Olimpiadi, arte e cultura
Il fecondo binomio arte e sport, sviluppatosi già in Egitto, divenne inscindibile in Grecia, tanto che le gare e gli esercizi di palestra furono uno dei temi preferiti dagli artisti. Lo studio degli armoniosi corpi degli atleti, spesso idolatrati come divinità, guidò Policleto all'elaborazione del suo 'canone', concretizzato nella statua del Doriforo e in un trattato purtroppo perduto. Se Mirone nel Discobolo seppe cogliere l'attimo in cui il movimento pare arrestarsi prima di esplodere in tutta la sua energia, Lisippo conquistò lo spazio con l'ampia e ieratica gestualità dell'Apoxyómenos. L'ispirazione rimase alta anche in epoca ellenistica, passando dalle delicate fattezze dei Pancraziasti e dei Giovani lottatori al Pugile in riposo veristicamente martoriato. Sappiamo, d'altra parte, che il corpo per i greci era specchio dell'anima e l'uomo virtuoso non poteva non essere anche bello (kalòs kaì agathòs). La cura del corpo attraverso l'esercizio fisico fu dunque ritenuta di primaria importanza e inclusa nella paidèia, l'educazione dei giovani.
Dobbiamo a Omero la più antica descrizione di giochi atletici: gli agoni funebri banditi da Achille per onorare l'amico Patroclo, ucciso da Ettore. Quei versi colpirono profondamente Friedrich Schiller, che affermò: "Non ha vissuto invano chi ha potuto leggere il XXIII canto dell'Iliade". Omero, per fare un solo esempio, ha tratteggiato mirabilmente il vigore dei condottieri achei Aiace e Ulisse nella gara di lotta (Iliade XXIII, 902-912, trad. di Vincenzo Monti): "Nel mezzo della lizza entrambi accinti / presentarsi, e stringendosi a vicenda / colle man forti s'afferrar, siccome / due travi, che valente architettore / congegna insieme a sostenere d'eccelso / edificio il colmigno, agli urti invitto / degli aquiloni. Allo stirar de' validi / polsi intrecciati scricchiolar si sentono / le spalle, il sudor gronda, e spessi appaiono / pe' larghi dossi e per le coste i lividi / rosseggianti di sangue". Nell'VIII libro dell'Odissea Omero descrisse anche i giochi organizzati dal re dei Feaci, Alcinoo, in onore di Ulisse. Gare sportive che s'intrecciavano con la musica, la danza e l'ispirazione poetica del cieco "immortal cantore" Demodoco. Accanto ai poemi epici di Omero, si collocano gli epinici di Pindaro (7°-6° secolo a.C.), che nei suoi versi trasformò gli atleti in eroi e donò loro l'immortalità degli dei. Ma non ci fu genere letterario o arte figurativa che si sottrasse al fascino degli agònes. Persino il linguaggio corrente usò termini ed espressioni derivate proprio dall'agonistica, come 'giungere alla meta' (ippica) o 'mettere in ginocchio' (lotta), termini, d'altra parte, ancora in uso.
Il binomio arte e sport nell'antichità si affermò in particolar modo a Olimpia, a Delfi e nelle tante pòleis che organizzavano giochi panellenici. È noto che i principali agònes furono quelli Olimpici e Pitici (quadriennali o penteterici), Istmici e Nemei (biennali o trieterici), che costituivano il 'circuito' (perìodos), cosicché gli atleti vincitori delle quattro prestigiose manifestazioni venivano esaltati come periodonikaì. Va ricordato che mentre i Giochi Olimpici contemplavano solo gare sportive, i Pitici, i Nemei, gli Istmici e altri esclusi dal perìodos (come le Panatenee di Atene), includevano anche gare musicali. Il numero complessivo degli agònes passò da una cinquantina nel 500 a.C. a più di 300 alla fine del 1° secolo d.C. I giochi greci avevano origine sia da cerimonie sacre che da celebrazioni funebri (agònes epitáphioi), come era avvenuto per quelli in onore di Patroclo cantati da Omero: in onore di Enomao a Olimpia, del serpente Pitone a Delfi, di Melicerte a Corinto e di Archemoro Ofelte (figlio di Licurgo) a Nemea. Nell'àgon è palese la rappresentazione della lotta tra vita e morte, tra caos e ordine, tra luce e tenebre, insomma fra tutte le dicotomie con cui si confrontano gli esseri umani. Giochi funebri sono raffigurati già su alcune opere d'arte arcaiche, come l'arca di Kypselos a Olimpia, il trono di Apollo ad Amicle, il vaso François a Firenze e il vaso di Anfiarao conservato a Berlino. I primi giochi che sappiamo commemorassero una figura storicamente definita sono quelli menzionati da Esiodo (Le opere e i giorni), in onore del re Anfidamante di Calcide, caduto nella guerra contro gli Eretriesi.
Vennero chiamati agònes stephanitaì o 'coronali' i giochi che premiavano la vittoria con una corona: di ulivo selvatico (kòtinos) a Olimpia, di alloro (dàphne) a Delfi, di pino (pìtus) a Corinto, di sedano selvatico o apio (sélinon) a Nemea. La tradizione vuole che sia stato Ercole a portare gli ulivi selvatici a Olimpia dalla terra degli Iperborei. A sottolineare il valore simbolico e sacro della corona di Olimpia, va ricordato che veniva intrecciata con rami tagliati con un falcetto d'oro da un ragazzo i cui genitori fossero entrambi viventi. I rami dovevano provenire da un olivo, chiamato kallistéphanos, che cresceva accanto al tempio di Zeus. Durante l'incoronazione degli olimpionici veniva cantato un inno del poeta Archiloco di Paro (7° secolo a.C.), in onore di Ercole: Ténella kallínike ("plauso a te, glorioso vincitore"). Talvolta i vincitori furono rappresentati mentre stringevano in mano un ramo di palma, un uso risalente a Teseo, che lo aveva introdotto ai Giochi in onore di Apollo Delio a Creta (Pausania, VIII, 48).
Si chiamavano agònes chrematitaì o thematikoì i giochi di minor prestigio, in cui venivano concessi premi in denaro o in oggetti di valore per assicurarsi la partecipazione di atleti affermati, magari proprio dei vincitori di giochi coronali. Nei giochi di Afrodisia (Asia Minore), per es., nel 2° secolo d.C. venivano assegnate 3000 dracme al vincitore del pancrazio, 500 dracme al vincitore del pentathlon. Lo stesso Solone (7°-6° secolo a.C.), come ci ricordano Plutarco e Diogene Laerzio, stabilì che la città di Atene conferisse un premio di 500 dracme ai vincitori dei Giochi Olimpici e di 100 dracme ai vincitori dei Giochi Istmici. In origine tutti gli agoni furono chrematitaì, come vediamo in Omero.
I Giochi di Olimpia, istituiti da Ercole o dal lidio Pelope (figlio di Tantalo e nonno di Agamennone e Menelao), furono indiscutibilmente i primi per fama e splendore: "Come l'acqua è il più prezioso di tutti gli elementi, come l'oro ha più valore di ogni altro bene, come il sole splende più brillante di ogni altra stella, così splende Olimpia, mettendo in ombra tutti gli altri giochi" (Pindaro, I Olimpica). Il programma dei Giochi comprendeva, come è noto, prove atletiche e gare ippiche per adulti e ragazzi. Solo in un secondo momento a queste si aggiunsero le gare per araldi e trombettieri, le uniche non atletiche, che in certo qual modo si collegavano alle competizioni musicali degli altri giochi panellenici. In compenso la città sacra del Peloponneso durante i giochi non era solo il più importante centro sportivo del mondo, ma anche un centro artistico, culturale e politico di grande rilievo. I più illustri rappresentanti dell'arte, della letteratura e del pensiero greco venivano a Olimpia per far ammirare a tanti greci riuniti le opere del proprio genio. Notava de Coubertin: "Non fu certo il caso che adunò un tempo a Olimpia intorno agli antichi sport gli scrittori e gli artisti, e da questa incomparabile unione derivò il prestigio di cui i Giochi godettero così a lungo" (Mémoires olympiques).
Molti approfittavano delle Olimpiadi, momento di pacifico raduno di tutti i greci (panégyris), per farsi conoscere da un pubblico vastissimo e raggiungere così una rapida fama: la quadriennale manifestazione, infatti, costituiva una straordinaria cassa di risonanza. Fu ai piedi del monte Cronio, mentre si cingevano di corone di ulivo i campioni dello sport, che Simonide, Pindaro e Bacchilide declamarono i loro versi immortali e fu dall'opistodomo del tempio di Zeus che Erodoto lesse le sue Storie, riscuotendo entusiastici consensi: "I suoi [nove] libri furono chiamati coi nomi delle Muse" e "divenne più famoso addirittura dei vincitori olimpici" (Luciano, Erodoto o Aezione). Sempre dall'opistodomo nel 1° secolo d.C. Apollonio di Tiane tenne i suoi discorsi sul coraggio e sulla saggezza. Nell'orazione Olympiakòs Lisia affermò che i saggi della cultura (epídeixeis gnòmes) accompagnarono sempre le gare sportive (agòn somàton).
Il successo aveva talora risvolti curiosi, come testimonia la vicenda del pittore Aezione, autore di un quadro sulle nozze di Alessandro Magno e Rossane: l'opera venne tanto apprezzata che uno degli ellanodici, i potenti giudici delle gare, gli offrì la mano della figlia. Non mancarono gli eccessi: per dare la massima evidenza al suo gesto, il filosofo cinico Peregrino si suicidò proprio a Olimpia, gettandosi nel fuoco (Luciano, Sulla morte di Peregrino).
Nel periodo aureo ai principali Giochi panellenici assistevano i più validi esponenti della cultura greca, a sottolineare il loro stretto legame con lo sport, e molti non disdegnavano di parteciparvi attivamente. Bastino due soli, ma eloquenti esempi: Platone gareggiò nella lotta e nel pugilato a Delfi e Corinto; Euripide vinse nel pugilato ai Giochi di Atene e nella lotta ai Giochi di Eleusi.
Una vittoria, soprattutto se olimpica, accresceva enormemente il prestigio sociale, favorendo anche l'ingresso in politica. Non pochi uomini di potere, infatti, si servirono dei successi nelle corse dei cavalli e dei cocchi (discipline praticate solo dai più abbienti) per migliorare o consolidare la propria posizione. Uno di questi fu Alcibiade, celebrato da Euripide con un epinicio dopo la grande vittoria del 416 a.C., allorché schierò sette squadre ottenendo i primi posti nella corsa delle quadrighe: anche grazie a quel successo gli fu assegnato poi il comando della spedizione in Sicilia durante la guerra del Peloponneso. Diversi tiranni, come Gerone di Siracusa (lodato da Pindaro nella I Olimpica), Terone di Agrigento (cui Pindaro dedicò la II e III Olimpica) e Filippo II di Macedonia, padre di Alessandro Magno, fecero coniare delle apposite monete per esaltare le loro imprese.
Fra i tanti personaggi famosi presenti a Olimpia vanno segnalati l'oratore Demostene, lo storico Tucidide, il pittore Zeusi di Eraclea, celebre competitore di Parrasio e Timante, il sofista Ippia, cui si deve il primo elenco degli olimpionici, poi aggiornato da Aristotele, da Filocoro di Atene, da Flegone di Tralle e da Sesto Giulio Africano. Sulle rive dell'Alfeo famosi oratori quali Gorgia (autore dell'Olympiakòs, 392 a.C.), Lisia (Olympiakòs, 388 a.C.) e Isocrate (Panegyrikòs, 380 a.C.) con i loro lògoi infiammarono l'animo dei greci alla concordia interna e alla guerra contro gli invasori. Presenziò a ben cinque Olimpiadi il poligrafo Luciano di Samosata (2° secolo d.C.), autore fra l'altro del dialogo tra Solone e il dotto scita Anacarsi, uno dei pochi testi antichi che danno informazioni sullo sport, e di trattati sulla storia (Come si deve scrivere la storia) e sull'arte (Le immagini).
Ogni vincitore di Olimpia aveva il diritto di farsi erigere una statua con iscrizione. Le prime furono quella (in legno di cipresso) di Praxidamas di Egina, che vinse la gara di pugilato nel 544 a.C., e quella (in legno di fico) di Rexibios di Opunte, che vinse la gara di pancrazio nel 536 a.C. (Pausania, VI, 18, 7). Al ritorno degli olimpionici nella città natale, la pòlis decretava loro il trionfo, arrivando persino ad abbattere tratti di mura per agevolare il passaggio del corteo. Molti atleti, come il lottatore Promachos di Pellene (vincitore nel 404 a.C.), ottennero una statua a Olimpia e una nella propria città. Ma le statue, secondo Luciano, non dovevano superare la grandezza naturale per non rivaleggiare con quelle dedicate alle divinità, altrimenti ci si sarebbe macchiati di un grave peccato di orgoglio (hybris).
Per Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) l'essere effigiati in una statua costituiva un grande privilegio, riservato a quanti "avevano meritato l'immortalità per qualche importante ragione, in primo luogo per la vittoria nelle gare sacre, soprattutto in quelle di Olimpia" (Naturalis historia, XXXIV, 16). Proprio a Olimpia furono erette le statue di Omero e di Esiodo (Pausania, V, 26, 2), che la tradizione vuole avversari in un famoso confronto poetico in Calcide durante i giochi funebri in onore di Anfidamante (la vittoria andò a Esiodo). Milone di Crotone, grandissimo lottatore e uomo dalla forza straordinaria, volle sistemare personalmente nell'Altis la statua dedicatagli dal concittadino Dameas (Pausania, VI, 14, 5-6).
Gli artisti più prestigiosi lavorarono per gli olimpionici, costituendo il più grande museo all'aperto dell'antichità: pare che il numero delle statue arrivasse a 500 nel periodo di massimo splendore dei Giochi. Pausania ne contò 192 durante la sua periégesis. Il pancraziaste Sostratos di Sicione, tre volte vincitore olimpico, venne addirittura effigiato sulle monete della sua città.
Le manifestazioni artistiche e culturali furono dunque un'appendice importante dei Giochi Olimpici (non un àgon, bensì una epídeixis, ossia una dimostrazione). I Giochi Pitici disputati a Delfi, invece, in origine consistevano nei soli agoni musicali, ai quali si aggiunsero con il tempo le gare sportive e letterarie, e persino i concorsi drammatici. Delfi, come Olimpia, era un santuario: questo sacro ad Apollo Pizio, uccisore del serpente Pitone, quello a Zeus. Nel tempio del dio protettore delle arti la sacerdotessa Pizia emetteva gli oracoli sibillini. A Delfi, accanto alle statue degli atleti, sorsero quelle in onore dei musicisti. Il poeta lirico Terpandro di Antissa (8°-7° secolo a.C.) vinse quattro volte i giochi sacri ad Apollo. Eccelso citaredo, si affermò anche nelle feste Carnee di Sparta, che fino al 6° secolo fu sede di una rigogliosa cultura musicale. L'auleta Pythokritos di Sicione vinse sei volte i Giochi Pitici.
Un brano di Plutarco (50-120 d.C. circa) è illuminante sull'importanza della musica presso i greci: "Credevano, infatti, che si dovesse plasmare e improntare all'equilibrio l'animo dei giovani attraverso la musica, in quanto essa si rivelava utile in ogni circostanza e in ogni impresa che richiedesse impegno, specialmente nei pericoli della guerra. Per affrontarli, alcuni, come gli Spartani, si servivano degli auli: presso di loro si usava suonare con l'aulo la cosiddetta melodia di Castore, quando avanzavano in ordine contro il nemico. Altri, invece, accompagnavano l'assalto con la lira; si racconta, per esempio, che i Cretesi impiegarono a lungo questa pratica, quando si esponevano ai rischi della battaglia. Altri, poi, continuano a usare ancora ai nostri tempi la salpinx [tromba]. Gli Argivi si servivano dell'aulo per il combattimento che si svolgeva durante le feste chiamate Stenee [...]. D'altra parte ancora oggi si usa suonare l'aulo per accompagnare gli atleti del pentathlon" (Perì moúsikes, 26).
Il mito narra che già nei Giochi funebri organizzati da Acasto in onore del padre Pelia a Iolco in Tessaglia si disputarono contemporaneamente gare atletiche, di canto e di musica: Orfeo vinse la gara con la lira; Olimpo, allievo di Marsia, la gara col flauto; Lino, figlio di Apollo, si affermò nel canto; Eumolpo, figlio di Poseidone, nel canto accompagnato. Premesso che le competizioni musicali furono introdotte in quasi tutti i Giochi panellenici, vanno anche ricordate le gare di poesia a Calcide, Corinto e Paro; quelle di danza, di recitazione e persino di bellezza (euandrìa) alle Panatenee e alle Theseia di Atene. In Beozia, regione legata al culto delle Muse, le competizioni furono esclusivamente musicali e teatrali. A Delfi e Corinto si disputarono gare di pittura (Plinio, Naturalis historia, XXXV, 58 e 72) e sappiamo che in epoca più tarda Afrodisia ospitò competizioni di scultura durante le Lisimachee.
Ha scritto lo studioso polacco Bronislaw Bilinski (L'agonistica sportiva nella Grecia antica, 1961): "Nel periodo di apogeo atletico, tra i secoli VI e V a.C., parola, musica, pittura e scultura furono tutte al servizio delle gare atletiche, che proprio in quell'epoca assumevano il vero carattere di feste panelleniche. Negli stadi di Olimpia, Nemea, Delfi e Istmo l'abilità fisica s'incontrava con l'ispirazione artistica e la vittoria dell'atleta evocava, allo stesso tempo, la musa del poeta o l'ispirazione dello scultore". I giochi sportivi costituivano quindi una delle più alte espressioni di quella civiltà, il cui ideale di vita s'incarnava nel concetto di kalokagathìa.
Dal 4° secolo a.C. si attenuò il carattere sacro che in passato aveva caratterizzato la vittoria ai Giochi panellenici e l'atleta perse quei connotati mitici di cui soprattutto la poesia di Pindaro lo aveva circonfuso. Ma Olimpia ebbe sempre un fascino particolare, non solo per i greci, anche nella decadenza. Nell'Altis, per es., Alessandro Magno fece annunciare le sue vittorie in Asia. Durante quella spedizione, inoltre, rimise in libertà Dionysodoros di Tebe, fatto prigioniero nella battaglia di Isso, poiché era un vincitore olimpico. Senza dimenticare che nel 335 a.C. aveva raso al suolo la città di Tebe, ribellatasi alla dominazione macedone, risparmiando però la casa in cui aveva vissuto Pindaro. L'imperatore Nerone fece spostare di due anni (al 67 d.C.) la CCXI Olimpiade per potervi partecipare e, naturalmente, vincere a mani basse le gare da lui stesso istituite, ossia quelle per aurighi con tiro da dieci cavalli, per tragedi e per citaredi.
Roma venne in contatto con il mondo ellenico quando ormai da tempo l'agonismo era degenerato nel professionismo, divenendo addirittura oggetto di scherno per gli uomini di cultura. Per parte loro i romani, bellicosi e pratici, vedevano l'attività fisica soprattutto come un esercizio premilitare, che comunque doveva avere un preciso scopo: per es. l'igiene del corpo. Solo con questi limiti e sempre sotto accusa per la nudità degli atleti e il conseguente pericolo di degenerazione morale, l'agonistica greca poté farsi largo, sul finire dell'età repubblicana. Nel 186 a.C. Marco Fulvio Nobiliore organizzò a Roma un athletarum certamen secondo il costume greco per celebrare il suo trionfo sugli Etoli e la presa di Ambracia. Passò più di un secolo prima di vedere un altro certamen: nell'80 a.C., infatti, per festeggiare la vittoria su Mitridate, Silla fece venire a Roma un così gran numero di atleti greci che nella CLXXV Olimpiade fu possibile disputare solo la gara di corsa. Gare atletiche vennero organizzate anche da Scauro, Pompeo e Cesare. Furono comunque degli episodi e solo con Augusto i certamina vennero inseriti stabilmente nel vasto programma dei giochi romani.
I principali giochi furono gli Actia di Nikopolis, "città della vittoria", voluti da Augusto per ricordare la vittoria del 31 a.C. su Antonio e disputati dal 28 a.C.; i Sebasta di Neapolis (chiamati 'isolimpici' poiché ricalcavano il programma delle Olimpiadi), disputati dal 2 d.C. in onore di Augusto; i Capitolia di Roma, istituiti da Domiziano nell'86 d.C. in onore di Giove Capitolino, comprendenti sia gare di corsa, pugilato, lotta, pancrazio e corsa di carri, che si svolgevano nello stadio appositamente costruito dall'imperatore, sia gare letterarie e musicali nel vicino Odeon. Actia, Sebasta e Capitolia, tutti quadriennali, costituirono il circuito romano, corrispondente al perìodos greco, forse con l'aggiunta degli Eusebeia di Pozzuoli, istituiti da Antonino Pio in onore del suo predecessore Adriano. Anche questi giochi, come gli altri tre, ospitarono gare musicali.
Tra i non molti estimatori dei giochi greci vanno ricordati gli Scipioni e gli imperatori Caligola, Claudio, Nerone, Domiziano e Adriano. Il figlio di Agrippina, che "si esercitò assiduamente nella lotta" (Svetonio, Nero, 53), amava anche guidare la quadriga, cantare accompagnandosi con la cetra, recitare e scrivere versi (Tacito, Annales, XIV, 14-16). Nel 57 costruì un anfiteatro ligneo, nel 62 aprì delle stupende terme con ginnasio nel Campo Marzio, dopo l'incendio del 64 ristrutturò il Circo di Gaio in Vaticano e il Circo Massimo. Nel 59 istituì i ludi per la gioventù, chiamati Iuvenalia, e nel 60 inaugurò a Roma i Neronia, quinquennale certamen, more graeco triplex, ossia comprendente gare atletiche, equestri e musicali (anche di eloquenza, secondo Tacito). I tentativi d'istituzionalizzare i giochi greci fatti da Nerone abortirono alla sua morte, quando fu condannato alla damnatio memoriae (come Domiziano). "Qualis artifex pereo!" ("Quale artista muore con me!"), furono ‒ secondo quanto narra la tradizione ‒ le sue ultime parole. La tragica fine del quinto imperatore, a soli 31 anni, pose una pietra tombale sulla sua 'rivoluzione culturale' filoellenica, troppo spesso trascurata dalla critica.
È noto che nella seconda metà dell'Ottocento, mentre tornavano in auge vecchi sport e ne nascevano di nuovi, le scoperte archeologiche di Heinrich Schliemann a Troia, Micene e Tirinto, di Wilhelm Dörpfeld a Troia e di Ernst Curtius a Olimpia, tra il 1875 e il 1881, stimolarono un grande interesse per la civiltà greca. La suggestione dei ritrovamenti di Curtius a Olimpia svolse un ruolo importante nella decisione di Pierre de Coubertin di far risorgere le Olimpiadi, un'impresa a cui il barone consacrò l'intera vita, sostenendo aspre battaglie e sopportando cocenti delusioni per raggiungere lo scopo.
Alcuni autori hanno persino tentato di sottrarre a de Coubertin la primogenitura dell'iniziativa, anticipando la data di nascita delle moderne Olimpiadi al 1612, allorché un eccentrico procuratore, Robert Dover, ideò i Whitsuntide Cotswold Games (definitivamente soppressi nel 1852). Altre improbabili date proposte sono il 1738 (Giochi Olimpici sassoni nel Berkshire), il 1796 (gare sportive organizzate nel Campo di Marte a Parigi), il 1834 e 1836 (giochi di Ramlösa, stazione termale svedese), il 1850 (giochi di Much Wenlock, presso Birmingham), il 1862 (festival olimpico del Liverpool Athletic Club a Mount Vernon). Un tentativo più serio furono invece le Olimpiadi ateniesi di Evanghelios Zappas (la prima si disputò nel 1859). Un'altra iniziativa da ricordare è il Pan Britannic contest (1891) di John Astley Cooper.
In questa sede si devono piuttosto segnalare le 'Olimpiadi' culturali che ebbero luogo a Roma nel 1701, nell'ambito dell'Arcadia. I membri dell'Accademia, protetta da Cristina di Svezia, si misuravano in gare letterarie da loro definite pentathlon: "il Corso, il Dardo, il Disco, la Lotta, il Salto". Altro dato interessante è che gli organizzatori del festival di Mount Vernon, oltre a consegnare premi in oro, argento e bronzo ai primi tre classificati nelle 22 gare sportive, assegnarono una medaglia d'oro al miglior saggio letterario sul tema Mens sana in corpore sano. Va anche ricordato che nel 1888, in occasione della quarta pre-Olimpiade di Atene, si svolsero delle competizioni artistiche, tra cui la gara per un busto di George Byron.
I primi veri Giochi dell'epoca moderna si disputarono ad Atene nel 1896, ma il barone mirava ancora più in alto, non volendo limitare la palingenesi di Olimpia alle sole gare sportive. Perseguì dunque l'unione dello sport e dell'arte, ovvero "le mariage des muscles et de l'esprit". Già ad Atene, nel gremito Stadio Panatenaico, si poté assistere a un episodio significativo. Prima della premiazione dei vincitori e dei secondi classificati (nulla spettava ai terzi) George Robertson, professore a Oxford, terzo nel doppio di tennis, declamò un'ode in greco antico sui Giochi Olimpici. I suoi versi piacquero tanto a re Giorgio I, che volle donargli un ramo di alloro. Fu, insomma, una singolare anticipazione dei Concorsi artistici. Va anche ricordato che dopo la solenne apertura dei Giochi si eseguì l'inno olimpico del maestro Spyridon Samaras (testo del poeta Kostis Palamas).
Sempre in tema artistico, per finanziare la manifestazione il governo assecondò le iniziative del principe Costantino, duca di Sparta (erede al trono e presidente del Comitato organizzatore): un gettito notevole fu ricavato dalla coniazione di una medaglia commemorativa e dall'emissione di una serie di 12 francobolli, i primi a carattere sportivo. Il resto lo procurò una pubblica sottoscrizione, mentre il ricco commerciante di Alessandria Georgios Averof ricostruì a sue spese lo Stadio Panatenaico, affidato alle cure dell'architetto Anastasios Metaxas. Il 5 aprile 1896, sotto una pioggia battente, davanti allo stadio si scoprì la statua dedicata al mecenate Averof, opera dello scultore Georgios Vroutos.
La premiazione avvenne al termine dei Giochi: ai primi classificati andò una medaglia d'argento, un diploma e un ramo di olivo; ai secondi una medaglia di bronzo e un ramo di alloro. La medaglia per i primi due classificati, che fu modellata dallo scultore francese Jules Chaplain (autore anche di una medaglia per l'Esposizione Universale del 1900), da un lato raffigurava l'Acropoli e dall'altro Zeus. Tutti i premi furono consegnati personalmente dal re, che il 15 aprile (dopo la sfilata degli atleti nello stadio) dichiarò chiusa la prima Olimpiade.
Nel 1900 l'Olimpiade si disputò nell'ambito dell'Esposizione Universale di Parigi. Tra le manifestazioni che si svolsero nella sede del Racing Club al Bois de Boulogne, interessa particolarmente la mostra delle statuette del dottor Paul Richer. Autore di libri di anatomia da lui stesso illustrati, scopertosi valente artista, Richer modellò in maniera superba atleti di svariate discipline, tra cui un lottatore nella fase di studio prima di effettuare le prese, concentrato, gambe divaricate, busto leggermente flesso, braccia pronte a entrare in azione; un atleta attempato, ma dal fisico ancora aitante, che sostiene un peso con il braccio destro teso, appoggiando morbidamente il sinistro sul fianco, immagine di forza e serenità; un giovane pesista che slancia un manubrio, colto nel momento del massimo sforzo, con i muscoli gagliardamente tesi a vincere la resistenza dell'attrezzo, esempio di prorompente energia. Questa mostra, recensita sulla rivista sportiva La vie au grand air, fu certamente di stimolo allo sviluppo dell'idea decoubertiniana.
Il 16 giugno 1904 de Coubertin, influenzato anche dal critico d'arte e sociologo inglese John Ruskin (1819-1900), annunciava su Le Figaro che "era venuto il momento di raggiungere un nuovo traguardo e di ripristinare l'originale bellezza delle Olimpiadi". L'assegnazione a Roma dei Giochi del 1908 suscitò in lui molte speranze (ben presto svanite per la rinuncia italiana), poiché riteneva che soltanto nella Città Eterna "l'Olimpismo avrebbe potuto ammantarsi di una toga sontuosa, tessuta d'arte e di pensiero" (Mémoires olympiques).
Dal 23 al 25 maggio 1906 il tenace barone convocò a Parigi, nel foyer della Comédie Française, una Conférence consultative des Arts, des Lettres et des Sports "per studiare in che misura e sotto quale forma le Arti e le Lettere avrebbero potuto partecipare alla celebrazione delle moderne Olimpiadi e, in generale, avvicinarsi alla pratica degli Sport per beneficiarne e nobilitarli". Nel discorso d'apertura de Coubertin fu esplicito: "Signori, noi siamo riuniti in questo edificio unico al mondo per celebrare una singolare cerimonia. Si tratta di unire di nuovo, con i legami di un legittimo matrimonio, degli antichi divorziati: il Muscolo e la Mente". La conferenza, cui partecipò una sessantina d'invitati, si concluse approvando l'istituzione di cinque concorsi artistici per opere inedite ispirate all'ideale sportivo. I concorsi, che riguardavano architettura, scultura, pittura, letteratura e musica (il cosiddetto pentathlon delle Muse), vennero abbinati alle Olimpiadi dal 1912 al 1948, ma non riscossero mai il successo sperato.
I concorsi d'arte avrebbero dovuto vedere la luce già all'Olimpiade londinese del 1908, ma non fu possibile organizzare una degna manifestazione nel poco tempo disponibile dopo la sessione di Atene dell'aprile 1906, nella quale fu comunicata la decisione ufficiale di Roma di rinunciare ai Giochi. Nella sessione del CIO tenuta a Berlino nel 1909 si decise quindi di spostare l'evento all'Olimpiade di Stoccolma 1912. Nella capitale svedese l'introduzione di concorsi artistici nel programma dei Giochi non ricevette certo una calorosa accoglienza, ma de Coubertin vinse le resistenze del Comitato organizzatore svedese minacciando di non intervenire all'Olimpiade. L'Italia, che si aggiudicò tre medaglie d'oro nelle gare sportive, conquistò anche il primo premio nella pittura con Giovanni Pellegrini (Sport invernali) e nella musica con Riccardo Barthelemy (Marcia trionfale olimpica). Oltre alle medaglie, tutti i vincitori ricevettero una corona fatta con rametti di quercia legati da nastri colorati in giallo e blu, come la bandiera svedese.
Cessato il sanguinoso conflitto mondiale, anche lo sport riprese faticosamente il suo cammino. Dopo le Olimpiadi dell'arte di Anversa (1920) de Coubertin commentò lapidariamente: "Non furono ancora all'altezza, sebbene in progresso rispetto al 1912" (Autour de la VIIème Olympiade). La non eccelsa qualità delle opere è dimostrata dalla mancata assegnazione del primo premio nelle sezioni architettura e pittura. L'Italia colse il successo nella letteratura con Raniero Nicolai (Canzoni olimpiche) e fu seconda nella musica con Oreste Riva (Canto della vittoria). Tutti gli olimpionici vennero solennemente festeggiati in Campidoglio, ricevendo doni artistici.
Nel giugno 1921 de Coubertin organizzò a Losanna un Congrès des sports populaires e due Conférences consultatives, una dedicata ai rapporti tra l'arte e lo sport, l'altra alle lettere e principalmente alla questione del linguaggio. L'iniziativa si rivelò un insuccesso.
Tramontata una nuova candidatura di Roma, l'VIII Olimpiade si disputò a Parigi. L'esposizione di architettura, scultura e pittura del 1924 fu inaugurata il 16 maggio al Grand Palais, presso Place de la Concorde: la giuria accettò solo 158 delle 283 opere presentate e in architettura non fu assegnato il primo premio (della giuria facevano parte molti italiani: per l'architettura Armando Brasini e Marcello Piacentini; per la scultura Leonardo Bistolfi, Pietro Canonica e Vincenzo Gemito; per la pittura Ettore Tito; per la letteratura Gabriele D'Annunzio; per la musica Gian Francesco Malipiero e Ildebrando Pizzetti). Nessun riconoscimento ottennero i quattro italiani presenti a Parigi. Fuori concorso vennero esposte opere di artisti affermati, tra le quali l'Héraklès archer di Émile-Antoine Bourdelle, oggi al Museo Olimpico di Losanna. Alla chiusura dei Giochi, ormai prossimo a lasciare la presidenza del CIO, de Coubertin affermò ancora una volta che "allo sport era necessaria la collaborazione delle Muse": fu questo il suo testamento spirituale. Quando morì, volle che il suo corpo fosse sepolto a Losanna (dove aveva trasportato la sede del CIO il 10 aprile 1915) e il suo cuore nel monumento innalzato a Olimpia nel 1927 in memoria dei Giochi risorti.
Fino al 1924 i concorsi rimasero cinque, ma ad Amsterdam 1928 vennero introdotte delle sottosezioni, che ne portarono il numero a 13 (tre di letteratura, musica e pittura; due di architettura e scultura), allo scopo ‒ pienamente raggiunto ‒ d'incrementare le adesioni. Al Museo Civico di Amsterdam, infatti, dal 12 luglio furono esposte 1165 opere provenienti da 18 nazioni. Le apposite giurie esaminarono anche 40 opere letterarie e 22 composizioni musicali (giurati italiani furono Giuseppe Prezzolini per la letteratura e Mario Labroca per la musica). Lauro De Bosis si classificò secondo nella letteratura con il dramma Icaro: un titolo premonitore, visto che De Bosis perì nel 1931, dopo un volo dimostrativo su Roma per lanciare volantini antifascisti, inabissandosi con il suo aereo al largo della Corsica.
A proposito delle Olimpiadi di Amsterdam va anche ricordato che in quella edizione vennero per la prima volta assegnate le medaglie disegnate dal fiorentino Giuseppe Cassioli, che nell'aprile 1927 aveva prevalso fra i 50 partecipanti al concorso bandito dal CIO: le medaglie rimasero poi invariate per molte edizioni dei Giochi sia nel recto sia nel verso. Così scriveva enfaticamente la rivista Lo Sport Fascista, fondata e diretta dal presidente del CONI Lando Ferretti, nel suo primo numero (giugno 1928): "Ispirata al più puro classicismo, ma animata da un potente soffio di vita virilmente vissuta, la medaglia rappresenta il trionfo dell'atleta nello stadio: dai particolari anatomici dei corpi perfetti al movimento armonico delle masse, allo sfondo architettonico, è tutta un'euritmia che dà all'opera il crisma inimitabile della nostra arte. Il trionfo di Cassioli non è, infatti, soltanto l'affermazione d'un nobile artista, ma di tutta una scuola e d'una tradizione, per la quale l'Italia domina ogni rivale là dove si contenda una palma nel nome della bellezza". L'immagine incisa sull'altro lato della medaglia, la Gloria che si accinge a incoronare il vincitore sullo sfondo di un edificio classico ad archi sovrapposti (quindi chiaramente non greco, ma romano), ha figurato sull'ambitissimo premio olimpico fino ad Atene 2004.
Ben pochi artisti italiani, ancora all'inizio degli anni Trenta, s'interessavano allo sport, nonostante lo slancio impresso dal fascismo: un'indifferenza che appariva particolarmente riprovevole per un paese ricco di tradizioni come l'Italia. Nel 1932, enfatizzato decennale del regime, mentre nelle gare sportive gli azzurri conquistavano un 'mitico' secondo posto alle spalle degli USA, alle Olimpiadi dell'arte di Los Angeles la presenza italiana passò inosservata. L'esposizione, inaugurata il 30 luglio al Museum of history, science and art, ospitò 1155 opere provenienti da 31 nazioni. L'Italia inviò appena 14 opere: un plastico di architettura, 3 sculture, 4 stampe e 6 dipinti, ottenendo solo una menzione onorevole grazie allo scultore Ercole Drei (Calciatori). Davvero troppo poco, e in patria la situazione non era migliore: su 2865 opere esposte quell'anno alla XVIII Biennale di Venezia, appena dieci avevano per tema lo sport. Intervenne addirittura Mussolini, encomiasticamente definito "il primo sportivo d'Italia", a sollecitare un maggiore interessamento degli organi competenti. La sua voce, come è ovvio, non rimase inascoltata. A questo proposito va ricordato un episodio significativo, eppure del tutto dimenticato. Un premio di grande valore simbolico fu la Medaglia d'acciaio, "composta della materia che foggia la spada, l'ancora, l'aratro, salda e tenace come dev'essere il carattere del campione", istituita nel 1932 da Leandro Arpinati (all'epoca sottosegretario all'Interno e presidente del CONI) per premiare gli atleti italiani reduci dal trionfo olimpico di Los Angeles. Sul recto della medaglia, al centro di una scritta dorata, campeggiava la figura del Duce.
Ritornando al monito di Mussolini, non era ancora terminato l'anno 1932 che la FIGC (Federazione italiana giuoco calcio) bandì un concorso di letteratura sportiva, vinto da Franco Ciampitti. Nel 1933, in occasione dei Giuochi universitari internazionali di Torino, l'Italia emise la prima serie di francobolli sportivi (disegni di A. Pesci). Nell'ottobre 1933 fu bandito un grande concorso per i 'cartelli' (manifesti) del campionato mondiale di calcio 1934, assegnato all'Italia. Tra le 158 opere presentate, la giuria attribuì il primo premio al bozzetto di Luigi Martinati e il secondo premio a quello di Mario Gros. Scelse inoltre i bozzetti di Alfredo Capitani per il francobollo chiudi-lettera e di Gino Boccasile per il programma ufficiale.
Grazie all'attività del Sindacato fascista di Belle arti, presieduto da Antonio Maraini (segretario generale della Biennale di Venezia dal 1928 al 1942), le iniziative si moltiplicarono. Nel 1933 Achille Starace, segretario del Partito fascista e presidente del CONI, inaugurò al Palazzo delle Esposizioni di Firenze una mostra d'arte ispirata allo sport, cui presero parte 140 artisti (con 223 opere), tra i quali Francesco Messina e Mario Moschi nella scultura, Giuseppe Capogrossi e Gerardo Dottori nella pittura, Renato Avanzinelli e ancora Moschi nella medaglistica. Persino la Biennale di Venezia, che nel 1930 e 1932 (XVII e XVIII edizione) aveva timidamente ospitato un pugno di opere sullo sport a firma di Dottori, Messina, Romano Romanelli, Ernesto Thayath ecc., cominciò a farlo in misura sempre maggiore. In occasione della Biennale del 1934, tra l'altro, il CONI mise in palio due premi di 2000 lire ciascuno, "destinati a quell'opera di pittura e di scultura che si sarà meglio ispirata al concetto di sport quale lo intende e lo esalta l'Italia fascista". Il premio per la scultura fu vinto da Il calciatore, bronzo del fiorentino Moschi, che ebbe anche una menzione onorevole all'Olimpiade dell'arte di Berlino.
Alla II Quadriennale romana (1935) furono una ventina le opere dedicate allo sport ‒ figuravano Carlo Carrà, Moschi, Romanelli, Volterrano Volterrani e altri artisti ‒ ma per Ferretti ancora non bastava: "È tempo che gli artisti migliori vengano sui campi di giuoco, si appassionino alle gare atletiche, respirino l'atmosfera dell'agone per renderla nelle loro opere. Come sono crollate tante barriere tra la cultura e lo sport, così deve disperdersi questo velo d'incomprensione per cui i nostri migliori artisti quasi non si accorgono che esiste un esercito di atleti in marcia al cenno del Condottiero".
I Premi San Remo negli anni Trenta costituirono un'importante manifestazione. Il comitato permanente dei premi, presieduto dall'accademico d'Italia Carlo Formichi, stabilì che quelli per la scultura e la musica del 1938, nonché quello per la letteratura del 1939, s'ispirassero allo sport. La mostra delle opere presentate al Premio San Remo 1938 per la scultura fu inaugurata il 23 luglio 1939 (nella Villa Municipale) da Giuseppe Bottai, ministro dell'Educazione nazionale.
Altre iniziative del CONI furono la concessione di premi speciali per opere sullo sport esposte alle mostre del Sindacato fascista di Belle arti e ai Littoriali della cultura e dell'arte organizzati dai Gruppi universitari fascisti, la preparazione di un Vocabolario dello sport nel 1941, un concorso annuale per tesi di laurea su impianti sportivi nel 1942.
Le manifestazioni più notevoli, tuttavia, furono le mostre nazionali di Milano e di Roma. Una prima, modesta Mostra dello sport si era inaugurata alla Fiera di Milano nell'aprile 1933. Nel 1934 seguì una seconda, più ricca edizione. Il successo ottenuto mostrò le potenzialità di quell'iniziativa, suggerendo di riprenderla e ampliarla. Il 12 maggio 1935 Starace inaugurò a Milano la Mostra nazionale dello sport, ideata dal podestà Marcello Visconti di Modrone e allestita al Palazzo dell'Arte nel Parco Sempione sotto la direzione generale dell'architetto milanese Giovanni Muzio. L'esposizione, il cui comitato organizzatore era presieduto da Alberto Bonacossa, eletto quell'anno membro dell'esecutivo del CIO, ripercorreva le tappe dello sviluppo sportivo in Italia attraverso gigantografie, attrezzi e trofei. Così riportava La Gazzetta dello sport il 10 maggio 1935: "Mostra retrospettiva ed attuale al tempo stesso, questa prima rassegna dello sport avrà la funzione di consacrare e celebrare lo sport italiano come la più bella ed espressiva sintesi della Nazione, forte e battagliera". Lo sport, dunque, era divenuto l'elemento di spicco della cultura fascista. Divisa in 40 sezioni, l'esposizione si apriva con un atrio d'onore dedicato al 'Duce sportivo'. Al piano terreno erano allestite le sezioni atletica leggera e pesante, calcio, ciclismo, ginnastica, nuoto, pallacanestro, pugilato, rugby, automobilismo, motociclismo, motonautica e aviazione, con apposite sale per caricature, giornali e libri sullo sport; al primo piano le sezioni canottaggio e vela, golf, ippica, tennis, tiro a segno, caccia e sport invernali. C'erano poi i grandi spazi dedicati alle Forze Armate e alle istituzioni del regime (Opera nazionale balilla, Opera nazionale dopolavoro, Gruppi universitari fascisti), il salone del CONI e un lungo corridoio dove erano documentate le più recenti costruzioni sportive del fascismo. Il maestoso scalone d'onore che portava al primo piano era sovrastato dall'aeroplano di Francesco Agello, primatista mondiale di velocità. Si era anche pensato di ospitare nei locali dell'esposizione milanese la Mostra nazionale d'arte sportiva (poi aperta a Roma), che aveva il compito di selezionare le opere di architettura, scultura e pittura da inviare ai concorsi artistici di Berlino. Nel lodare la mostra, Ferretti lamentava la mancanza di una pubblicazione che costituisse "una ponderata storia, un efficace commento a tredici anni di sport fascista". La rivista da lui diretta colmò in breve la lacuna con un'opera di circa 200 pagine: Lo sport in Regime fascista: 28 ottobre 1922 - 28 ottobre 1935.
Avvicinandosi i Giochi del 1936, il CONI decise di organizzare a Roma una grande selezione preolimpica per scegliere gli artisti più meritevoli di rappresentare l'Italia a Berlino. Al Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale si tennero, tra il 1931 e il 1943, quattro Quadriennali d'arte e si allestirono, nel marzo 1928, la 1a Esposizione italiana di architettura razionale, nell'ottobre 1932 la Mostra della rivoluzione fascista, nel settembre 1937 la Mostra augustea della romanità. Vi trovò ospitalità anche la 1a Mostra nazionale d'arte sportiva (affiancata dalla 1a Mostra del cartellone), inaugurata da Vittorio Emanuele III il 2 febbraio 1936. La mostra romana voleva ripristinare "quei rapporti d'interdipendenza che, fin dalle origini, unirono l'Arte (e in particolare la pittura e la scultura) a quella felice attività che si chiama modernamente Sport". Nel catalogo, per 'ispirazione sportiva' si intendeva "l'interpretazione plastica di un esercizio o di un avvenimento sportivo", ossia "di fatti e di impulsi che esprimevano i valori estetici ed eroici propri del dinamismo umano", con esclusione pertanto di quelle opere che si fossero limitate "a ritrarre il corpo umano in uno stato di riposo".
La mostra si articolava in tre sezioni: architettura, scultura e pittura. La commissione incaricata di selezionare i migliori lavori da inviare ai concorsi d'arte di Berlino, nell'ambito dell'Olimpiade 1936, ammise 69 artisti e 116 opere: 18 di architettura, 35 di scultura e 63 di pittura. Nella sezione architettura erano presenti Giulio Arata, Costantino Costantini, Luigi Moretti, Pier Luigi Nervi, Cesare Valle e Paolo Vietti Violi; nella sezione scultura Gian Domenico De Marchis, Farpi Vignoli, Moschi, Thayath e Volterrani; nella sezione pittura Tullio Crali, Dottori, Corrado e Ottorino Mancioli, Enrico Prampolini e Tato. Angelo Canevari espose i bozzetti per i mosaici della piscina coperta al Foro Mussolini, Romano Dazzi i cartoni degli affreschi eseguiti nell'Aula Magna dell'Accademia di Educazione fisica al Foro. Le medaglie furono opera di Luciano Mercante, Moschi, Publio Morbiducci e Omero Taddeini.
Roberto Terracini presentò una Targa del CONI, in cui modellava 15 atleti di diverse discipline, incidendo nel bronzo un famoso brano del discorso di Mussolini agli sportivi radunati al Circo Massimo il 28 ottobre 1934: "Voi dovete essere tenaci, cavallereschi, ardimentosi. Ricordatevi che quando combattete oltre i confini, ai vostri muscoli e soprattutto al vostro spirito è affidato in quel momento l'onore ed il prestigio sportivo della Nazione".
Il 15 luglio 1936 il ministro della propaganda nazista Joseph Goebbels inaugurò al Kaiserdamm di Berlino l'esposizione artistica dell'XI Olimpiade (737 le opere in mostra di cui 70 fuori concorso), alla quale gli artisti italiani intervennero finalmente numerosi, cogliendo una brillante affermazione. Il guidatore di sulky di Vignoli ottenne il primo posto nella scultura; Dazzi (disegni e acquarelli) e Mercante (medaglie) ottennero il secondo posto; Costantini (architettura), Moschi (scultura), Taddeini (medaglie) e Terracini (rilievi) ricevettero una menzione onorevole. Bruno Fattori si classificò secondo nella letteratura (Profili azzurri) e Lino Liviabella secondo nelle composizioni per orchestra (Il vincitore). Menzioni onorevoli andarono ai musicisti Gabriele Bianchi e Gianluca Tocchi. Fra i non italiani da ricordare la menzione onorevole al pittore lussemburghese Jean Jacoby, che morì proprio in quell'anno; nel corso della sua brillante carriera aveva partecipato a quattro concorsi d'arte ottenendo sempre riconoscimenti con i suoi disegni e acquarelli: primo premio nel 1924 e 1928, menzione onorevole nel 1932 e 1936. Della giuria delle Olimpiadi dell'arte di Berlino fecero parte Antonio Maraini per la scultura e Gian Francesco Malipiero per la musica.
Al Deutsches Museum di Berlino, anche per ricordare il contributo tedesco alle scoperte archeologiche in Grecia, si allestì l'esposizione Sport der Hellenen ("Lo sport al tempo degli Elleni"), inaugurata solennemente il 29 luglio. In uno dei quattro saloni messi a disposizione, tra i pezzi provenienti dai musei di tutto il mondo figuravano i calchi dei frontoni del tempio di Zeus a Olimpia. Nell'ambito delle manifestazioni culturali si inaugurarono: il 15 luglio il concorso internazionale di danza, il 18 luglio la mostra Deutschland, il 30 luglio lo Jugendzeltlager ("Campo della gioventù sportiva").
Carl Diem (1882-1962), segretario generale del Comitato organizzatore, ideò il trasporto della fiaccola olimpica dalla Grecia in Germania attraverso sette paesi e lungo un percorso di 3075 km. La prima fiaccola fu progettata dall'artista Walter Lemcke e realizzata dalle industrie Krupp. Nel messaggio indirizzato ai tedofori che portarono da Olimpia a Berlino la fiamma olimpica, de Coubertin invitava la gioventù riunita nella città tedesca ad accogliere l'eredità del suo lavoro e a portare a termine ciò che aveva iniziato, perché fosse "definitivamente suggellata la fusione dei muscoli e del pensiero, per il progresso e per la dignità umana".
La cupa grandiosità di quei Giochi venne stupendamente ripresa da Leni Riefensthal (1902-2003) nel suo documentario Olympia, che fece il giro del mondo ricevendo unanimi consensi artistici e il diploma olimpico nel 1939. Una curiosità: oltre alle medaglie e ai diplomi, il Comitato organizzatore offrì ai vincitori anche arbusti di quercia in vasi di ceramica con i simboli della campana e dell'aquila.
In sostanza in quegli anni lo sport andò acquistando consensi sempre maggiori e sempre più interessava il mondo della cultura e dell'arte: sembravano davvero tornati i tempi aurei dell'olimpismo antico. Una pietra miliare degli studi sullo sport fu rappresentata nel 1939 dalla pubblicazione di Homo ludens, dello storico olandese Johan Huizinga. In Italia, nonostante i numerosi articoli pubblicati su quotidiani e riviste, nonché i ricchi lemmi dedicati allo sport sull'Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti dell'Istituto della Enciclopedia Italiana, fino alla metà degli anni Trenta non era stata ancora edita una pubblicazione di largo respiro paragonabile a quelle di Johann Heinrich Krause (Die Gymnastik und Agonistik der Hellenen, Leipzig 1841), di Julius Jüthner (Philostratos über Gymnastik, Leipzig-Berlin 1906), di E. Norman Gardiner (Greek athletic sports and festivals, London 1910; Athletics of the ancient world, Oxford 1930) e di Bruno Schröder (Der Sport im Altertum, Berlin 1927), opere accanto alle quali vanno segnalati l'Handbuch des gesamten Turnwesens und der verwandten Leibesübungen di Rudolf Gasch, uscito a Vienna e Lipsia nel 1920, e l'Encyclopédie des Sports, pubblicata a Parigi nel 1924 con il patrocinio dell'Accademia degli sport e del Comitato nazionale degli sport. Dal 1938 al 1943, inoltre, furono stampati a Stoccolma i primi cinque volumi del Nordisk familjeboks. Sportlexikon (gli altri due videro la luce nel 1946 e 1949). Infine, a guerra inoltrata (1942), Carl Diem pubblicò a Berlino Olympische Flamme. Das Buch vom Sport. L'opera più notevole in Italia fu la Storia degli sport (1933-38) diretta da Andrea Franzoni, che ne scrisse anche la parte generale: La storia dello sport dai popoli primitivi ai contemporanei.
Nel maggio 1939 il CONI e l'ENIT (Ente nazionale italiano per il turismo) pubblicarono l'opuscolo Roma olimpiaca a sostegno della candidatura romana ai Giochi del 1944. Nella pubblicazione si affermava che sulla riva destra del Tevere il Foro Mussolini (oggi Foro Italico) rifulgeva in tutta la sua bellezza per "l'eleganza degli edifici, lo splendore dei mosaici, la grandiosità delle fontane, l'abbondanza delle statue"; gli impianti ostentavano "scrupolosa razionalità anzitutto, e poi ‒ come è proprio di una città classica ‒ purezza di linee architettoniche che incornicino esteticamente il puro dinamismo dello sport". Interessante era il progetto di un teatro all'aperto, scavato ai piedi di Villa Madama e cinto da fitta vegetazione, che poteva utilizzarsi per le gare di ginnastica (com'era avvenuto al Dietrich Eckart di Berlino nel 1936). Proprio lì il regime aveva in animo "di ripristinare, a somiglianza di Olimpia, l'uso di eternare nel bronzo la prestanza fisica, a grandezza naturale, degli italiani vincitori di Olimpiadi".
Le Olimpiadi del 1940 e del 1944 non ebbero luogo a causa della Seconda guerra mondiale (Tokyo aveva previsto di tenere l'esposizione nel Palazzo delle Belle arti dal 5 settembre al 6 ottobre 1940). Il 26 giugno 1940, tuttavia, ai Mercati Traianei a Roma s'inaugurò la già bandita 2a Mostra nazionale d'arte ispirata allo sport (non più 'd'arte sportiva', dunque), che avrebbe dovuto selezionare le opere destinate al concorso olimpico. La partecipazione e i risultati furono notevoli. Tra gli espositori si distinsero gli 'aeropittori futuristi', i quali non potevano mancare in una mostra in cui "si esaltava il binomio muscolo-intelligenza per la conquista di tutti i primati sportivi del cielo, del mare, della terra" (Filippo Tommaso Marinetti).
Nel catalogo, a proposito dell''ispirazione sportiva', il segretario del CONI Puccio Pucci scriveva che l'opera d'arte ‒ la scultura a tutto tondo, con la ricerca dei volumi che il corpo umano mette in movimento, l'alto e il bassorilievo con l'accorta disposizione delle figure in piani prospettici, la medaglia con le sue sintesi e i suoi scorci ‒ doveva fissare l'azione nel suo drammatico svolgimento, in un atteggiamento che non ne raffreddasse l'impeto ma lo 'eternasse'.
Tra gli scultori furono presenti Silvio Canevari, De Marchis (vincitore del Premio San Remo 1938, sezione tutto tondo, ex aequo con Luigi Venturini), Orlando Paladino Orlandini e Volterrani; tra i pittori Capogrossi, Dottori, Prampolini e Clemente Spampinato; tra i medaglisti Tommaso Bertolino, Mercante (vincitore del Premio San Remo 1938, sezione medaglie, ex aequo con Giovanni Mayer) e Taddeini; tra i cartellonisti Boccasile, Corrado Mancioli e Martinati.
Caduto Mussolini, con r.d.l. 2 agosto 1943 il Partito nazionale fascista veniva soppresso e il CONI posto alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri. Pochi giorni dopo il maresciallo Badoglio nominò commissario del CONI Bonacossa, che il 12 agosto assunse anche la presidenza di tutte le Federazioni sportive. Con l'occupazione tedesca e la costituzione della Repubblica sociale italiana (18 settembre 1943), Bonacossa venne sostituito dall'architetto Ettore Rossi. Il CONI e le Federazioni sportive si trasferirono quindi al Nord, prima a Venezia e poi a Milano, alle dipendenze del Ministero della Cultura popolare.
Dopo l'ingresso delle truppe alleate a Roma (4 giugno 1944) si voleva liquidare il CONI, considerato 'creatura' del fascismo: con questo compito il 22 giugno la Presidenza del Consiglio ne affidò la reggenza al giovane avvocato astigiano Giulio Onesti. Questi si dedicò alla ristrutturazione dell'ente (che presiedette dal 1946 al 1978), trovando un valido alleato al termine della guerra nel giovane sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giulio Andreotti, e un prezioso collaboratore in Bruno Zauli. Come l'araba fenice, dunque, il CONI risorse dalle proprie ceneri.
In vista dei Giochi del 1948, il 25 febbraio Andreotti e Onesti inaugurarono la 3a Mostra nazionale d'arte ispirata allo sport, organizzata dal CONI alla Galleria nazionale d'Arte moderna di Roma. Ben 185 furono le opere presentate alla giuria dei concorsi di pittura e di scultura, composta da Giulio Carlo Argan e Libero De Libero, che ne accettò 99. La giuria del concorso di architettura, formata da Mario De Renzi, Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni, accettò tutte le sei opere presentate.
Nella pittura i premi andarono a Capogrossi (Gol), Giovanni Stradone (Corridore in pista) e Domenico Purificato (Ciclisti); nel bianco e nero a Luigi Bartolini; nella grafica pubblicitaria a Mimma Riccobaldi Del Bava. Nel tutto tondo prevalse Marino Mazzacurati (Lottatori) davanti a Emilio Greco (Lottatore in riposo); nel bassorilievo si affermò Leoncello Leonardi (Lottatori); nella medaglia furono premiati Alessandro Manzo (Il nuoto e Il canottaggio), Filippo Sgarlata (La caccia) e Taddeini (La lotta). La lotta raffigurata da Taddeini (il solo medaglista ad aver partecipato alle tre mostre nazionali) non era il classico combattimento tra due atleti, ma l'antichissimo struggle for life, che vedeva confrontarsi un uomo e un leone avvinghiati in un drammatico corpo a corpo.
Già nel 1934 il CONI aveva cominciato a raccogliere libri per costituire una biblioteca sportiva. Nel 1940 Zauli e Nicolai realizzarono un embrione di biblioteca nell'ambito dell'Ufficio stampa e propaganda. Nel marzo 1948, nei locali del CONI, si inaugurò la Biblioteca sportiva nazionale, diretta da Renato Veschi. Nel 1954, quando fu stampato il primo catalogo, la Biblioteca conteneva 2000 opere, salite a 5000 quattro anni dopo. Dal 1967 la biblioteca ha sede presso l'attuale Centro Giulio Onesti all'Acqua Acetosa, in seno alla Scuola dello sport del CONI, con un patrimonio di 1000 testate e 32.000 volumi. Sotto la direzione di Maurizio Bruni è divenuta un importante punto d'incontro per gli studiosi italiani dello sport.
L'esposizione londinese, inaugurata dalla duchessa di Gloucester, si tenne al Victoria and Albert Museum dal 15 luglio al 14 agosto 1948. Le opere ammesse furono circa 400 (nella giuria figuravano gli italiani Argan per la pittura e Bruno Roghi per la musica). Nella pittura Stradone vinse il secondo premio e Sgarlata ebbe ben tre menzioni d'onore, per la scultura La pesca e per le medaglie Il disco e La caccia, in cui il venator impavidus lotta, armato di coltello, con un gigantesco cinghiale, mentre il suo cane è stato già sopraffatto: ottima interpretazione di un tema antico, più volte affrontato dai medaglisti, a partire dal Venator intrepidus di Pisanello nel Rinascimento. Altre menzioni onorevoli andarono a Dagoberto Ortensi (architettura), Greco (scultura) e Gino De Finetti (grafica). Ebbe successo nella letteratura il triestino Giani Stuparich, ma anche i musicisti ottennero un buon risultato: terzo posto per Gabriele Bianchi e Sergio Lauricella, menzione d'onore per Mario Panunzi. Bruno Roghi, tuttavia, lamentava sul Corriere dello sport "il generale disinteresse popolare per l'arte ispirata allo sport", imputabile alla "debolezza della propaganda" e all'"interessamento distratto della stampa", ma anche alla "pigrizia culturale" degli artisti.
Un brano di Raniero Nicolai (1893-1958), vincitore nella sezione letteratura alle Olimpiadi dell'arte di Anversa, poi a lungo responsabile dell'Ufficio stampa e propaganda del CONI, illustra bene l'ideale dell'epoca. Egli loda lo sforzo di quegli artisti che hanno saputo "indagare il corpo dell'atleta nella sua più dinamica espressione, e cioè sia nel momento culminante dello sforzo, sia in quello conclusivo che succede all'azione volitiva; la ricerca stilistica non si è soffermata alla superficie della sagoma plastica, ma ha proceduto dall'interno come da un fulcro, interpretando l'energia che da quello irradiava. E in effetti deve essere il dinamismo a ispirare l'artista e non soltanto l'estetica che da quel dinamismo deriva; ottenendo così che l'Arte esca dallo stadio normale della contemplazione della bellezza per tentare di esprimere la bellezza dell'energia" (L'ispirazione sportiva e le arti plastiche).
Tra i Giochi di Londra e quelli di Helsinki ebbero luogo in Italia tre manifestazioni legate all'arte e allo sport. Nel febbraio 1949 si tenne a Cortina d'Ampezzo la 1a Mostra internazionale di cinematografia sportiva a passo ridotto. Di poco successive furono la 2a Mostra fotografica dello sport, organizzata dal CONI al Palazzo delle Esposizioni di Roma e inaugurata il 21 marzo 1951 (la prima edizione si era tenuta alla Galleria di Roma in via Sicilia, nel giugno 1942), e la Mostra internazionale del francobollo sportivo, organizzata dal CONI al Foro Italico e inaugurata il 19 marzo 1952. Nell'occasione le Poste emisero un apposito francobollo.
La sessione del CIO aperta in Campidoglio il 24 aprile 1949 (la seconda svolta a Roma dopo quella del 1923), decise di sospendere le Olimpiadi dell'arte, ritenendo 'iniquo' che dei professionisti, sia pure nel campo artistico, prendessero parte ai Giochi e ricevessero medaglie. In quella sessione i membri del CIO approvarono l'istituzione dell'Accademia olimpica.
Il rappresentante greco Angelo Bolanaki, presidente del Comitato di studio sui concorsi d'arte, nel maggio 1951 sostenne con validi argomenti il mantenimento dei concorsi alla sessione di Vienna. La sua proposta venne accolta, tuttavia il Comitato organizzatore dei Giochi di Helsinki per mancanza di tempo poté allestire solo un'esposizione, che suscitò scarso interesse. Inaugurata il 16 luglio 1952 alla Galleria di Belle Arti, l'esposizione rimase aperta appena quindici giorni. Furono presentate 181 opere da 23 paesi nelle cinque sezioni: 24 nell'architettura, 71 nella pittura, 39 nella scultura, 22 nella letteratura, 25 nella musica. Appena otto gli italiani presenti: il Centro studi impianti sportivi del CONI nell'architettura; Salvatore Magherini, David Manetti e Moschi nella scultura; Mario Avanzini, Fausto M. Caruso e Luigi Fiore nella pittura; Ferretti (già presidente del CONI e dal 1928 capo dell'Ufficio stampa del Duce) nella letteratura. Tra gli artisti stranieri già partecipanti alle Olimpiadi dell'arte si distinsero gli austriaci Edwin Grienauer e Oscar Thiede, i tedeschi Werner March ed Edwin Scharf; tra gli 'esordienti' il grande architetto finlandese Alvar Aalto con il progetto dello Stadio di Otaniemi.
Alla sessione del CIO tenuta ad Oslo nel febbraio 1952 la questione dei concorsi d'arte tornò sul tappeto. Contro l'abolizione, che era stata richiesta dal rappresentante danese, si espresse il presidente Sigfrid Edström. Sull'importante questione prese posizione anche il CONI (Bulletin du CIO, nr. 32 del 15 marzo 1952), sostenendo che le competizioni d'arte dovevano continuare a figurare nel programma dei Giochi Olimpici, ma ridotte a cinque sezioni (pittura, scultura, letteratura, musica e architettura), con la distribuzione quindi di un numero limitato di medaglie per non porre sullo stesso piano le arti maggiori e quelle minori. Accanto a questi cinque concorsi, i Comitati organizzatori potevano prevedere esposizioni facoltative per le categorie artistiche secondarie.
Un anno dopo, alla sessione svoltasi a Città del Messico nell'aprile 1953, il nuovo presidente Avery Brundage (che nel 1932 si era guadagnato una menzione onorevole nella letteratura) esternò le sue perplessità sui concorsi d'arte, che premiavano dei 'professionisti'. Tutti i membri del CIO si dichiararono comunque favorevoli al loro mantenimento, eventualmente senza assegnare medaglie ai vincitori ma solo diplomi.
Sebbene il Comitato organizzatore dei Giochi di Melbourne avesse incluso nel programma i cinque concorsi artistici fondamentali, durante la sessione tenuta ad Atene nel maggio 1954 il CIO, in linea con la posizione di Brundage, decretò che le città prescelte quali sedi delle Olimpiadi dovessero allestire soltanto esposizioni. Quella decisione segnò definitivamente il destino delle Olimpiadi dell'arte, tanto care al barone de Coubertin, che nel 1912 aveva addirittura conquistato (sotto pseudonimo) la vittoria nella letteratura con un'Ode allo sport.
Dopo la soppressione dei concorsi d'arte, l'art. 31 dello Statuto e regole olimpiche stabiliva che era compito del Comitato organizzatore allestire una manifestazione o esposizione d'arte nazionale (architettura, musica, letteratura, pittura, scultura, filatelia sportiva e fotografia) e che il programma poteva comprendere anche balletti, teatro, opere o concerti sinfonici. Non tutti, però, si rassegnarono. Ferenc Mezö, membro ungherese del CIO dal 1948 (nel 1928 aveva vinto il concorso per opere epiche), nel 1957 propose di invitare ai Giochi alcuni grandi artisti per esporre i loro lavori e fare opera di propaganda; questi avrebbero ricevuto un premio intitolato Pro litteris et artibus Olympicis. Anche molti anni dopo la sessione di Atene non mancarono tentativi di far rivivere le Olimpiadi dell'arte e lo stesso presidente Juan Antonio Samaranch, all'inaugurazione della mostra internazionale di arti plastiche a Marne-la-Vallée (13 marzo 1986), annunciò l'intento del CIO di ripristinare i concorsi d'arte in occasione dei Giochi di Seul 1988. Nel maggio 1986, inoltre, si organizzò a Trieste una tavola rotonda in cui fu votata una mozione per incoraggiare l'azione del Panathlon internazionale al fine di introdurre i concorsi d'arte ai Giochi del 1992. Le iniziative non ebbero seguito.
A partire dal 1952, quindi, il CIO ha invitato le città prescelte per i Giochi a organizzare un'Olimpiade artistico-culturale parallela alle manifestazioni sportive, lasciando ampia libertà sull'impostazione del programma, che si è fatto via via più consistente e articolato. Dalla timida esposizione artistica di Helsinki, di appena quindici giorni, si è così passati alla mostra romana Lo sport nella storia e nell'arte che rimase aperta sei mesi. A Città del Messico l'Olimpiade culturale è durata un anno intero, e a Barcellona e ad Atlanta si è protratta addirittura per i quattro anni precedenti i Giochi (ossia per un'Olimpiade come la intendevano gli antichi). Accanto alle importanti manifestazioni a carattere internazionale, ne sono state organizzate molte a carattere locale per far conoscere al mondo le tradizioni artistiche e culturali della città e della nazione ospitante. Come avveniva a Olimpia, i Giochi costituiscono ancora (e sempre più) un grande palcoscenico e un'enorme cassa di risonanza.
Per Helsinki 1952, oltre all'esposizione d'arte, sono da ricordare la medaglia per i partecipanti (diametro mm 54), ideata da Kauko Rasanen, e il manifesto dei Giochi, che fu lo stesso preparato per la mancata Olimpiade del 1940. Infatti nel concorso bandito nel 1950 nessuno dei 277 disegni presentati si mostrò all'altezza del vecchio poster di Ilmari Sysimetsä. Nel 1952 venne coniata la prima moneta olimpica, in argento 900/1000, avente corso legale.
La tradizione dei manifesti olimpici era iniziata a Stoccolma 1912 (i cosiddetti manifesti del 1896 e del 1908 erano soltanto le copertine del rapporto ufficiale di Atene e del programma delle gare londinesi): fu disegnato da Olle Hjortzberg, docente all'Accademia reale di Belle arti (di cui fu anche direttore dal 1920 al 1941), e venne ritenuto troppo audace per il corpo maschile pressoché nudo in primo piano e quindi non distribuito in alcuni paesi.
Le manifestazioni culturali dell'Olimpiade di Melbourne furono divise in due blocchi: arti visive e letteratura, musica e arte drammatica. L'esposizione di arti visive e letteratura venne inaugurata nel novembre 1956 e rimase aperta per un mese. La sezione Architettura e scultura fu ospitata nella Wilson Hall all'Università, la sezione Pittura e disegno alla National Gallery e al National Museum, quella di Arti grafiche nell'Art school del Royal Melbourne technical college, la sezione Letteratura nella Public library.
Tutte le manifestazioni di arte e di cultura svoltesi durante l'Olimpiade romana del 1960 furono approvate dal Comitato per l'arte, presieduto da Guglielmo De Angelis d'Ossat, direttore generale delle Antichità e Belle arti. La manifestazione più importante fu la mostra Lo sport nella storia e nell'arte, allestita al Palazzo delle Scienze all'EUR. Inaugurata il 14 luglio 1960 dal presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, rimase aperta al pubblico fino all'8 gennaio 1961. Furono esposte 2300 opere (di cui un migliaio originali), divise in 28 sezioni. Dall'agosto al settembre 1960 il Palazzo dello sport all'EUR ospitò l'Esposizione olimpica di fotografia sportiva, con foto inviate da 33 Comitati olimpici, montate su cornici metalliche di cm 40 x 50 e raccolte per nazione su appositi pannelli. Dall'ENIT furono inoltre organizzate nella capitale (Circo Massimo e Piazza di Siena) cinque manifestazioni storico-sportive: il Palio dei balestrieri di Gubbio e di San Sepolcro, la Quintana di Foligno, il Calcio storico fiorentino, la Quintana di Ascoli Piceno, il Gioco del ponte di Pisa.
Armando Testa fu l'autore del manifesto dei Giochi, con l'immagine del cosiddetto capitello del Belvedere sormontato dalla Lupa capitolina, mentre Emilio Greco scolpì la medaglia per i partecipanti (diametro mm 55), raffigurante sul recto una tedofora in corsa e sul verso un volo di aquile. Renato Signorini realizzò gli speciali gettoni d'oro (coniati dalla Zecca in sei formati diversi), Amedeo Maiuri il nuovo modello della fiaccola olimpica. In occasione dei Giochi furono emessi dall'Italia nove francobolli commemorativi che raffiguravano la Lupa, impianti sportivi (Stadio e Velodromo olimpico, Palazzo e Palazzetto dello sport) e statue famose (il Mossiere, il Discobolo di Mirone, il Pugile in riposo, l'Apoxyómenos). Precedentemente, nel 1959, l'Italia aveva emesso una serie di cinque valori, detta preolimpica, che raffigurava monumenti di Roma: la fontana dei Dioscuri al Quirinale, la torre del Campidoglio, le Terme di Caracalla, l'Arco di Costantino, la Basilica di Massenzio.
A Tokyo 1964, oltre a varie mostre d'arte minori, furono allestite (ottobre-primi di novembre) quattro grandi esposizioni: di Arte classica, riservata esclusivamente a opere giapponesi, visitata in quaranta giorni da 407.000 persone (Museo nazionale nel Parco di Ueno), di Arte contemporanea (Museo d'Arte moderna), di Fotografia (Grandi magazzini di Matsuya), di Filatelia sportiva (Museo del Ministero delle poste). Si aggiunsero spettacoli di danza e musica classica, rappresentazioni del Teatro Kabuki, Teatro No e Teatro delle Marionette. La medaglia in rame per i partecipanti (diametro mm 60) fu realizzata da Taro Okamoto, il diploma per i vincitori da Hiromu Hara, il manifesto dei Giochi con il Sol Levante da Yusaku Kamekura. A partire da questa edizione i Comitati organizzatori non si limitarono più, come in passato, a un solo manifesto ufficiale: per Tokyo, infatti, ne furono elaborati quattro. Gli altri tre, realizzati da Kamekura in collaborazione con i fotografi Osamu Hayasaki e Jo Murakoshi, raffiguravano la partenza di una corsa, un nuotatore e un tedoforo. Inoltre, facendo seguito a un primo, ancor grezzo, tentativo di produrre pittogrammi risalente ai Giochi del 1948, nel 1964 si concretizzò una moderna serie di simboli, sia per rappresentare i diversi sport sia per offrire informazioni generali al pubblico attraverso un linguaggio universalmente comprensibile. Da allora questo tipo di segnaletica ha sempre accompagnato ogni Olimpiade. Masaru Katzumie, direttore artistico, e Yoshiro Yamashita, grafico, realizzarono circa 60 simboli.
A Città del Messico l'Olimpiade culturale, ufficialmente inaugurata il 19 gennaio 1968 al Palazzo delle Belle Arti, si distribuì lungo tutto l'anno, comprendendo molteplici manifestazioni, quali un'esposizione di opere selezionate dell'arte mondiale (Museo nazionale di antropologia e storia), le mostre Storia dei Giochi Olimpici e Lo sport nell'arte, il Festival internazionale delle arti, il Festival cinematografico internazionale, l'Esposizione internazionale d'artigianato, l'Esposizione internazionale di filatelia olimpica (30.000 pezzi esposti), la mostra Luoghi di sport e di cultura (214 progetti di 175 architetti o studi di architettura, in rappresentanza di 39 paesi), incontri di architetti, scultori, poeti ecc. Tutti i manifesti furono concepiti da Pedro Ramírez Vázquez, presidente del Comitato organizzatore, da Eduardo Terrazas e dall'americano Lance Wyman. Il manifesto principale, in bianco e nero, ricordava motivi degli indiani huicol. Fu coniata un'insolita medaglia quadrata per i partecipanti (mm 50 x 50), su cui erano raffigurati i pittogrammi degli sport inclusi nel programma. Nei pittogrammi, realizzati sotto la direzione artistica di Manuel Villazón e di Mathias Goeritz (disegni di Terrazas e Wyman), non si cercarono elementi schematici che ne permettessero una riproduzione in serie, ma si preferì rappresentare una parte per il tutto (il pallone per il football, la bicicletta per il ciclismo, il guantone per il pugilato ecc.); sono rimasti un esempio isolato.
Insieme a numerose manifestazioni teatrali, musicali e folcloristiche, a Monaco 1972 furono allestite le mostre Le culture del mondo e l'arte moderna (Haus der Kunst), che espose opere di 151 musei e 145 gallerie o collezionisti privati, Cento anni di scavi tedeschi a Olimpia, che celebrava i lavori compiuti negli anni 1875-1881 e 1936-1966 (Deutsches Museum), e Baviera, arte e cultura (Stadtmuseum). Altre esposizioni furono Filatelia olimpica e I Giochi Olimpici sulle monete e sulle medaglie. Il manifesto fu opera di Otl H. Aicher, la medaglia per i partecipanti (diametro mm 49) di Fritz König. Nella medaglia per i primi tre classificati, per la prima volta dal 1928 il CIO lasciò agli organizzatori la facoltà di sostituire l'immagine dell'atleta trionfante con un diverso motivo. Gerhard Marcks, premiato con una menzione onorevole alla Olimpiade dell'arte del 1936, raffigurò sul recto i Dioscuri (diametro mm 66). Aicher, direttore della Scuola superiore di grafica a Ulm, realizzò anche i pittogrammi che costituirono un prezioso punto di riferimento nei Giochi successivi. Lo stile dei diversi elementi li avvicinava a quelli di Tokyo, ma alle posture semplificate degli atleti sostituiva una struttura composta da tre elementi: testa, tronco e arti superiori, arti inferiori, per illustrare le posizioni del corpo in movimento in ciascuno sport.
A Monaco entrò in scena la prima mascotte delle Olimpiadi, il bassotto Waldi. Le mascotte delle Olimpiadi successive furono: a Montreal il castoro Amik, che nella lingua degli indiani algonchini vuol dire proprio "castoro"; a Mosca l'orsetto Misha creato da Victor Chijikov (caricaturista e illustratore di libri per bambini); a Los Angeles l'aquilotto Sam ideato da C. Robert Moore e associati, della casa di produzione Walt Disney; a Seul il tigrotto Hodori (ho "tigre", dori è un diminutivo) disegnato da Kim Hyun Un, uno dei direttori della Società coreana di estetica; a Barcellona il cane Cobi ideato da Javier Mariscal, una mascotte 'cubista' così diversa dalle precedenti da essere in un primo tempo molto criticata; ad Atlanta una strana creatura dai grandi occhi chiamata Izzy (in un primo tempo le era stato dato nome Whatizit, ossia "Che cos'è"). Ai Giochi di Sydney comparvero tre mascotte, non più una sola come era sempre stato dal 1972: l'ornitorinco Syd, il kookaburra Millie e l'echidna Olly, nomi che derivavano da Sydney, Millennium e Olimpiadi. Ad Atene 2004 le mascotte sono state due bambini, Phibos e Athina, fratello e sorella, che si ispirano nella forma a un'antica bambola del 7° secolo a.C. e i cui nomi riprendono quelli delle divinità elleniche.
La parte culturale dei Giochi del 1976, che mirava a mostrare al mondo la ricchezza delle tradizioni di Montreal, era costituita da esposizioni di artisti canadesi, oltre 500 spettacoli artistici e teatrali, un festival del cinema, serate di poesia. Vi furono poi mostre di ogni genere, allestite da vari paesi nell'ambito della grande esposizione intitolata Terra degli uomini, che si tenne sull'isola Sant'Elena, in mezzo al fiume San Lorenzo. La Francia, per es., dedicò una mostra a de Coubertin e un'altra alle Olimpiadi ripercorse attraverso oggetti e documenti del Museo dello sport. Georges Huel e Pierre-Yves Pelletier diressero il gruppo di grafici che realizzò i manifesti e i pittogrammi di Montreal rimasti pressoché invariati rispetto a quelli di Monaco. A Huel si deve anche il verso della medaglia per i vincitori (diametro mm 60).
Il programma culturale olimpico di Mosca 1980 contemplava spettacoli teatrali e operistici, concerti sinfonici, music-hall e balletti, nonché rappresentazioni di gruppi folcloristici. Tra le esposizioni artistiche ricordiamo: Sport, messaggero di pace, Arte dei popoli dell'URSS dai tempi più remoti ai nostri giorni, Vedo il mondo con gli occhi dei bambini e una retrospettiva di manifesti olimpici. Il manifesto principale di Mosca, scelto tra 26.000 bozzetti di 8500 disegnatori, fu opera di Vladimir Arsentiev. Ilya Postol modellò il verso della medaglia per i vincitori (diametro mm 60). I pittogrammi, disegnati da Nikolai Belkov, si avvicinavano più a quelli del 1964 che non a quelli del 1972: abbandonarono, infatti, la stilizzazione in più elementi, privilegiando il disegno delle forme. Le figure erano bianche su fondo nero, come a Città del Messico, mentre a Tokyo e a Monaco erano nere su fondo bianco.
Il Festival olimpico delle arti di Los Angeles, della durata di dieci settimane (dal 1° giugno al 12 agosto), fu curato da Robert Fitzpatrick, vicepresidente del LAOOC (Los Angeles Olympics organizing committee). La collaborazione di musei e gallerie private, di teatri grandi e piccoli, consentì di affiancare un gran numero di manifestazioni locali a quelle internazionali, cui parteciparono 1500 artisti venuti da ogni parte del mondo. Accanto a mostre quali Arte degli Stati Uniti (Santa Barbara Museum of art), Arte in creta (Los Angeles Municipal art gallery), Retrospettiva dei Giochi Olimpici del 1932 (Los Angeles County Museum of natural history); Gli Olimpionici neri (California Museum of Afro-American history & culture), si potevano ammirare le maschere Bugaku (provenienti dal nipponico tempio di Kasuga), 45 opere impressioniste del Louvre, musicisti cinesi con i loro strumenti tradizionali, il gruppo folcloristico di Guadalajara, il Royal Winnipeg Ballet, il Wuppertaler Tanztheater, l'American Repertory Theater.
Perché la manifestazione lasciasse alla popolazione di Los Angeles una tangibile eredità, il Comitato organizzatore fece realizzare allo scultore Robert Graham la porta monumentale in bronzo antistante il portico d'ingresso del Memorial Coliseum. Consisteva in un architrave sormontato dai torsi nudi di un uomo e di una donna, e sostenuto da due colonne decorate con bassorilievi di atleti (una copia ridotta dell'Olympic gateway è collocata sulla terrazza del Museo Olimpico di Losanna). A dieci artisti di Los Angeles, appartenenti a diverse correnti, furono affidati i murales lungo l'autostrada che collega il centro-città con il Coliseum.
Il manifesto principale, il primo orizzontale, fu opera del texano Robert Rauschenberg, uno dei pittori più rappresentativi del movimento pop. Nel verso della medaglia per i vincitori, a Los Angeles si tornò all'atleta trionfante di Cassioli. I pittogrammi di Keith Bright and associate si riavvicinarono a quelli di Monaco, ma gli elementi stilizzati del corpo passarono da tre a sei: testa, corpo, braccio destro e sinistro, gamba destra e sinistra, su fondo nero.
A Seul avvenne lo stesso, ma il corpo era bianco e le altre parti nere, su fondo bianco. Gli oltre cento pittogrammi di Cho Young-Jae, Hwang Bu-Yong e Kim Seung-Jin furono usati su vasta scala per indicare gli sport, il percorso della fiamma olimpica, il villaggio degli atleti e della stampa, il campo della gioventù, i servizi, gli uffici, gli impianti. Le manifestazioni del Seoul olympic arts festival si svolsero dal 17 agosto al 5 ottobre. L'elemento di spicco nel pur vasto programma era la destinazione del Parco olimpico a centro mondiale di sculture all'aperto, grazie sia alle opere realizzate da 35 artisti internazionali, ispiratisi direttamente sul posto durante due simposi (1987 e 1988), sia a quelle di altri 160 scultori di 80 paesi, che le donarono dopo averle esposte nel Parco per tutta la durata del festival. Vanno inoltre menzionati la mostra di pittura al National museum of contemporary art, dove furono esposte un centinaio di opere di artisti di 58 paesi, esposizioni di arte e artigianato della Corea, il Festival internazionale della musica con l'intervento dell'orchestra della Scala di Milano, spettacoli teatrali, danze classiche e folcloristiche, il Festival della ceramica a Ich'on Kyongi-do. Una mostra internazionale filatelica, chiamata Olymphilex '88 (la terza della serie, dopo quelle di Losanna nel 1985 e di Roma nel 1987), venne aperta al pubblico presso l'Exhibition center di Seul. I paesi partecipanti furono 140, con 28 espositori coreani e 260 stranieri. Il simbolo dei Giochi, ideato da Seung Choon Yang, riprendeva un motivo tradizionale coreano, il Sam Taeguk: il disegno, in tre colori, simbolizzava l'armonia del cielo, della terra e dell'uomo. Fu riprodotto anche nel manifesto e nel verso delle medaglie per i vincitori (con una colomba della pace) e per i partecipanti.
Il 1992 fu un anno importante per la Spagna poiché Barcellona ospitò l'Olimpiade, Siviglia l'Esposizione universale e Madrid venne nominata capitale europea della cultura. Barcellona, sede delle grandi Esposizioni del 1888 e 1929, già vantava un'importante tradizione di manifestazioni artistiche e culturali. Dal 1967, per es., in alternanza con Madrid era stata sede della Biennal internacional del deporte en las bellas artes, e dal 1986 sede della Biennal internacional esportistes en l'art. L'Olimpíada cultural, che come si è detto si protrasse per tutto il quadriennio olimpico, ebbe inizio nel 1988 con la festa popolare Moll de la Fusta. Nel 1989 furono inaugurati l'esposizione Pianeta sport, ossia la nuova tecnologia al servizio dello sport (Mercato del Born), e il primo Festival de Tardor (replicato nel 1990 e 1991), che proponeva un vasto programma di spettacoli teatrali, musicali e coreografici di livello internazionale. Il 1990 fu dedicato al modernismo catalano, con mostre al Museo d'arte moderna e a La Pedrera, opera del geniale architetto Gaudì che di quel movimento fu il principale esponente. Nel 1991 si allestì Casa Barcelona, esposizione di pezzi 'firmati' di arredamento destinati a far conoscere la città sul mercato internazionale.
Tra le innumerevoli manifestazioni del 1992 si segnalarono la X Biennale internazionale dello sport nelle Belle Arti, Arte e sport in Catalogna, Le origini dello sport in Spagna, Lo sport nella Grecia antica, Olymphilex '92, il Festival olimpico delle arti (130 spettacoli). Il 27 luglio i reali di Spagna presenziarono alla solenne cerimonia per il conferimento dei Premi internazionali di Barcellona 1992, assegnati a coloro che avevano dato contributi rilevanti in vari campi dell'arte e della cultura. Queste onorificenze prendono il nome di personaggi famosi legati alla città: il Premio per l'architettura e l'urbanistica Antoni Gaudì, il Premio per le arti plastiche Joan Miró, il Premio per lo sport e l'olimpismo Juan Antonio Samaranch ecc. Il 25 luglio 1993 la Fondazione Barcelona olímpica aprì allo Stadio di Montjuïc un museo dei Giochi, che esponeva un'ingente raccolta di pezzi a ricordo dell'Olimpiade; quello stesso giorno, anniversario della cerimonia di apertura dei Giochi, Barcellona ha festeggiato la ricorrenza con incontri sportivi e la proiezione del film olimpico al Palau Sant Jordi davanti a 14.000 spettatori.
Il logo dei Giochi 1992, ideato da Josep Maria Trías, rappresentava un atleta nell'atto di saltare. La novità consisteva essenzialmente nell'uso del tratto disegnato a mano, che faceva pensare agli ideogrammi della scrittura orientale. Tre segni colorati individuavano la testa (blu), le braccia (gialle) e le gambe (rosse). Anche i 28 pittogrammi di Trías, che mantenevano le caratteristiche del logo (rinunciando a riprodurre il tronco), erano assai diversi da quelli schematici delle precedenti edizioni. I 35 pittogrammi del 1996 avrebbero fatto ancora un passo avanti, essendo i primi a rappresentare il corpo di un atleta non più con linee stilizzate e astratte. L'artista Xavier Corberò non si limitò ‒ secondo la consuetudine ‒ a modellare il simbolo dei giochi sul verso della medaglia per i vincitori (diametro mm 70), ma apportò significative variazioni anche al recto: eliminò, tra l'altro, l'edificio ad archi sovrapposti e cambiò la fisionomia della Gloria, alla quale sciolse anche i capelli.
Come già accennato, anche la Cultural Olympiad di Atlanta (diretta da Jeffrey Babcock) si protrasse per i quattro anni precedenti i Giochi e si concluse con un Festival delle arti di nove settimane, dal 1° giugno al 4 agosto 1996, sui temi Southern and international connections - Celebrating the centennial. Fra le manifestazioni del quadriennio si possono citare Anelli: cinque passioni nell'arte mondiale, mostra di 125 opere dell'High museum of art per illustrare gli ideali olimpici; Georgia, Stato delle arti, omaggio a più di 400 istituzioni artistiche della Georgia; Festeggiare l'Africa!, dieci giorni di musica e teatro in collaborazione con il Festival nazionale delle arti nere, che coinvolse 600 artisti di 27 paesi africani; Un saluto a Losanna, in occasione dell'inaugurazione della nuova sede del Museo olimpico (23 giugno 1993); La donna alle Olimpiadi, storia della partecipazione femminile ai Giochi; Olymphilex '96, la più grande esposizione delle principali collezioni olimpiche di francobolli, monete e souvenir; 100 anni di cinema mondiale; la riunione di otto premi Nobel per la letteratura al Carter presidential center; un'infinità di mostre e spettacoli all'interno del Festival delle arti, come le 21 notti di concerti nell'anfiteatro del Centennial olympic park. In occasione dei Giochi la Coca Cola ha messo in piedi un'originale cittadella dotata di numerose attrazioni, tra cui il museo permanente Il mondo di Coca Cola.
Nel marzo 2000 furono proclamati i vincitori del concorso (arti grafiche e scultura) bandito dal CIO due anni prima, al quale avevano aderito 54 Comitati olimpici nazionali. La giuria fu presieduta da Zhenliang He, presidente della Commissione del CIO per la cultura e l'educazione olimpica. Il Museo olimpico di Losanna espose le 181 opere dal 6 aprile al 25 giugno dello stesso anno.
La seconda edizione, cui hanno partecipato 60 artisti di 39 paesi, si è conclusa con la premiazione avvenuta il 10 giugno 2004 a Barcellona durante il World forum on education, culture and sport.
Un vastissimo programma fu previsto dal Festival delle arti di Sydney 2000, diretto da Leo Schofield. Partì nel settembre 1997 con Il festival del sogno, curato da Andrea Stretton, una celebrazione di tre settimane per onorare le numerose culture indigene, non solo australiane. Uno dei punti forti della manifestazione fu Scultura vicino al mare, un'esposizione all'aperto di sculture, sistemate in luoghi spettacolari lungo la costa. Nel settembre 1998 seguì Lame du fond: scrittura e fotografia in Australia, nel 1999 Aprirsi al mondo, che mise in scena 70 compagnie e artisti australiani operanti all'estero in spettacoli di teatro, cinema, musica, danza ecc. Il festival del 2000 ebbe inizio il 19 agosto con il concerto di gala al SuperDome di Sydney. Tra gli artisti e i gruppi prestigiosi coinvolti nel programma si segnalarono il tenore Andrea Boccelli e l'Orchestra filarmonica della Scala diretta da Riccardo Muti. Al Centerpoint di Sydney e all'Hotel de la Monnaie di Canberra si tenne la settima edizione di Olymphilex.
In occasione dei Giochi furono coniate ben 53 monete: 8 d'oro, 17 d'argento, 28 di bronzo (una per ciascuno sport olimpico); 24 furono disegnate da Stuart Devlin, australiano trapiantato in Inghilterra, dove realizzò gioielli, pezzi d'argenteria e trofei: nominato orefice della regina, è considerato il miglior disegnatore di monete del mondo. Ideata da Blue Sky Design, la torcia olimpica (alta cm 72) era composta da tre pezzi, che simbolizzavano la terra, il fuoco e l'acqua. L'originale forma, leggermente curva, s'ispirava all'Opera di Sydney e al boomerang.
Nel periodo che va da Sydney 2000 ad Atene 2004 tra le molteplici iniziative nell'area italiana si è segnalata la seconda edizione della Triennale arte e sport, promossa dalla Repubblica di San Marino e inaugurata dai Capitani reggenti il 19 ottobre 2002 nell'Antico monastero di Santa Chiara, in contrada Omerelli (la prima era stata inaugurata il 27 marzo 1999 al Multieventi sport domus di Serravalle). Oltre alle numerose opere esposte, selezionate da un'apposita giuria presieduta dal pittore Alfredo Romagnoli e dal critico Luigi Tallarico, la manifestazione ha offerto ai visitatori un percorso storico-artistico intitolato Da Olimpia a San Marino: una grande panoramica sullo sport nell'arte e nella cultura attraverso il tempo.
Per Atene 2004 il programma culturale ha previsto le mostre Magna Grecia: sport e olimpismo alla periferia del mondo ellenico (Museo d'arte cicladica, dal 25 giugno al 2 ottobre), Panorama dell'arte greca contemporanea (23 gallerie private, dal 3 al 31 agosto), Vedute di Atene - Pittori greci contemporanei e Grandi viaggiatori ad Atene (Museo Vouros - Eftaxias, dal 16 giugno al 30 settembre). Va inoltre ricordata Monument to now, esposizione organizzata dalla Fondazione DESTE per illustrare le tendenze internazionali dell'arte contemporanea attraverso le opere della collezione di Dakis Ioannu, una tra le più importanti del mondo nel settore.
Il cosiddetto Look of the Games di Atene 2004 è stato rappresentato dal simbolo (una stilizzata corona di ulivo), dal manifesto, dai 35 pittogrammi, dalle due mascotte, dalla torcia e dalla medaglia per i vincitori. Quella di Atene, per la prima volta dal 1928, ha sostituito nel recto il modello ideato dall'italiano Cassioli. L'artista Elena Votsi ha raffigurato la Nike di Peonio che si libra sullo Stadio Panatenaico (o Kallimarmaro), con l'Acropoli sullo sfondo. Sul verso compaiono tre elementi: il simbolo dei Giochi, la fiamma olimpica nel braciere e i primi versi dell'VIII Ode olimpica di Pindaro, composta nel 460 a.C. in onore del giovane lottatore Alkimedon di Egina.