Vedi RODIA, Arte ellenistica dell'anno: 1965 - 1996
RODIA, Arte ellenistica
Conosciamo molte firme di scultori attivi in R., durante l'ellenismo e dalle iscrizioni trovate nei santuarî di Lindo (v.), di Camiro (v.), e nella stessa R. (v.) ma, per quanto riguarda il primo secolo di vita della città, ci sarebbe difficile stabilire l'esistenza di una vera scuola rodia.
Si deve ritenere che quella scuola presupposta dalle iscrizioni dei secoli seguenti, e addirittura caratterizzata da genealogie di artisti, possa derivare dall' insegnamento di Lisippo, perché mancando l'isola di marmo statuario, la plastica in bronzo aveva il predominio e perché lo scultore maggiore del tempo, attestato dalle fonti, è Chares di Lindo, scolaro di Lisippo, autore del Colosso (v.), ma è certo che Rodi ellenistica non fu avulsa dall'ambiente culturale in cui l'isola aveva sempre vissuto, ossia quello asiatico. Una posizione a parte assunse Rodi di fronte all'arte pergamena, in quanto questa fu celebrativa ed enfatica, ricca di corporeità, perché derivata più da una tradizione ateniese, anzi fidiaca, che da quella ionico-asiatica. Nell'esperienza pittoricistica e più linearistica di quest'ultima, cui si aggiunge la sensibilità spaziale dell'ellenismo di mezzo, si formò la scuola che per convenzione si chiama rodia, ma che per verità si dovrebbe chiamare insulare-asiatica perché, fra i più di cento scultori che hanno firmato statue rodie, dieci sono ateniesi e altri di Rodi, ma in maggior numero sono quelli delle isole asiatiche, della Caria, della Ionia e pochi della Siria. Inoltre, siccome non si possono oggi avvertire differenze sostanziali fra le sculture ellenistiche trovate nei varî centri insulari ed asiatici, in modo da ricostruire scuole locali, perché manca un elemento importantissimo di distinzione, il materiale (cioè il marmo locale), e poiché è indubbio che a Rodi i maggiori scultori devono essersi cimentati nel bronzo, mentre altrove si impiegò il marmo, e poiché le opere in bronzo sono scomparse, si può dire che l'esistenza di una scuola rodio-ellenistica è stata supposta non per le opere esistenti. L'eccezionale numero di artisti firmanti e operanti a Rodi dal III al I sec. ha peraltro a buon diritto fatto pensare a questa "scuola", la quale sembra attestata anche dalle fonti che citano dei gruppi plastici noti col nome di "paesistici" che sono di scultori rodi e che potrebbero caratterizzare una scuola, ossia quello del Toro Farnese, opera di Apollonios (v.) e Tauriskos di Tralle, figli adottivi di Menekrates rodio, e il gruppo di Acamante uccisore del figlio, opera di Aristònidas (v.); quello del Laocoonte (v.), opera di autori rodî, di cui si è discussa anche recentemente la datazione, ma che non può essere portata molto vicina all'Altare di Pergamo, per gli innegabili caratteri accademici. La supposizione dell'esistenza di una scuola rodia, creatrice di gruppi paesistici potrà essere avvalorata dallo studio delle sculture scoperte recentemente nel ninfeo imperiale di Sperlonga.
In assenza di un'opera in bronzo testimoniante un indirizzo particolare della scuola detta rodia, abbiamo una statua insigne di marmo, la Nike (v.) di Samotracia (v.), di cui la classificazione cronologica accanto alle figure del grande fregio di Pergamo è ormai accettata da tutti. Essa è sicuramente un'opera rodia, perché la prora della bireme su cui insiste la Vittoria è di calcare tipicamente rodio, lithos larthios, ossia di Lardo, presso Lindo. Non è stato difficile trovare sculture che dal 180 a. C., data presunta della Nike, viva ed insieme controllata nella costruzione anatomica e nel movimento delle pieghe, arrivassero alle espressioni neoclassiche e poi a quelle arcaistiche, non piatte come le neoattiche, ma ancora ricche di volume. Il neoclassicismo arcaistico è una delle ultime espressioni della scuola insulare asiatica, ma accenni arcaistici sono già nell'Iside del Cataio e nell'Arianna degli Uffizî, repliche di opere certamente rodie, poiché compaiono in rilievi votivi dell'isola. Ivi si trovano pieghe diritte ed a festoni, di un geometrismo che si contrappone al colorismo barocco, insieme con una superstite sensibilità del dinamismo del ritmo, espresso nella tortilità per cui si sente l'urto fra la tradizione del barocco ed il nuovo sentimento classicistico. Ciò si avverte anche nei volti di questa e di altre opere affini, che non hanno la mimica del barocco, ma hanno un calore di derivazione scopadea.
Un'altra mediazione per giungere alle ultime espressioni di questa produzione asiatica ellenistica, si può fare partire dalla stessa Nike di Samotracia. In una statuetta d'Artemide, trovata a Coo, si trova il rapido passo della Nike, ma anche pieghe minute ed un po' rigide ed ornamentali che smorzano la vivacità, che denunciano un principio di arcaicismo, come del resto le proporzioni eccessivamente longilinee. Non si tratta ancora di un manierismo, ma di un pre-manierismo o affettazione stilistica come in una statuetta di un Ermafrodito, sempre trovata a Coo, dove lembi di un diploidion con una piccola nebride, lasciano scoperta parte del nudo, senza perdere di corporeità, ma con una composizione così complicata di pieghe, da suggerire per questa arte l'aggettivo di rococò, tanto più appropriato se si pensa che la scultura doveva essere dipinta. Dopo aver ricordato che il Klein ritenne Rodi la capitale del "rococò antico", il Laurenzi aggiunge che dall'affettazione stilistica si poteva giungere anche al manierismo più spinto, per esempio al Dioniso del Quirinale, per il rapporto costante fra l'ampia rotonda modellazione delle gambe e del torace, ed il minuto lavoro geometricamente decorativo, e per l'aggiunta di puttini, di un capretto, e di una corona di frutta, certamente simbolici, ma di vivacità e grazia veristiche che non nuocciono alla sintassi decorativa e manieristica dell'opera.
Oltre a queste espressioni un centro così elevato e raffinato di cultura, come quello dei Rodi, neque attice pressi neque asiatice abundantes, come dice Cicerone, poteva giungere anche al verismo ma non a quello "analitico", come qualcuno ha scritto, in quanto il verismo analitico non è arte, ma al verismo virtuosistico, come è quello del Laocoonte. Se anche l'Omero cieco del Louvre (v. omero) debba essere attribuito addirittura ad uno degli artisti del Laocoonte non è sicuro. Ad ogni modo le maggiori affinità sono con quell'opera. La formazione del verismo virtuosistico attraverso il naturalismo della Nike di Samotracia, si può seguire nelle opere rinvenute nell'ambiente rodio-asiatico e riconoscere un punto di arrivo nelle Muse di Philiskos (v.), citato da Plinio, che non possono essere avulse da quest'ambiente culturale rodio-asiatico, perché ivi si trovano i nuclei maggiori di riproduzioni (v. archelaos; muse). Il monumento che riproduce con maggior sincerità gli schemi delle muse è la Base di Alicarnasso; essa potrebbe essere un'opera di Coo, considerata la forma dell'ara ed il fatto che ad Alicarnasso non esisteva marmo e che la città dista solo otto chilometri da Coo. È da ricordare che a Coo, oltre a statue-ritratto di donne con il mantello trasparente, furono trovate molte repliche del gruppo ricordato.
Esse testimoniano l'intenzione di rendere veristicamente panneggiamenti di linee particolarmente sottili, di non uscire dalla sensibilità del dinamismo del medio ellenismo, ma anche di essere costrette in composizioni frontali e paratattiche. Un Philiskos da Rodi ha firmato la base di una statua di sacerdotessa a Thasos, alla fine del I sec. a. C., ossia molti decenni dopo la creazione del gruppo delle Muse, il quale non può essere posto molto lontano dalla statua di Cleopatra di Delo, moglie dell'arconte ateniese del 139 a. C., dove si trova lo stesso mantello che lascia trasparire le pieghe dell'abito sottostante (v. delo).
Questo stile dell'abito trasparente rientra non solo nel gusto del virtuosismo veristico, ma anche in quello dei ritmi centrifughi, ossia della seconda metà del II sec. a. C., mentre la statua della sacerdotessa Are di Thasos, per la sua espressione accademica dovrebbe essere della fine del I sec. a. C. Non c'è peraltro nessuna ragione per non ritenere quel Philiskos della statua di Thasos il nipote o il pronipote dell'autore del gruppo delle Muse citato da Plinio.
Oltre all'indirizzo più originale del virtuosismo veristico la scuola rodio-asiatica ebbe, come tutti i neoclassicismi, anche uno accademico, ossia di riproduzione fedele del vero, ma del tutto scolastica. Tale sembra il ritratto di Posidonio (v.), il quale è morto a Rodi e quindi potrebbe essere stato rappresentato da scultori locali. Ma accanto a questa fredda eleganza formale della ritrattistica rodio-asiatica si trova anche una sintassi più semplificatrice e tettonica, tanto che si pensò ad una influenza della ritrattistica repubblicana romana sull'ellenistica. Si tratta di immagini costruite con solida architettura e con pochi particolari, ma essenziali agli scopi fisionomici. Non è impossibile che l'influenza morale dei nuovi padroni, affermatori dell'austerità, abbia determinato questi ritratti scarni e privi di movimento interiore, per quanto veri, ma non è escluso che anche il movimento neoclassico, richiamando Policleto, abbia suggerito le forme strettamente tettoniche, quali appaiono ad esempio nel bellissimo Fanciullo di Tralles (Istanbul, museo), opera dell'ellenismo tardo, legato all'ambiente artistico rodio.
Bibl.: In generale W. Klein, Geschichte der griechischen Kunst, Lipsia 1907, III; G. Dickins, Hellenistic Sculpture, Oxford 1920; W. Klein, Vom antiken Rokoko, Vienna 1921; A. W. Lawrence, Later Greek Sculpture and Its Influence on East and West, Londra 1927; J. D. Beazley-Ashmole, Greek Sculpture and Painting to the End of the Hellenistic Period, Cambridge 1932; W. Zschietzschmann, Die hellenistische und römische Kunst, Postdam 1939, vol. II; G. M. A. Richter, The Sculpture and Sculptors of the Greeks, New Haven 1950 (ediz. ried.); id., Three Critical Periods in Greek Sculpture, Oxford 1951; M. Bieber, The Sculpture of the Hellensitic Age, New York 1955; A. Adriani, in Enciclopedia Universale dell'Arte, IV, Venezia-Roma 1958, c. 645, s. v. Ellenistico. Per i nomi di scultori: Hiller v. Gaertringen, in Pauly-Wissowa, Suppl. V, 1931, c. 827, s. v. Die in u. um Rhodos tätigen Künstler (per Rodi e Lindo); G. Pugliese Carratelli, Tituli Camirenses, in Annuario della Scuola Archeologica di Atene (1952-1954), 1955, p. 212, fig. 3 (per Camiro). Particolare: L. Laurenzi, Rilievi e statue d'arte rodia, in Röm. Mitt., LIV, 1939; id., La critica della scultura ellenistica, in Annali Scuola Normale di Pisa, vol. X, fasc. III, 1941, p. 171 s.; id., Lineamenti di arte ellenistica, in Arti Figurative, I, fasc. I-II, 1954, p. 12 ss.; id., Problemi della scultura ellenistica: la scultura rodia, in Riv. Ist. Arch. St. Arte, 1939, vol. VIII; L. Borrelli, Una scuola di "Manieristi" dell'Ellenismo rodio-asiatico, in Rend. Lincei, serie VIII, 1949; L. Laurenzi, Correnti della scultura ellenistica, in Atti dell'Accademia Nazionale di S. Luca, vol. VI, 1953, p. 26 ss.; id., Sculture inedite del Museo di Coo, in Annuario Atene, vol. XXXIII-XXXIV, 1955-1956, p. 60 ss.; id., Sculture di scuola rodia dell'Ellenismo tardo, in Studi in onore di A. Calderini e R. Paribeni, vol. III, 1956, p. 183 ss.; id., Aggiornamento della conoscenza della scultura ellensitica, in Atti del VII Congresso Internazionale di Archeologia Classica, 1961, p. 391 ss.