Vedi FENICIA, Arte dell'anno: 1960 - 1994
FENICIA, Arte (v. vol. III, p. 616)
Nel corso degli ultimi decenni la ricerca scientifica ha intenzionalmente cercato di delimitare il quadro della civiltà fenicia, sia sul piano geografico che nei termini cronologici. Ne consegue che lo studio della specificità culturale della regione del Vicino Oriente abitata dai Fenici - in rapporto a quella delle civiltà semitiche a essa contigue - è divenuto uno degli assi prioritari della ricerca.
Pur tenendo conto delle epoche, più arretrate nel tempo, di «formazione» (oggetto dell'archeologia siro-palestinese e degli studi ugaritici), d'ora in avanti saranno i limiti cronologici delle successive fasi dell'Età del Ferro (c.a 1200-330 a.C.) a costituire il quadro entro cui si colloca la storia dell'arte fenicia. Ciò non toglie che tale quadro offra la possibilità di approfondire lo studio delle somiglianze, o meglio, delle differenze tra l'arte locale e quella delle contemporanee culture dell'Oriente e dell'Occidente (il mondo punico).
Sul piano archeologico, la situazione politica del Libano, che della civiltà fenicia è la culla, ha pesantemente inciso su ogni potenziale progresso; e se il bilancio si presenta migliore, ciò è dovuto solo agli scavi «esterni» (Cipro e Israele). D'altra parte la pubblicazione di numerose antichità conservate in collezioni pubbliche o private, rimaste a lungo inedite, ha contribuito a compensare l'insufficiente apporto dell'archeologia. Ma entrambe queste fonti sono ben lungi dall'essere esaurite, per cui ogni tentativo di schematizzare le grandi tappe della storia dell'arte appare provvisorio e destinato a rimanere effimero. È per questo motivo che sembra preferibile soffermarsi piuttosto sulle principali tradizioni artistiche che hanno generato la cultura materiale dei Fenici d'Oriente.
Nel campo dell'architettura, il monumento più prestigioso rimane il Ma'abed di Amrit (a S di Tortosa, sulla costa meridionale della Siria). Dedicato forse a Melqart, il complesso, circondato da un porticato, comprende un vasto bacino al centro del quale sorge un naòs (fine VI-IV sec. a.C.). Come questo tempio, così anche le vicine due torri funerarie non trovano altri confronti in terra fenicia; del contemporaneo Tempio di Ešmun a Bostan eš-Šaykh, vicino a Sidone, è stato esplorato soltanto un settore assai ridotto, mentre quello di Umm el-'Amed, di età ellenistica, non trova posto in questa rassegna altro che per le reminiscenze dell'iconografia fenicia testimoniate da alcuni elementi architettonici e stele. In attesa della pubblicazione di altri santuari più modesti (p.es. quelli di Sarepta), è soprattutto a Cipro che si deve la migliore conoscenza dell'architettura fenicia, in virtù dello scavo di un grande tempio con costruzioni annesse, dedicato ad Astarte, e della scoperta di numerosi elementi di architettura sacra (stele-capitelli ḥatḥorici) o funeraria («nicchie» a bordo tripartito).
Tralasciando temporaneamente le opere di carattere funerario quali i sarcofagi, la conoscenza della scultura fenicia risulta in larga misura legata agli scavi nelle aree di culto. I tre principali complessi cultuali della Fenicia (Amrit, Umm el-'Amed e Bostan eš-Šaykh) contenevano statue di divinità (raffigurate stanti o più raramente sedute su troni fiancheggiati da sfingi) e di adoranti, nelle quali il più delle volte vengono a fondersi influssi ciprioti ed egizi e, solo più tardi, greci. Le prime due tendenze si avvertono anche in una serie di torsi maschili (Sarepta, Tiro), a loro volta prototipi di alcune statue dalla favissa di Amrit o dell'Occidente punico (Marsala). Un leone in basalto di Biblo infine è uno dei capolavori della scultura fenicia di età persiana. In questa stessa località è stato rinvenuto il più antico sarcofago fenicio, (re-)impiegato intorno al 1000 a.C. per l'inumazione del sovrano locale Aḥiram. La produzione dei sarcofagi antropoidi, al contrario, risale al V sec. a.C. ed è sostanzialmente opera di botteghe di Sidone: nuove scoperte di sarcofagi di questo tipo, esportati a Cipro e in Occidente, hanno recentemente arricchito le informazioni sull'argomento. A causa della mancata prosecuzione di scavi regolari nelle necropoli della Fenicia continentale, anche la conoscenza delle stele dipende da fonti esterne (v. punica, arte).
Per quanto riguarda la coroplastica f., possiamo formulare il seguente bilancio provvisorio. Sino alla fine dell'VIII sec. e, localmente, sino alla fine di quello successivo, i tipi più popolari sono costituiti da scene di genere (lavori domestici) o da soggetti religiosi (divinità con copricapo) modellati a mano. Degne di nota sono anche le rappresentazioni di una dea nuda che si comprime il seno (la c.d. Breast-Astarte), quasi sempre con il retro piatto, che daranno vita a una produzione più recente di «placche di Astarte»; su queste, negli esemplari di età persiana, la dea comparirà vestita. A partire dall'VIII sec., e sino all'avanzato periodo achemenide, le botteghe della Fenicia centrale e meridionale producono figurine di divinità femminili incinte, partorienti o allattanti, realizzate mediante stampi bivalvi. Le pettinature permettono di distinguere al loro interno una serie egittizzante e una serie orientale, cui corrispondono equivalenti figure maschili. A queste serie subentra quella delle adoranti, anch'esse prodotte in massa, di cui gli scavi non sistematici, sia terrestri che subacquei, effettuati nella regione di Tiro hanno restituito centinaia di esemplari. Altri due gruppi meritano di essere menzionati: le maschere (IX-VI sec. a.C.), la cui tipologia precorre quella degli esemplari punici, e infine alcune placche rettangolari a decorazione impressa che sembrerebbero costituire un'espressione della religiosità popolare intorno al V secolo. Un altro particolare aspetto del culto è attestato dai modelli di templi e di naìskoi in terracotta: è questa una tradizione che risale all'Età del Bronzo e che si mantiene sino agli inizi dell'età persiana.
Un'altra produzione artigianale in argilla, quella ceramica, non ha raggiunto un livello estetico sufficiente ad assicurarle un posto di rilievo in un rapido panorama della storia dell'arte locale. Oltre ai tipi a decorazione geometrica dipinta, ispirati a prototipi ciprioti, possiamo comunque ricordare il vasellame di lusso a ingubbiatura rossa, in cui la politura raggiunge, tra il IX e il VII sec., una padronanza tecnica senza confronti.
La lavorazione dei metalli è attestata da vari gruppi di materiale, tra cui numerose statuette di bronzo, di difficile classificazione a causa della mancanza di dati stratigrafici. Tra esse spiccano, sino all'età persiana, il tipo di tradizione millenaria del guerriero divinizzato (o del dio Rešef?), col braccio alzato come per lanciare un'arma, e alcune divinità femminili benedicenti, col palmo della mano aperto in direzione degli spettatori. Anche queste ultime sono a volte rappresentate sotto l'aspetto di guerrieri. Un'altra produzione tipica è quella degli incensieri in bronzo fuso, con fusto decorato da corolle floreali (a partire dal IX sec.). Numerose patere in bronzo e in metalli preziosi infine inaugurano, all'incirca nel medesimo periodo, una tradizione artistica destinata a sopravvivere, attraverso la mediazione di Cipro, negli ambienti orientalizzanti dell'Etruria. I fregi che le decorano sia all'esterno che all'interno, così come i medaglioni centrali, hanno per soggetto temi mitologici che ne fanno dei documenti preziosi per la conoscenza dell'iconografia fenicia. La tipologia dei gioielli fenici infine, attestati più nelle collezioni private che negli inventari di scavo o dei musei, è documentata soprattutto grazie ai ritrovamenti di Cartagine, della Spagna e della Sardegna. Ciò non toglie che i pochi esemplari provenienti dalla Fenicia continentale (Khalde, Sidone e Kamid el-Loz nella Beqā) illustrino l'adozione della tecnica del cesello, della granulazione e, più raramente, della filigrana, con risultati di alta perfezione.
Numerosi studi dedicati ai sigilli hanno migliorato il grado di valutazione dell'evolversi della glittica fenicia. La pubblicazione di numerosi sigilli iscritti non soltanto ha procurato dati di grande interesse sul piano onomastico e religioso, ma fornisce, con l'ausilio della paleografia, un parametro di datazione per numerosi sigilli anepigrafi. La classificazione cronologica di questi ultimi resta sempre di fatto molto problematica a causa della mancanza di qualsiasi indicazione sull'origine esatta dei pezzi da un lato, e per il carattere atemporale dello stile egittizzante che domina in essi dall'altro. Il problema si fa meno acuto a partire dalla fine del VI sec., in quanto, nonostante in tale periodo diminuisca il numero di sigilli iscritti, alcune indicazioni cronologiche vengono dagli elementi persiani e greci che, da questo momento in poi, fanno la loro comparsa nelle composizioni glittiche. Il criterio compositivo peraltro risulta in questo contesto spesso più indicativo di quello iconografico. In linea di massima la disposizione a registri della base incisa dei sigilli (IX-inizi VII sec.) lascia via via posto a composizioni simmetriche o singole] nelle quali il segmento inferiore del sigillo è riempito da un elemento che ricorda il segno geroglifico egizio nb (un cesto). A partire dal periodo persiano, a questa parte corrisponde un disco alato nel campo superiore dei sigilli. Sul piano tipologico infine è degno di nota l'abbandono quasi totale del tipo a cilindro, che si spiega con il successo del tipo ovale a stampo. A partire dal IX sec., scarabei e scaraboidi si rivelano di fatto i tipi più diffusi, dei quali i primi rimarranno comuni sino al IV secolo. Di gran lunga più effimera è la popolarità dei sigilli cubici, attestati soprattutto a Cipro (VIII-VI a.C.), come anche quella dei sigilli conici, il più delle volte modellati su prototipi achemenidi. Ricordiamo infine le impronte di sigillo, di tre tipi: impronte di matrici sulle pareti dei pìthoi (Vili sec. a.C.), bolli di anfore a decorazione animale o vegetale (X-IV sec. a.C.) e cretule (VIII-IV sec. a.C.). I motivi, d'ispirazione egiziana, orientale e successivamente greca, sono simili a quelli dell'iconografia delle coppe di metallo e degli avori.
Centinaia di oggetti da toletta e di culto, oltre che di lastrine per la decorazione del mobilio di lusso, ritrovati soprattutto nei palazzi assiri (Khorsābād, Nimrud, Arslan Taş), nelle città (Samaria) e nelle tombe di aree limitrofe (Salamina di Cipro) attestano la superiorità della tecnica fenicia della scultura e dell'incisione su avorio (v.) a partire dall'VIII sec. a.C. In attesa di una ripresa degli scavi, lo studio stilistico e iconografico permette sin d'ora di distinguere diverse officine, di cui almeno una produceva opere caratterizzate da uno stile «siro-fenicio». Numerosi artisti, operanti nel quadro di una tradizione di carattere fortemente egittizzante, sembrerebbero essere emigrati, poco prima del 700 a.C., in direzione dell'Occidente, dove i loro prodotti, attestati a Cipro e a Creta alla fine dell'VIII sec., e in Etruria a partire da quello successivo, ispirano a volte una produzione locale, in particolare a Cartagine e in Spagna (?) dal VII sec. in poi. Nel corso del medesimo periodo e agli inizi del secolo successivo le opere di una bottega considerata occidentale erano distribuite in un arco che dalla Spagna giungeva sino a Samo. Nella stessa Fenicia, un riflesso dell'egemonia persiana si coglie nello stile pseudo-achemenide di numerosi oggetti in avorio, il cui numero peraltro non è più così elevato come nell'«età d'oro» (VIII sec.).
Per quanto l'invenzione del vetro non spetti ai Fenici, l'arte vetraria occupa ben presto un posto considerevole nella loro produzione di articoli di lusso. Agli oggetti intagliati a freddo, di cui gli scavi di Nimrud in Assiria e di La Aliseda in Spagna hanno restituito alcuni esemplari, subentra, dal VI sec., una produzione abbondante di recipienti in vetro opaco, decorati con incrostazioni a striature, fabbricati mediante la tecnica del nucleo di sabbia o di argilla. Le centinaia di pendenti che raffigurano volti ghignanti o teste di animali costituiscono il contributo più originale da parte dei Fenici all'arte vetraria. Degna di nota infine la produzione di amuleti in faïence, quasi sempre ispirati a prototipi egiziani dai quali risultano assai difficilmente distinguibili.
Per concludere questa rassegna, un ultimo accenno deve essere dedicato alla numismatica fenicia. Le emissioni monetarie pre-alessandrine, battute nei centri costieri (Arados, Biblo, Sidone e Tiro), conservano ampie reminiscenze dell'iconografia più antica. Di conseguenza vi si incontrano ancora una volta le due tendenze costanti nell'arte locale, lo stile egittizzante e quello orientale. Ma, contrariamente a quanto si verifica in altri settori dell'arte, in questo caso è più raro che esse si fondano nel contesto di un'unica composizione.
Bibl.: In generale: S. Moscati, I Fenici e Cartagine, Torino 1972; J. Katzenstein, The History of Tyre, Gerusalemme 1973; A. Parrot, M. Chehab, S. Moscati, Les Phéniciens, Parigi 1975; G. E. Markoe, The Emergence of Phoenician Art, in BASOR, 279, 1990, pp. 13-26; Dictionnaire de la civilisation phénicienne et punique, Turnhout 1992. - Si vedano anche i volumi di J. Jidejian sulle città della Fenicia (Byblos through the Ages, Tyre..., Sidon..., Beirut..., Tripoli...) pubblicati a Beirut dal 1971 al 1980. Per uno status quaestionis ragionato si vedano inoltre i cataloghi delle mostre: Les Phéniciens et le monde méditerranéen, Bruxelles 1986 e I Fenici, Venezia 1988; così come gli atti dei congressi: Atti del I Congresso internazionale di studi fenici e punici, Roma 1979, I-III, Roma 1983 e Atti del II Congresso internazionale di studi fenici e punici, Roma 1987, I-III, Roma 1991 e Studia Phoenicia (I-X a partire dal 1983); si veda infine la rassegna bibliografica pubblicata sulla rivista: RStFen.
Architettura: S. Bondì, Un tipo di inquadramento architettonico fenicio, in Atti del I Convegno italiano sul Vicino Oriente Antico, Roma 1978, pp. 147-155; P. Wagner, Der ägyptische Einfluss auf die phönizische Architektur, Bonn 1980; M. Dunand, Ν. Saliby, Le temple d'Amrith dans la Pérée d'Aradus, Parigi 1985.
Scultura: E. Gubel, Art in Tyre..., in Studia Phoenicia, I, 1983, pp. 28-29 con riferimenti bibliografici; M. Delcor, Les trônes d'Astarté, in Atti del I Congresso ..., cit., pp. 777-788; M.-L. Buhl, Les sarcophages anthropoïdes phéniciens en dehors de la Phénicie, in ActaArch, LVIII, 1987, pp. 213-221.
Coroplastica: E. Gubel, art. cit., pp. 31-37; id., BAALIM II, in Syria, LXII, 1985, pp. 176-179; id., Une nouvelle représentation du culte de la Baalat Gebal?, in Studia Phoenicia, V, 1985, pp. 263-276; W. Culican, Opera Selecta, Göteborg 1986, pp. 265-280, 391-431) 437-444, 481-493.
Ceramica: W. Culican, op. cit., pp. 21-175; P. M. Bikai, The Phoenician Pottery of Cyprus, Nicosia 1987.
Metalli: H. Seeden, The Standing Armed Figurines in the Levant, Monaco 1980; G. Markoe, Phoenician Bronze and Silver Bowls from Cyprus and the Mediterranean, Berkeley-Los Angeles 1985; W. Culican, op.cit., pp. 177-194, 363-384, 495-515, 615-627; G. Falsone, Anath or Astarte?, in Studia Phoenicia, IV, 1986, pp. 53-76; e, per i confronti con l'Occidente: G. Quattrocchi Pisano, I gioielli fenici di Tharros nel Museo Nazionale di Cagliari, Roma 1974; ead., Jewellery, in R. D. Barnett, C. Mendleson (ed.), Tharros. A Catalogue of Material in the British Museum from Phoenician and Other Tombs at Tharros, Sardinia, Londra 1987, pp. 78-95.
Glittica: W. Culican, op. cit., pp. 195-264, 385-390, 467-479, 517-533; P. Bordreuil, Catalogue des sceaux ouest-sémitiques inscrits de la Bibliothèque Nationale, du Musée du Louvre et du Musée biblique de Bible et Terre Sainte, Parigi 1986, pp. 1-44; E. Gubel, 'Syro-Cypriote' Cubical Stamps: The Phoenician Connection, in Studia Phoenicia, V, 1987, pp. 195-224.
Avori: Ivories from Nimrud, I-V, Londra 1967-1986; I. J. Winter, Is There a South Syrian Style of Ivory Carving in the Early First Millennium B.C.?, in Iraq, XLIII, 1981, pp. 101-130; M. E. Aubet, Die westphönizischen Elfenbeine aus dem Gebiet des unteren Guadalquivir, in HambBeitrA, IX, 1982, pp. 15-70; R. D. Barnett, Ancient Ivories in the Middle East, Gerusalemme 1982, pp. 43-54 (con bibl. prec.).
Vetri: M. Seefried, Les pendentifs en verre sur noyau des pays de la Méditerranée antique, Roma 1982.
Amuleti: E. Acquaro, Amuleti egiziani e egittizzanti del Museo Nazionale di Cagliari, Roma 1977; G. Hölbl, Ägyptisches Kulturgut im phönikischen und punischen Sardinien, Leida 1986, pp. 79-163.
Numismatica: G. F. Hill, Catalogue of the Greek Coins of Phoenicia, Bologna 1965.