Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Gli ordini mendicanti si sono spesso avvalsi delle arti figurative per veicolare immagini e idee. La diffusione di questi ordini ha sollecitato la nascita di nuove tipologie di arredo liturgico e iconografie particolari, legate soprattutto ai santi fondatori. La loro biografia è raccontata in grandi cicli ad affresco, destinati alla navata delle chiese o alle cappelle, spesso di patronato di singole famiglie. Le sale capitolari, come luogo privilegiato, offrono lo spazio per cicli ad affresco più complessi nella scelta dei temi e nelle finalità.
La nascita degli ordini mendicanti tra XII e XIII secolo avviene in un contesto particolarmente sensibile alle esigenze di ritorno alla semplicità evangelica, avvertite profondamente anche dalla spiritualità dei laici. Il successo dei due ordini, nati con Francesco e Domenico, si misura nella rapida diffusione in Italia – e ben presto anche in Europa – con la costruzione di conventi nei maggiori centri cittadini, segno visibile di una presenza sempre più viva all’interno della società e della chiesa medievale. Il favore, di cui godono i mendicanti, fa sì che affluiscano ai nuovi ordini lasciti e donazioni per la costruzione di ricche cappelle gentilizie all’interno delle chiese conventuali, e molti sono i laici che desiderano trovare sepoltura proprio all’interno delle chiese mendicanti.
Tra i compiti che i due ordini si sono assunti, certamente prioritario risulta quello di assicurare ai fedeli una conoscenza adeguata della propria specificità e del proprio ruolo all’interno della Chiesa. La letteratura agiografica, che nasce attorno alle figure dei due fondatori, si inserisce all’interno di questa prospettiva alla quale non sono estranee le arti figurative, utilizzate, al pari delle leggende, quale strumento privilegiato – e a tutti comprensibile – dell’immagine dell’ordine che si intende rendere pubblica. Grandi cicli di affreschi vengono via via a coprire le pareti delle chiese mendicanti o l’interno delle sale capitolari.
Fra tutti emerge come modello indiscusso la basilica di San Francesco ad Assisi. Nata come chiesa madre dell’ordine francescano e allo stesso tempo cappella sepolcrale, gode fin dalla sua fondazione di una speciale giurisdizione pontificia. Il nuovo cantiere avviato nel 1228, ad appena due anni dalla morte di Francesco, sviluppa nell’architettura ad aula della chiesa superiore un modello destinato a essere imitato e replicato nelle chiese mendicanti per tutto il XIII secolo. Lo spazio luminoso della basilica superiore è anche il luogo privilegiato di una politica per immagini davvero senza precedenti. Il ciclo che Giotto sarà chiamato a dipingere, probabilmente durante gli anni del pontificato di Niccolò IV, primo papa francescano, a completamento delle storie vetero e neotestamentarie della navata, sviluppa il racconto della vita di Francesco secondo la Legenda Maior di Bonaventura, mettendo in luce, in chiave provvidenziale, il disegno divino riguardante la figura del santo. Il ciclo diventa ben presto modello ineludibile con il quale si confronteranno gli artisti per generazioni, fino a oscurare – anche nella nostra memoria – il ciclo più antico dedicato a Francesco, quello dipinto nella navata della basilica inferiore dal Maestro di San Francesco.
I nuovi ordini contribuiscono in maniera determinante alla nascita e diffusione di nuove tipologie di arredo liturgico. Pensiamo ad esempio al dossale agiografico, ovvero una tavola dipinta con il ritratto del santo fondatore. Si tratta di un arredo mobile per l’altare, esposto alla devozione solo temporaneamente, in occasione della celebrazione liturgica del dies natalis del santo. Il ritratto, solitamente a figura intera, può essere completato da storie della vita del santo, una piccola selezione di episodi che vale però ad assicurare una seppure modesta conoscenza presso i fedeli.
I primi esempi documentati sono proprio quelli relativi a san Francesco, poi replicati lungo tutto il XIII secolo con pochissime varianti. Inizialmente si tratta di tavole di modeste dimensioni che presentano la sola figura stante di Francesco come nei dipinti di Margaritone d’Arezzo nella Pinacoteca Nazionale di Siena o nel Museo diocesano di Arezzo. Poi il dossale sviluppa accanto alla figura del santo, il racconto della sua vita. Inizialmente si privilegia il ricordo dei miracoli, sia in vita sia post mortem, destinati a catturare l’attenzione del pellegrino e a diffondere la devozione al santo, anche in virtù delle sue capacità taumaturgiche. Così nel dossale oggi nel Museo del Tesoro della Basilica di Assisi, un tempo nella basilica inferiore, o nella tavola, già attribuita a Giunta Pisano, proveniente dalla chiesa francescana pisana ed ora nel Museo nazionale di San Matteo a Pisa. Questa tipologia si arricchisce nel corso del Duecento di nuovi modelli che tendono a privilegiare il racconto della vita, come nella tavola Bardi nell’omonima cappella in Santa Croce a Firenze che presenta uno sviluppo senza precedenti della dimensione narrativa, con una selezione ricchissima di episodi, fino alla tavola di Guido di Graziano alla Pinacoteca di Siena. Sul versante domenicano l’esempio più noto è forse il polittico di Francesco Traini anch’esso al Museo nazionale di San Matteo a Pisa.
Ma è a partire dalla tomba destinata ad accogliere le spoglie mortali del santo che si sviluppa una iconografia per immagini della vita del fondatore. È il caso di san Domenico. L’arca marmorea, ancora oggi custodita nella chiesa bolognese di San Domenico, rappresenta certamente, sia per l’autorità e la fama del suo scultore – Nicola Pisano – sia per la rilevanza del contesto e della sua destinazione, il prototipo dal quale dipenderanno in seguito gli artisti nella progettazione delle arche dei santi. Pensiamo ad esempio al monumento funerario fatto erigere nella chiesa domenicana milanese di Sant’Eustorgio per celebrare un santo di recente canonizzazione, san Pietro martire, assassinato per mano di un eretico proprio tra Como e Milano il 6 aprile 1252. Nel capitolo dei domenicani che si tiene nel 1335, a distanza di pochi decenni dalla bolla di canonizzazione con la quale il 25 maggio 1253 Innocenzo IV eleva il santo agli altari, si prende la decisione di erigere un’arca per accoglierne le spoglie e si indica esplicitamente come modello per il sepolcro la tomba del fondatore nella chiesa domenicana bolognese. Il compito è portato a termine dal pisano Giovanni di Balduccio che orgogliosamente si firma nel 1339 e realizza, forse su suggerimento del frate domenicano Galvano Fiamma, il complesso programma iconografico di rilievi e sculture che culmina nel baldacchino con san Domenico e san Pietro martire ad accompagnare la Vergine con il Bambino.
Poco distante da Milano, nella chiesa agostiniana di San Pietro in ciel d’oro a Pavia, si lavora a partire dal 1362 alla tomba di sant’Agostino, che vede all’opera nel corso di più decenni maestranze campionesi che rielaborano e aggiornano il modello milanese di Giovanni di Balduccio, creando una complessa struttura a camera. Sei diaconi vegliano il santo, trattenendo ciascuno un lembo del lenzuolo funebre. All’esterno della camera funeraria, sculture con figure di Virtù e Apostoli ritmano la superficie e si frappongono ai rilievi con il racconto della vita del santo.
All’interno del convento, la spazio della sala capitolare, affacciata sul chiostro e riservata alle riunioni periodiche del capitolo, consente, proprio per la sua destinazione e fruibilità interna all’ordine, di sviluppare un programma atto a illustrarne natura e finalità. Possiamo contare su molti esempi giunti fino a noi, da Santa Caterina a Pisa a San Domenico a Pistoia o San Domenico a Bolzano fino a San Niccolò a Treviso. È quest’ultima forse la più nota per il ciclo di affreschi che vi dipinge Tommaso da Modena nel 1352.
Una ricca serie di ritratti di santi domenicani, seduti ciascuno allo scrittoio e occupati nella lettura, nello studio o nella scrittura, si sviluppa lungo le pareti della sala al di sopra di una fascia con compassi polilobati che fingono una sorta di tappezzeria, ma che in realtà racchiudono lunghe citazioni, una sorta di compendio della storia e geografia dell’ordine, attuato secondo le regole dell’arte della memoria. Ancora più esemplificativo del ruolo attribuito alla pittura nel propagandare una immagine dell’ordine è il ciclo di affreschi pensato per il Cappellone degli Spagnoli nel convento domenicano di Santa Maria Novella a Firenze. Intrapresi da Andrea di Bonaiuto negli anni 1366-1368, gli affreschi illustrano sulle pareti la vita di Cristo che culmina nella volta con la Resurrezione, Ascensione, Pentecoste e la Navicella, una scelta narrativa per la crociera in deroga alla tradizione più comune – non solo a Firenze – che prevede solo figure isolate su cieli azzurri e stellati, ma che può contare su un precedente d’eccezione, la crociera della basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. Ma la vera novità del programma di affreschi si legge sulle due pareti che propongono l’immagine della chiesa terrena, esemplificata dalla cattedrale di Santa Maria del Fiore, ancora in costruzione, e del ruolo che in essa sono chiamati a svolgere i domenicani nel guidare gli uomini su quella via veritatis che conduce alle porte del Paradiso dove li attende san Pietro. Sulla parete che la fronteggia è il trionfo di San Tommaso tra le virtù teologali e cardinali, seduto in cattedra e affiancato dagli evangelisti e dai profeti, ai suoi piedi Sabellio, Averroè e Ario come immagini delle eresie e false dottrine vinte dalla sapienza domenicana e infine le Arti liberali, seguite dalla Teologia, dalla Medicina e dalla Giurisprudenza a compendiare l’intero universo del sapere. È l’intera dottrina tomista che viene qui proposta come dottrina ufficiale della Chiesa e i domenicani ne sono i veri interpreti come difensori della fede nell’insegnamento e nella cura delle anime.