita o entrata poco visibile. Quello di Yerkapi, centrale e visibile, esclude tale funzione e tutta la struttura deve essere intesa piuttosto come un simbolo della potenza e della grandezza di Hattusa.
Una seconda possente cinta muraria interna di mura larghe nove metri è costruita nel corso del XIII secolo a.C. sui pendii di Buyukkale, lo sperone roccioso sul quale sorge la cittadella dalla forma vagamente trapezoidale.
Tre porte consentono l’accesso agli edifici; la principale è dotata di due torri laterali come nelle mura esterne e conduce a uno spazio aperto antistante la facciata principale del complesso palatino.
Il palazzo, sede centrale del governo ittita, si articola attorno a tre corti di forma trapezoidale, porticate su almeno due lati e collegate in successione tra loro. La prima è una corte minore, circondata da edifici di dimensioni piuttosto contenute disposti irregolarmente. Attorno alla seconda corte, la maggiore, si trovano invece edifici monumentali, funzionalmente i più importanti di tutta l’acropoli, nonché i più antichi, costruiti già nel XIV secolo a.C. Sul lato occidentale della corte, dietro una facciata porticata e preceduta da un piccolo vestibolo, si trova una grande sala quadrata, la cui superficie è divisa da cinque file di cinque colonne. Si tratta di una grande sala delle udienze, sul fondo della quale era collocato il trono. L’archivio palatino centrale è collocato sul lato meridionale dello stesso cortile; un largo vestibolo dà accesso a quattro lunghi vani nei quali sono state trovate oltre 3500 tavolette amministrative scritte in cuneiforme che non lasciano dubbi sulla sua funzione.
Dietro alla terza corte sono state scavate due strutture residenziali, una delle quali presenta sulla facciata un piccolo portico con due colonne. La struttura è quella degli edifici chiamati hilani, già attestati nella Siria settentrionale, ad Alalakh e ad Emar, e che nel I millennio a.C. diventerà tipica dell’architettura degli stati neo-ittiti. È probabile che in una delle residenze, prossime alla grande sala colonnata, vivesse il re. La lunga rampa che partiva dalla porta aperta a sud-est nelle mura e che seguiva i bastioni, portava proprio in quest’area, consentendo al sovrano di accedervi senza dover attraversare i luoghi aperti al pubblico.
I vari edifici che compongono l’acropoli non formano un complesso architettonico unitario, come avviene normalmente nei palazzi mesopotamici o siriani, ma sono piuttosto una serie di fabbriche giustapposte, ognuna con una funzione diversa. Questa disposizione dei fabbricati libera da concezioni geometriche è una caratteristica tipica dell’architettura ittita.
In posizione diametralmente opposta rispetto al palazzo, nella zona settentrionale delle città bassa, si trova il principale complesso sacro di Hattusa, del quale fa parte il tempio dedicato al dio della tempesta Tarhunta, il Teshup ittita, e alla dea solare Arinna.
Attorno al tempio principale ci sono quattro corpi di fabbrica con le pareti esterne decorate da lesene. Questi edifici, in origine almeno a due piani, sono caratterizzati da lunghe stanze parallele fra loro, che avevano probabilmente la funzione di magazzini. In uno di essi erano conservate copie dei molti trattati internazionali stretti dai sovrani ittiti nel corso del Bronzo Tardo.
Al centro dei quattro edifici, circondato da strade lastricate, sorge il tempio, caratterizzato da forti aggetti su tutte le pareti. Il suo corpo principale è di forma rettangolare, con un atrio tripartito che introduce alla corte centrale, in un angolo della quale sorge una piccola edicola votiva. Sul fondo, assiale all’entrata e introdotto da un porticato formato da tre colonne, si trova un vestibolo di cinque vani quadrati, il più centrale dei quali immette all’antecella. L’apparente simmetria del tempio si sfalda con le due celle irregolari che, sporgendo verso l’esterno, movimentano la facciata posteriore dell’edificio.
Adiacente al complesso sorge quella che i testi chiamano “casa del lavoro”, un edificio di forma irregolare nel quale trovavano posto gli alloggi del personale addetto al tempio, nonché i laboratori e i magazzini dove si lavorano e conservano i beni utilizzati durante il culto.
Fuori dalla cinta muraria cittadina si trova il santuario rupestre di Yazilikaya, costruito utilizzando due gole rocciose naturali come fossero le celle di un tempio, precedute da un piccolo edificio avente la funzione di antecella. Sui lati della gola più grande sono scolpite a rilievo due processioni, una di dèi, rappresentati in tutta la loro maestà, con le spalle di prospetto e le gambe divaricate, e una di dee, raffigurate di profilo, con le braccia sollevate e il corpo leggermente flesso in avanti. Le due schiere si riuniscono sulla parete di fondo, dove si trovano il dio della tempesta Teshup, con i piedi appoggiati sui monti dell’Amano e del Cassio, e la sua sposa Khebat, ritta su una leonessa. Si presuppone che in quest’area fosse celebrata la festa del nuovo anno e il rito del matrimonio sacro.
Nella seconda gola è raffigurato il dio tutelare Sharruma, che, abbracciando il re Tutkhaliya IV, lo introduce al signore degli inferi Nergal, rappresentato come una spada alta quasi 3,5 metri. L’elsa è composta da quattro leoni e la lama si conficca simbolicamente nel terreno, creando un collegamento fra il mondo dei vivi e quello dei morti.
La complessità e la natura composita che caratterizza la cultura ittita, formata da elementi desunti da contesti diversi e fusi fra loro, è ben visibile in questi rilievi. Nella processione, accanto alle figure divine è inciso il loro nome hurrita scritto in caratteri geroglifici luvi, mentre in quello che doveva essere il tempio funerario di Tutkhaliya, accanto all’antica figura anatolica del dio-spada, si trova il tema di origine egiziana della divinità che abbraccia e protegge il proprio devoto.