Vedi EGIZIANA, Arte dell'anno: 1960 - 1994
EGIZIANA, Arte (v. vol. III, p. 255)
Un aggiornamento del quadro dell'arte e. nell'ultimo quindicennio può essere tentato a partire da punti di vista assai diversi. Il primo, ovviamente, è quello dell'arricchimento del materiale documentario che è venuto in questo periodo aumentando il patrimonio di cui disponiamo. Come avviene, alcuni trovamenti son nati dal caso, come quelli del gruppo di sculture dal santuario di Sobek a Dahamša, scoperto durante lo scavo di un canale presso Tebe, fra le quali singolare è il gruppo in alabastro del dio affiancato dal re Amenophis III e, più di recente, lo splendido gruppo di statue trovate in una favissa nel cortile del tempio di Luxor (fra le quali alcuni capolavori dell'età di Amenophis III). Ma se anche altri casi simili potrebbero essere ricordati, in verità è più interessante il fatto che una serie di cantieri siano stati aperti da istituzioni che vi hanno lavorato metodicamente attuando programmi di meditata complessità, e affrontando la ricerca con una conscia insistenza su tecniche di scavo più raffinate e attente che non per il passato. Più di un paese ha organizzato strutture scientifiche stabili in Egitto, alle quali si sono appoggiate imprese che hanno potuto così assumere una qualità ben più complessa che molte di quelle passate, e in più di un caso si son compiute in collaborazione con strutture locali (un esempio ne è il Centro Franco-Egiziano di Karnak).
Seguendo il corso del Nilo, diamo un elenco dei più significativi cantieri che han dato in questi ultimi lustri nuovi materiali o nuove notizie. Il primo che si presenta è quello di Elefantina (v.), dove ha lavorato l'Istituto Archeologico Germanico in collaborazione con quello Svizzero. L'isola costituisce uno dei nuclei più memorabili di tutto l'Egitto, testa di ponte verso la Nubia e confine meridionale del paese dalla preistoria fino all'età romana (e ancora dopo). Il sito era fra quelli più devastati e sfruttati da scavatori sia illegali che ufficiali: la scoperta, all'inizio del secolo, dei documenti aramaici di una colonia militare ebraica d'età persiana vi aveva chiamato scavatori di varie nazioni che speravano in ulteriori rinvenimenti di tali papiri, fondamentalmente irriguardosi del contesto archeologico, e titolari ciascuno di una striscia di terreno da esplorare secondo i propri criteri. Si era così manomesso un insieme, raro in Egitto, di strutture poste l'una sull'altra in una identificabile sequenza stratigrafica, sulle quali sorgeva un villaggio moderno assai modesto. Gli scavi tedeschi hanno mirato proprio a ridare ordine a questa sconvolta stratigrafia e a identificare i monumenti più importanti che vi si inseriscono. Fra questi, oltre la chiesa di tipo nubiano che si era insediata nel suo cortile, il tempio del dio ariete Khnum nelle sue strutture della XXX dinastia, con i rifacimenti tolemaici e romani. Più interessante il Tempio di Satis, la dea più strettamente locale: se ne conoscevano disparati frammenti architettonici che in parte risalivano alla XVIII, in parte alla XI e XII dinastia. Il lavoro analitico ha permesso di ricostruire la storia e gli aspetti dell'edificio a partire da un «luogo sacro» più che un sacello, chiuso fra alcuni, grossi massi della cateratta (dove son stati trovati depositi protodinastici), su cui si è inserito un più preciso santuario con nomi di sovrani della VI dinastia, poi costruzioni durante la XI, fino a una completa riedificazione sotto Sesostris I e a un successivo rifacimento sotto Hatshepsut. Frammenti sparsi sono stati riuniti e dotati di un senso, fino a una virtuosistica ricostruzione dei vari momenti del tempio l'uno sull'altro: ma la cosa più significativa è l'aver constatato che ogni nuova «edizione» del santuario ha mantenuto il contatto con l'antichissima nicchia naturale originale attraverso una sorta di pozzo, che ha sottolineato un elemento non architettonico ma significante della costruzione, il suo configurarsi come forme diverse di una sostanza in ultimo senso uguale. A questa inconsueta antichità, nota in genere solo da monumenti e oggetti funerari, a Elefantina ci riporta l'identificazione dell'antico circuito di mura e una porta di ingresso (probabilmente secondaria) più volte rifatta nell'Antico Regno, ma la cui origine risale all'età protodinastica: è un resto della primitiva città-fortezza che dà notizie tecniche e che offre un punto di partenza per una futura indagine urbanistica in un ambito estremamente precoce.
La zona tebana, con la sua ricchezza di monumenti, è stata teatro di una intensa attività, che ha visto riaprire vecchi scavi (come quelli francesi del Louvre a Tod) o continua vecchie imprese, come a Karnak. Qui si sono avuti scavi veri e propri, come nella zona Ν del tèmenos dove sono templi di età etiopica, e soprattutto una risistemazione di intere parti del grande tempio, dove è stato sottoposto a un riesame molto materiale conservato in magazzini antichi e se ne è recuperato di nuovo proveniente soprattutto dal IX pilone. Nei due casi, particolare importanza hanno le c.d. talatāt, i blocchetti di dimensioni standardizzate tipici dell'età di Ekhnaton. Esse testimoniano la costruzione di un santuario dedicato ad Aton entro il perimetro stesso del Tempio di Ammone nel primo periodo del regno di Ekhnaton stesso, ma sono anche successivamente reimpiegate come materiale da costruzione in altre strutture. Gli antichi trovamenti, che avevano sofferto per gli spostamenti ripetuti e la collocazione in vari depositi, hanno dovuto essere catalogati ex novo attraverso un programma informatico a cura di un gruppo di studio canadese che ha posto un certo ordine nell'insieme, anche se ancora molto resta da fare. I blocchi che sono stati recuperati dal Centro Franco-Egiziano di Karnak offrono in questo senso migliori possibilità, poiché in molti casi essi sono stati trasferiti in antico al loro secondo impiego mantenendo in certa misura il raggruppamento originale. Si sono così recuperati nuovi e significativi complessi figurativi dei primi anni della rivoluzione atoniana, importanti per le osservazioni che essi consentono sia a livello storico che storico-artistico. Lo studio del Tempio di Mut di Asheru per merito degli Americani, la sistemazione di parte del dròmos di accesso al tempio di Luxor nonché delle costruzioni tarde che lo circondavano, a opera del Servizio delle Antichità Egiziano, aiutano in parte ad avviare un tipo di ricerca che anche altrove va assumendo importanza in Egitto, e cioè quello dell'urbanistica antica.
Come tuttavia è da attendersi, la più vivace attività archeologica si è avuta nella regione occidentale di Tebe (v.), nelle varie aree della necropoli. Una carta della regione che tenga conto di tutti gli elementi archeologici di superficie nonché di quelli ipogei è in corso di allestimento con tecniche assai raffinate da parte di una missione americana: rappresenterà un elemento prezioso per la geografia archeologica di una zona così fittamente popolata di monumenti. Un'attività più precisamente rivolta ai resti monumentali ha indagato alcuni dei templi funerari regali: così quello di Thutmosis IV, i cui resti non molto cospicui son stati resi intelligibili da una missione pisana; così il vicino Ramesseo (cioè il tempio di Ramesse II) dove si è indagata di nuovo la struttura generale dell'edificio, e ancor più delle sue dipendenze, da parte del Centro di Documentazione Egiziano; e così il Tempio di Seti I, oggetto di nuovi scavi da parte dell'Istituto Archeologico Germanico che ha messo in evidenza la zona di accesso al santuario e il vicino palazzo regale. Questi monumenti, già noti nelle loro linee generali, son stati meglio intesi per ciò che riguarda la storia della loro costruzione, dei loro mutamenti successivi, di quanto è stato nascosto dalle loro sottostrutture. I due gruppi più illustri di tombe della regione, quelle della Valle dei Re e quelle della Valle delle Regine, erano anch'essi fondamentalmente noti: ma in entrambi si è molto lavorato a una migliore edizione e cognizione delle singole tombe. Nella Valle dei Re, alcune sono state rivisitate da parte di una missione di Brooklyn, che le ha di nuovo rilevate e fotografate (e ove necessario ripulite, non senza qualche trovamento), e alcune hanno avuto edizioni fotografiche complessive assai utili rispetto alla precedente documentazione a disegno (si ricorda p.es. la tomba di Thutmosis III e quella di Ḥoremheb, ciascuna di esse a suo modo esemplare). Nella Valle delle Regine si sono invece attuati veri e propri scavi, che hanno riproposto tombe di regine e di prìncipi fra la XIX e la XX dinastia e ne hanno talvolta rinnovata l'interpretazione. Nell'ambito dei monumenti regali tebani sono infine da ricordare gli scavi giapponesi al Palazzo di Amenophis III a Malqata, dove è stato identificato il podio per la festa sed (il «giubileo») del sovrano.
Nelle varie sezioni della vasta necropoli è continuata l'opera di ripulitura, di edizione, in alcuni casi di scavo; ma, insieme, un deteriorarsi delle condizioni generali e un intensificato interesse per la protezione ha fatto sì che molte tombe da lungo tempo note e anche di particolare importanza siano state chiuse alla normale visita. Di particolare significato è stata la risistemazione e lo scavo, all'Asasif, di una serie di tombe di alti funzionari saitici da parte di missioni belghe, tedesche, austriache, italiane che hanno fornito la possibilità di studiare gli aspetti architettonici e il significato concettuale dei sepolcri dell'epoca delle Divine Adoratrici di Ammone.
Un altro importante centro d'Alto Egitto che è stato oggetto di cure continuate da parte di varie missioni è quello di Abido. La prosecuzione della esemplare edizione del Tempio di Seti I ha comportato la presenza di un gruppo di lavoro della Egypt Exploration Society; ma più nuovo è l'interesse per il Tempio di Ramesse II, rimasto fin qui assai trascurato, e che è stato preso in esame dall'Istituto Archeologico Germanico il quale ne ha messo in evidenza il carattere essenzialmente dinastico. La stessa istituzione ha riaffrontato l'esame del complesso archeologicamente più suggestivo della città, la necropoli regale protodinastica già scavata da Amélineau e da Petrie. Questa ulteriore ispezione, che profitta dei progressi di tecnica di scavo intervenuti, ha messo a punto parecchi elementi strutturali, ha trovato alcune tombe sfuggite ai precedenti ricercatori, ha in taluni casi (come nella identificazione della sede di una statua entro una delle tombe) aperto nuovi problemi. Dell'importanza del centro come luogo di culto funerario comune a tutto l'Egitto è testimonianza la serie di cenotafi del Medio Regno scoperta e studiata da una missione americana; e ad Americani si deve anche l'importante ricerca sulla struttura urbanistica che può essere intravista per la città, e che insiste su un capitolo ancora assai poco noto dell'archeologia egiziana. In questa direzione ha soprattutto spinto le sue ricerche la missione inglese a Teil el-'Amārna, dove è stato riaperto quel cantiere, interessandosi più alle abitazioni private, anche del Villaggio Operaio, che non a quelle già sfruttate dei grandi edifici pubblici e cercando di indagare la struttura e le dimensioni di questo singolare centro abitato.
L'altra regione di particolare ricchezza che è stata oggetto di rinnovato interesse dopo il lungo abbandono determinato dallo stato di guerra, è quella della necropoli memfita in tutta la sua straordinaria estensione da Meidum ad Abu Rawaš: la regione in cui sono adunate le piramidi dei sovrani dell'Antico e del Medio Regno. Proprio a Meidum la parte inferiore della piramide è stata ripulita dal Servizio delle Antichità e là presso, in collaborazione con i Polacchi, è stato iniziato il restauro della mastaba di Nefermaat, una fra quelle di più veneranda antichità. Poco più a N, a Dahšūr è stata (e il lavoro continua ancora) affrontata la piramide di Snofru: ne è stato trovato il pyramìdion (l'unico che risalga all'Antico Regno) e ne derivano blocchi che comportano immagini del sovrano e che dovevano decorare cappelle connesse con il monumento. Da iscrizioni tracciate su singoli blocchi si sono potute ottenere informazioni sui tempi di lavoro (le date vanno dall'anno 13 all'anno 38), e in parte sui metodi. Ma oltre che alla piramide di Snofru, a Dahšūr i Tedeschi hanno lavorato a quella di Amenemhet III, di cui sono stati rintracciati con precisione i complicati corridoi che ne hanno permesso l'impiego per numerose deposizioni di regine e principesse, nonché quella non più nota del misterioso re Hor, la cui statua lignea è al Cairo. Il sarcofago del re risulta non adoperato, e in effetti una seconda piramide del sovrano è a Hawāra. Anche qui l'interesse è stato volto, non meno che al monumento regale, alle fondazioni delle grandi case di funzionari che erano attorno alla piramide, e a quel che resta di questi edifici - probabilmente distrutti allorché la piramide fu completata e il cantiere eliminato.
La zona, comunque, più ricca di storia e di monumenti di tutta la necropoli è certamente Saqqāra. È qui si è soprattutto - da molti e in molte direzioni - lavorato. C'è anzitutto da ricordare le numerose attività rivolte a identificare o a mettere in evidenza tombe dell'età memfita da parte del Servizio delle Antichità Egiziano e da gruppi di studiosi stranieri, il che, naturalmente, arricchisce puntualmente le nostre conoscenze, modifica alcune datazioni, dà un senso più preciso al raggrupparsi di alcune tombe (così quelle relativamente tarde dei sacerdoti funerari attorno alla piramide di Unas). Ma, a fianco di questa attività, bisogna ricordare alcuni interventi particolarmente notevoli. Se vogliamo seguire un approssimativo ordine cronologico, si hanno anzitutto le importanti ricerche e restituzioni dei complessi funerari di Unas, di Pepi I, di Merenra da parte di una missione francese che ha permesso di capire assai meglio molti punti delle regole dell'architettura regia funeraria memfita. Ma le novità più importanti riguardano le necropoli del Nuovo Regno dalla XVIII alla XIX dinastia, che fin qui erano state nel complesso trascurate.
La missione dell'Egypt Exploration Society ha ritrovato tombe illustri, da cui provenivano nei nostri musei rilievi e statue di particolare importanza, rinsabbiate dal secolo scorso in poi, così che se ne era persa notizia: sono quelle del fiituro faraone Ḥoremheb e quella del tesoriere di Tutankhamon Maia; e, presso di quelle, la tomba della principessa Tia, moglie di un altro Tia, figlia di Seti I e sorella di Ramesse II. Si tratta di scoperte di grande importanza per la storia dell'arte dell'epoca, che forniscono la cornice e il raccordo per il materiale che ne era pervenuto in antico e che è di qualità particolarmente alta. All'età amarniana risalgono due tombe che erano passate inosservate e che sono state valorizzate dalla missione francese: più importanti per i testi, che ci danno un ignoto visir dal nome asiatico, che per le figurazioni superstiti, assai manomesse. Varie tombe ramessidi, oltre quella della principessa Tia, sono state identificate e studiate, e testimoniano dell'alta importanza di Memfi in quell'età. Per l'età più tarda, la tomba di un visir saitico, Boccori, è stata accuratamente studiata da una missione dell'Università di Pisa, mentre l'Egypt Exploration Society ha continuato i suoi lavori a Saqqāra Ν, dove sono necropoli di animali sacri di varia specie, e in particolare della Madre dell'Apis, e un Anubièion. Per l'età copta, infine, va segnalata una ripresa dello studio sul monastero dell'Apa Geremia che è avvenuta sul terreno a opera dell'Istituto Archeologico Germanico, ma anche - con un interessante esperimento - sul materiale fotografico antico riesaminato nei suoi particolari e negli inediti da una studiosa belga che ne ha tratto nuovi risultati.
Non lontano da Saqqāra , ad Abu Sir, la missione cecoslovacca ha trovato importanti papiri d'età memfita; ma, per quanto riguarda l'archeologia, più notevoli le osservazioni sulla pianta e la struttura del tempio funerario di un re poco noto della V dinastia, Neferfra, da cui provengono numerosi frammenti di statua di tipologia insolita e una serie di statuette lignee di stranieri prigionieri, di accentuata tipizzazione.
A fianco di queste zone classiche dell'archeologia, altre se ne sono aggiunte di crescente importanza negli ultimi anni. Il Delta, prima di tutto, dove non è stato ovviamente trascurato il classico cantiere francese di Tanis, ma si è anche sviluppata un'attività di prospezioni e di ricerche che hanno rivelato una potenzialità archeologica che era stata tutto sommato fin qui trascurata a vantaggio dell'Alto Egitto. Questo non è, naturalmente, un caso: rispecchia piuttosto un altro atteggiamento dell'indagine, meno preoccupata del recupero di complessi monumentali e di oggetti destinati alle vetrine dei musei e, di conseguenza, capace di applicare tecniche di scavo e di recupero per materiali e per situazioni che fino a non molto tempo fa apparivano disperate. È in questa prospettiva che sono state intraprese e continuate le indagini prima francesi e poi svizzere nell'amplissimo comprensorio monastico dei Kellia, minacciato dalla messa a cultura della zona ed esplorato per campionature che hanno dato importanti risultati nella storia dell'organizzazione monastica dell'Egitto cristiano e delle arti minori e industriali di età bizantina. In questa prospettiva sono state anche condotte le ricerche americane nella zona di Mendes e in quella di Naukratis: esse hanno cercato più che altro di definire le strutture urbane e la cronologia dei siti, integrando in questa direzione le ricerche precedenti. Notevoli gli scavi monacensi a Minšet Abu Omar, nel Delta orientale, dove sono stati raggiunti i resti di un cimitero protodinastico e in parte predinastico che mostra una fondamentale omogeneità di materiali con quelli della Valle, testimoniando così il carattere precocemente unitario della cultura egiziana. Un altro cantiere della zona, napoletano, è appena inaugurato e sembra fornire indicazioni analoghe.
La più complessa e più nuova fra le scoperte della regione è, comunque, quella che si deve agli Austriaci che lavorano a Qantir e a Tell ed-Dab'a. Si sono qui chiariti in modo definitivo antichi dubbi relativi a due centri noti dalle fonti storiche, Avaris - la capitale degli Hyksos - e Pi-Ramesse, la città fondata da Ramesse II. Per ambedue era stata proposta, non senza ricorrenti incertezze, l'identificazione con Tanis sulla base dei monumenti soprattutto statuari e della «Stele dell'anno 400». Si ammette ora che questo materiale è stato importato nella città in un secondo momento, quando essa ha assunto una funzione di guida a partire dalla XXI dinastia e si è abbellita con monumenti altrui. Effettivamente importanti resti ramessidi sono stati trovati a Qantir dove si è riconosciuta la sede di Pi-Ramesse; nel non lontano Tell ed-Dab'a un'attenta indagine stratigrafica ha riconosciuto la lunga storia di un sito che è stato insediamento di genti di cultura asiatica nell'età del Medio Regno, che è andato fiorendo e che poi è stato violentemente distrutto, presentandosi così come la finora non ben collocata Avaris. Le strette connessioni fra questo centro e i dati dell'archeologia siropalestinese sono interessanti per toccare con mano i modi dell'inserirsi dei c.d. Hyksos nel tessuto egiziano, del loro farsi Egiziani e insieme del loro mantenere una certa autonomia culturale: là dove le fonti letterarie sono particolarmente infide per il loro violento carattere propagandistico, questa documentazione materiale diviene particolarmente preziosa.
Un altro mondo alla periferia dell'Egitto si è in questi ultimi anni aperto alla conoscenza come non mai prima di ora: quello delle Oasi. Lo sfruttamento agrario della regione è stato in questo caso occasione per una iniziativa feconda di risultati e non per una affannosa corsa contro il tempo come in altri momenti e altre sedi (si pensi soprattutto alla Nubia allagata). Le vecchie esplorazioni di Ahmed Fakhri avevano già dato anni fa una idea generale delle possibilità della zona a un primo sguardo. Ora si sta svolgendo una metodica ricerca soprattutto a Kharga e a Dakhla. Nella prima l'Istituto Archeologico Germanico ha ripreso a studiare la necropoli cristiana di Bagawat (fra le meglio conservate che si abbiano in Egitto), mentre i Francesi dell'Istituto di Archeologia Orientale del Cairo si sono assunti la responsabilità dell'esplorazione di Duš, dove c'è un Tempio di Domiziano, con una fortezza e una necropoli anch'esse di età romana. Da qui è venuto un importante gruppo di documenti scritti, sia òstraka e papiri che iscrizioni. A Dakhla lo stesso Istituto Francese di Archeologia Orientale studia, nella località di Balat, un abitato e una necropoli dell'Antico Regno che mostra come quivi fosse il centro amministrativo della regione a quell'epoca. Sono stati rinvenuti piccoli oggetti quotidiani in larga misura e un certo numero di testi (fra i quali singolari quelli incisi su tavolette di argilla fresca invece che tracciati su òstrakon o papiro). Un gruppo di forni da vasaio l'uno sopra l'altro ha dato preziosi mezzi di indagine sulla cronologia delle ceramiche. Ma connesso con le Oasi è anche un altro progetto più generale, del canadese Royal Ontario Museum che ne ha studiato il complesso in quanto sede di un processo evolutivo di dal Paleolitico (assai raro) a un più frequente Neolitico e poi faraonico, fino all'età romana, che rappresenta il momento di maggior fioritura della regione. Il piano generale ha comportato una serie di brevi saggi di scavo, da uno dei quali è poco fa giunto a noi l'importantissimo testo aristotelico scritto su una serie di tavolette lignee fra loro connesse che oltre a darci un testo nuovo ci dà un prezioso e finora assente anello nella storia del materiale scrittorio.
Questa rapida, essenziale e un po' arbitraria rassegna di scavi non copre in verità che una parte delle molte attività archeologiche che si sono svolte e che si svolgono in Egitto per tutta l'estensione del territorio: le missioni straniere affiancano e quasi soverchiano le attività locali, e in alcuni casi non rispondono a un piano di lavoro ben definito o son costrette a cessare anzitempo la loro attività, ma in molti altri potrebbero ben meritare una menzione in un quadro più minuzioso. Quel che qui si è voluto tratteggiare intende solo mettere in evidenza da una parte le linee generali dei grandi scavi tradizionali di base, dall'altra i risultati e lo spostarsi verso campi fondamentalmente nuovi.
A fianco di quella degli scavi, tuttavia, l'Egitto in questi ultimi lustri è andato sviluppando altre esigenze riguardo al suo patrimonio archeologico. C'è stata, così, una chiara presa di coscienza dell'importanza del restauro e della manutenzione in presenza di una situazione che per ragioni varie - dalle esigenze agrarie al consumo turistico alla degradazione ambientale ai mutamenti climatici - si fa sempre più evidente. Nel 1981 l'Istituto Francese di Archeologia Orientale ha promosso un incontro proprio su questi temi per celebrare il suo centenario; ma anche senza quel convegno il problema era sentito da molti. È ovvio che restauri sono sempre stati necessari insediamento, nell'attività del Servizio delle Antichità, e basti pensare a quelli memorabili delle anastilosi di Karnak o di Saqqāra. Ma ora il restauro è divenuto parte dello scavo e quasi suo punto di arrivo.
La missione pisana a Saqqāra ha impiantato sul suo cantiere alla tomba di Boccori una vera e propria scuola sperimentale di restauro; i lavori della missione francese alle piramidi della VI dinastia comportano rimessa in opera di blocchi immensi entro architetture arditissime; le tombe saitiche dell'Asasif nella necropoli tebana sono state portate al massimo della ricostruzione possibile dopo l’esplorazione; a Elefantina la sequenza dei templi successivi di Satis è stata messa in evidenza in modo che possa essere seguita visivamente e non solo da ricostruzioni sulla carta o da descrizioni. Il Centro Franco-Egiziano di Karnak ha come compito proprio la sistemazione di quell'immenso campo di rovine secondo criteri di unicità e su basi teoriche ben definite sia per quanto riguarda l'impostazione generale che per quanto concerne le tecniche specifiche sui materiali.
Le «Carte» dell'UNESCO restano il punto di appoggio ideale alle varie attuazioni pratiche. Fra le opere di restauro e di anastilosi più significative c'è da segnalare le ripulitura delle tombe rupestri di Benī Ḥasan dal velo di polvere che le oscurava, e un altro avvio, che si spera sarà quello conclusivo, al restauro della tomba della regina Nefretere nella Valle delle Regine: un compito che è stato intrapreso ormai più e più volte senza mai essere stato portato a termine e che ora è stato affrontato con la volontà di farne il punto di partenza per una sistemazione globale di tutte le tombe dipinte tebane. Cosa tanto più urgente in quanto alcune fra le più note - sia di quelle private che di quelle regali - hanno cominciato proprio in questi anni a soffrire di disturbi in porzioni di parete.
Fra gli edifici, quello che ha subito più interventi è il tempio di Ḥatshepsut a Deir el-Baḥrī, affidato a una missione polacca. Le vecchie ricostruzioni di Naville e di Winlock sono state tutte riesaminate, nuovi blocchi sono stati identificati e un paziente lavoro di risistemazione ha consolidato molta parte del celebre complesso. Ne è stata forse un po' troppo spinta la restituzione, il che ne ha un po' irrigidito la visione complessiva: ma nuovi elementi sono stati identificati e antichi rischi sono stati neutralizzati. Proprio presso Deir el-Baḥrī il Servizio Egiziano delle Antichità sta ricostruendo da frammenti incredibilmente minuti lo splendido monumento funerario di Montemhat, uno dei capisaldi della storia dell'architettura (e non solo dell'architettura) egiziana dalla fine della XXV dinastia fino all'età saitica.
In questo ambito va ricordato anche il più vistoso di questi confronti con i monumenti, e cioè il trasferimento a opera di una società italiana di tutto il complesso organismo templare di File - compromesso nella sua agibilità dalla nuova diga di Assuan che lo destinava a restare semisommerso - a un'isola vicina, Agilkia. Ridotta alla dimensione opportuna, questa ha ospitato tutto il sistema dei santuari mantenendone intatta la planimetria e le relazioni reciproche. È stato questo l'ultimo atto, nel 1980, della campagna di salvataggio delle antichità nubiane promossa dall'UNESCO e, con quello di Abu Simbel, il trasferimento più spettacolare. L'indubbio successo dell'operazione non deve però far dimenticare che questa violenza ai monumenti, anche se ne salva l'aspetto e in certi casi (come per Abu Simbel e per File appunto) la stessa esistenza, ne compromette comunque la più intima realtà sradicandoli da un paesaggio entro il quale erano stati concepiti per aver pieno senso, e impoverendone (e in certi casi annullandone) il valore di testimonianza. Questa attività di restauro può avere in qualche caso portato a soluzioni affrettate o non del tutto meditate, come è stato recentemente mostrato dal caso dei crolli nella Sfinge di Gīza; ma, nel complesso, il fatto che il problema sia stato posto e che sia sentito come di importanza primaria è assai importante per il futuro delle antichità egiziane, e per quella che si può definire come «moralità dello scavo»: il trauma che lo scavo comunque costituisce rispetto a una certa situazione archeologica che esso disturba deve essere ripagato con una nuova situazione di equilibrio stabile al momento della chiusura del cantiere. Un equilibrio che appunto è dato da una opportuna opera di restauro.
Oltre gli scavi e i restauri, l'attività archeologica in Egitto ha un terzo modo di presa di contatto con il materiale: l'esplorazione e la valorizzazione dei depositi. Si è ancora lontani dalla possibilità di un normale impiego del materiale archeologico che al termine di scavi locali è venuto accumulandosi in magazzini di regola quasi inaccessibili: ma si è cominciato a capire che lo splendido edificio del Museo Egiziano del Cairo, concepito al primissimo inizio del secolo, non può più assolvere a una funzione di raccolta globale di quanto debba esser custodito ed esposto. Si è così programmata una serie di musei locali destinati a ospitare il materiale proveniente dalla regione, ponendo così in visibile relazione con i complessi monumentali e con una geografia storica localmente afferrabile i trovamenti che al Cairo ormai si sperdono nell'affollamento delle vetrine. Sono nati così alcuni piccoli musei provinciali, come a Mallawi in Medio Egitto che raccoglie soprattutto materiali da Hermopolis e regione e a Kōm Awšim (Karanis) dove sono riunite antichità del circostante Fayyūm. Altri sono di imminente attivazione, come quello di Minya in Medio Egitto, cui dovrebbe far capo un abbondante e vario materiale da cantieri prossimi, come Teil el-'Amārna, Benī Ḥasan, la stessa Hermopolis. Fra quelli già funzionanti, il più interessante è quello che riunisce un certo numero di antichità a Luxor, la regione certo più ricca di reperti di tutto il paese. Esso è caratterizzato da una precisa volontà edonistica, e mette in mostra una scelta di pezzi che debbono essere ammirati immediatamente e ciascuno per sé. Tutt'altra struttura è invece pensata per un altro museo, ancora in fase di attuazione ad Assuan. Esso è progettato come «Museo della Nubia» e dovrà sostituire (costituendosi come vera e propria istituzione scientifica) l'antico piccolo museo di Elefantina. Vi dovrà confluire il materiale proveniente dagli svariati scavi e dai trovamenti fatti durante le campagne di salvataggio della Nubia, nonché un certo numero di oggetti attualmente esposti al museo del Cairo e di provenienza nubiana. Gli si dovrebbe affiancare un museo etnografico, in modo da costituire un nucleo di materiali che testimoni il completo ciclo di sviluppo della regione fra la frontiera egiziana e quella sudanese. Una commissione internazionale è stata invitata a pianificare un altro grande museo al Cairo che dovrebbe essere un «Museo della Civiltà Egiziana» immaginata come un unico coerente sviluppo dalle origini ai giorni nostri. Si possono avanzare dubbi su questa impostazione così automaticamente globale, ma una scelta di pezzi significativi potrà dare un senso al materiale esposto, e rappresentare così una guida preliminare alla visita del Museo Egiziano del Cairo.
Un ulteriore impiego conoscitivo del materiale archeologico che si è molto sviluppato negli ultimi tempi è quello connesso con le mostre e le esposizioni. Si è senza dubbio ecceduto nel portare attraverso ambienti diversi complessi non sempre significativi e ragionevoli, facendo correre rischi fisici agli oggetti e polarizzando attorno a certi temi impropri l'attenzione di coloro che si vogliono informare. Ma con queste limitazioni (certo valide non solo per l'antichità egiziana) alcune mostre sono state occasione per una più completa valutazione di certi complessi o di certi problemi. La più popolare fra queste mostre è stata certo quella del tesoro di Tutankhamon, che è passata in Francia, America, Giappone, Inghilterra: ma è stata una occasione per restauri ed esami del materiale, e - nella versione inglese - per un'accurata ricerca di archivio sulla documentazione originale dello scavo. Al Petit Palais a Parigi una mostra di notevole importanza è stata quella allestita nel 1976 per Ramesse II e la sua età. Nel 1988 una mostra su «L'oro di Tanis», anch'essa a Parigi, è stata l'occasione per un riesame del materiale di Tanis della XXI e XXII dinastia e di un inquadramento entro una Tanis non più Pi-Ramesse e sottratta all'obbligo di testimoniare l'età ramesside. Nel 1993 sempre a Parigi si è tenuta una mostra dedicata ad Amenophis III. Non è certo il caso di elencare qui tutte le mostre, che hanno comunque avvicinato l'arte a un circolo più vasto di spettatori e che di regola hanno comportato uno studio minuto del materiale, testimoniato nelle schede dei cataloghi, divenuti spesso preziose opere di consultazione.
Si tocca così un ultimo punto da ricordare: quello delle pubblicazioni relative all'archeologia e all'arte dell'Egitto. Dei principali scavi si ha, in genere, una prima documentazione sulle riviste e annali tradizionali. A questi si sono aggiunte in questi ultimi anni, con una fioritura un po' selvaggia, numerose riviste nuove che hanno reso un po' più complesso il tenersi aggiornati. Così, anche collezioni secondarie che forse sarebbe stato meglio far conoscere attraverso notizie su riviste sono state oggetto di pubblicazioni autonome che hanno diffusione più limitata e talvolta danno troppo peso a materiale di scarso significato. A questo aumentare di importanza della documentazione di collezioni minori fa purtroppo riscontro una certa pigrizia nel catalogare collezioni più importanti, con alcune lodevoli eccezioni come quella del Museo Egizio di Torino. Un valore e una funzione a parte, in questo contesto, ha la grande impresa di un catalogo generale delle antichità egiziane in fogli staccabili (Ägyptische Einzelblätter) che sta metodicamente raccogliendo una documentazione amplissima redatta con criteri unitari e perciò con maggiore possibilità di raffronti di quanto non avvenga di consueto. Alcune grandi raccolte di materiali omogenei (scarabei, ushabti, oggetti d'uso domestico o di ornamento e così via) son diventate comodi repertori e possono in taluni casi ovviare ai difetti dei cataloghi. Particolare, in questo campo, l'importanza che è stata data alle manifestazioni ceramiche, che hanno trovato un loro specifico periodico nel Bulletin de liaison du groupe international d'étude de la céramique égyptienne, così che rapidamente si va colmando la scarsezza di dati in proposito dopo le prime antiche sistemazioni generali del Petrie e della sua scuola. Un po' forzatamente ricade in questo gruppo anche un'opera di particolare significato per la storia dell'arte egiziana fra la fine dell'Antico Regno e il Secondo Periodo Intermedio: la pubblicazione integrale della serie di statue che derivano dal sepolcro-santuario di Heqaib a Elefantina a opera di Labib Habashi: è una serie ben definita di sculture che permettono - anche se in un ambito molto definito e ristretto - di seguire sviluppi di tipologia e di gusto.
Dietro questa attività di catalogazione e di corpora si intravedono le esigenze di una nuova mentalità, plasmata dall'informatica, che, attraverso la costituzione di ampie banche dati in facile comunicazione fra loro potrebbero rendere superfluo il tradizionale catalogo. In questa direzione si sono rivolti alcuni grandi musei, come p.es. il Louvre.
C'è infine da segnalare la comparsa di alcune grandi opere, che intendono rimettere a nuovo in sistemi coerenti e con il massimo di precisione la storia dell'arte egiziana. Esse risultano superiori nei confronti di una letteratura di informazione meno ambiziosa, ma che è stata particolarmente rigogliosa in questi ultimi anni mantenendo, tutto sommato, una qualità media di correttezza superiore di molto a quella usuale per l'innanzi. Le opere alle quali si alludeva più sopra sono una riedizione della parte dedicata all'Egitto nella antica Propyläenkunstgeschichte che a suo tempo era stata curata dallo Schäfer come una rapida storia dell'arte appoggiata a una serie di fotografie di opere particolarmente suggestive ed eloquenti. La nuova edizione a cura del Vandersleyen, è assai più ampia e articolata in una minuta serie di capitoli affidati ciascuno a uno specialista. Lo stesso criterio è stato adottato nei tre volumi editi da Gallimard e curati dal Leclant, sul modello di ciò che spesso è stato recentemente fatto per la storia civile egiziana o dell'Oriente (o per altri campi). Le due opere si segnalano per la precisione dell'informazione e per la utile novità del corredo iconografico anche se manca una visione organica che nasca da una sensibilità unitaria della storia dell'arte egiziana. Proprio i problemi posti dalla sua interpretazione e dalla sua valutazione come esperienza storica e metodologica sono stati anch'essi toccati in questo periodo, sia da ricerche neopositivistiche, come quelle del Vandersleyen che con criteri il più possibile imparziali e oggettivi ha valutato le opere prese in esame, o strutturalistiche come quelle dell'Assmann e, con un più vivo senso della irrepetibile vitalità di ogni singola espressione artistica, del Tefnin. È evidente che si potrebbe di molto allargare questa lista di pubblicazioni, che sono state scelte come punto di riferimento di tendenze.
Queste sono le linee generali dello sviluppo della ricerca archeologica in Egitto in questi ultimi lustri: ne va sottolineata una maggiore metodicità di programmazione, una particolare accentuazione degli aspetti tecnici e tecnologici, un gusto per l'archeologia più che per la storia dell'arte che ha posto in primo piano le arti industriali, l'urbanistica, la tecnologia antica, la sottointesa importanza dell'informatica, il compiaciuto trasformarsi dell'archeologia in archeometria (e questo fino all'esperienza - che sfiora l'assurdo - del tentativo di recuperare, per analizzarla, l'aria bloccata in parti nascoste della piramide di Gīza o della regione che immediatamente la circondava). Se questi tratti in alcuni casi hanno rappresentato un immiserirsi di interessi, molte altre volte si è invece trattato di una aggiunta e non di una sostituzione alla vecchia esperienza archeologica, e perciò di un arricchimento reale alla nostra conoscenza e alla nostra possibilità di comprensione del mondo dell'Egitto antico quale ci è testimoniato dai suoi resti monumentali.
Bibl.: Un aggiornamento annuale indispensabile della situazione archeologica è nella metodica notizia data da J. Leclant, Fouilles et travaux en Egypte et au Soudan, in Orientalia, XIX, 1950 ss.
Alcune opere di carattere generale sono: C. Vandersleyen (ed.), Das Alte Ägypten (Propyläen Kunstgeschichte, 15), Berlino 1975; J. Leclant (ed.), Les Pharaons, I. Le Temps des Pyramides, Parigi 1978; II. L'Empire des Conquérants, Parigi 1979; III. L'Egypte du Crépuscule, Parigi 1980; S. Donadoni, L'Egitto, Torino 1981.
Fra i ritrovamenti casuali particolarmente importanti quello recentissimo di Luxor (ancora inedito) e quello di Dahamša (presso Armant): H. S. Bakry, The Discovery of a Temple of Sobek in Upper Egypt, in MDIK, XXVII, 1971, p. 131 ss.
Grandi cantieri di scavo: Elefantina: le relazioni annuali appaiono nelle citate MDIK, vol. XXVI, 1970 e ss.
- Per la serie delle statue del mausoleo di Heqaib, importanti per il loro costituire una serie ininterrotta per il Medio Regno: L. Habachi, The Sanctuary of Heqaib, Magonza 1985.
- Regione di Akhmim: K. P. Kuhlmann, Materialien zur Archäologie und Geschichte des Raumes von Achmim, Magonza 1983. - Abido: W. K. Simpson, The Terrace of the Great God at Abydos. The Offering Chapels of Dynasties 12 and 13, New Haven-Filadelfia 1974; K. P. Kuhlmann, Der Tempel Ramses II in Abydos. Vorbericht über eine Neuaufnahm, in MDIK, XXXV, 1979, p. 189 ss.; J. Baines, Temple of Sethos I: Preliminary Report, in JEA, LXX, 1984, p. 13 ss.
- Per gli scavi inglesi di Tell el-'Amārna, oltre le relazioni annuali in JEA dal LXIV, 1978, B. J. Kemp, The Window of Appearance at El Amarna and the Basic Structure of This City, in JEA, LXII, 1976, p. 81 ss.; Β. J. Kemp e altri, Amarna Reports, I, Londra 1984; P. T. Crocker, Status Symbols in the Architecture of el Amarna, in JEA, LXXI, 1985, p. 52 ss.; Β. J. Kemp, The Amarna Workmen's Village in Retrospect, ibid., LXXIII, 1987, p. 21 ss.
- Per i lavori della missione dell'Istituto Archeologico Germanico a Dahšūr, le relazioni annuali di D. Arnold e di R. Stadelmann appaiono sulle MDIK, vol. XXXI, 1975 e ss.
Per gli scavi inglesi della Egypt Exploration Society a Saqqāra Ν varie serie di rapporti fanno annualmente il punto della situazione. Per le tombe degli animali sacri, W. B. Emery, G. T. Martin, M. S. Smith in JEA dal LVI, 1970; per l’Anubièion, H. S. Smith, ibid., dal LXIV, 1978.
- Per la tomba di Horemheb: G. T. Martin, ibid., dal LXII, 1976. - Per quella di Tia e Tia, G. T. Martin, ibid., dal LXIX, 1983 e per quella di Maia e Merit, G. T. Martin, ibid., dal LXXIV, 1988.
Sugli scavi francesi ai templi funerari della VI dinastia (Mission archéologique de Saqqara): J. Ph. Lauer, J. Leclant, Le Temple haut du complexe funéraire du roi Têti, Il Cairo 1972; A. Labrousse, J. Ph. Lauer, J. Leclant, Le temple haut du complexe funéraire du. roi Ounas, Il Cairo 1977.
- Per lo studio generale della regione a cura jdell'Egypt Exploration Society: H. S. Smith, D. G. Jeffrey, The Survey of'Memphis, in JEA, LXIX, 1983 e ss.
- Per gli scavi a Tell ed-Dab'a nel Delta: M. Bietak, Eine Palastanlage aus der Zeit des späten Mittleren Reichs, und andere Forschungsergebnisse aus dem östlichen Nildelta (Teil el Dab'a 1979-1984), in AnzWien, CXXI, 1984, n. 14, pp. 312-349.
- Per le ricerche francesi dell'Istituto Francese di Archeologia Orientale nelle Oasi (Dus, Balat): S. Sauneron e altri in BIFAO, LXXVIII, 1978 e ss.
- Per le ricerche canadesi: relazioni annuali di A. J. Mills, The Dakhlah Oasis Project, in The Journal of the Society for the Study of Egyptian Antiquities (Toronto), IX, 1978-1979 e ss.
Per l'urgenza dei restauri e problemi connessi: N. Grimal (ed.), Prospection et sauvegarde des antiquités de l'Egypte. Actes de la Table ronde organisée â l'occasion du centénaire de l'IFAO, Il Cairo 1981.
- Per il cantiere franco-egiziano di Karnak: Cahiers de Kamak, a partire dal 1977.
- Per il cantiere pisano di Saqqāra : E. Bresciani e altri, Tomba di Bakenrenf (L. 24). Attività del Cantiere- scuola 1985-87, Pisa 1988.
- Per la tomba di Nefretere a Qurna: AA.VV., Wall Paintings of the Tomb of Nefertari. Scientific Studies for Their Conservation. First Progress Report July 1987, II Cairo 1987.
Per l'impiego dell'informatica si ricorda Informatique et Egyptologie. No. 1. Informatique appliquée â l'Egyptologie. Table ronde, Paris 1984, CNRS, Parigi, 1985. La pubblicazione di materiali è stata intrapresa in un progetto globale: A. Eggebrecht, Corpus Antiquitatum Aegyptiacarum. Geschichte, Ziel, Richtlinien und Arbeitsbeispiele für das Erfassen ägyptischer Altertümer in Form eines Lose-Blatt-Katalogen, Hildesheim 1980.
- Fra le pubblicazioni di specifiche classi di monumenti, da segnalare C. Aldred, Jewels of the Pharaons. Egyptian Jewellery of the Dynastic Period, Londra 1971; A. Wilkinson, Ancient Egyptian Jewellery, Londra 1971; E. Hornung, E. Stähelin, Skarabäen und andere Siegelamulette aus Basler Sammlungen, Magonza 1976.
Riaperture o riordini di musei egittologici hanno dato occasione spesso a cataloghi e a mostre, tra cui: C. Aldred, Akhenaten and Nefertiti, New York 1973; Ch. Desroches Noblecourt, J. Vercoutter (ed.), Un siècle de fouilles françaises en Egypte; 1880-1980 (cat.), Parigi-Il Cairo 1981; E. Pozzi (ed.), Civiltà dell'antico Egitto in Campania. Per un riordinamento della collezione egiziana del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Napoli 1983; B. Bothmer (ed.), The Luxor Museum of Ancient Egyptian Art. Catalogue, II Cairo 1979; A. Eggebrecht (ed.), Ägyptens Ausfstieg zur Weltmacht, Magonza 1987; AA.VV., Tanis. L'or des Pharaons, Parigi 1987; C. Morigi Govi, S. Curto, S. Pernigotti (ed.), Il senso dell'arte nell'antico Egitto, Bologna 1990.