Vedi ETRUSCA, Arte dell'anno: 1960 - 1994
ETRUSCA, Arte
Nelle singole voci topografiche relative a località poste entro i limiti geografici dell'Etruria vera e propria, o a località permeate di civiltà etrusca, anche se poste oltre tali limiti territoriali, nelle voci relative ai varî gruppi della ceramica etrusca (v. etruschi, vasi) e in altre relative a determinate classi di monumenti o a singole opere d'arte (tutte reperibili negli Indici sistematici) si troveranno le indicazioni di dettaglio su resti monumentali e su singole opere d'arte rinvenute. Nel presente articolo saranno esposti i dati generali sulla determinazione storica, la cronologia, e sui caratteri stilistici dell'arte etrusca.
Determinazione storica. - 1. Limiti storici. - L'antica Etruria, vera e propria, era delimitata dal corso dei fiumi Arno e Tevere, le cui fonti sorgono da opposte pendici di un medesimo complesso montuoso (il Falterona, v.). L'Etruria comprendeva quindi anche una parte dell'odierna Umbria, oltre che tutta la Toscana e parte del Lazio fino a Roma, dove la riva destra del Tevere (il Trastevere) era considerata etrusca: litus tuscus (Serv., ad Aen., xi, v. 598). Ma l'espansione commerciale e politica etrusca nella Campania e nella Valle Padana fece sì che monumenti e riflessi d'arte e. si trovino anche in queste regioni e vi abbiano perdurato anche dopo il decadere della potenza politica etrusca su quei territorî.
Quando si parla di arte e. qui non si intende dare a questo termine nessun valore etnico, cioè di una arte legata a una determinata stirpe; ma si usa questo termine per indicare la produzione artistica che accompagna quella civiltà che si sviluppò in Italia, sotto il segno della potenza etrusca, dall'VIII sec. a. C. sino al totale annientamento della nazionalità etrusca ai tempi di Silla (82-80 a. C.) e di Ottaviano (stragi perugine, 40 a. C.). Sempre più chiaramente si è andata distinguendo dal termine arte e. quello di arte italica col quale si intende l'arte prodotta nelle altre regioni non etrusche dell'Italia preromana all'infuori della diretta partecipazione greca nelle colonie della Sicilia e della Magna Grecia (v. italica, arte). Ma non vi è dubbio che taluni dei caratteri e degli elementi costitutivi dell'arte italica si ritrovino anche nell'arte e. Particolarmente nella produzione artistica della prima Età del Ferro la distinzione fra caratteri italici e caratteri etruschi è pressoché impossibile, sicché si fa solitamente iniziare l'arte e. con il periodo "orientalizzante" (vedi più innanzi). E di nuovo poi, nei tempi dell'avanzato ellenismo, la distinzione fra arte italica e arte e. si farà sempre meno netta e diverrà di carattere quasi prevalentemente geografico.
2. Formazione della civiltà etrusca. - Il nome degli Etruschi era, in greco, Τυρσηνοί, poi Τυρρηνοί; in latino Tusci o Etrusci; in etrusco sembra che fosse Rasena (῾Ρασέναι, ῾Ρασέννα, Dion. Halic., i, 30). Per quanto non si intenda attribuire al termine di e. nessun significato etnico particolare trattando il problema artistico come risultato della particolare società umana che si formò storicamente nel territorio dell'Etruria e che non si riscontra altrove fuori della penisola italiana, sarà da far cenno del come si presenti allo stato attuale degli studî il problema delle origini etrusche, che ha costituito un tempo il principale oggetto degli studî di etruscologia. Oggi, il problema della formazione della nazione e., e della sua civiltà, ha sostituito in gran parte, nell'interesse degli studiosi, quello delle origini e della provenienza degli Etruschi. In tale aspetto la questione etrusca è divenuta soprattutto un problema glottologico.
Le fonti letterarie antiche, coltivando la raccolta delle narrazioni sulle origini, le fondazioni di città, le invenzioni delle arti, indicavano sostanzialmente quattro tradizioni: una, che fa capo a Erodoto (i, 94) secondo la quale gli Etruschi sarebbero stati Lidi emigrati dall'Asia Minore sotto Tirreno e giunti nell'Italia centrale occupata dagli Umbri; la seconda, che fa capo a Ellanico (riferito da Dionigi di Alicarnasso, Antiq. Rom., I, 28) che identifica gli Etruschi con schiere di Pelasgi che dall'oriente ellènico sarebbero approdati alla foce dello Spinete (golfo ionico? o presso Spina sull'Adriatico?) e avrebbero fondato Cortona; la terza riferita da Anticlide (presso Strabone, v, 2, 4), secondo la quale sarebbero stati Lidi insieme a Pelasgi (non greci) di Lemno (v.); la quarta di Dionigi di Alicarnasso (i, 25-30) che rifiuta le tradizioni precedenti e afferma l'autoctonia del popolo etrusco "poiché è del tutto antico né presenta somiglianza di lingua (οὐκ ὀμόγλωσσος) e di costume con nessun'altra stirpe".
Gli studiosi moderni sono stati in maggioranza favorevoli alla tesi della provenienza orientale, ma si sono trovati di fronte a gravi difficoltà quando si è trattato di stabilire l'età della supposta migrazione. Questa, infatti, sembrava confermata soprattutto dai materiali artistici orientalizzanti che si trovano nelle tombe dell'Etruria costiera. Oggi sappiamo che tali oggetti appartengono a un repertorio diffuso in tutto il Mediterraneo orientale, e anche in Grecia, e che essi appaiono a partire da circa il 675-650 a. C. Ma una immigrazione in questo tempo, o di poco anteriore, si sarebbe incontrata con la colonizzazione greca della Sicilia e dell'Italia meridionale spintasi sino a Cuma (date tradizionali e approssimative della più antica e della più recente colonia: 734, Naxos; 687, Gela; ma le scoperte archeologiche a Ischia (v.) e in Sicilia hanno ora posto in luce contatti più antichi) e avrebbe comunque lasciata una traccia di notizie meno favolose nella storiografia greca. L'immigrazione andrebbe dunque posta in epoca anteriore; e ciò sarebbe sostenuto anche dalla ipotesi che la lingua e. fosse appartenente allo strato mediterraneo più antico, preindoeuropeo, con indizî di connessioni caucasiche. Tale affermazione è stata possibile, dato che la lingua e., scritta in caratteri derivati dall'alfabeto greco (forse calcidese) non offre problemi di decifrazione e di lettura, ma presenta problemi lessicali finora non superati, per quanto riguarda la fissazione del valore delle parole e particolarmente aggravati dalla esiguità del patrimonio linguistico pervenuto.
Se si osserva il materiale archeologico tra il 1000 e il 700 a. C., cioè dall'inizio dell'Età del Ferro in Italia (v. villanoviana, civiltà) che succede alla facies dell'Età del Bronzo, la quale in Etruria assume aspetti della civiltà detta "Appenninica" (v.), e si inserisce in essa, ci si trova di fronte a una civiltà costituita da elementi diversi, ma in complesso di aspetto omogeneo e in successivo sviluppo, senza che mai sia possibile avvertire uno sbalzo, un distacco, che segni l'intrusione di un elemento etnico nuovo, portatore di una civiltà diversa. Gli unici oggetti estranei alla tipologia locale (villanoviana) appaiono dei vasetti in terra chiara, destinati a contenere olii profumati, a decorazione geometrica o di tipo "protocorinzio" (v. protocorinzî, vasi), analoghi a quelli che sono stati trovati nelle necropoli delle colonie greche di Siracusa, Cuma, Megara e Gela, dove accanto alla forma globulare compare quella ovoide a partire da circa il 725-710 a. C. Tale indizio cronologico, che appariva abbastanza sicuro, è adesso svalutato da due constatazioni: che i vasetti globulari (designati di solito come "arỳballoi protocorinzi") sono, forse nella totalità, imitazioni eseguite in fabbriche italiche e si trovano accompagnati con vasetti a forma allungata (alàbastra) i cui modelli originali, in Grecia, non sono anteriori al 620-615 a. C.; inoltre, che i più antichi vasi sicuramente protocorinzi, trovati in Etruria, appartengono alla fase tarda, cioè circa 650-630 a. C. e possono essere stati depositati nelle tombe anche con sensibile ritardo. Ciò porta a un generale abbassamento della cronologia finora accettata.
Da un punto di vista strettamente tipologico nell'Italia centrale si osserva, alla fine dell'Età del Bronzo, nel versante tirrenico, una cultura latino-campano-sicula; nel versante adriatico una cultura osco-umbro-picena e nel centro una specie di cuneo che si inserisce dall'Emilia (Bologna) al Tevere (Roma), la cosiddetta area villanoviana, che coincide con l'area etrusca, pur non potendosi sostenere con elementi sufficienti la identificazione di una supposta immigrazione "villanoviana" con la gente etrusca. Resta il fatto che i principali centri dell'Etruria sorgono sopra stanziamenti villanoviani appartenenti alla 1a e alla 2a Età del Ferro, e che nella successiva tipologia etrusca gli elementi villanoviani sussistono misti a elementi di derivazione dalla civiltà "Appenninica" dell'Età del Bronzo. La identificazione dei villanoviani con gli indoeuropei italici venuti dal N (Pigorini, Helbig) è oggi messa in serio e fondato dubbio da varie considerazioni, tra le quali principali: la coincidenza dell'area linguistica non indoeuropea (Etruschi, Liguri) con quella di diffusione della supposta invasione; la constatazione che il latino non deriva dall'osco-umbro e rappresenta insieme al siculo l'ondata più antica di linguaggi indoeuropei; la scoperta che la separazione, in Sicilia, tra Sicani non indoeuropei e Siculi indoeuropei è precedente all'Età del Bronzo. Pertanto, l'avanzata indoeuropea appare oggi avvenuta piuttosto in direzione da E e da S verso N, e non viceversa. Resta acquisito che nell'area etrusca toscana il salto da uno stadio di civiltà povera e da un numero di abitanti che doveva essere assai esiguo, a una civiltà complessa e in rapida ascesa economica, con diffusa abitabilità, avviene nella 1a Età del Ferro, nell'ambito cosiddetto villanoviano, nel corso del X sec., e che la civiltà Villanoviana come si mostra in Etruria, presenta il contatto e la commistione di elementi culturali danubiano-balcanici con elementi della civiltà "Appenninica" del Bronzo. Va notato anche come il Tevere formi una linea di separazione fra l'area villanoviana e quella laziale, di aspetto più rozzo. La vecchia tesi della provenienza settentrionale degli Etruschi (Niebuhr-Müller) e l'identificazione dei Rasenna-Etruschi con i Reti, è oggi abbandonata; era una derivazione da questa tesi quella che identificava gli Etruschi con i possessori della civiltà del ferro "villanoviana" (Pareti). La tesi della provenienza orientale (Ducati, Della Seta, Patroni, Schachermayr) anche se tuttora largamente accettata, è ancora alla ricerca di un valido sostegno nella osservazione del materiale archeologico e artistico (è stato osservato che nessuna fibula di tipo "italico" è stata trovata in Asia Minore e che una sola di tipo asiatico è stata trovata nell'Italia centrale e in zona propriamente non etrusca, a Riserva del Truglio sui Colli Albani). Rimane tuttavia l'elemento religioso orientale della osservazione del fegato (v. etrusca, disciplina) che presenta una identità di rito attestata dalle somiglianze tra il modello in bronzo del tardo fegato di Piacenza e i modelli in terracotta trovati nell'area mesopotamica, risalenti dal terzo al primo millennio. Gli scavi italiani a Lemno (v.) e la già precedentemente nota stele funeraria figurata e iscritta di Kaminia, hanno messo in luce in quell'isola, indicata da una parte della tradizione come tappa della migrazione, elementi linguistici tra i più prossimi all'etrusco; ma la datazione della stele al VI sec. a. C. pone in risalto anche le profonde diversità lessicali tra l'etrusco e il lemnio. Del tutto incerta rimane la proposta identificazione degli Etruschi con i "Tursha" (TwRJŠ.w) elencati tra i Popoli del Mare nella iscrizione geroglifica egiziana di Medīnet Habu databile tra 1230 e 1170 a. C. Si è andata affermando oggi, specialmente da parte di alcuni studiosi italiani, la tendenza a considerare gli Etruschi uno degli elementi etnici che penetrarono in Italia in età preistorica (eneolitica?) e a considerare la formazione e lo sviluppo dell'arte e. come un fenomeno che ha avuto il suo fondamento e svolgimento esclusivamente sul territorio italiano. Il problema si è spostato perciò da quello della provenienza nella penisola italiana di un elemento etnico recante seco una civiltà già formata, a quello della formazione di un popolo, di una nazione, di una società, che poi saranno chiamati Etruschi, attraverso elementi diversi esistenti nella penisola, con apporti e contatti stranieri, non tanto etnici quanto culturali e commerciali (v. anche n. 5).
3. Vicende storiche. - Lo svolgimento dell'arte e. appare strettamente legato con le vicende storiche della nazione etrusca; esse vengono pertanto qui riassunte per sommi capi, secondo una tradizione assai lacunosa. Nelle fonti greche resta, non senza evidente sentimento di rancore, il ricordo della antica potenza marittima degli Etruschi, e l'inno omerico a Dioniso evoca il rapimento del dio da parte di pirati tirrenici che egli trasforma in delfini. Ateneo (xv, 12) raccoglie il racconto che attribuisce ad essi, evidentemente in base a una tradizione antica, il rapimento della statua di Hera dal santuario di Samo, confermando la fama di pirateria del traffico marinaro etrusco, rispecchiata del resto anche nella falsa etimologia del nome dei Pelasgi-Tirreni dal periodico apparire delle loro candide vele come stormi di cicogne (Strab., v, 2, 4 = C. 221; Serv., ad Aen., viii, 600). I secoli VII e VI a. C. sono quelli della maggiore floridezza, dovuta allo sfruttamento dei giacimenti metalliferi della costa tirrenica e al commercio marittimo. Sono anche i secoli della espansione nella Campania (per mantenere la quale occorreva aver libero passaggio su Roma che era sorta nel punto dove il Tevere era facilmente valicabile, anche se la occupazione fosse avvenuta per mare) e nella pianura padana. Tracce linguistiche e archeologiche si riscontrano a Roma, a Pompei e a Capua; a Bologna, Mantova, Adria, Spina. L'Elba è occupata già in epoca più antica; la costa della Corsica dopo la battaglia di Alalia contro i greci Focesi (circa 540 a. C.). La fondazione della colonia greca di Alalia (e forse anche di Olbia in Sardegna) aveva accresciuto la minaccia costituita dalla colonizzazione greca in Italia a S, e nel golfo di Marsiglia a N. Contro questo pericolo gli Etruschi si alleano con i Cartaginesi; ma, mentre per questi la vittoria di Alalia rende liberi i mari tra Sardegna, Africa e Spagna e sicure le vie di commercio dell'argento delle miniere spagnole e dello stagno britannico, l'Etruria rimane chiusa nel Tirreno. Greci e Cartaginesi continuano a lottare per il possesso della Sicilia; gli Etruschi falliscono un attacco a Cuma nel 524 e vi subiscono poi nel 474 una disfatta marittima e terrestre decisiva, della quale abbiamo testimonianza nella 1a ode Pitica di Pindaro e in un elmo dedicato al santuario di Olimpia da Gerone di Siracusa (Londra, British Museum). I Cartaginesi erano assenti perché già battuti a Imera. La tradizione pone anche una precedente disfatta etrusca presso Ariccia (Lazio) da parte di Aristodemo di Cuma, con alleati i Latini. La creazione della repubblica in Roma (data tradizionale 490 a. C., che va probabilmente abbassata) rappresenta per gli Etruschi la perdita del passaggio verso la Campania, che attorno al 430 verrà invasa dai Sanniti e definitivamente perduta (presa di Capua nel 443 a. C.). Anche Roma si risentirà economicamente, in senso negativo, del restringersi dei traffici mercantili durante il V secolo. Ma mentre Roma si lancerà, a partire dal IV sec., e dopo aver rotto i suoi angusti confini, alla conquista dell'Italia e poi del Mediterraneo, la nazione e. subisce una involuzione caratterizzata dalla conversione della propria economia da mercantile che era ad agricola, quale fu in seguito; il che comporta minore disponibilità di mezzi liquidi e orizzonte culturale più chiuso, di carattere più locale. Questa circostanza avrà conseguenze determinanti per lo svolgimento e per i caratteri dell'arte e., segnando una cesura e una svolta. Alla fine del sec. V e nella prima metà del IV iniziano e si ripetono i conflitti con i Romani (data tradizionale della caduta di Veio 396 a. C.) che portano al controllo romano di tutta la zona costiera. Alla fine della terza guerra sannitica (nel 295), la vittoria romana al Sentino colpisce anche gli Etruschi, alleati dei Sanniti insieme a Galli, Sabini, Umbri e porta, l'anno successivo, a una pace onerosa per Volsinii, Perugia, Arezzo, Cortona. Cinquant'anni dopo, al tempo delle guerre puniche, l'Etruria era tutta sotto influenza romana e fornì fedelmente aiuti contro i Cartaginesi. Schierati con Mario contro Silla, gli Etruschi vengono duramente puniti dal vincitore (81-8o a. C.) con confische e impianto di colonie militari (Arezzo, Fiesole). Con Augusto l'Etruria diviene la VII regione dell'ordinamento dato all'Italia. Già prima, dopo la concessione della cittadinanza romana (89 a. C.) a seguito delle guerre sociali, l'aristocrazia etrusca aveva cercato fortuna a Roma, determinando il definitivo regresso delle città etrusche al rango di piccoli centri provinciali. L'espansione nella valle del Po era stata sommersa dall'avanzata dei Galli, i quali provenivano dalla Boemia e dalle regioni del Danubio. La loro presenza è archeologicamente documentata sino da circa il 450 a. C. La data tradizionale della caduta di Meipum è la stessa della caduta di Veio.
L'ordinamento sociale etrusco ebbe sempre carattere aristocratico; il predominio economico di un numero ristretto di famiglie è attestato, fino agli ultimi tempi, dalle iscrizioni sepolcrali. Ciò determinò il particolarismo delle città etrusche, favorito anche dalla naturale suddivisione geografica del territorio toscano-laziale. Come conseguenza nel campo artistico, si hanno caratteristiche distintive da un centro all'altro, specialmente nel tipo delle camere sepolcrali e nel modo di decorarle. Le fonti storiche parlano di federazione di 12 città (che non sarebbero state sempre le stesse) le quali avrebbero convocato nel centro religioso del Fanum Voltumnae presso Volsinii (Orvieto? Bolsena?) il concilium Etruriae. Ma i legami federali dovettero essere sempre assai labili. Per notizie sulle città principali della dodecapoli etrusca si vedano le singole voci: arezzo, cerveteri, cortona, fiesole, perugia, populonia, roselle, tarquinia, veio, vetulonia, volsinii (e bolsena), volterra, vulci. Va considerata a parte, storicamente, linguisticamente e artisticamente, la regione etruschizzata che aveva come centro Falerii (v. falisca, civiltà).
4. Caratteri generali: Arte e Artigianato. - La differenza fra arte e artigianato, abituale nella civiltà moderna (dove l'artigianato si è sempre più meccanizzato e l'arte è stata intesa, dal Romanticismo in poi, come puro momento lirico ed espressione personale) non esiste nella società antica, almeno fino a quando non si giunge in essa a un processo di diffusa intellettualizzazione, che in Grecia prese le mosse dalla sofistica (v. greca, arte) e in altre regioni non ebbe mai luogo. L'arte e. non è giunta mai a questo stadio e in essa non troviamo elementi per riconoscervi problemi formali che appaiano posti anche in sede teorica, tanto l'arte e. si dimostra chiaramente frutto o di imitazione di forme nate altrove o di improvvisazione più o meno felice. L'arte e. mantiene pertanto, durante tutto il suo corso, il carattere di un artigianato, talvolta abilissimo, talaltra meno abile, qualche volta rozzo addirittura, dal quale possono emergere, ed emergono, personalità artistiche originali, ma che più sovente, affidandosi a una spontanea e diffusa felicità espressiva, risente in modo particolarissimo di influenze esterne, di fluttuazioni del gusto, nonché delle vicende che influiscono sulla situazione economica della categoria consumatrice di oggetti artistici. Essa ha quindi un percorso particolarmente ineguale, dove a rapidi aggiornamenti e talora estrose soluzioni originali possono seguire lunghi attardamenti in formule altrove superate, e ottusità ripetute. Ciò contrasta in modo particolare con lo svolgimento storicamente ed esteticamente concatenato ed organico dell'arte greca, dove fantasia e ragione si equilibrano sempre, e con il superamento, in quella civiltà artistica, delle condizioni artigianesche. Questo particolare aspetto artigiano dell'arte e. rende spesso incerta una datazione e un inquadramento della singola opera, che si tenti di raggiungere in base al solo criterio stilistico. Ne consegue anche che le opere più originali si trovano, appunto, nelle suppellettili di carattere artigiano (candelabri, ciste, specchi incisi; v. le singole voci). Bisogna anche tener conto, però, che dell'arte e. le opere statuarie esistenti nei templi e negli edifici pubblici sono andate distrutte (già in antico in seguito ai saccheggi romani), e che la enorme maggioranza di quanto ci rimane, essendo oggetti legati alle suppellettili funerarie, accentua in modo particolare l'aspetto artigianesco della produzione etrusca. Specialmente nei secoli dell'arcaismo, al tempo della maggiore potenza economica etrusca, il materiale artistico restituito dalle necropoli presenta nettamente l'aspetto di una produzione artigiana destinata a una élite aristocratica, la cui potenzialità di acquisto si era andata elevando rapidamente e in misura eccezionale. Ristrettasi poi l'Etruria in se stessa, nei confini storicamente noti, decaduto il suo commercio marittimo e divenuta una nazione italica dedita all'agricoltura e agli scambi interni, anche l'arte si farà più paesana, più rustica, e pur distinguendosi sempre per certi suoi caratteri formali particolari, diverrà uno dei dialetti artistici dell'artigianato ellenistico preromano dell'Italia peninsulare, che troveranno continuazione nella corrente "popolare" dell'arte di età romana (v. romana, arte). A questa fondamentale vicenda sociale è legato anche il fatto che nell'arte e. si possono delimitare due periodi di maggior fioritura, l'uno che può datarsi fra 550 e 460, l'altro fra 225 e circa il 100 a. C.
Va tenuto presente, per le sue conseguenze iconografiche e stilistiche, il fatto che la grandissima maggioranza dei vasi greci che ci sono conservati provengono dall'Etruria. Fabbricati in Grecia nelle varie officine (v. ceramica; attici, vasi; corinzi, vasi; protocorinzi, vasi) essi venivano importati in Etruria come merce di lusso e come oggetti di pregio collocati nelle tombe dove, essendo queste in genere a forma di ipogeo praticabile (v. più avanti e voce tomba; monumento funebre) si sono conservati spesso integralmente, mentre ciò non è avvenuto in Grecia stessa. La decadenza del commercio etrusco, e quindi del potere di acquisto, e il sorgere di fabbriche locali, soprattutto nell'Itaha. meridionale (v. àpuli, vasi; campani, vasi) posero fine a tale importazione. Fino al 1839 si era discusso se i vasi dipinti a figure nere o a figure rosse trovati nelle necropoli dell'Etruria fossero di fabbricazione locale o greca; in quell'anno il "rapporto vulcente" del Gerhardt (v.) risolse la questione nel senso ormai noto.
Cronologia e periodizzazione stilistica. - 5. Età Preistorica. - L'impostazione che oggi viene data (v. sopra, n. 2) al problema della formazione della civiltà e. in Italia rende necessario il tentativo di definire i caratteri artistici che affiorano nell'area etrusca a partire dall'Eneolitico. Accettando la maggior parte delle posizioni oggi in discussione come pure ipotesi di lavoro, si sta delineando come acquisito il fatto che nell'area italica, entro lo spazio di un migliaio e mezzo di anni, si svolgono contatti e influssi provenienti dall'occidente (area atlantico-iberica mediterranea) come dall'oriente (dall'area iranico-caucasica, attraverso i Balcani, i paesi danubiani e l'Adriatico) e dall'Europa centrale nordorientale, in discussione restando se si debba anche pensare a immigrazioni di gruppi etnici, in varie ondate (Pallottino). Si possono ad ogni modo fondamentalmente distinguere e circoscrivere due tendenze formali plastiche nella preistoria europea più recente, a partire dal Neolitico: una, che è stata detta dinamica, espressiva e anche, in certo senso, irrazionale e spontanea, propria di vaste aree sudorientali; e una statica, lineare, in certo modo più sorvegliata, ma anche più meccanica, propria delle aree settentrionali. Queste due tendenze appaiono già commiste nell'Eneolitico dell'Italia settentrionale (civiltà di Lagozza a S di Varese, circa 2200-1900 a. C.) e si ritiene di poterle riferire all'incrocio di forme puramente funzionali della ceramica (connesse con la civiltà atlantico-nordafricana diffusa sino al di là delle Alpi) con altre a tendenza espressiva, decorativa, di provenienza balcanica. Analogo incrocio si riscontra nella ceramica della civiltà detta di Remedello-Polada, dove si possono distinguere serie formali orientali (Balcani-Creta), occidentali (Spagna) e nordiche, parallele cronologicamente al Minoico Antico III (fino a circa 2000 a. C.). Questa civiltà la troviamo riflessa anche nell'area che poi sarà etrusca (Monte Bradoni a Volterra, Massa Marittima). Altre forme tipiche, assai più articolate, connesse con la civiltà di Almeria in Spagna (a sua volta connessa con quella Nilotica) si trovano penetrate in Sardegna e nelle coste liguri e toscane (Cagliari, Grotta di S. Bartolomeo; Lucca, Grotta dell'Onda). Da queste serie di forme eneolitiche si distinguono nell'Età del Bronzo quelle della cosiddetta civiltà "Appenninica" (v.) rivolta al versante adriatico e connessa con la ceramica decorata a nastro, tipica dei Balcani e della Tessaglia (v. bandkeramik). E da questa area (con particolare connessione, sembra, con l'area danubiana tipo Butmir, Vinča, ecc., v. danubiana, civiltà) che, attorno al 1700 a. C. penetrano nella civiltà "Appenninica" la spirale, il meandro e il gusto per le anse plasticamente modellate, che assumeranno per la prima volta anche aspetti animati (teste di toro). I fittili dell'area appenninica (che si estende da Taranto a Bologna) mostrano, in confronto con quelli dell'Italia settentrionale, questo gusto plastico marcato. Con gli elementi balcanici penetra in Italia una spinta alla plastica figurata (anse a teste animali, idoletti) che appare raffrenata dal contatto con l'elemento statico alpino e occidentale e misto a residui più antichi di tendenze policrome nella ceramica (v. italica, arte). Nuove tendenze formali, geometriche, con netto distacco tra le varie parti dei vasi e con un tipico gusto per gli ornamenti plastici a protuberanze e a scanalature penetrano in Italia con la 1a Età del Ferro (XI-X sec.), probabilmente non più solo per contatti e scambi commerciali, ma per vere e proprie migrazioni di elementi etnici, la cui punta meridionale sembrava segnata dalla necropoli di Timmari (Matera), ma che adesso sembra giungere anche sino a Milazzo (P. Griffo, in Atti Accad. Palermo, 1946). Le tendenze plastiche di questo strato permangono, rafforzate, nel VII sec., nella regione sabina e albana, da dove penetrano specialmente nell'agro falisco e nell'Etruria. Queste tendenze si trovano nella particolare facies della 1a e 2a Età del Ferro che è detta "villanoviana" (v.) accanto a forme e ornamentazioni direttamente connesse con le civiltà delle regioni N-E transadriatiche (v. hallstatt) e, nella seconda fase, con la sviluppatissima tecnica del metallo lavorato a sbalzo e a punzone, che si trova in Ungheria (motivi geometrici lineari, simboli solari e cerchi concentrici, anitrelle e uccelli di tipo palustre: v. il cinturone di Populonia in Not. Scavi, 1931, p. 199, fig. 3). Il geometrismo di provenienza illirica permane ancora in piena età e., e si arricchisce di nuovi elementi desunti dal geometrismo greco (v. geometrica, arte), come nella ceramica di Bisenzio (v.). Il costante accrescersi di elementi formali organici rappresenta il fenomeno più importante nello sviluppo artistico dell'età villanoviana. Gli elementi appenninici si mescolano con altri della civiltà di Hallstatt e con elementi penetrati attraverso la regione balcanica, nei quali si scorgono riflessi orientali e particolarmente iranico-mesopotamici (v. luristan), trasformati in modo popolare e artigianesco. Questi diversi impulsi creano un gusto che si manifesta in modo particolare nel compiacimento che trova al trapasso di forme anorganiche in forme organiche, cioè nel dare forme animali o umane al becco del vaso o all'ansa, o al piede e nell'inventare figure composite di elementi disparati (tipico un askòs del sepolcreto bolognese Benacci I, databile al IX sec., nel quale un corpo allusivo a forma animale di volatile termina con una bocca a testa bovina e viene sormontato da una figuretta sommaria di cavaliere munito di elmo e di scudo il cui cavallo risente, nella testa e nel collo, un'eco indiretta di forme tipiche per i bronzi del Luristan: v. vol. ii, fig. 191). Questo gusto particolare sopravvive e si arricchisce di invenzioni in piena epoca e. (v. il vasetto duplice della Tomba Regolini Galassi, voi. ii, fig. 311) e sta a fondamento delle forme antropomorfe assunte talora dagli ossuarî (v. canòpo). A questo elemento stilistico si è soliti dare il nome di "componente italica" dell'arte e., quando in essa prevarranno nettamente elementi orientalizzanti. Gusto e struttura di tale elemento vengono a costituirsi nell'Italia centrale nell'ambito della 1a Età del Ferro. Ma va tenuto presente quanto esso sia già a sua volta complesso e compòsito. Su questo fondo di tendenze espressive e figurative, latenti nello strato mediterraneo e già esplicite nelle progredite civiltà orientali, a contatto, in Italia, con le tendenze occidentali e nordiche verso un astratto linearismo, verrà a formarsi, con le particolari circostanze economiche sviluppatesi sulle coste toscane a partire dalla metà dell'VIlI sec. e con l'afflusso di oggetti importati dal bacino orientale del Mediterraneo prima, e poi dall'area greca e più particolarmente ionica e corinzia, quella che si chiama l'arte e. Essa manterrà sempre la tendenza alla forma fantastica, compòsita e fondamentalmente anorganica, in ciò più prossima al gusto dell'area celtica che di quella ellenica. Essa risentirà tuttavia, e in modo documentabile, del contatto diretto con la plastica arcaica di tipo greco sviluppatasi tra la fine del VII e la metà del VI sec. nel grande centro religioso della Foce del Sele (v.) e di Paestum. Tale contatto, finora non sufficientemente considerato nella storia dell'arte e., appare di importanza fondamentale.
Per queste sue origini, l'arte e. sarà fin dall'inizio, e si potrebbe dire costituzionalmente, ineguale e distinta in accenti regionali facilmente distinguibili entro le comuni concordanze e riceverà d'altra parte un'impronta che ha indotto taluno a definirla come la prima manifestazione dell'arte "europea occidentale", anche se è stato giustamente osservato, di contro a certe sopravalutazioni, che l'arte e. non ha avuto parte alcuna nelle varie rinascite dello antico, da quella carolingia a quella toscana.
6. Uno specchietto cronologico approssimativo per l'ultima fase preistorica e arcaica sino alla metà del sec. VI a. C. può essere proposto, allo stato attuale degli studî, nel modo seguente; ma bisogna sempre tener conto del fatto che la cronologia può oscillare sensibilmente da centro a centro anchè per prodotti che apparentemente appartengono allo stesso momento:
1200-900 a. C. Formazione dell'"italico" per commistione di elementi medio-europei con il precedente strato eneo e "appenninico". Nel Mediterraneo, oggetti di stile tardo-miceneo (close-style; dichter Stil). Dopo il 1100, stazioni di Pianello, Timmari; 1000-900, inizio della civiltà "villanoviana"; 1a Età del Ferro in Italia centrale; a Bologna, necropoli di S. Vitale Savena (925-850 a. C.). Stile protogeometrico I.
900-650. Civiltà "villanoviana" in Etruria e in Emilia, con prime importazioni da colonie greche dell'Italia meridionale. Stile protogeometrico II; Bologna: Benacci I (850-750); stile geometrico severo, maturo (Bologna, Benacci II, 750-675) e tardo. 1a facies tipica nell'Etruria meridionale costiera (Pallottino, St. Etr., xiii, 1939), che perdura sino a circa il 690 nell'Etruria settentrionale.
650-630. Contatti col protocorinzio e protoattico, Caere: To. Regolini Galassi, nicchia destra, circa 675 a. C.; To. Giulimondi I e II; Montarano (Falerii): To. xviii; Cuma: To. 103 bis; To. III; Siracusa 9: To. Fusco 219. Prime importazioni "orientalizzanti" dal bacino egeo; imitazioni locali con gusto geometrizzante. Caere: To. Regolini Galassi, cella; Chiusi: To. di Poggio Sala; Bisenzio: To. Bucacce X; Vetulonia: To. del Duce II e V; To. della Pietrera tumulo e fossa V, con sculture; tumulo dei lebeti.
630-610. Importazione di vasi paleocorinzi (brocca Chigi) e di oggetti dall'Oriente; imitazioni locali di motivi orientali con inquadratura geometrica. Caere: To. Regolini Galassi, anticamera e nicchia sinistra; To. del Tripode; Bologna: Arnoaldi I.
610-590. Oggetti in lamina di bronzo decorata a rilievo e loro imitazione in bucchero; oggetti di importazione "fenicia"; oreficerie a granulazione; importazione di vasi corinzi. Contatti con lo stile "dedalico" attardato dell'Italia meridionale e della Sicilia (Selinunte, tempio C). Caere: To. Regolini Galassi, III periferica; Vulci: To. di Iside; Vetulonia: To. della Pietrera fosse i, 2, 4; To. del Duce, IV; Marsiliana: circoli delle Fibule e degli Avori (tavoletta con alfabeto modello); Veio: To. dipinta Campana; Populonia: tumulo dei Rasoi; Chiusi: canòpo di Cancelli; To. della Pania con situla d'avorio con scena della fuga di Odisseo dall'antro del Ciclope. Castellina in Chianti; tumulo di Montecalvario con stipite in arenaria a testa di leone orientale e resti di bronzi laminati (v. eros). Allo stesso periodo appartengono i corredi delle To. Bernardini e Barberini di Palestrina (v.).
590-550. Continuano le importazioni dall'Oriente. Più frequente la scultura a tutto tondo, con influenza ionica nettamente individuabile a partire dal 550 (centauro di Vulci; frammento di guerriero con scudo gorgonico a Monaco; bronzi di Brolio. Chiusi: canòpi (attardamento "italico"); Falterona (v.): stipe di bronzetti; Bologna: Arnoaldi II (situla e vasi decorati a stampini). Dopo il 550 si ha la completa preminenza dei modelli dello stile arcaico greco e l'abbondantissima importazione di vasi dipinti: di fabbrica corinzia (sino al 550 circa) e attica (a partire dalle anfore "tirreniche", 575-550 a. C.).
7. Età arcaica: -a) periodo orientalizzante (circa 700-610 a. C.). - All'inizio del sec. VII a. C. i materiali archeologici rinvenuti in Etruria presentano tuttora elementi ornamentali geometrici, derivanti dalla imitazione del geometrico greco o, piuttosto dalle imitazioni che di questo si facevano nelle colonie greche dell'Italia meridionale. Si possono distinguere (Pallottino, St. Etr., xiii, 1939) sviluppi diversi nell'Etruria meridionale, con attardamenti nell'Etruria settentrionale, aspetti limitati alla fascia costiera tirrenica, sinché alla fine del secolo si trova una certa unità di sviluppo con la diffusione di un repertorio figurativo, la cui origine sta tutta nell'àmbito di quella tradizione "orientalizzante", cioè contesta di derivazioni da forme strutturali e ornamentali, che si era diffusa in tutto il Mediterraneo orientale e che si riflette, su terreno greco, poco dopo il 740 a. C., nella primitiva ceramica protocorinzia e, con maggiore varietà, nella ceramica delle isole dell'Egeo (v. cicladici, vasi) durante tutto il sec. VII, elaborando motivi che provano contatti con l'Asia Minore, la Siria, la Palestina. Tuttavia in Etruria appaiono anche elementi che sembrano di contatto diretto con l'area siro-hittita (stele a Bologna: L. Polacco, St. Etr., xxi, 1950-51, p. 59 ss.) e forme che si differenziano con evidenza da quelle delle officine elleniche per la commistione di elementi orientalizzanti con elementi "italici" (v. sopra, n. 2. e italica, arte), il che prova che accanto al commercio di oggetti importati si formarono officine locali, dove quei prodotti venivano imitati. La maggior ricchezza di materiali orientalizzanti nelle necropoli dei centri prossimi alla costa tirrenica conferma che da questi centri partiva l'attivo commercio dei prodotti minerarî (rame, ferro, probabilmente anche stagno e cinabro) ottenuti dalla catena metallifera toscana.
La diffusione del commercio marittimo etrusco è documentata per un'età abbastanza remota da spiegare per se stessa i contatti più varî desunti nel bacino orientale e centrale del Mediterraneo. Alla fine della cultura "villanoviana" appaiono in Etruria oggetti orientali e si possono documentare rappresentazioni di navi graffite o dipinte su vasi (R. Vighi, Rendic. Lincei, 1932). Il salto qualitativo tra la fase "villanoviana" e quella "orientalizzante" in Etruria è enorme, in quanto alle rustiche suppellettili sepolcrali si aggiungono e poi si sostituiscono elaborati preziosi per valore di metallo e raffinatezza di esecuzione. Pur tuttavia non si avverte una cesura, un mutamento del fondo culturale; ma soltanto un potere di acquisto enormemente accresciuto. Carattere tipico di questo periodo è che gli oggetti artistici e preziosi sono tutti oggetti di lusso e per lo più di uso personale (fibule, coppe, pettorali, armille, pettini e scatolette d'avorio, oggetti d'ambra [v.], ma anche calderoni di bronzo laminato, su tripodi, e loro imitazioni in terracotta). Dopo lunghe discussioni, gli studiosi più recenti si trovano d'accordo nel riconoscere che la grande massa degli oggetti orientalizzanti non è d'importazione, ma deve esser stata fabbricata in Etruria, da artigiani immigrati che danno vita a officine locali nelle quali i modelli originari vengono alterati, sia mescolando a motivi orientalizzanti motivi ancora geometrici (fibula a disco e pettorale, in oro, della Tomba Regolini Galassi, Vaticano, Museo Gregoriano), sia alterando le forme in modo da dar vita a una specie di "stile coloniale", come fu detto anche per altri analoghi prodotti (B. Schweitzer, Röm. Mitt., lxii, 1955, 83). Ma le stesse officine, non rinnovandosi i contatti diretti, conservano gli schemi dei primitivi. modelli molto più a lungo che non nei centri originarî. Le anse applicate, per esempio, a certi calderoni, in forma di uomini-uccello, imberbi o con volti incorniciati da barba calamistrata, sono di netto tipo urarteo (v. urartu, civiltà di); ma confrontati con esemplari trovati nella regione caucasica rivelano subito la loro forma approssimativa e subalterna. Le teste di grifo, che accompagnano tali calderoni, essendo già nell'originale versione più lineari e astratte, subiscono alterazioni minori, pur non raggiungendo mai la forza decorativa degli analoghi pezzi greci, trovati a Delfi, a Olimpia, a Perachora, ecc. e scadendo poi a forme del tutto approssimative nelle imitazioni fittili. Va tenuto presente che identica è la facies culturale che si riscontra nelle tombe di questo periodo in Etruria vera e propria e in quelle principesche e più ricche di Palestrina (Tomba Barberini, Museo di Villa Giulia; Tomba Bernardini, Museo Preistorico, Roma).
Da un punto di vista tipologico si può delimitare una prima fase, di trapasso dal gusto geometrico al prevalere delle iconografie di gusto orientale, che va, all'ingrosso, dal 700 al 610 a. C. Mancano dati cronologici della tradizione storica. La cronologia si basava essenzialmente sopra i vasetti di terra figulina chiara, decorati con elementi geometrici prima, "protocorinzi" dopo, che si ponevano in relazione con le date di fondazione delle colonie greche in Sicilia e in Italia meridionale. Riconosciuto che tali vasetti nella quasi totalità non sono originali, ma di imitazione locale, tutta la facies da essi caratterizzata è discesa dal 725-685 al 650-615 a. C. Altro indizio cronologico è dato dalla presenza di un vasetto di ceramica smaltata di tipo egiziano, recante il nome del faraone Bokorinéf (detto dai Greci Bocchoris) regnante tra 720 e 710 a. C. (XXIV dinastia; la datazione più alta 734-728 è stata abbandonata), tra la suppellettile di una tomba di Tarquinia (Tarquinia, Museo Nazionale). Ma rimane incerto quanto tempo dopo la fabbricazione il vasetto a forma di situla sia stato deposto nella tomba etrusca; e la non del tutto esclusa possibilità che il vaso fosse di imitazione fenicia anziché di diretta fabbricazione egiziana, renderebbe ancora più incerto il valore cronologico dell'oggetto giacché il nome del faraone non avrebbe che un valore ornamentale. Di nessun valore cronologico uno scarabeo col nome di Psammetico I (663-609 a. C.) o II (593-588 a. C.) che si conserva tra la suppellettile della "tomba di Iside" (Londra, British Museum) appartenente alla necropoli Polledrara di Vulci, dato che il materiale di questa tomba fu commisto ad altro erratico del commercio antiquario. Più indicativa la statuetta in calcare, della stessa tomba, nella quale la tipica forma schiacciata del cranio sembrava indicare relazione con la fase del "protodedàlico" greco (v. dedalo; greca, arte) il che avrebbe condotto a una data attorno al 680-670 a. C., che è quella della ceramica del proto-attico medio (v. ceramica; protoattici, vasi). Ma più recenti osservazioni pongono in evidenza la mancanza di un contatto con il vero dedàlico, ma solo con le sue tarde imitazioni in Italia, che possono datarsi attorno al 610-690.
Particolare menzione va fatta di due categorie di manufatti, che appaiono tipiche della produzione dell'artigianato artistico etrusco, e che compaiono in questo periodo assurgendo subito a grande perfezione tecnica, per poi decadere o scomparire alla fine dell'età arcaica: il vasellame di bucchero e le oreficerie decorate a granulazione (v. bucchero; granulazione).
b) Periodo di influenza ionica e attica (circa 6oo-400 a. C.). - Questo periodo, nel quale l'arte e. si trova sotto la prevalente influenza dell'arte greca, va distinto a sua volta in due fasi: l'una che va da circa il 600 a circa il 475 a. C., l'altra circa dal 475 al 400 a. C.
La prima fase coincide cronologicamente con l'arcaismo greco; ma se il 480-475 corrisponde in Attica al periodo susseguente alla vittoria nelle guerre persiane, che segnò l'inizio della democrazia e vide sorgere la eccezionale generazione che porterà, trent'anni dopo, alla piena classicità dell'arte di Fidia e di Policleto, per l'Etruria, invece, il 474 segna, con la sconfitta dinanzi a Cuma, l'inizio di un grave periodo di regresso economico e di involuzione. Perciò la seconda fase dell'arcaismo etrusco, successiva al 475, non rappresenta più un parallelo, sia pure attardato, con lo svolgimento artistico della Grecia, ma un attardamento privo sia di nuovi impulsi che di capacità coerente di sviluppo proprio e quindi difficilmente commensurabile nel tempo. Se è talvolta sicura la cronologia relativa dei singoli monumenti, non lo è mai quella assoluta, giacché le forme greche, una volta accolte, seguitano a circolare per un tempo difficilmente valutabile e variabile caso per caso. In generale, rispetto agli studî del precedente venticinquennio, si è giunti, anche qui, a un sensibile abbassamento nelle datazioni (v. più innanzi a proposito della Tomba dei Tori). L'attardamento e la stasi dell'arte e. nella seconda fase dell'arcaismo trova qualche giustificazione nelle vicende storiche, ma è in relazione al fatto fondamentale che alla vivace capacità di assimilazione e di imitazione di forme artistiche altrui non corrispose se non isolatamente, negli artefici etruschi, una capacità di porre e sviluppare un problema formale in modo consapevole e conseguente. La felicità di certe loro opere sta tutta in una freschezza di espressione realistica, che rompe sovente lo schema greco originario e che trova particolare modo di avvantaggiarsi nella modellazione della creta, sia per opere destinate a restare in terracotta, sia per quelle poi fuse in bronzo. Nella pietra, invece, la potenza espressiva si traduce in schemi più statici ed è tipica, per questo lato, la costante preferenza data alle pietre di facile lavorazione (tufi, arenarie) anziché ai marmi, pur abbondanti nella regione toscana.
La prima fase dell'arcaismo potrebbe a sua volta essere suddivisa in periodi entro i quali si possono collocare alcune opere caratteristiche. Purtroppo tali attribuzioni cronologiche si basano quasi esclusivamente su deduzioni stilistiche e non posano che raramente su concreti dati di fatto, giacché molti oggetti provengono dal caotico saccheggio delle necropoli etrusche compiuto nel corso del sec. XIX e altri provengono da scavi più regolari, ma non seguiti da adeguate relazioni scientifiche. Particolare risalto ha un complesso di bronzi laminati e decorati a rilievo databili al 540-500, provenienti da Castel S. Mariano, in Umbria (musei di Monaco e di Perugia) e in parte forse decoranti un carro da parata. (Un analogo complesso, ricostruito al Metropolitan Museum di New York non è sufficientemente chiarito nella sua reale consistenza). Una lamina dello stesso gusto, ma in argento e oro pallido, con Amazzoni (Londra, British Museum) mostra ancor maggiore accentuazione decorativa delle forme greche originarie. Un gruppo di tripodi (tripodi Loeb, museo di Monaco) lungamente discussi e attribuiti anche a fabbrica della Magna Grecia, sono oggi piuttosto sicuramente assegnati a officina di Caere (ma provengono anch'essi dall'Umbria, località Marsciano). Manufatti etruschi in bronzo di questo tempo, si trovano anche esportati nell'Europa centrale, specialmente in area celtica.
Verso il termine della prima fase, attorno al 500-490 a. C. va collocata l'attività dell'unica grande personalità artistica etrusca della quale sia possibile una definizione e che, inoltre, appare anche identificabile nella tradizione scritta pervenutaci, cioè Vulca (v.), il maestro della scuola di Veio, alla quale si possono attribuire le grandi statue fittili trovate nello scavo del tempio del Portonaccio a Veio (v.), l'Apollo, l'Eracle, lo Hermes, la statua femminile col bambino, e gli altri frammenti pertinenti alla decorazione architettonica (antefisse a maschera gorgònica, con testa di Acheloo ecc.). A Vulca o alla sua scuola erano attribuite dalla tradizione (Plin., Nat. hist., xxxv, 157; Plutarc., Poplic., ‛3) le statue in terracotta che ornavano il tempio di Giove Capitolino a Roma, il che corrisponde esattamente alle condizioni della civiltà artistica nella Roma dei Tarquini e dell'inizio della Repubblica. In queste terrecotte, l'abilità tecnica già notevolissima in altre opere fittili come il sarcofago di Cerveteri (Roma, Villa Giulia) con i coniugi sulla klìne (circa 510 a. C.) e il gusto per la linea elegante ed incisiva, già prevalente in quelle, si unisce a una forza espressiva alquanto barbarica, ma di grande efficacia. Il modello di ascendenza ionico-attica (piuttosto che solamente ionica, come è stato generalmente detto) che ha servito senza dubbio di spunto e di ispirazione è qui rivissuto con originalità ed acquista un impeto vitale nuovo, unito a un alto senso ornamentale e ritmico, che si accentua particolarmente nella figura femminile.
Rientrano in questa fase anche alcune pitture parietali di Tarquinia: la Tomba dei Tori con l'agguato di Achille a Troilo (datazioni proposte: 580 Poulsen; 550-510 Ducati, Weege; 530-520 Swindler; 520-510 De Wit; datazione più probabile, non prima del 530, Banti); la tomba degli Auguri (530-520; v. Tavola a colori) con scene crudeli di ludi funebri (v. phersu); la Tomba della Caccia e della Pesca (520-510) con largo tema paesistico e narrativo (v. Tavola a colori); la Tomba delle Baccanti e delle Leonesse (520-500) e la Tomba del Barone (510-500), quest'ultima così elegante e composta, da autorizzare, anche per le strette connessioni con i sarcofagi di Clazomene (v.) l'ipotesi che fosse opera di artista greco, anche se una più attenta analisi ha portato a riconoscerne le caratteristiche etrusche. Nella grande perdita della pittura antica, queste decorazioni tombali sono di grande importanza non solo per la storia dell'arte etrusca, ma anche, di riflesso, per quella dell'arte greca. Altre testimonianze pittoriche sono date dalle lastre di terracotta con figurazioni varie, che dovevano adornare l'interno di tombe (da Caere, una serie già Boccanera, al British Museum, databile circa al 550; una serie già Campana, al Louvre, 530-520; frammenti a Villa Giulia, circa 550-530 a. C.) o di edifici sacri (v. cerveteri e Tavola a colori, vol. ii, pag. 520).
Una categoria di monumenti che appare peculiare della regione di Chiusi e che ha inizio in questa fase per continuare nella successiva e anche oltre l'arcaismo, sono le statue in pietra tufacea (pietra fetida) destinate a contenere le ceneri del defunto in una cavità del torace alla quale fa da coperchio la testa. La connessione con i primitivi "canòpi" (v.), attraverso la fase degli ossuari metallici posti sopra un trono entro tombe a camera (tomba di Poggio Sala, nel museo di Chiusi) è evidente. Infatti la più antica di tali statue cinerarie (Palermo, Museo Nazionale) ha ancora la testa foggiata come un canòpo; poi si assimilano tipi di statue sedute di divinità femminili dell'arcaismo attico e tarantino (esemplare a Ny Carlsberg) e infine si compongono gruppi nei quali il defunto è rappresentato recumbente accanto alla sua donna o a un dèmone funerario (gruppi di Chianciano [v. chiusi] e di Città della Pieve, che però ha forma di sarcofago, al Museo Archeologico di Firenze). Stilisticamente e tecnicamente connessi a tali statue cinerarie sono dei cippi e delle urnette, nella stessa pietra e anch'essi provenienti dalle necropoli di Chiusi (v.), dove in rilievo assai basso sono raffigurate scene di convito, di danza, o di rito nuziale. Isolati sarcofagi del tipo a cassa lignea (Perugia, con scena di ritorno da una spedizione vittoriosa e Louvre con kòmos di satiri e mènadi) appartengono alle stesse officine.
Alla seconda fase dell'attardato arcaismo etrusco (475-400) sono da assegnare altre pitture di Tarquinia; la Tomba delle Bighe (circa 490), dei Leopardi (475-455), del Triclinio (470-460) prossima allo stile dei ceramografi ateniesi di Kleophrades (v.) e Brygos (v.) e le pitture delle tombe di Chiusi (Tomba della Scimmia, 480-470, e del Colle, circa 450). Alla fine del secolo, con stridenti attardamenti, va a collocarsi la Tomba della Nave di recentissima scoperta (1959).
Tra le decorazioni architettoniche in terracotta (v. più oltre Architettura) prendono un posto di particolare rilievo i frammenti, sin qui reperiti dagli scavi in corso, del tempio di Pyrgi (v.), il porto di Caere, distrutto dai Siracusani nel 384. Tali frammenti, stilisticamente databili al 480-470, sono particolarmente notevoli per la ardita impostazione spaziale delle figure. Altre notevoli terrecotte architettoniche provengono dal tempio in contrada Vignale a Civita Castellana (Museo di Villa Giulia); altre da uno dei due templi messi in luce ad Orvieto (v.), quelle del tempio di S. Leonardo, databili a circa il 420 a. C. Queste rappresentano uno dei massimi riflessi della classicità greca postfidiaca in Etruria. Se poi Orvieto è da identificarsi con Volsinii Veteres (e Volsinii Novi a Bolsena, v.) sarebbe da questa località che, secondo le fonti romane (Plin., Nat. hist., xxxiv, 7), al momento della conquista avvenuta nel 265, essendosi il patriziato volsiniense rivolto a Roma in aiuto contro una insurrezione servile, sarebbero state asportate duemila statue in bronzo. Anche la famosa Chimera proveniente da Arezzo (Firenze, Museo Archeologico), uno dei maggiori bronzi etruschi, che reca iscritta sul modello e quindi espressa in fusione, la dedica (tinscvil) al massimo dio etrusco, Tinia, corrispondente a Zeus, appartiene a questo tempo (circa 450-400 a. C.) e può essere confrontata nella testa leonina con la gronda del tempio di Himera in Sicilia. Il famoso lampadario di Cortona, invece, a sedici fiamme, con targhetta dedicatoria a Uni (la Iuno-Giunone), è un'opera composita e di gusto provinciale, che usa ancora schemi arcaici in età relativamente avanzata (v. lampada).
8. Età di mezzo (400 - 225 a. C.). - Diamo questo nome al periodo nel quale inizia e si compie la conquista delle città etrusche da parte di Roma (Veio, la più meridionale e prossima a Roma, secondo la tradizione cade nel 396; Luni, in territorio ligure, raggiunta oltrepassando verso N il territorio etrusco, cade nel 238), e con gli attacchi di Dionisio a Pyrgi (384 a. C.) all'Elba e alla Corsica, l'Etruria perde il dominio del mare. Anche se dapprima una resistenza etrusca agisce ancora sopra un piano internazionale, contro i Siracusani e contro i Cartaginesi, i contatti culturali col mondo greco si spezzano e si ha una evidente stasi e anche involuzione nel campo dell'arte, connessa anche con una minore potenzialità economica e quindi una minore attività artistica.
Se è vero (Dohrn) che già in Etruria, come poi nell'arte di età romana, anche se in modo diverso, si può distinguere un filone d'arte ufficiale da un filone d'arte "popolare", il primo più ellenizzante, l'altro più radicato nel gusto "italico", più rozzo, ma più spontaneamente efficace, non v'è dubbio che il filone "popolare" ha raggiunto per la prima volta i fastigi della ufficiale decorazione templare in questo tempo e a Orvieto, nelle terrecotte del Belvedere (Orvieto, museo; circa 350-340 a. C.) con l'impressionante figura di un non identificato eroe dalla testa barbuta e selvaggia, che si pone come una delle espressioni più genuine delle capacità e dei limiti di quest'arte, mentre in altre teste dello stesso complesso non si ha che una volgarizzazione dello schema ellenico. Il confronto con una testa di Tinia (Zeus), da un tempio di Civita Castellana Falerii Veteres (v.) che sta cronologicamente all'inizio di questo periodo e nel quale si coglie un preciso riflesso fidiaco, può far misurare il divario fra le due correnti e il distacco fra due epoche storiche.
A questo periodo appartengono i migliori esemplari di sarcofagi in pietra, a cassa, generalmente con figura del defunto distesa o recumbente sopra il coperchio, caratteristici della necropoli di Tarquinia, ma diffusi anche altrove, e la cassa decorata da rilievi, per lo più ispirati a motivi di combattimento desunti dall'arte greca, in qualche caso decorata da pitture. Tra i primi è di particolare interesse il gruppo di sarcofagi provenienti dalla tomba della famiglia Parthunus (Tarquinia, museo; Herbig, Catalogo, nn. 105-107, 120-122) databile tra la fine del IV secolo e la prima metà del III sec. a. C., nel quale si notano alcuni pezzi di particolare vigoria plastica. Tra i secondi primeggia il sarcofago, anch'esso proveniente da Tarquinia (Firenze, Museo Archeologico) con scene dipinte di amazzonomachia (v. vol. i, Tavola a colori a p. 303) dove il disegno lineare è unito al chiaroscuro in un grado che rappresenta lo stadio di sviluppo della pittura greca nella prima metà del IV sec. (il sarcofago, generalmente dichiarato di alabastro risulta invece, all'esame petrografico, di marmo microasiatico. Tale constatazione potrebbe contribuire a confermare i dubbi sorti sull'attribuzione delle sue pitture all'arte e., attribuzione che tuttavia analitiche osservazioni sembrano affermare. Senza dubbio vi appare una conferma di rapporti con l'ambiente microasiatico e pontico, che già erano stati postulati per l'origine del tipo più diffuso di sarcofago a cassone derivante da prototipi in legno). Tra i sarcofagi qualitativamente più alti sono da rilevare in modo particolare due esemplari provenienti da Vulci, già conservati a Bomarzo e ora al museo di Boston, nei quali il coperchio ha l'insolita raffigurazione dei coniugi abbracciati sotto una coperta che ne vela le forme, mentre la cassa è decorata in un caso con la raffigurazione di un corteggio nuziale e nell'altro con scene di combattimento e di amazzonomachia dove sono ripetute, senza riuscire a collegarle tra loro in modo armonioso e organico, composizioni che sembrano desunte dal fregio del Partenone e dai fregi del Mausoleo di Alicarnasso. La datazione di questi pezzi non dovrebbe discendere oltre il 325 a. C. (secondo lo Herbig, non oltre il 350).
Un dato cronologico per fissare, anteriormente, le più recenti terrecotte templari di Falerii (Civita Castellana) che già risentono dell'ellenismo per quanto gli schemi di fondo siano ancora classici, è la distruzione della città nel 241 a. C.
9. Età ellenistica (225-30 a. C.). - L'arte e. aveva avuto un periodo di fioritura nell'età arcaica e specialmente nel periodo 560-460 circa a. C., quando era giunta a creare opere che, pur risentendo strettamente l'ispirazione desunta ogni volta da modelli greci, esprimevano un gusto proprio e rivelavano una straordinaria maestria tecnica di modellatori e di bronzisti, per cui senza dubbio l'arte e. si pone come la più autonoma delle civiltà artistiche fiorite entro il cerchio d'influenza ellènico. Adesso, in età ellenistica, e particolarmente dal 225 al 100 circa a. C., si può riconoscere un secondo, più breve, periodo di fioritura, che va, anch'esso, riecheggiando quasi di continuo i modi o ripetendo addirittura gli schemi iconografici dell'ellenismo; ma sovente con maggiore libertà e freschezza di prima, anche se spesso con notevole grossolanità e senza mai raggiungere una consapevole impostazione dei problemi formali nuovi. Le libertà strutturali, il pittoricismo e il realismo dell'arte ellenistica dovettero infatti essere particolarmente congeniali al gusto e., certo più che non le severe e calibrate forme dell'arcaismo. La sensibilità della forma quando giunge ad unguem (Plutarc., De profectibus in virt., 17) non era certo affare degli artefici etruschi; essi, particolarmente in questo tempo, si accontentano spesso di forme approssimative, rozze, ma ricercano sempre e raggiungono spesso l'effetto di creare una realtà vitale. Ciò accade soprattutto nella scultura funeraria, la più genuina. Nella plastica in terracotta che adorna gli edifici templari, si hanno, anche adesso, forme più ellenizzanti, con una preferenza per quelle che ricordano il pathos tipico dell'arte di Skopas (v.) e i modi usati per caratterizzarlo. Esemplari, in questo senso, alcune teste maschili e femminili, di piccole dimensioni, ma di solida plastica, provenienti da Arezzo (Firenze, Museo Archeologico), databili alla metà del II sec. a. C.
Caratteristica è, per questo tempo, la decorazione dei frontoni dei templi non più con statue, ma con altorilievi sempre in terracotta dipinta, come mostrano gli esempi di Talamone e di Luni (Firenze, Museo Archeologico). Il primo può esser posto in connessione con un tempio dedicato in memoria della battaglia vinta sui Galli nel 225 a. C., nel quale le antefisse ripetono ancora tipi dell'età precedente, ma il frontone con la rovina degli assalitori di Tebe (v. frontone) e i resti del fregio con Eteocle e Polinice, mostrano una composizione certamente ideata in ambiente etrusco, data la presenza di numerosi tipici dèmoni femminili alati (Lase), ma probabilmente derivata da una composizione pittorica non etrusca. Più ellenistici invece i frontoni di Luni, uno con strage dei Niobidi, altri due con scene mitologiche per i quali un probabile termine post quem è segnato dall'anno di deduzione della colonia romana, il 176 a. C. Altro vivace esempio di plastica influenzata dalla corrente asiana della scultura ellenistica del II sec. a. C. è dato dalla decorazione di un tempietto a Civita Alba nelle Marche (Bologna, Museo Civico) il cui fregio ha come soggetto il saccheggio di Delfi ad opera dei Galati (avvenuto nel 279 a. C.) e nel frontone il rinvenimento di Arianna ed il matrimonio con Diòniso (v. arianna). Queste opere plastiche mostrano come anche fuori dell'Etruria vera e propria giungesse l'attività delle officine artigiane etrusche; ma anche come, dopo la conquista romana, più che di arte e. vera e propria, sarebbe da parlare di arte provinciale ellenistica in Italia, giacché Apulia, Campania, Lazio ed Etruria non differiscono sostanzialmente tra loro, ma solo per accenti diversi di uno stesso linguaggio che perdura nell'Etruria e nel Lazio sino a che, nell'età di Silla, non verrà a distinguersi un particolare accento che potremo riconoscere come romano. Ma anche allora, e nel continuo afflusso di opere originali e di artisti dalla Grecia conquistata, anche a Roma la tradizione italica dell'ellenismo continuerà a sopravvivere come "corrente popolare" dell'arte romana (v. romana, arte) con le sue caratteristiche di preminenza data all'intento narrativo ed espressivo, più che a quello dell'equilibrio e della coerenza formale, e con la sua fondamentale e tipica insensibilità per la struttura organica dell'immagine naturalistica. Della corrente popolare romana i diretti precedenti si trovano nelle tarde urne etrusche di Perugia e di Volterra, che possono documentarsi sino in età augustea (una proposta fallita, di protrarne la datazione addirittura al I, II e III sec. d. C. dimostra in realtà, per il solo fatto della sua proponibilità, quanto coerente sia il filo conduttore che riallaccia la corrente popolare romana di età imperiale ai precedenti del provinciale ellenismo italico).
Sulla cronologia delle urne cinerarie e dei sarcofagi di età tarda, che esibiscono una serie notevole di bassorilievi in alabastro, marmo, nenfro, travertino e terracotta, di soggetto, per lo più, mitologico greco, regna ancora incertezza, aggravata dalla minore precisione cronologica con la quale possiamo ricostruire, in questo tempo, la stessa arte greca. I più recenti studî sembrano poter stabilire l'inizio della serie delle urne ellenistiche di Chiusi (v. eteocle) attorno alla metà del III sec. a. C.; ma il problema artistico dibattuto è, soprattutto, quello della recezione della rappresentazione illusionistica dello spazio e del rilievo paesistico. In un primo tempo (Weickert, Sieveking) si ritenne la conquista della rappresentazione spaziale un fatto autonomo nell'arte etrusco-italica e un diretto precedente della spazialità supposta dal Wickhoff quale caratteristica dell'arte romana. Ma poi, la riconosciuta necessità di abbassare la cronologia assegnata alle opere etrusche e la revisione delle tesi del Wickhoff hanno portato ad abbandonare queste posizioni. Lo stile italico fu riconosciuto essenzialmente lineare (Schober) e privo di una rigorosa problematica spaziale, pur avendo, proprio per la mancanza di una rigorosa problematica formale, certe possibilità di improvvisazione nel senso di una trasgressione della compatta forma classica, che potevano facilmente portare anche a libertà formali inattese, specialmente quando lo spunto derivasse da pitture ellenistiche, come è possibile documentare. La riprova sembra fornita dal fatto che la problematica spaziale non trova sviluppo nel tempo e che i rilievi più tardi delle urne volterrane, appaiono ispirati in massima parte al rilievo classicistico del tardo ellenismo, con prevalenza della composizione "in facciata" e con assonanze al fregio dell'Ecateo di Lagina in Asia Minore, databile attorno al 130 a. C., dove illusionismo ellenistico e corrente classicistica si incontrano.
Al II sec. appartengono anche grandi sarcofagi in terracotta violentemente policromati, fra i quali spiccano quelli di un sepolcreto della famiglia Seianti di Chiusi (Firenze, Museo Archeologico; Berlino, Musei Statali; Londra, British Museum). Una serie particolare, il cui centro di produzione sembra esser stato Tuscania, presenta una lavorazione estremamente sommaria, che finisce quasi per annullare le forme del corpo raffigurato sul coperchio e per decorare la cassa con emblemi realizzati anche con il solo contorno affondato plasticamente nel piano (il che provoca talora effetti plastici illusionistici) mentre l'attenzione è concentrata soltanto, e talora non senza efficacia di impressione, nella testa della figura del defunto, recumbente o giacente. Questo gruppo di sarcofagi fittili, che può essere datato con qualche approssimazione fra il 130 e il 50 a. C., trova qualche parentela nelle terrecotte di carattere votivo eseguite a stampo e poi ravvivate da ritocchi a mano e, originariamente, da policromia, che abbondano nei santuarî dell' Etruria meridionale e del Lazio. Si tratta per lo più di teste (e si mostra anche qui la tipica tendenza a concentrare l'attenzione formale su questa parte del corpo) e anche di busti.
Dopo il 100 a. C. è sovente difficile poter stabilire se certe caratteristiche di stile siano ancora da considerarsi etrusche o siano già romane: segno della formazione di uno stile locale, che rappresenta la particolare recezione del tardo ellenismo. Una speciale problematica sorge a questo punto a proposito di alcune di queste teste votive e in genere delle teste sulle figure del defunto poste sulle urne e sui sarcofagi; se siano ritratti individuali o generiche tipizzazioni (v. ritratto). Mentre in alcuni casi del tutto isolati le intenzioni ritrattistiche sono da riconoscersi, nella grandissima maggioranza si dovrà dare alle teste, anche fortemente caratterizzate, un significato generico, come dimostra, per esempio, la frequente ripetizione nelle urne volterrane del tipo virile di una troppo famosa urna in terracotta con due figure, uomo e donna, di età attempata, sovente citata come esempio tipico di ritratto etrusco. Anche la sovente affermata influenza di questa produzione sull'origine del tipico ritratto romano in età sillana va riconsiderata con cautela.
Un gruppo di ritratti in bronzo, di alta qualità artistica, che stanno, cronologicamente, tra la fine del III, la metà del Il e la fine di questo secolo, i cui pezzi salienti provengono da Roma (v. bruto), dal Sannio (v. bovianum), da Fiesole (Museo del Louvre, già Guadagni), più che rappresentare esemplarmente l'arte e. nelle sue caratteristiche, vanno valutati, a più matura considerazione, come prodotti della recezione italica della ritrattistica ellenistica, nella quale può includersi, non senza contatto con l'ambiente romano, la statua di Avle Metele, il noto Arringatore (Firenze, Museo Archeologico), per il quale una datazione al IV sec. a. C. poteva essere ancora seriamente discussa attorno al 1925, mentre oggi la datazione attorno al 100 a. C., comunemente accettata, appare da ulteriormente abbassarsi fra l'8o e il 70 a. C. (Schweitzer).
Per la pittura di età ellenistica, sono caratteristici esempî la Tomba degli Scudi (Tarquinia) con scene di banchetto di due coppie della famiglia dei Velcha, dipinte a rapide pennellate che intenzionalmente compongono toni e volumi (seconda metà del III sec. a. C.) riflettendo in modo artigianesco le più avanzate conquiste della pittura ellenistica, mentre la Tomba dell'Orco (Tarquinia), anch'essa dei Velcha, con scene dell'Oltretomba greco commiste alla demonologia etrusca, usa anche nella camera più recente (fine III-inizio II sec. a. C.) tuttora il segno di contorno e il chiaroscuro, insieme addirittura a richiami polignotei nel colorismo livido delle figure demoniache, segno dell'ispirazione cercata in modelli più antichi. Tale eclettismo dimostra una volta di più la mancanza di una impostazione autonoma dei problemi della forma artistica e il riecheggiamento più o meno intelligente di modelli esterni. Nella Tomba del Tifone (Tarquinia) l'uso del chiaroscuro accentua la plasticità ellenistica delle forme; ma una processione di figure bianco-vestite ha già accenni popolareschi, quali si trovano nella pittura romana del II-I sec. a. C. Recentemente è stata proposta una datazione al III sec., anziché al IV-III, anche per la cosiddetta Tomba François di Vulci (Roma, Collezione Torlonia) abbassamento di datazione che può esser accolto, per ora, solo come ipotesi di lavoro. Si hanno qui varie rappresentazioni: l'uccisione dei prigionieri troiani sulla tomba di Patroclo, ripresa da una composizione greca, che poteva essere ancora del IV sec.; episodî dell'epopea etrusca (liberazione di Celio Vibenna da parte di Mastarna e duelli fra eroi etruschi e romani, rumach, attestati nelle iscrizioni che accompagnano le scene). È da notarsi come, nella composizione della uccisione dei Troiani, le figure di divinità etrusche (dea Vanth), inserite dall'artista nella composizione, siano rese con i più tradizionali mezzi di un semplice contorno disegnativo, mentre le altre figure, derivate da una composizione di più complessa civiltà artistica, sono trattate a chiaroscuro con impasto di pennellate formanti corretti volumi. Vi è inoltre la raffigurazione del proprietario della tomba, Vel Satie, avvolto in una ricca veste dipinta a figure di danzatori armati, e accompagnato dal suo buffone nano che regge un falco: viva immagine della feudale aristocrazia etrusca, la quale, quando avrà ottenuta nell'89 a. C. la cittadinanza romana, cercherà e troverà le sue fortune a Roma, identificandosi completamente coi vincitori e abbandonando gli antichi centri di cultura etrusca alla loro rapida e totale decadenza provinciale.
Architettura. - I monumenti architettonici etruschi rimasti visibili sopra terra sono ben pochi; sia perché le città etrusche furono profondamente trasformate dalla occupazione romana e poi, salvo poche eccezioni, e non per le città maggiori, ebbero continuazione di vita in età medievale, sia perché gli edifici templari ebbero in Etruria strutture facilmente deperibili.
Le tombe e la casa. - Documenti notevoli per l'architettura e. sono le tombe e soprattutto l'interno di esse, organicamente connesse al concetto della tomba-abitazione del defunto (tombe a camera), nella quale si immaginava che il defunto, fosse esso deposto col rito dell'inumazione che prevale nella fase arcaica, o con quello dell'incinerazione, che prevale nell'età ellenistica, usufruisse, con una sua misteriosa presenza, degli arredi per il banchetto e dei cibi in essa deposti. Il tipo strutturale della tomba varia da luogo a luogo, a seconda della natura del terreno: se esso è compatto (tufaceo o roccioso), la tomba è scavata a formare uno o più ambienti, con soffitto che imita o un doppio spiovente con trave centrale, o lacunari intagliati come fossero in legno, o in altra imitazione dei mezzi di copertura usati nell'architettura reale. Ove il terreno esige una costruzione muraria, la copertura della camera, generalmente a pianta rettangolare o rotonda è, in età arcaica, a falsa vòlta composta di filari aggettanti uno sull'altro sino alla lastra di copertura, o a falsa cupola (thòlos). Sia nell'uno che nell'altro caso, la camera sepolcrale era sormontata da un tumulo di terra, leggermente conico, talora di grandi dimensioni, retto alla base da un anello di muratura o di roccia intagliata (Populonia, Cerveteri). Il tumulo costituiva l'architettura esterna del monumento funebre. Uno stesso tumulo poteva contenere più camere funerarie, anche di impianto non contemporaneo. Nel VII-VI sec. a. C. si hanno tombe a fossa al centro di un circolo di pietre poste verticalmente (Marsiliana, Vetulonia) o a corridoio (Tomba Regolini Galassi a Cerveteri). Ma la pianta fondamentale della tomba a camera, almeno dalla prima metà del VI sec. in poi, è costituita da un corridoio di accesso (dròmos), da un atrio a pianta quadrata o rettangolare e da una camera sepolcrale posta sull'asse mediano dell'atrio, nella quale erano deposte, su letti funebri conviviali, in sarcofagi di legno o di pietra, le salme dei fondatori della tomba. Tale pianta corrisponde a quella della casa romana e campana, ancora riscontrabile a Pompei (esempio: la Casa detta del Chirurgo, a Pompei, v. casa da confrontare con la pianta della Tomba dei Volunni a Perugia). Si ha infatti l'ingresso, l'atrio e il tablino o triclinio. Le fonti romane conoscono l'origine etrusca dell'atrio (atrium tuscanicum; Varro, Ling. Lat., v, 161; v. atrio); ma tale ambiente dovette essere proprio della casa patrizia (come è peculiare alla tomba patrizia), giacchè è assente dalle modeste abitazioni poste in luce a Vetulonia e a Marzabotto (v. casa). Nella tomba impiantata sullo schema anzidetto, le deposizioni successive a quella dei coniugi fondatori avvengono o in altre camere aperte sulle pareti laterali dell'atrio, o nell'atrio stesso. Nella fase più arcaica si hanno anche tombe circolari con pilastri centrali (tomba di Casal Marittimo, ricostruita nel Museo Archeologico di Firenze). In qualche caso il pilastro centrale sussiste anche senza avere funzioni statiche. Il tipo di tomba circolare ritorna anche in epoca tarda, quando prevale l'incinerazione e l'uso di piccole urne, insieme al tipo a camera rettangolare unica priva di corridoio di accesso e coperta con vòlta a botte (Tomba del Granduca presso Chiusi; ipogeo di S. Manno e tomba di Bettona presso Perugia).
Nelle necropoli della regione viterbese (v. bieda; castel d'asso; norchia) e a Sovana (v.) dove le colate vulcaniche dei Monti Cimini hanno formato degli altipiani solcati da profondi valloni di erosione a pareti quasi perpendicolari, si ha un tipo particolare di monumento sepolcrale intagliato nella roccia, a forma di dado (sormontato generalmente da un altare) con finta porta (il sepolcro vero e proprio, a camera, sta al disotto del dado) o di casa o di edicola o addirittura di tempio a colonne, con frontone triangolare (Castel d'Asso, Norchia) o a copertura piana (Tomba Ildebranda a Sovana). Mentre il tipo a dado inizia in età arcaica e continua sino in età ellenistica, il tipo a tempio appartiene solo a quest'ultima età. Per unità di misura usata e per la decorazione, questi edifici rupestri testimoniano lo stretto rapporto dell'architettura etrusca ellenistica con la Campania e l'Apulia, riproponendo quella tale unità che è stata riscontrata per la scultura. Nessuna di queste architetture, costruite o intagliate, palesa un precoce e autonomo uso dell'arco, che un tempo si era soliti riferire all'Etruria come elemento tipico e originario. Oggi possiamo affermare con certezza che la struttura dell'arco a cunei dovette essere stata introdotta in Etruria non prima del V sec. a. C., forse per mediazione corinzia, attraverso l'Adriatico, probabilmente dall'Acarnania. Ma tutto porta ad attribuire all'arco una più lontana origine mesopotamica o centro-asiatica. La cosiddetta "tanella di Pitagora", a Cortona, una tomba costruita con vòlta a cunei e lunette monolitiche, è opera tarda, forse addirittura del II sec. a. C. Gli archi nelle porte delle città (Falerii, Porta di Giove; Volterra, Porta all'Arco; Perugia, Porta Marzia; ecc.) sono tutti di età non anteriore al III sec. a. C. L'assimilazione tomba-casa ha portato anche, talora, come già nelle urne a capanna dell'età "villanoviana", a dare forma di casa a urne cinerarie (v. anche vol. ii, fig. 563).
Il tempio. - Il tempio etrusco conservò a lungo la struttura in legno, attestata dalla tradizione anche per la Grecia primitiva, con rivestimento di lastre fittili (antepagmenta) eseguite a stampo, decorate a rilievo e dipinte, e le proporzioni tozze e pesanti. Tali lastre di rivestimento, come la copertura del tetto con tegole e coppi decorati di antefissa (v.), nonché la decorazione del frontone con statue o rilievi, egualmente in terracotta, costituiscono una tradizione costante attraverso la storia dell'arte e., e una delle maggiori attività degli artefici etruschi. (Del resto, tale persistenza corrisponde alla tradizione secondo la quale l'imperatore Augusto si sarebbe compiaciuto di avere trovato Roma una città "di terracotta" e di lasciarla quale una città di marmo). L'edificio templare in legno e terracotta si ergeva però sopra un podio in muratura e anche tale caratteristica fu trasmessa al tempio romano. Essa risulta da una sovrapposizione della cella (naòs), di tipo greco, sulla terrazza augurale dalla quale si prendevano gli auspici secondo la etrusca disciplina (v. etrusca, disciplina; tempio; templum) e che prendeva nome di templum. Essa dovette talora avere anche la modesta forma di un recinto o di un peribolo con apertura sulla fronte (Bolsena, Poggio Casetta), che può aver influenzato la forma tipica del tempio e. a cella con alae. Un famoso passo di Vitruvio (iv, 7, i) ha per lungo tempo fatto ritenere che il tempio e. fosse tipicamente costituito di tre celle, dedicate a tre divinità diverse, come era il massimo tempio sul colle Capitolino a Roma, dedicato a Giove, Giunone e Minerva. In conseguenza, si cercò di ricostruire graficamente la pianta dei templi, dei quali gli scavi avevano messo in luce gli avanzi, come templi a tre celle. Ma i più recenti studî hanno dimostrato che il tipo normale del tempio e. era a una sola cella. Del resto, anche il passo di Servio, ad Aen., i, v. 422, non implicava affatto il tempio a tre celle, se mai il contrario: "I conoscitori della disciplina etrusca asseriscono che dai fondatori di città etrusche non erano ritenute città nel vero senso della parola gli abitati nei quali non fossero state dedicate e votate tre porte ed altrettanti templi di Giove, di Giunone, di Minerva". L'unica cella dovette però avere sovente un pronao continuato nelle alae, cioè in due ambulacri ai quali veniva ad appoggiarsi il colonnato laterale, che era così limitato alla fronte e a parte dei lati, senza proseguire anche nel lato posteriore, che appare generalmente tutto chiuso da una parete di fondo normale al podio. Il tempio viene quindi a formare un'architettura di facciata, e non una architettura che concepisca l'edificio come un volume cubico situato entro lo spazio, come il tempio greco. Da questo principio derivano poi anche conseguenze estetiche; ma la sua origine è rituale, perché il templum dell'auspicio esclude dall'osservazione la parte posteriore (la formula in Varro, De ling. Lat., vii, 8; Liv., i, 18, 6). Il pronao con le alae veniva a formare talora (come a Fiesole, nuovi scavi) un ambiente delimitato all'esterno dalle pareti continue fino alla fronte, e su questa dalle colonne. Di contro alla serie numerosa di templi etruschi a una sola cella, e dopo che anche per i templi di Cascia e di Orvieto, oltre che per quello di Veio, è stata messa in dubbio la tripartizione, non restano, come esempî di tempio tripartito se non quello di Ardea, troppo mal conservato per trarne una ricostruzione attendibile, e i templi dei capitolia di Roma, Terracina, Segni e Minturno (v. capitolium). Questa circostanza e la constatazione che il culto delle triadi non ebbe affatto in Etruria l'importanza che si credeva di potergli attribuire (U. Bianchi; L. Banti, St. Etr., xvii, 1943) porta alla conclusione che il tempio a tre celle non fu in Etruria, anteriormente alla conquista o alla influenza romana, il tipo originario e più diffuso, e che il suo diffondersi dovette essere collegato al culto romano della triade capitolina. Pertanto, anche il tempio a una cella con alae non può essere considerato, come era stato proposto, una riduzione del tempio a tre celle, ma deve aver avuto una diversa formazione, che appare già compiuta alla fine del VI sec. a. C. È da questo tipo che sorge il tipo a tre celle, probabilmente creato dagli architetti etruschi chiamati a Roma per erigere sul colle Capitolino il tempio alla triade di divinità che già era oggetto di culto sul colle Quirinale (Maetzke).
Il tipo di colonna con capitello dorico, echino e abaco, priva di scanalature e fornita di base (che nella colonna dorica è assente), la quale è nota come "colonna tuscanica", appare già in uso negli edifici sacri del periodo arcaico. Essa è da ritenersi, più che un'invenzione etrusca, una colonna pre-dorica diffusa nell'ambiente pre-ellenico. La colonna tuscanica è ancora in uso in epoca ellenistica (facciate rupestri di Norchia); ma si trovano usate anche: la colonna con scanalature separate da listelli come nella colonna ionica (a Vulci); la vera e propria colonna dorica (tomba a Bomarzo); la colonna con capitello a doppia serie di volute poste una sull'altra (Tomba dei Capitelli a Cerveteri); la colonna ionica (urne volterrane); il pilastro a volute, come nella Tomba dei Rilievi a Caere (v. cerveteri). Ma soprattutto, in età ellenistica, si diffonde la colonna completata da un capitello a volute oblique sorgenti dal basso, o a volute raccordate al listello superiore del capitello, caratterizzato inoltre da una corona di fogliame di forma molle, dalla quale sporgono teste umane di tipo patetico (Tuscania-Vulci, Tomba Campanari; Sovana, Tomba Ildebranda). Questo tipo di capitello, il cui esempio più antico (V sec.?) si trova in territorio di influenza punica (Nora) appare diffuso con priorità rispetto all'Etruria nella Magna Grecia (Padùla, prima metà del sec. IV; Lecce, ipogeo del IV-III sec.; Paestum, circa 275 a. C.; Taranto, edicole sepolcrali). Esso conferma che l'architettura del III e II sec. a. C. assume uniformità tipologica dalla Sicilia all'Etruria (Delbrück), con forme di derivazione dall'architettura ellenistica e sullo stesso grado di sviluppo di questa, tuttavia mescolando, per quanto riguarda l'Italia centrale (Etruria, Lazio) alle forme nuove anche forme tradizionali locali. Teste di analogo tipo "patetico", generalmente femminili, il cui simbolismo non è ben chiarito, decorano sovente, in epoca ellenistica tarda, la chiave di vòlta degli archi e talora anche le mensole situate all'imposto dell'arco (Volterra, Porta all'Arco) o nell'estradosso (Perugia, Porta Marzia), sia in edifici di grandi dimensioni, che in edifici tombali.
12. La città. - Le mura di cinta di città sono per lo più relativamente tarde, anche se mantengono la tecnica poligonale (v. cosa). Recenti saggi (1958-59) sembra che abbiano accertato per Roselle (v.) l'esistenza di un muro in mattoni crudi, anteriore agli inizî del sec. VI a. C., sul quale si sarebbe in tale epoca impostato il muro a grandi blocchi approssimativamente rettangolari.
Il poco che si conosce delle città etrusche mostra una pianta urbanistica irregolare (Vetulonia). Fa eccezione Marzabotto (v.), fondazione di tipo coloniale del IV sec. a. C., dove la pianta appare regolare (tipo ippodameo; v. ippodamo da mileto) con la via principale di eccezionale larghezza anche se confrontata con le coeve città greche. Solo recentemente si è iniziato lo scavo sistematico di due città etrusche sulle quali è avvenuto l'impianto romano, ma non più che in modo marginale quello medievale, Vulci e Roselle; sicché è lecito sperare qualche maggiore elemento di conoscenza dell'urbanistica etrusca.
Vicende degli studi. - Antichità etrusche sono sempre state rinvenute e osservate nella Toscana e nel Lazio, portando con sé favoleggiamenti di dèmoni, di re e di regine sepolte nei loro tesori. Ansedònia (v. cosa), coi suoi recessi sul mare, fa rima con demònia nel Dittamondo di Fazio degli Uberti (scritto fra il 1346 e 1367). Ma forse il più antico accenno concreto si ha in una poesia in onore di Corneto Tarquinia indirizzata al Filelfo nel 1454. Non molto dopo sappiamo di un ordine di sequestro da parte della Camera Pontificia del materiale rinvenuto in una tomba tarquiniese (Mercareccia?) al tempo di Innocenzo VIII (1482-1492); e il 1494 è la data graffita da un visitatore nella Tomba della Mula presso Quinto Fiorentino. Nel 1553 fu rinvenuta la Chimera di Arezzo (il cui attuale restauro della coda risale però al sec. XIX) e nel 1566, presso il Trasimeno, la statua dell'Arringatore (entrambi a Firenze, Museo Archeologico). La prima opera di intento erudito, dovuta allo scozzese Thomas Dempster, professore di diritto a Pisa, De Etruria Regali Libri Septem, fu redatta fra 1616 e 1619, ma stampata soltanto nel 1723-24 a Firenze (a cura di T. Coke e con le annotazioni di Filippo Buonarroti). Nel 1726 si costituì l'Accademia Etrusca di Cortona e si può dire che da allora inizi quella fase di studî e di erudite fantasticherie, alle quali il "mistero etrusco" si è facilmente prestato sino ad oggi, che va sotto il nome spregiativo di "Etruscheria" (v.). Da questa si distinsero poi le opere di G. Micali (Antichi Monumenti per servire all'opera intitolata L'Italia avanti il dominio dei Romani, Firenze 1810-1832), prima raccolta di materiale archeologico e topografico; e poi, con l'opera di K. O. Müller, Die Etrusker, Breslavia 1828 (rifatta da W. Deecke, Stoccarda 1877), si entra nella sistematica raccolta e nel vaglio filologico dei dati delle fonti. Nello stesso anno cade l'inizio della esplorazione della ricchissima necropoli di Vulci, facente parte del feudo di Canino appartenente al Principe Borghese. Seguono i rinvenimenti di tombe dipinte a Tarquinia (Tombe del Barone Kestner, delle Bighe o di Stackelberg, del Mare, 1827; del Triclinio, 1830, ecc.) e poi a Chiusi (Tomba del Colle, 1833). A Cerveteri la scoperta della ricca e antichissima Tomba Regolini Galassi (1838), nucleo fondamentale del nuovo Museo Vaticano che fu detto Etrusco Gregoriano. Da allora le necropoli dei centri maggiori vengono sottoposte a un vero e proprio saccheggio che, se ha ricolmato molti musei, in Italia e fuori, di vasi greci e di oggetti etruschi, ha sottratto alla osservazione scientifica una quantità di dati di fatto, che avrebbero grandemente aiutato la ricostruzione cronologica dell'arte etrusca.
La prima fase degli studî sistematici si può trovare rispecchiata nel piacevole libro del console G. Dennis, The Cities and Cemeteries of Etruria, Londra 1848, inteso come una guida al viaggiatore in Etruria. Una fase più avanzata è rappresentata nell'opera di A. N. de Vergers, L'Étrurie et les Étrusques ou dix ans de fouilles dans les Maremmes Toscanes, Parigi 1862-64. Segue una fase di raccolta dei dati materiali: il Corpus Inscriptionum Etruscarum (C. I. E.), iniziato nel 1893 dall'Accademia di Berlino; l'opera di O. Montelius, La Civilisation Primitive en Italie, Stoccolma 1896-1904; la raccolta degli specchi iniziata a cura di E. Gerhard nel 1841 viene portata a termine da A. Klügmann e G. Körte in cinque volumi nel 1896; analogamente quella di H. Brunn e G. Körte dei Rilievi delle urne etrusche, Roma 1870-1916, che solo recentemente ha trovato un complemento nella raccolta dei sarcofagi in pietra (R. Herbig, Die jungeretruskischen Steinsarkophage, Berlino 1952). Nello stesso tempo si costruiscono le principali ipotesi scientifiche sulla provenienza degli Etruschi, tema che assorbe per un certo tempo precipuamente l'attenzione degli studiosi (v. sopra, n. 2). Dal punto di vista storico-artistico un primo periodo si chiude con l'opera di J. Martha (1889).
L'arte e. in se stessa, e non solo come documento, ma nei suoi caratteri formali, condannata come barbara e impotente nella visione neoclassica del Winckelmann, o spregiata come parassitaria (Afterkunst) dagli archeologi del secolo successivo, non destò interesse positivo sino a tempi recenti. Tale interesse, acuito dal rinvenimento dell'Apollo di Veio (G. Q. Giglioli, 1916) che sfidava a un paragone fra arte e. e arte greca, ebbe un momento di particolare vivacità attorno agli anni 1925-30, quando l'arte e. parve più attuale dell'arte greca, nel momento dell'arte europea caratterizzato dalle esperienze dell'espressionismo (v.). Fu tentata allora una prima caratterizzazione dell'arte e. svincolata dai presupposti neoclassici (Della Seta, Anti, Bianchi Bandinelli, Albizzati) e fu pubblicata la Storia dell'Arte Etrusca di P. Ducati (1927), opera che risultò presto superata nella valutazione critica e nella attribuzione cronologica, ma che resta tuttora la più completa per raccolta di materiali. Di lì a poco iniziarono i tentativi di inserire l'arte e. in indagini di struttura e di riconoscere in essa aspetti fondamentali di un presunto gusto "mediterraneo" (Kaschnitz). Passato quel particolare momento culturale e riprese con metodo più cauto le ricerche linguistiche ed etnologiche (particolarmente da M. Pallottino), anche la valutazione dell'arte e. nel suo complesso ha poi trovato un più giusto equilibrio e un inquadramento storico che sembra più adeguato e non influenzabile da mode passeggere, quali furono ravvivate dalla grande mostra di arte e. tenuta in varie città europee nel 1955. Per quanto una serie notevolissima di problemi storico-artistici e cronologici restino ancora da chiarire, si sta delineando un disegno dell'arte e. più prossimo alla effettiva situazione che essa ebbe nel quadro storico della civiltà artistica dell'antichità: una situazione che rimase locale e priva di effettiva continuità dopo che vennero distrutte le anguste basi strutturali, sulle quali si reggeva in epoca tarda la civiltà etrusca e, di conseguenza, la sua produzione artistica.
Bibl.: Opere generali: C. O. Müller-W. Deecke, Die Etrusker, 2 voll., Stoccarda 1877; G. Dennis, The Cities and Cemeteries of Etruria, 2 voll., Londra 1883; G. Martha, L'art étrusque, Parigi 1889; S. Gsell, Fouilles de Vulci, Parigi 1891; O. Montelius, La civilisation primitive en Italie depuis l'introduction des métaux, Stoccolma, I, 1896, II, 1904; C. Hülsen-G. Körte, in Pauly-Wissowa, VI, 1909, c. 730, s. v. Etrusker; A. Grenier, Bologne villanovienne et étrusque, Parigi 1912; A. Solari, Topografia storica dell'Etruria, 3 voll., Pisa 1915-20; id., La vita pubblica e privata degli Etruschi, Firenze 1928 (2° ed. con appendice di Neppi Modona, 1931); P. Ducati, Etruria antica, 2 voll., Firenze 1925; id., Storia dell'arte etrusca, 2 voll., Firenze 1927; H. Mülenstein, Die Kunst d. Etrusker, Die Ursprünge, Berlino 1929; F. Messerschmidt, Die Nekropolen von Vulci, Berlino 1930; C. Anti, Il problema dell'arte italica, in Studi Etr., IV, 1930, p. 153 ss.; B. Nogara, Gli Etruschi e la loro civiltà, Milano 1934; G. Q. Giglioli, L'arte etrusca, Milano 1935; M. Pallottino, Gli Etruschi, Roma 1940; M. Renard, Initiation à l'étruscologie, Bruxelles 1941; J. Bradford, Etruria from the Air, in Antiquity, XXI, 1947, p. 74 ss.; M. Pallottino, Sul problema delle correlazioni artistiche tra Grecia ed Etruria, in La Parola del Passato, XIII, 1950, p. 5 ss.; id., Etruscologia, Milano 1950; id., Mostra dell'arte e della civiltà etrusca, Milano 1955; id., Introduzione alla civiltà degli Etruschi, in Historia, VI, 1957, p. i ss.; G. Kaschnitz-Weinberg, Italien, in Handb. d. Arch., IV, Monaco 1950, p. 312 ss.; P. J. Riis, An Introduction to Etruscan Art, Copenaghen 1953; P. E. Arias, Aspetti del problema della civiltà etrusca, in Sicul. Gymn., 1954, p. 155 ss.; R. Bloch, Gli Etruschi, Milano 1955; G. M. A. Richter, Ancient Italy, Ann Arbor, 1955; A. Frova, L'arte etrusca, Milano 1957; T. Dohrn, Grundzüge Etr. Kunst, Deutsche Beiträge z. Altertumswiss., 8, Baden Baden 1958.
Questione etrusca, Preistoria, Storia, Cronologia: a) L. Pareti, Le origini etrusche (Le leggende e i dati della scienza), Firenze 1926; W. Brandestein, Die Herkunft d. Etrusker, Lipsia 1937; P. Ducati, Le problème étrusque, Parigi 1938; M. Renard, La question étrusque, in L'antiquité classique, IX, 1940; P. E. Arias, Problemi sui Siculi e sugli Etruschi, Catania 1943; M. Pallottino, L'origine degli Etruschi, Roma 1947; G. de Beer, Sur l'origine des Étrusques, in La Revue des Arts, V, 1955, p. 139 ss.; R. Bloch, Le mystère étrusque, Parigi 1956; id., Le XVIIIe siècle et l'Etrurie, in Latomus, XVI, 1957, p. 128 ss.; G. Devoto, Gli Etruschi nel quadro dei popoli italici antichi, in Historia, VI, 1957, p. 23 ss.; L. Pareti, A proposito di una recente ipotesi sulle origini del popolo etrusco, in Studi Etr., XXXV, 1957, p. 573 ss.; G. Saeflund, Über der Ursprung der Etrusker, in Historia, VI, 1957, p. 10 ss. - b) D. Randall Mc Iver, Villanovians and Early Etruscans. A Study of the Early Iron Age in Italy, Oxford 1924; C. Schuchhardt, Die Etrusker als Altitalischen Volk, Sonderabdruck aus der Praehist. Zeitschrift, XVI, 1925; id., Alteuropa, Die Enwicklung seiner Kulturen und Völker, Berlino 1941; J. Sundwall, Zur Vorgeschichte Etruriens, in Acta Acad. Aboensis Humaniora, VIII 3, 1932, p. i ss.; G. Patroni, Preistoria d'Italia, Milano 1937; P. Barocelli, L'ultimo trentennio di studi paletnologici in Italia, in Bull. Paletn., N. S., V-VI, 1941-2, p. 3 ss.; K. R. Maxwell-Hyslop, Urartian Bronzes, in Etruscan Tombs, in Iraq, XVII, 1956, p. 150 ss. - c) F. S. Schachermayer, Etruskische Frühgeschichte, Berlino-Lipsia 1929; G. Buonamici, Fonti di storia etrusca, Firenze 1939; G. Devoto, Agli inizi della storia etrusca, in St. Etr., XIX, 1946-7, p. 285 ss.; D. B. Harden, Italic and Etr. Finds in Britain, in Atti I° Congr. Preist. e Protostoria, 1950, p. 315 ss.; E. Colozier, Les Étrusques et Carthage, in Mél. Arch. Hist., XLV, 1953, p. 63 ss.; J. Bayet, Étrusques et Italiques: position de quelques problèmes, in St. Etr., XXIV, 1955-6, p. 3 ss.; S. Mazzarino, Sociologia del mondo etrusco, in Historia, VI, 1957, p. 98 ss. - d) G. Körte, Wondgemälde aus Vulci: Document z. röm. Königsgeschichte, in Jahrbuch, XII, 1897, p. 57 ss.; N. Aberg, Bronzezeitliche und früheisenzeitliche Chronologie, in Mnemosyne, III, 1936, p. 181 ss.; M. Pallottino, Sulle facies culturali arcaiche dell'Etruria, in St. Etr., XIII, 1930, p. 85 ss.; id., Appunti di protostoria etrusca e latina, in St. Etr., XIV, 1940, p. 27 ss.; id., Nuovi orientamenti sulla cronologia dell'Etruria protostorica, in Rend. Pont. Acc., XXII, 1946-7, p. 31 ss.; A. Akerstrom, Der geometrische Stil in Italien, Lund-Lipsia 1943; L. Pareti, La tomba Regolini-Galassi del Museo Gregoriano Etrusco e la civiltà dell'Italia centrale nel VII sec. a. C., Città del Vaticano 1947; C. Hopkins, Oriental Evidence for Early Etr. Chronology, in Berytus, XI, 1955, p. 75 ss.
Scultura: H. Brunn-G. Körte, I rilievi delle urne etrusche, 3 voll., Roma 1870-1916; E. Petersen, Bronzen von Perugia, in Röm. Mitt., IX, 1894, p. 253 ss.; A. Furtwängler, Carri in bronzo di Monteleone e S. Mariano, in Brunn-Brunckmann, 586-7 e 588-9; P. Ducati, Le pietre funerarie felsinee, in Monum. Ant. Lincei, XX, 1911, c. 357 ss.; C. Albizzati, Ritratti etr. arcaici, in Atti Pont. Acc., XIV, 1920,p. 149 ss.; C. Anti, L'Apollo che cammina, in Boll. d'Arte, 1920, p. 73 ss.; A. Della Seta, Antica arte etrusca, in Dedalo, I, 1921, p. 559 ss.; id., Italia Antica, Bergamo 1928, p. 62 ss.; E. Douglas v. Buren, Figurative Terracotta Revetments in Etruria and Latium, Londra 1921; G. Libertini, Decorazione fittile di un tempio sul colle di Telamonaccio, Dissert. Pont. Acc., S. II, XV, 1921, p. 137 ss.; W. Hausenstein, Die Bildnerei der Etrusker, Auswahl und Nachwort, Monaco 1922; R. 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Scerrato, Considerazioni sul carro di Monteleone di Spoleto, in Arch. Class., VII, 1956, p. 163 ss.; M. Zuffa, I frontoni e il fregio di Civitalba, in Miscellanea Paribeni-Calderini, III, Milano 1956, p. 287 ss.; G. A. Mansuelli, Una stele felsinea di tradizione villanoviana, in Riv. Ist. Arch. St. Arte, V-VI, 1956-7, p. 1 ss.
Pittura: F. v. Stryk, Studien über die etr. Kammergräber, Dorpat 1910; F. Weege, Etruskische Malerei, Halle 1921; F. Poulsen, Etr. Tomb-Painting, Oxford 1922; F. Messerschmidt, Beiträge zur Chronologie d. Etr. Wandmalerei, I (Die arch. Zeit), Roma 1928; id., Probleme d. Etr. Malerei d. Hellenismus, in Jahrbuch, XLV, 1930, p. 62 ss.; J. de Wit, Die Vorritzungen der Etr. Grabmalerei, in Jahrbuch, XLIV, 1929, p. 42 ss.; M. Pallottino, "Partecipazione" e senso drammatico del mondo figurativo degli Etruschi, in Arti figurative, II, 1946, p. 149 ss.; E. Stefani, Una serie di lastre fittili dipinte del santuario etr. di Veio, in Arch. Class., III, 1951, p. 138 ss.; id., in Not. scavi, 1953, p. 29 ss.; M. Cagiano de Azevedo, Alcuni punti oscuri della nostra critica circa la pittura etr. del VI e V sec., in Arch. Class., II, 1950, p. 59 ss.; id., Il distacco delle pitture della "tomba delle bighe", in Boll. Ist. Centr. Restauro, I, 1950, p. 11 ss.; M. Pallottino, La peinture étrusque, Ginevra 1952; H. Leisiger, Malerei d. Etrusker, Zurigo-Stoccarda 1953; R. Bartoccini, Pitture Etrusche di Tarquinia, Milano 1955: id., La tomba delle Olimpiadi, Roma 1958; L. Banti, Problemi della pittura arcaica estrusco. La tomba dei Tori a Tarquinia, in St. Etr., XXIV, 1955-6, p. 143 ss. Nella serie dei monumenti della Pittura Antica scoperti in Italia: P. Ducati, Le pitture della Tomba delle Leonesse e dei Vasidipinti, 1937; P. Romanelli, Pitture della Tomba della Caccia e della Pesca, 1938; R. Bianchi Bandinelli, Le pitture delle tombe arcaiche a Chiusi, 1939; G. Becatti-F. Magi, Le Pitture delle Tombe degli Auguri e del Pulcinella, 1956.
Ceramica e artigianato: E. Gerhard, Etruskische Spiegel, 5 voll., Berlino 1840-1897; C. H. Chase, Three Bronzes Tripods Belongings to J. Loeb, in Amer. Journ. Arch., XII, 1908, p. 312 ss.; F. H. Marshall, Catalogue of the Jewellery in the British Museum, Londra 1911; J. D. Beazley, The Lewes House Coll. of Anc. Gems, Oxford 1920, p. 31 ss.; K. Neugebauer, Bronze Industrie von Vulci, in Jahrbuch (Arch. Anz.), XXXVIII-XXXIX, 1923-4, p. 302 ss.; R. Bianchi Bandinelli, La tombe dei Calinii Sepus, in St. Etr., II, 1928; G. M. A. Hanfmann, Studies in Etr. Bronze Reliefs, in The Art Bull., XIX, 1937, p. 463 ss.; G. A. Mansuelli, Gli specchi figurati etr., in Studi Etr., XIX, 1946, p. 9 ss. e XX, 1948-9, p. 59 ss.; J. D. Beazley, Etruscan Vase-Painting, Oxford 1947; id., The World of Etr. Mirror, in Journal Hell. Studies, LXIX-LXX, 1949-50, p. 1 ss.; G. Becatti, Oreficerie antiche, Roma 1955; L. Banti, Tyrrenika, in Atti Istit. Lombardo Sc. e Lett., 1957, p. 77 ss. (tripodi Loeb).
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