Vedi FENICIA, Arte dell'anno: 1960 - 1994
FENICIA, Arte
La valutazione dell'arte fiorita nella regione compresa tra l'Eufrate e il Mediterraneo orientale dal III al I millennio a. C. costituisce un problema i cui termini di ordine storico e stilistico devono ancora ricevere una adeguata chiarificazione.
Secondo un uso universalmente accettato, sogliono distinguersi in questa regione due aree culturali, entrambe gravitanti nell'orbita di culture artistiche straniere: l'area fenicia, comprendente le città della costa siro-libanese, l'isola di Cipro e la Palestina; e l'area definita genericamente siriana, estendentesi dal retroterra delle città costiere fino ai piedi del Tauro ed alla parte nord-occidentale della Mesopotamia. La prima di queste aree è strettamente legata alla civiltà egiziana, mentre la seconda è compresa nella zona di influenza culturale mesopotamica e, in parte, anatolica; entrambe presentano inoltre forti connessioni con le culture dell'Egeo, connessioni non chiaramente definibili attualmente, dato l'apriorismo delle posizioni assunte in genere dagli studiosi che hanno voluto risolvere, in un senso o nell'altro, il problema della priorità di determinate manifestazioni comuni al mondo greco e a quello asiatico. La bipartizione in arte f. e arte siriana, fondata su fattori geografici e su alcune caratteristiche proprie agli stessi monumenti figurati, nasconde in effetti una realtà assai più complessa e ricca di elementi contrastanti; pur rimandando all'esponente siriana, arte una trattazione generale del problema, che investe anche quello dell'arte hurrita, va rilevato fin d'ora che le continue interferenze tra queste arti ritenute diverse (interferenze che si rivelano non appena le singole opere vengano sottoposte ad un'approfondita analisi iconografica e stilistica) rendono in definitiva inadeguata e fittizia la scissione in due della cultura figurativa della Siria.
L'arte della Siria, pur nella molteplicità delle sue manifestazioni, presenta una caratteristica costante: la mancanza di una propria e coerente tradizione stilistica. Tale mancanza si rivela sia nella continua imitazione, più o meno pedissequa, di modelli stranieri (siano essi egiziani, egei, anatolici, mesopotamici: fattori storici e geografici stanno alla base di certe preferenze) sia nella persistente presenza di opere che denotano tentativi primordiali - mai coerentemente sviluppati - di esprimersi in un proprio linguaggio. Per questa ragione resta ancor oggi fondamentalmente valido il giudizio negativo sull'originalità dell'arte f., espresso più di un secolo fa dal de Vogüe ed epigrammaticamente formulato dal Perrot (la seule originalité de cet art, c'est de ne pas être original), nonostante le scoperte degli ultimi decénnl abbiano rivelato manifestazioni di tale arte di due millennî più antiche di quelle note alla fine del secolo scorso. La tesi del Dussaud, che non molto tempo addietro (1949) ha difeso l'originalità dell'arte f. del II millennio a. C., non può infatti essere accettata per essere essa fondata più su incerte premesse di ordine storico che su un'effettiva valutazione del fatto artistico.
È possibile cogliere alcuni caratteri generali del particolare gusto eclettico che sta alla base dell'arte fenicia. Le vicende storiche e i rapporti commerciali svolgono un ruolo preponderante nella determinazione dei motivi iconografici, stilistici e in genere della tipologia delle varie opere; così, ad esempio, la profonda impronta egiziana che si riscontra in tutta la produzione artistica di Biblo si spiega agevolmente con gli strettissimi rapporti che questa città ebbe con l'Egitto fin dall'inizio del III millennio, mentre le numerose opere micenee o di imitazione micenea trovate ad Ugarit sono dovute alla presenza di una colonia di commercianti micenei nella città. Ma al di là di queste cause, che dal punto di vista della storia della arte possono avere un'importanza assai limitata, vi è un'altra ragione, che investe in pieno il problema dell'arte f.: si tratta della constatazione, in genere poco rilevata, che ogni genere artistico presenta la specifica influenza della cultura dalla quale proviene. Perciò vediamo una fortissima influenza egiziana nella produzione degli avorî (oggetto assai poco diffuso in Mesopotamia) e viceversa una sensibile influenza mesopotamica nella glittica (il sigillo cilindrico, usato in Fenicia accanto a quello a timbro di tipo egiziano ma in maggior misura di questo, resta in Egitto limitato al periodo più antico); la ceramica ripete, quasi alla lettera, forme e tipi egei; gli oggetti metallici (statuette, armi e recipienti varî) si rifanno a prototipi iranici, anatolici o caucasici (le regioni in cui il bronzo veniva prodotto e lavorato). Solo l'architettura si differenzia da quella egiziana e da quella mesopotamica (pur accettando suggerimenti da entrambe), connettendosi invece con quella anatolica e cretese; ma resta tuttora aperto il problema dell'origine di questa architettura, che allo stato attuale sembra avere le sue manifestazioni più antiche in Anatolia (v. beycesultan). Superato, quando pure ciò avviene, lo stadio iniziale dell'imitazione grossolana, anche se talvolta eseguita con una notevole finezza ed abilità tecnica, si arriva ad una fusione più organica di elementi disparati, con il raggiungimento di un gradevole effetto di ordine coloristico o compositivo. Un buon decorativismo è dunque il massimo risultato a cui può giungere un'opera fenicia (e gli esempî del resto non mancano): commercianti in generi di lusso, i Fenici mostrano di essere, secondo la definizione del de Vogüé, ouvriers habiles plutôt qu'artistes créateurs.
L'arte f. nella regione siriana (per la produzione delle colonie v. Cipro; punica, arte; inoltre Palestina; siriana, arte) incomincia ad apparire nel III millennio a. C. a Biblo (v.). Per il periodo precedente Ugarit (v.) ha lasciato resti di ceramiche (dal IV alla fine del III millennio) appartenenti alle culture mesopotamiche di Tell Ḥalaf e di el-‛Ubaid (v. ceramica). Il netto prevalere dell'influenza egiziana si rivela a Biblo fin dalle opere più antiche. La pianta del tempio più antico (edificato su una necropoli eneolitica) ripete, adattandola ad esigenze locali, quella del tempio egiziano, mentre le numerosissime statuette di rame, alte pochi centimetri e trovate in giare all'interno del tempio (è incerto se si tratti di depositi di fondazione o di raccolte di oggetti votivi), presentano in maggioranza un'evidente ripetizione di motivi iconografici egiziani, pur nella loro rozza schematicità. Altre statuette, raffiguranti per lo più animali, sembrano invece prive di modelli stranieri.
Con l'inizio del II millennio si ha la più ricca documentazione di Biblo e di Ugarit; le due città, scavate negli ultimi decennî e ospitanti tuttora cantieri di scavo, ebbero nel II millennio la loro massima fioritura artistica, interrotta per Biblo dalla decadenza dell'Egitto e per Ugarit dalla distruzione della città ad opera dei Popoli del mare. Non numerosi, ma molto significativi per l'eterogeneità dei modelli seguiti, sono i resti architettonici di questo periodo. A Biblo viene ricostruito, intorno al 2000, il tempio precedente, andato distrutto; il nuovo edificio, mantenutosi fino all'epoca romana, consta di tre cortili successivi, ai quali segue un grande atrio lastricato; ai lati dell'ingresso principale, al quale si accede mediante una scalinata, si levano cinque statue colossali: tre figure sedute, raffiguranti divinità, e due in piedi, raffiguranti apparentemente faraoni; queste statue, di cui quattro molto mutile, appaiono di fattura molto rozza (ma originariamente erano forse rivestite di metallo); la tipologia e l'iconografia sono chiaramente egiziane. Un secondo tempio di Biblo, costruito su resti più antichi, e i tre templi di Ugarit presentano una pianta diversa: un cortile aperto, con un altare al centro, seguito da un secondo cortile, un po' rialzato, che doveva considerarsi il santuario vero e proprio. All'interno del tempio di Biblo si trovano una ventina di obelischi di varie dimensioni (da 8o cm a m 3,50). All'inizio della seconda metà del millennio risalgono altri monumenti architettonici di Ugarit; a parte i quartieri della città, di cui uno notevole per l'ampiezza e la pianta regolare delle case, vi è il palazzo reale, di grandiose proporzioni (non ancora completamente scavato) e simile ai palazzi, più antichi, di Alalakh, Mari e Beycesultan. Notevoli infine le tombe a vòlta, trovate ad Ugarit e nel vicino porto di Minet el-Beida; si tratta di una tipologia completamente estranea alla Siria e dovuta, con ogni probabilità, alla colonia micenea della città.
Tra le opere di scultura, s'incontrano dapprima altre piccole statuette a Biblo che ripetono il tipo di quelle del III millennio, senza mostrare alcuna evoluzione. Al XIX-XVIII sec. a. C. vanno datate alcune statuette metalliche (bronzo, argento) da Ugarit raffiguranti figure sedute o in piedi; all'estrema rozzezza di alcune si accompagna una certa accuratezza di lavorazione in altre. Tali statuette, che trovano riscontro in opere analoghe, alquanto posteriori, provenienti da altre città fenicie, dalla Siria e dalla Palestina, presentano strette analogie con opere anatoliche; a quest'ultima regione ci riportano del resto anche alcuni particolari iconografici, quali la tiara cilindrica di due figure femminili, e stilistici, come il trattamento dei visi a larghe superfici. Un gruppo, più recente, di bronzetti provenienti da varie località della Fenicia (e della Siria) permette di constatare un fenomeno che trova ampio riscontro anche in altre opere: il progressivo affermarsi dell'influenza artistica egiziana, anche in settori che precedentemente le erano preclusi o quasi, in concomitanza con la politica di espansione egiziana in Asia iniziata dai sovrani della XVIII dinastia (1570-1318 a. C.). Frequente è in questi bronzetti il tipo del cosiddetto Ba‛al (v.), derivato dalla figura del faraone in atto di uccidere i nemici, e le figure femminili munite di complessi copricapi di foggia egiziana. Questa nuova tendenza dell'arte f. si avverte particolarmente nella scultura in pietra: le stele di Ugarit e il sarcofago di Biblo, detto di Abiram dal nome di un sovrano locale che lo riadoperò verso il X sec. a. C. Nelle prime, motivi iconografici locali, come le figure divine di El (v.) e Ba‛cal o quelle di sovrani, vengono resi secondo una tipologia egiziana, che si riscontra anche nell'elegante schema compositivo della stele detta di "Ba‛al col fulmine", certamente la migliore della serie. Il sarcofago di Aḥiram, prototipo dei più tardi sarcofagi ciprioti, presenta sui quattro lati un rilievo figurato il cui esatto significato non è stato finora determinato, ma che sembra riferirsi alle onoranze funebri a un re defunto. Lo schema, di ispirazione egiziana, delle figure in fila dinanzi al sovrano seduto in trono ricompare anche su uno degli avorî di Megiddo (v.); questi, datati al XIV-XIII sec. a. C. press'a poco come il sarcofago (questa datazione è stata però sensibilmente abbassata dall'Albright), rappresentano solo una delle scuole fenicie di questo periodo; in essi la prevalente influenza egiziana si accompagna a quella micenea la quale, mentre predomina nel famoso pezzo di Minet el-Beida, è assente negli avorî del palazzo reale di Ugarit, di stile quasi totalmente egiziano.
Nel settore della lavorazione dei metalli, oltre alle statuette sopra ricordate, vanno ricordati un pugnale, con fodero, da Biblo ed una patera ed un piatto da Ugarit. Il primo, datato ai primi secoli del II millennio, è un notevole pezzo di intarsio metallico (tecnica che si riscontra anche nel continente greco), con iconografia egittizzante; i secondi, d'oro, possono considerarsi le più antiche manifestazioni (XV-XIV sec. a. C.) di quelle che sono state chiamate "coppe cipriote" (v. appresso). I due pezzi di Ugarit mostrano già l'eclettismo caratteristico della produzione fenicia del I millennio: la scena di caccia della patera e le figure di animali di questa e del piatto risentono degli schemi egeo-micenei (anche se è incerta l'area di origine del motivo della caccia col carro); le figure di cervidi ai lati della palmetta sacra richiamano motivi mesopotamici; le sfingi, infine, ci riportano ancora all'Egitto.
La ceramica del II millennio condivide caratteri egei (vasi di tipo miceneo, vasi antropoidi e teriomorfi come quelli di Ciprò) e siriani, che ripetono a loro volta motivi che si ritrovano nell'Egeo (come i vasi antropoidi); ma se è chiaro che la ceramica micenea veniva imitata in Asia (esempio evidente la "ceramica filistea" [v.] palestinese) non è possibile dare una patria a quella ceramica mista di elementi egei e siriani nota, tra l'altro, col nome di "mitannica" (v. siriana, arte). La glittica delle città fenicie appartiene al gruppo definito "siriano" dal Frankfort; in questo i motivi mesopotamici vengono imitati e parzialmente trasformati; oltre ai particolari iconografici (abiti, divinità, ecc.) questa glittica si distingue per una peculiare concezione dello spazio (la superficie viene divisa in varie scene, fittamente riempite con motivi decorativi) e per determinati schemi compositivi, come la ripetizione delle figure o la composizione araldica.
Il passaggio dal II al I millennio a. C. è segnato da una brusca interruzione nell'arte siriana; le distruzioni e gli sconvolgimenti politici causati dai Popoli del mare, la progressiva decadenza dell'Egitto e il sorgere della potenza assira mutano profondamente le condizioni in cui si sviluppa l'arte dei I millennio. Se l'intervallo tra la produzione del II e quella del I millennio sembra in realtà essere stato meno lungo di quanto alcuni studiosi, come il Frankfort, abbiano ritenuto, resta nondimeno il fatto che l'arte f. più recente si stacca sensibilmente da quella precedente, pur restando fedele ai suoi principî tradizionali. Assai poco nota è l'architettura dei primi secoli del millennio; le notizie più ampie sono quelle fornite dalla Bibbia a proposito del tempio di Salomone costruito da artigiani fenici (v. Ḥīrām). Resti di templi sono comunque attestati a Marathos (v.) e a Sidone (v.). Poco significativa è anche la scultura in pietra; una stele da Marathos, usualmente datata al I millennio (ma possibilmente più antica), ripete ancora il motivo delle stele di Ugarit con Ba‛al; di scarso rilievo sono una stele di Biblo, col re Yehaumilk dinanzi alla dea della città, ed una base votiva da Tripoli a forma di sfinge: opere tutte che si muovono nell'ambito di schemi o motivi egiziani, come le statuette raffiguranti il dio Bes e i sarcofagi antropoidi di Sidone. Freddamente decorativo è un leone da Biblo di epoca persiana.
L'aspetto più notevole dell'arte f. nel I millennio è costituito dagli avorî e dalle coppe metalliche. Gli avorî, trovati in varie città dell'Asia Anteriore (Nimrud, Arslan Taş, Samaria, Hama; v. i rispettivi esponenti), si differenziano molto da quelli dei secoli precedenti; solo elemento comune è la presenza di molti motivi di origine egiziana (motivi diversi, però, da quelli precedentemente attestati) accanto ad alcuni di origine egea. Rimandando agli esponenti relativi ai singoli gruppi una discussione stilistica più approfondita, si rileverà per il momento soltanto che la distinzione di questi avorî in alcuni di stile "fenicio" (gruppi di Samaria, Arslan Taş e "Layard" di quelli di Nimrud) e in altri di stile "siriano" (gruppo "Loftus" di Nimrud) non appare del tutto convincente, specialmente se, come fa il Barnett, si vuole attribuire il gruppo "siriano", che presenta motivi che si ritrovano nella scultura di Tell Ḥalaf (Kantor), ad una città aramaica, Hama. Anche qui, come in tutta l'arte della Siria, la bipartizione non risolve il problema delle diversità stilistiche le quali, come è stato già rilevato (Amandry), non sempre corrispondono alla divisione proposta; sarà perciò necessario ammettere, come per il II millennio, diverse scuole fenicie o, più esattamente, siriane, comprendendo in queste ultime anche le "fenicie". Le coppe cipro-fenicie, trovate tutte fuori della Fenicia (Nimrud, Cipro, Grecia, Etruria), erano probabilmente fabbricate tanto in Fenicia quanto a Cipro.
Il repertorio iconografico è fondamentalmente egittizzante, ma non mancano esempî (specie negli esemplari di Nimrud) di una grande libertà nel trattamento compositivo di questi motivi.
Con la fine dell'indipendenza delle città fenicie, sottoposte dall'Assiria nell'VIII sec. a. C., si assiste al rapido esaurimento dell'arte della Siria, che in seguito accetterà rapidamente l'ellenizzazione, ripetendo ancora una volta il processo di assorbimento di una cultura straniera.
(G. Garbini)
Coppe cipro-fenicie. - Nell'Odissea (iv, 71 ss.) quando Telemaco ammira i tesori di Menelao, questi gli racconta come siano il frutto delle sue lunghe navigazioni a Cipro, in Fenicia, in Egitto.
Ancora più che nelle arti maggiori è nella toreutica ed in quelle minori che è forte l'influenza dei Fenici specialmente a Cipro ove nell'8oo si era iniziata una colonizzazione fenicia nell'area di Kition. Cipro, che già in età micenea aveva avuto una ricca produzione nella metallotecnica (calderoni, tripodi) e nell'oreficeria (coppa emisferica d'argento da Enkomi: XIV sec. a. C., continua in Età Geometrica ed orientalizzante la fabbricazione di tali prodotti. È difficile a Cipro avere un'arte con proprî determinati caratteri, perchè l'isola è un importante centro commerciale e vi convergono molteplici influenze: assire, egiziane, siriane. Certo però nell'VIII sec. a. C. Cipro fu uno dei centri che risentì più profondamente dell'apporto fenicio specialmente per quello che riguardava la lavorazione del bronzo e dei metalli preziosi, sia dal punto di vista tecnico che per la tipologia delle forme e dei motivi. Vi è disaccordo sul problema delle origini e della cronologia delle coppe trovate a Cipro, ma ciò si spiega facilmente da un lato perché le coppe non presentano dei caratteri omogenei, dall'altro perché nel bacino orientale del Mediterraneo oltre Cipro vi sono diversi centri ai quali si possono attribuire le coppe. A parte però i ritrovamenti avvenuti nell'isola, che non sono certo determinanti perché potrebbe trattarsi di merci importate, basterebbe l'iscrizione in sillabario cipriota sulla coppa 4552 della Collezione Cesnola, incisa al momento della sua fabbricazione (perché è disposta in uno spazio riservato apposta tra i disegni) a dimostrare in modo inequivocabile come Cipro fosse un centro di tale produzione. Ammesso questo, dobbiamo però dire che è impossibile cercare un' origine comune a tutte le coppe, perché diverse sono le tendenze stilistiche che vi si esprimono.
Il Gjerstad ultimamente in base alla diversa tipologia ha classificato le coppe in 5 gruppi:
Proto-cipriote: coppa da Dali Coll. Cesnola n. 4561, coppa al Louvre e coppa d'argento Coll. Cesnola 4557; neocipriote: coppa d'argento Coll. Cesnola 4555, e coppa da Salamis al British Museum; cipro-egizie: Coll. Cesnola 4551, 4552, 4560 rispettivamente in oro, argento e bronzo; cipro-fenicie: coppe in argento da Amatunte, al British Museum, 2 da Dali al Louvre e 3 coppe Coll. Cesnola 4553, 4554, 4556; cipro-greche: coppa da Tamassos.
La sola nomenclatura rivela l'eclettismo di tendenze che si incrociavano a Cipro. Le tazze del gruppo protocipriota hanno zone con rappresentazioni di processioni, di banchetti ecc., che si svolgono intorno ad un medaglione centrale. Lo stile rude e vigoroso, simile a quello della scultura proto-cipriota, ed i singoli dettagli, ne confermano l'origine cipriota.
L'influenza fenicia, che non manca in questo gruppo, non disgiunta però da altre correnti egiziane e siriane, si fa più forte nel gruppo neo-cipriota che costituisce un ulteriore sviluppo del proto-cipriota al quale si riallaccia.
Le coppe cipro-fenicie sono chiamate così perché la decorazione mostra una combinazione di elementi assiri ed egiziani secondo una forma imitativa comune in Fenicia ed estranea a Cipro. Poiché finora non si sono trovate in Fenicia coppe di metallo incise di questo tipo e poiché per eleganza di tecnica e di esecuzione queste si differenziano da quelle più rustiche proto-cipriote, si può pensare ad artisti fenici risiedenti a Cipro. In alcune di queste coppe è portata al massimo sviluppo la composizione con movimento circolare e continuamentre in altre nasce e finisce poi per disintegrarsi uno stile a pannelli. Il medaglione centrale può consistere in una rosetta oppure essere diviso in due parti con la scena principale nella parte superiore. Sono trattati episodî di caccia, e vi sono rappresentati un demone alato che attacca un leone o un faraone che sottomette un gruppo di prigionieri, ecc. Accanto a questa la classe di influenza egiziana non mostra una linea di sviluppo nelle sue coppe, in quanto ognuna rappresenta una varietà a sé stante. Tra questa è la coppa d'oro Coll. Cesnola 4551 con rosetta al centro e due zone intorno decorate con papiri ed uccelli di tipo geometrico insieme con altri animali più naturalistici. Scene di uguale tipo con la stessa composizione a pannelli irregolari nelle altre coppe di bronzo. A questo gruppo appartiene la coppa con l'iscrizione cipriota sopra menzionata e questo fatto, unito ad alcune particolarità, che si ritrovano nella classe proto-cipriota, dimostra come questa combinazione di elementi egiziani e ciprioti debba essere avvenuta nell'isola stessa.
Al gruppo cipro-greco appartiene una ultima coppa trovata a Tamassos con un cavallino al centro, che si può confrontare con quelli attici dell'Acropoli attorno al 525 a. C. La striscia di cerchi concentrici intorno al cavallo lega questo esemplare con altri della categoria cipro-fenicia, dimostrando di essere opera cipriota.
Per la datazione di queste coppe non abbiamo nessun dato esterno; solo alcuni appigli cronologici vengono offerti dai vasi raffigurati nelle scene del gruppo proto-cipriota. I vasi del tipo più arcaico ci riportano alla fine dell'VIII sec. a. C., che si può considerare pertanto come la data iniziale di questa produzione che può avere suoi precedenti fuori dell'area cipriota (coppa d'oro di Ras Shamra, XIV sec. a. C., considerata dal Dussaud prototipo delle coppe posteriori) e continua per tutto il VII ed il VI sec. a. C. Gli esemplari di coppe trovate nelle tombe etrusche e laziali (v. palestrina) confermano tale cronologia. Un altro elemento di cronologia, se pure relativa, ci è offerto dall'ornato intorno alla scena figurata, che inizia con semplici motivi giustapposti per essere in un secondo stadio incorniciato da due righe (punteggiate nel cipro-fenicio) e poi disintegrarsi ed infine scomparire.
Le varie classi di coppe che abbiamo elencato segnano quindi delle divisioni stilistiche, non cronologiche.
La divisione del Gjerstad, anche se è viziata dal voluto parallelismo con le classi scultoree, mostra però l'eclettismo e la varietà di questa produzione, che nelle tre classi proto-cipriota, cipro-fenicia, cipro-egiziana si estende dalla fine dell'VIII alla fine del VII sec. a. C., mentre la neo-cipriota, e la cipro-greca sono un po' posteriori.
(P. Bocci)
Bibl.: G. Perrot - C. Chipiez, Histoire de l'art dans l'antiquité, III, Parigi 1885; M. de Vogüé, in Compt. rend. Acad. Inscr., 1895, pp. 249-50; P. Montet, Byblos et l'Égypte, Parigi 1928-29; C. F. A. Schaeffer, Ugaritica, I-III, Parigi 1939, 1949, 1956; P. Demargne, La Crète dédalique, Parigi 1947; H. J. Kantor, The Aegean and the Orient in the Second Millennium B. C., Bloomington 1947; G. Contenau, La civilisation phénicienne2, Parigi 1949; R. Dussaud, L'art phénicien du IIe millénaire, Parigi 1949; H. Th. Bossert, Altsyrien, Tubinga 1951; H. Frankfort, The Art and Architecture of the Ancient Orient, Harmondsworth 1954; W. F. Albright, Northeast-Mediterranean Dark Ages, in Studies Presented to H. Goldman, New York 1956, pp. 144-64 ss.
Scultura: E. Kukahn, Anthropoide Sarkophage in Beyrouth, Berlino 1955. - Avorî: C. Decamps de Mertzenfeld, Inventaire commenté des ivoires phéniciens et apparentés, Parigi 1954 (cfr. anche H. J. Kantor, in Journ. Near Eastern Stud., XV, 1956, pp. 153-74); R. D. Barnett, A Catalogue of the Nimrud Ivories, Londra 1957 (cfr. anche P. Amandry, in Revue d'Assyriologie, LII, 1958, pp. 226-32). - Glittica: G. Contenau, La glyptique syro-hittite, Parigi 1922; H. Frankfort, Cylinder Seals, Londra 1939. - Coppe cipriote: E. Gjerstad, Decorated Metal Bowls from Cyprus, in Opusc. Archaeol., IV, 1946, pp. 1-18, tav. I-XVI (con bibl. preced.); P. Demargne, in Rev. Ét. Gr., LXI, 1948, pp. 480-90; G. Becatti, Oreficerie antiche, Roma 1955, pp. 50-52 e 62. V. inoltre bibliografia relativa alle singole città.
(G. Garbini - P. Bocci)