arte e critica d’arte, lingua dell’
Le lingue delle arti sono collocabili entro il confine delle lingue speciali o settoriali (cfr. Bellucci 1997 per l’architettura; ➔ linguaggi settoriali). Tradizionalmente, soprattutto in Italia, le arti sono state collegate alla letteratura e più in generale agli ambienti colti: parte del loro lessico fluisce quindi nella lingua di registro alto, e da qui nello standard, mentre il restante ne rimane, spesso per sempre, escluso. Per l’architettura il discorso è ancora più complesso, perché il suo lessico è destinato a penetrare anche nella lingua quotidiana, con i termini legati a elementi, strutture, materiali d’uso comune, che nella situazione italiana sono stati a lungo caratterizzati localmente e che spesso lo sono tuttora.
C’è poi il livello della riflessione sull’arte: un metalinguaggio che viene prima dell’opera (in materiali preparatori, in note progettuali), dopo (nella storia dell’arte o nella critica d’arte), e addirittura, anche se più raramente, insieme all’opera (come avviene in alcuni movimenti artistici contemporanei). Su questo livello lo scambio tra lingua delle arti e lingua colta, in particolar modo letteraria, diviene ancora più frequente e bidirezionale.
L’eterogeneità fin qui evidenziata si riflette anche sulla tipologia testuale, che spazia dai testi tecnici, manuali, trattati, fino agli scritti letterari, scritti critici, appunti e annotazioni, inventari, materiali di archivio, conti di fabbrica, solo per citarne alcuni. È pertanto difficile delineare un profilo della lingua delle arti nel suo complesso dal punto di vista morfosintattico e testuale. Come per tutte le lingue speciali, invece, l’elemento fortemente caratterizzante è il lessico.
I luoghi delle arti nel medioevo erano le botteghe; la lingua usata era il volgare, e la trasmissione delle tecniche era per lo più orale. Il serbatoio lessicale di partenza era quindi fortemente dipendente dalle specificità locali legate ai volgari presenti sul territorio: un aspetto che era rafforzato dalla classe sociale degli artisti, medio-bassa e non letterata, e quindi di fatto esclusa da un contatto diretto con i testi latini. La distanza degli artisti dal latino, o il loro progressivo avvicinamento, determinò processi completamente diversi che caratterizzarono la storia della lingua delle arti, con conseguenze anche sulla loro terminologia. La dipendenza dai repertori lessicali delle botteghe artigiane, legati alle specificità dei molti volgari italiani, è determinante: il repertorio di tecnicismi delle arti, infatti, secondo le modalità tipiche della lingua tecnica, si forma in buona parte con il ricorso alla metafora e alla risemantizzazione del lessico comune in funzione specialistica, e quindi con scelte fortemente influenzate dalla matrice culturale di riferimento.
Nel corso del Quattrocento nel mondo delle arti si infittisce il dialogo tra volgare e latino, favorito dallo stesso Umanesimo con il suo richiamo al recupero dei testi classici. All’interno delle botteghe si delinea una nuova figura: quella dell’artista di classe medio-alta che, pur non conoscendo il latino, ha un buon livello di istruzione, può avvicinarsi da autodidatta a testi tecnici della classicità e tentare di tradurli ricorrendo alla specifica competenza tecnica per superare le difficoltà linguistiche. Nel campo delle arti (in particolare per l’architettura) si viene così colmando la netta distinzione fra ‘letterati’ (che conoscevano il latino) e ‘illetterati’ (che invece usavano il volgare), grazie al costituirsi di uno «strato culturale intermedio» (Maccagni 1996), all’interno del quale si possono collocare figure come Piero della Francesca, Francesco di Giorgio Martini, Luca Pacioli, ➔ Leonardo da Vinci. Nel corso del Quattrocento, alle figure di artisti di formazione volgare che cercano di appropriarsi del latino, e della cultura tecnica che esso veicola, si affiancano anche coloro che, ‘letterati’, promuovono l’uso del volgare come lingua tecnica delle arti (per es. ➔ Leon Battista Alberti).
L’architettura ha una diversa collocazione rispetto alle altre arti già nel medioevo: anche se non è inserita nel gruppo delle arti liberali, è una delle arti meccaniche. Questo non cambia la situazione sociolinguistica, che rimane quella delle botteghe e dei cantieri; ma i processi di rimescolamento dei piani alti e bassi della cultura per l’architettura sono più radicali. Grazie alla collocazione fra le arti meccaniche è più facile per Alberti elevare l’architettura ad arte maggiore, componendo il trattato De re aedificatoria, scritto in latino perché rivolto ai dotti, e con lo scopo di inserire anche linguisticamente la materia in un contesto alto. L’elevazione determinò la nascita di una trattatistica volgare e lo sviluppo di un lessico tecnico, di registro medio-alto, diffuso a livello nazionale e così maturo alla fine del Cinquecento da estendersi anche in molte lingue d’Europa. L’elemento catalizzatore di questo processo fu un testo latino fondamentale per la cultura e la società del tempo, il De architectura di Vitruvio, che diventò fra Quattrocento e Cinquecento il canone indiscusso di riferimento. Il testo era noto anche prima della ‘riscoperta’ umanistica di Poggio Bracciolini nel 1414, ma la diglossia linguistica tra dotti e architetti illetterati aveva di fatto bloccato la sua traduzione ed esegesi, perché coloro che avevano le competenze tecniche per affrontarlo non conoscevano il latino, mentre i letterati erano ostacolati dalla difficoltà della materia.
Proprio grazie a un rappresentante dello «strato culturale intermedio», Francesco di Giorgio Martini, nella seconda metà del Quattrocento si ebbe la prima traduzione di Vitruvio; e con la traduzione l’avvio del processo di formazione di un lessico nazionale dell’architettura (Nencioni 1995; Biffi 2006). Il De architectura fu infatti anche una ricca e utile fonte per numerosi latinismi tecnici, sui quali si fondò una sorta di esperanto sovraregionale (per es. abaco, astragalo, corona, entasi, epistilio, fascia, fastigio, metopa, plinto, podio, scapo, scozia, stilobate, stria, toro, zooforo). Ma la necessità di comunicazione fra l’alto (il committente; e l’architetto, ormai elevato nella sua posizione socio-culturale) e il basso (le maestranze) impose un collegamento fra questo lessico ‘universale’ e quello artigianale, legato alle varietà regionali, che caratterizzò i testi di architettura per tutto il Cinquecento. Nel corso del secolo la grande varietà di ➔ geosinonimi paralleli ai termini vitruviani lasciò il posto a una selezione di base fiorentino-toscana, ormai largamente condivisa, sia per il prestigio degli artisti e dei trattatisti, sia per il ruolo guida esercitato dalla lingua (per es., architrave, bastone, capitello, cornice, gola, piedistallo). Questo repertorio fu preferito anche da Palladio, uno dei più importanti vettori di un modello nazionale e internazionale di lingua architettonica (Biffi 2009).
Il processo di allineamento tra un termine vitruviano e il corrispondente di matrice artigianale (bastone a lato a toro, listello / guscio / cavetto / gola a lato a scozia, zoccolo / dado a lato a plinto) rimase operativo fino a tutto l’Ottocento (si trova esemplificato, per es., in Carena 1853). Ma rimase produttiva anche la componente locale legata alle maestranze: proprio nell’Ottocento, a fronte del problema post-unitario di un’unificazione linguistica, riemersero repertori locali nel tentativo di renderli compatibili con quelli di altre regioni o con la terminologia ormai consolidata a livello nazionale (si veda il caso, per Napoli, di Jaoul 1874; cfr. Biffi 2006).
L’aggregazione del lessico architettonico intorno a Vitruvio ha determinato un repertorio tecnico legato sostanzialmente alle scelte classiche e neoclassiche degli ordini, rimasto immutato fino alla prima metà dell’Ottocento. Ma sul finire del Novecento l’equilibrio raggiunto si è infranto: i mutamenti economici e produttivi, e la rivoluzione avvenuta nella riflessione teorica, hanno radicalmente cambiato il modo di fare architettura e, conseguentemente, ne hanno plasmato la lingua, insinuando componenti centrifughe legate a modelli culturali e linguistici nuovi.
Questo articolato e profondo processo è all’origine delle due principali innovazioni del lessico architettonico italiano novecentesco: la creazione di numerosi neologismi (cartongesso, cemento armato, coibentazione, ferrocemento, modularità, urbanizzazione, tensostruttura, urbanistica e, nell’ambito della maggiore attenzione a sicurezza e ambiente, anticrollo, bioarchitettura, fonoassorbente, tagliafuoco); la penetrazione di forestierismi importati dalle principali lingue moderne (bungalow, chalet, high-tech, modulor, parquet; fra gli adattati basti pensare a grattacielo). L’apporto lessicale novecentesco alla lingua dell’architettura non è paragonabile a quello che caratterizza altre discipline: il cambiamento avvenuto però, se non per la quantità, è rilevante per la qualità. Per la prima volta nella nostra lingua dell’architettura, infatti, convivono due repertori separati e quasi paralleli: uno moderno, vitale, dinamico; l’altro ‘storico’, consistente e ancora funzionale, ma cristallizzato. Un ulteriore elemento di espansione lessicale è legato alla recente influenza della lingua legislativa, dovuta alla sua sempre maggiore presenza nell’urbanistica e nell’edilizia e sottolineata anche dalla pubblicazione di dizionari specifici (Dalfino 1992).
Per la pittura la differenza nell’individuazione di un lessico tecnico sovraregionale è stata determinata proprio dall’assenza di un modello forte. Le tradizioni di bottega legate alle varie scuole presenti nella penisola hanno favorito le forze centrifughe, lasciando ampio spazio, soprattutto tra Quattrocento e Cinquecento, a una ricca varietà terminologica, incrementata dalle neoconiazioni dei trattatisti, non vincolati al rispetto di un autore di riferimento e anzi indotti alla sperimentazione lessicale dalle lacune del volgare di riferimento.
La trattatistica volgare della pittura precede quella architettonica e si avvia già agli inizi del Quattrocento. Il libro dell’arte di Cennino Cennini, innestato nel quadro della bottega tardotrecentesca (in particolare tra Firenze e Padova; Isella Brusamolino 2004), è un’importante fonte del lessico tecnico. Vi sono attestati per la prima volta termini come acquerello, biancheggiare, brunire, fresco (colore in fresco), tempera, circolanti nelle botteghe coeve e destinati ad avere fortuna nei trattati successivi (Della Valle 2004).
Con Piero della Francesca e Alberti nell’ambito lessicale della pittura entra anche la componente geometrica legata alla prospettiva. Nella sua versione volgare del De pictura Alberti rivendica il diritto di inventare nuove parole là dove la terminologia esistente manchi o non sia efficace, con la risemantizzazione tecnica attraverso la metafora, per analogia d’uso o di forma. Esemplare, per capire la produttività di questi processi, è il caso di buccia, che Alberti usa per indicare l’esterno di una superficie; sullo stesso meccanismo, in altri luoghi e in altri tempi, l’analogia di funzione portò alla scelta di pelle, per patina «strato finale di assestamento dei pigmenti di una pittura» (usato da Daniello Bartoli e Filippo Baldinucci oltre due secoli dopo) o, in relazione alla scultura, per «superficie esterna di un materiale levigato» (Conte 2004).
Anche Leonardo si muove all’interno delle stesse coordinate, e al lessico ereditato dalle botteghe fiorentine contemporanee affianca varie neoconiazioni, rese necessarie anche da intuizioni teoriche e invenzioni (si pensi a prospettiva aerea, che indica la restituzione corporea della profondità realizzata con lo sfumato). Molte delle sue innovazioni lessicali sono state recuperate solo in tempi recenti; ma a lui si devono le prime attestazioni di termini decisamente stabilizzati, come ritratto nel significato di «raffigurazione delle fattezze e della figura intera o parziale di una persona» (Della Valle 2004).
Tra Quattrocento e Cinquecento si venne così formando una ricca terminologia, basata sui volgari della penisola e sulle invenzioni lessicali degli artisti scrittori. Ma progressivamente anche in pittura si tentò la strada di un conguaglio: lo dimostrano le versioni volgari del De pictura di Alberti eseguite da Lodovico Domenichi (1547) e Cosimo Bartoli (1568), le cui scelte lessicali si allontanano dalla ricca varietà presente nella versione volgare dell’autore (Maraschio 2005). Un’analoga presa di distanza dal lessico quattrocentesco si ha in Daniele Barbaro, che nella sua opera La pratica della Perspectiva (1569) rivede le scelte lessicali di Piero della Francesca (Maraschio 1996).
A partire dalla seconda metà del Cinquecento, grazie alla migrazione di molti termini tecnici della pittura ai livelli alti della lingua, e grazie anche alla nascita della trattatistica storico e critico-artistica, si cominciò a privilegiare un lessico sovraregionale. La terminologia che si venne formando si caratterizzò come koinè di base fiorentino-toscana, arricchita dalle varianti locali di tutta Italia. Il nucleo toscano di partenza aveva la stessa matrice di quella serie di termini che si impose negli stessi anni nell’architettura a fianco della terminologia vitruviana, e che si è depositata in modo sistematico in Baldinucci (1985).
Se il quadro rimane nella sostanza immutato fino all’Ottocento, anche nella pittura e nella scultura, la radicale rivoluzione avvenuta nell’arte contemporanea moltiplica le innovazioni lessicali, legate all’ingresso di tecniche nuove e materiali inediti (per es. masonite, pirossilina, vinelite, materia fenolica, metacrilica, plexiglas; Fergonzi 1996).
Uno specchio significativo del panorama lessicale relativo alle arti è il mondo del restauro. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le iniziative di glossari e dizionari, anche all’interno di importanti progetti internazionali, per far fronte all’estrema varietà dei termini usati nei laboratori, come emerge in modo esplicito dalle stesse prefazioni. Queste raccolte lessicali sono vere e proprie miniere di lessico artistico, dal punto di vista sia locale sia storico, come mostrano gli esempi tratti dal Glossario di Paolini & Faldi (2000): bacchetta, bagnolo, bambolo, barletto (strumenti); abrasivo, abriacanite, acetone, acqua forte, acqua ragia (materiali e sostanze); a calce (pittura), a conio, a dente (incastro), a mecca (copertura), a secco (pittura), accecatura, affresco, affilatura, aggrappo, alluminatura (procedimenti e tecniche); e ancora accartocciamento, anamorfosi, decoesione, metamerismo (da notare che alcuni termini sono presenti già in Baldinucci 1985).
All’esigenza di essere mimetica, quando descrive, la critica d’arte affianca quella di essere creativa, quando commenta e interpreta. Anche per il passato è stato osservato che le due ‘anime’ delle lingue delle arti, umanistica e tecnica, convivono in Vasari, che di fronte all’opera narra la percezione visiva dell’osservatore, ma si appoggia anche alla sua competenza pratica, come emerge a livello sia lessicale sia sintattico. Del resto nello stesso Vasari, e nella tradizione delle biografie di artisti da lui inaugurata (e continuata da Lomazzo, Baglione, Bellori, Baldinucci, Passeri), rimangono forti le caratteristiche evidenziate per il lessico tecnico delle arti, anche per la presenza, seppur minore, della componente regionale (in Vasari mimetizzata dalla sostanziale coincidenza con la varietà di riferimento nazionale; ma emergente per es. in Lomazzo, con varianti settentrionali come bisagione «correzione cromatica volta a individuare nel bianco l’elemento di luminosità con cui ottenere un calibrato gioco di luci e di ombre»).
Nella trattatistica storica, che spesso diviene anche critica, il modello letterario diventa preponderante, e ad esso si associano le sovrastrutture interpretative del singolo critico. Il distacco diviene maggiore quando ci si sposta nella direzione, temporale e metodologica, della critica d’arte pura, quando cioè chi scrive non è più artista, o letterato, che riflette sulla propria o sull’altrui opera, ma diviene critico di mestiere, e si avvale di una lingua variegata, aperta alla coniazione di parole o sintagmi.
A seconda delle fasi storiche, la critica novecentesca ha così dato significato artistico a lessico proveniente dalla linguistica (accento, alfabeto, ideogramma, metrica, rimario, sintassi, vocabolo), dalla musica (accordatura, metronomo, modulazione, ritmo, sincopato), dalle scienze (agglutinamento, plasma, sospensione, saturazione), spesso con la strategia dell’accoppiamento anche ardito di due elementi (acido chiaroscurale, sterzatura plastica) e il ricorso frequente a processi di metaforizzazione. Eleggibile a simbolo della prosa della critica d’arte contemporanea è la proliferazione degli -ismi, diffusi, oltre che negli scritti di analisi, anche in quelli programmatici: per es. frammentismo, geometrismo, sensibilismo, spazialismo, visionismo; e quelli creati a partire dai nomi degli artisti: vangoghismo, mafaismo, picassismo (Fergonzi 1996).
Nel campo delle arti l’italiano è stato un punto di riferimento internazionale, e numerosi sono gli ➔ italianismi presenti in varie lingue europee. Sfogliando le pagine del DIFIT, tra le basi di partenza per tecnicismi presenti in francese, inglese e tedesco, si incontrano termini come a fresco, architetto, balcone, bassorilievo, campanile, cartone, chiaroscuro, cittadella, casamatta, cornice, cupola, facciata, galleria, grottesca, loggia, modello, mosaico, parapetto, pastello, piedistallo, pilastro, ritratto, rivellino, scarpa, schizzo, stucco, zoccolo.
Baldinucci, Filippo (1985), Vocabolario toscano dell’arte del disegno, Firenze, S.P.E.S. (rist. anast. a cura di S. Parodi della 1a ed., Firenze, Santi Franchi, 1681).
Carena, Giacinto (1853), Prontuario di vocaboli attenenti a parecchie arti, ad alcuni mestieri, a cose domestiche, e altre di uso comune; per saggio di un vocabolario metodico della lingua italiana, Torino, Fontana - Stamperia Reale, 1853, 3 voll., vol 2º (Vocabolario metodico d’arti e mestieri).
Jaoul, Francesco (1874), Vocabolario di architettura e di arti affini ordinato per rubriche e corredato di un elenco alfabetico delle voci usate in Napoli con le corrispondenti italiane, Napoli, Stabilimento Tipografico del Cav. Gennaro de Angelis.
Bellucci, Patrizia (1997), Gli usi speciali della lingua. Il linguaggio contemporaneo dell’architettura, con particolare riferimento al lessico, «Quaderni del Dipartimento di linguistica (Università degli Studi di Firenze)» 8, pp. 153-212.
Biffi, Marco (2006), Il lessico dell’architettura nella storia della lingua italiana, in Fare storia 3. Costruire il dispositivo storico. Tra fonti e strumenti. Atti del Convegno internazionale organizzato dall’università IUAV e dalla Fondazione scuola studi avanzati (Venezia, 9-11 dicembre 2004), a cura di J. Gudelj & P. Nicolin, Milano, Bruno Mondadori, pp. 75-132.
Biffi, Marco (2009), Osservazioni sulla lingua tecnica di Palladio, in Palladio 1508-2008. Il simposio del cinquecentenario. Atti del convegno itinerante tenuto a Padova, Vicenza, Verona e Venezia nel 2008, a cura di F. Barbieri et al., Venezia, Marsilio, pp. 208-212.
Casale Vittorio & D’Achille Paolo (a cura di) (2004), Storia della lingua e storia dell’arte (2004). Atti del III convegno dell’Associazione per la Storia della Lingua Italiana (Roma, 30-31 maggio 2002), Firenze, F. Cesati.
Conte, Floriana (2004), Sondaggi sul lessico ecfrastico nelle Operette morali di Daniello Bartoli, in Casale & D’Achille 2004, pp. 243-256.
Dalfino, Enrico (1992), Lessico giuridico dell’edilizia e dell’urbanistica, Roma - Bari, Laterza.
Dalai, Emiliani, Marisa & Curzi, Valter (a cura di) (1996), Piero della Francesca tra arte e scienza (1996). Atti del Convegno internazionale di studi (Arezzo, 8-11 ottobre 1992, Sansepolcro, 12 ottobre 1992), Venezia, Marsilio.
Della Valle, Valeria (2004), «L’ispendervi parole non sarebbe molto profittevole». Appunti sul lessico delle arti nei trattati dei secoli XV e XVI, in Casale & D’Achille 2004, pp. 319-329.
DIFIT - Dizionario di italianismi in francese, inglese e tedesco, a cura di H. Stammerjohann et al., Firenze, Accademia della Crusca, 2008.
Fergonzi, Flavio (1996), Lessicalità visiva dell’italiano. La critica d’arte contemporanea 1945-1960, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2 voll.
Isella Brusamolino, Silvia (2004), Il Libro dell’arte di Cennino Cennini, in Casale & D’Achille 2004, pp. 297-318.
Longhi, Roberto (1987), Da Cimabue a Morandi. Saggi di storia della pittura italiana scelti e ordinati da Gianfrando Contini, Milano, Mondadori.
Maccagni, Carlo (1996), Cultura e sapere dei tecnici nel Rinascimento, in Dalai Emiliani & Curzi 1996, pp. 279-292.
Maraschio, Nicoletta (1996), Latino e volgare nei trattati di Piero, in Dalai Emiliani & Curzi 1996, pp. 223-237.
Maraschio, Nicoletta (2005), Il De Pictura albertiano nelle traduzioni cinquecentesche di Lodovico Domenichi e di Cosimo Bartoli, in Italia linguistica. Discorsi di scritto e di parlato. Nuovi studi di linguistica italiana per Giovanni Nencioni, a cura di M. Biffi et al., Siena, Protagon, pp. 41-57.
Nencioni, Giovanni (1995), Sulla formazione di un lessico nazionale dell’architettura, «Bollettino d’informazioni del Centro di Ricerche Informatiche per i Beni Culturali» 5, 2, pp. 7-33 (poi in Id., Saggi e memorie, Pisa, Scuola Normale Superiore, 2000, pp. 51-74).
Paolini, Claudio & Faldi, Manfredi (2000), Glossario delle tecniche artistiche e del restauro, Firenze, Edizioni Palazzo Spinelli.