Vedi GIAPPONESE, Arte dell'anno: 1960 - 1994
GIAPPONESE, Arte
Le isole del Giappone hanno avuto sicuramente insediamenti umani sino dall'epoca del Pleistocene; è tuttavia soltanto in relazione col costituirsi dei centri culturali protostorici dell'Eurasia che prende sviluppo in esse una cultura ben definita, qualificabile nell'attrezzatura materiale come neolitica.
Civiltà Jōmon. - Detta Jōmon da un tipo di ceramica a "decorazione a corda" (v. cordicella, decorazione a) che la caratterizza, questa civiltà presenta una popolazione riunita in comunità ed in villaggi. Risorse economiche sono la caccia, la pesca e la raccolta. Ogni villaggio si compone d'un certo numero di capanne, a forma rettangolare od ellittica, parzialmente infossate nel terreno (tate-ana-gata). Tipi di abitazioni a livello del suolo (hirachi) si diffondono solo in un secondo tempo. In vicinanza delle capanne sono i depositi di scarico, costituiti da mucchi di conchiglie (kaizuka). Nell'area dell'abitato sono sistemate le sepolture; ed il defunto è inumato, a membra piegate, in fosse individuali.
Gli inizî di questa civiltà risalgono verosimilmente al IV millennio a. C. In base a studi recenti, essa costituirebbe il risultato di incrocio di due distinte culture continentali che raggiungerebbero il Giappone da S e da N. Quella che si introduce dal meridione pare la più antica. Diffusasi dapprima nella parte S-O dell'arcipelago, perviene da Kyūshū ad Honshū, fino al meridione del Kantō. È caratterizzata da una ceramica con vasellame a fondo acuminato, decorato a rotella, e da uno strumentario litico in cui spiccano punte di freccia in forma triangolare isoscele. La cultura, invece, che trova nella parte N-O dell'arcipelago la sua prima area d'espansione, e giunge quindi fino alla regione del Kanta, seppure non ha una ceramica sostanzialmente diversa nelle fogge appuntite del vasellame, ubbidisce tuttavia ad una ben altra concezione decorativa, che si esplica in un ornato inciso, od impresso col peristoma di conchiglie: mentre nello strumentario litico prevalgono utensili su scheggia e punte di freccia in forma pentagonale. L'attrezzatura materiale indurrebbe, dunque, a porla in relazione con le culture a ceramica a pettine dell'Eurasia settentrionale, cui si rifarebbe, secondo certi studiosi, anche una terza cultura, penetrata in Giappone attraverso la penisola coreana, e della quale si sarebbero individuate tracce nell'isola di Kyūshū. Dalla fusione di queste distinte tradizioni culturali pare essersi avuto il fondo comune della civiltà Jōmon. Perdurata per circa tremila anni, la sua area d'espansione, oltre a coprire tutto l'arcipelago giapponese, sconfina a N nella penisola di Sachalin, e a S fino alle isole Ryūkyū. I centri di maggiore sviluppo sono in Honshū, nel Kantō e nel Tōhoku.
Si è soliti distribuire l'evoluzione di questa civiltà in tre periodi: antico, medio e tardo Jōmon. Giustifica tale ripartizione il progressivo miglioramento dell'attrezzatura materiale ed in particolare della ceramica. Questa è sempre lavorata a mano ed è cotta ad una temperatura che oscilla fra i 400° e i 500° C. Materiali temperanti, mescolati all'argilla al fine di una maggiore consistenza, sono nei primi tempi le fibre vegetali; in seguito si preferiscono tipi di sabbia ad alto contenuto micaceo. La ceramica è solitamente monocroma fino ad età molto avanzata; varia tuttavia nei colori dell'argilla da periodo a periodo: prevalenza del rosso quando la cottura avviene ancora a fuoco libero; prevalenza del grigio e del nero quando entra in uso la fornace ed è impedito il processo di ossidazione.
Il vasellame più antico, attestato in Hokkaidō, Honshū e nel meridione di Kyūshū, si presenta con sagoma semplice a base acuminata o emisferica. In materia di decorazione ricorrono notevoli differenze fra una regione e l'altra: mentre in Hokkaidō e nel settentrione di Honshū prevale l'ornato inciso, puntato o impresso a conchiglie - che si caratterizza nel tipo Fukirizawa di Shimokita - nel Kantō predomina la tecnica a cordicella (yoriitomon) ed in Kyūshū l'impressione a rotella (oshigatamon).
Dopo questa fase iniziale, in parallelo col crescente prevalere di fogge vascolari a fondo piatto, l'ornamentazione assume maggiore uniformità. Lo stile settentrionale di Fukirizawa trova nelle località Tado e Mito del Kantō un tipo analogo di ornato inciso, puntato o impresso a conchiglie. In Kyūshū una tendenza analoga si rivela nello stile di Sobata, che compone motivi incisi a solcature parallele e a file di puntuazioni. Nel Kantō si afferma sin da ora una terza tecnica di decorazione: l'impressione a stecca o ad unghia (tsumegatamon), che rappresenta forse uno sviluppo della tecnica a puntuazione. Diffusasi dapprima nel Kansai, quindi nel Chūbu e nel Chūgoku, perviene rapidamente fino in Kyūshū. In molte località di Honshū la si rinviene spesso associata alla decorazione impressa a corda (Jōmon), che nel frattempo ha sviluppo nel Kantō, attraverso gli stadi di Hanazumi Sekiyama e Kurohama. Taluni studiosi propendono a farla derivare dalla più antica tecnica a cordicella, mentre altri la pongono in relazione ad influenze siberiane, cui sarebbe pure dovuto, in questo periodo, il generale diffondersi di forme vascolari a fondo piatto. Il vasellame progredisce intanto verso una varietà di fogge più elaborate: scodelle, coppe, calici, vasi tronco-conici e a cilindro, muniti talvolta di versatoio. L'ornato a corda compone motivi a linee ondulate, a zig-zag, a lisca di pesce; e la figura geometrica compare in una costruzione di losanghe.
Una fusione tra la tecnica a corda e l'impressione a stecca sembra abbia dato luogo allo stile di Moroiso. Il vasellame rimane affine ai tipi precedenti, ma si presenta in più ricca varietà di fogge: coppe rotonde, recipienti a fiasco, vasi globulari a grande collo svasato. La decorazione tradizionale serve talora da fondo ad un ornato a rilievo che è applicato sulla parte alta del vaso in stretti registri di argilla, incisi o puntuati a dare l'idea di un intreccio cordiforme. Nell'ambito di questa prima tendenza al plasticismo, assumono rilievo i tentativi di una rappresentazione umana e animale su alcune borchie di vasi, palesemente rituali, in cui si documentano gli inizi di una vera e propria concezione plastico-figurativa, che trova corrispondenza in alcune figurine, scolpite in pietra o assai più spesso modellate in argilla, ove l'immagine femminile è particolarmente trattata. La rappresentazione muliebre è verosimilmente in rapporto ad un'ideologia di fertilità che si definisce ancor più compiutamente dal rinvenimento dei cosiddetti seki-bō, bastoni di pietra a frequente simbolo fallico.
Il periodo medio del Jōmon appare ampiamente documentato nella parte centro-settentrionale di Honshū. La ceramica migliora di qualità sia per la grana più fine dell'argilla e maggiore compattezza d'impasto che per più uniforme cottura. Aumentano le fogge del vasellame, spesso munite di anse impostate sugli orli. Nuovi motivi ornamentali si combinano con quelli precedentemente in uso, ed i temi vengono di frequente elaborati sulla base di un andamento ellittico o a spirale. La frequenza di quest'ultima, unita all'innovazione tecnica delle anse, ha indotto certuni ad un'ipotesi su eventuali influenze esterne, che si varrebbe di alcune somiglianze riscontrabili con la produzione vascolare indocinese di Sam-rong-sen (v. indocinese, arte), che accentua, specie nel trattamento della spirale, una palese influenza dall'arte del bronzo. Anche se attualmente qualsiasi conclusione è prematura, l'eventuale esistenza di contatti culturali con l'esterno non infirma una linea di sviluppo autonomo fra antico e medio jōmon. Il plasticismo, infatti, sul quale insiste lo stile di Katsusaka, uno dei principali di questo periodo, mostra con sufficienza quanto sia stretto il rapporto di derivazione dal Moroiso. In più è palese l'impegno di disciplinare ogni motivo su un andamento continuo e circolare e di ripartirlo sulle varie zone del vaso. L'intento compositivo che guida ad un'organicità ornamentale non esaurisce tuttavia il repertorio decorativo in una serie di schemi convenzionali. La decorazione incisa, che è spesso chiamata ad una funzione di fondo, si accompagna ad una larga distribuzione di elementi a rilievo che si esplicano in grandi zig-zag ondulati o a spigolo o su motivi di composizione geometrica.
Il successivo stile di Ubayama, seppure ripete e arricchisce queste tendenze decorative, accentua però una larga preferenza per le linee ondulate e le spirali, il cui snodarsi attenua il rigore rettilineo dell'ornamentazione incisa od impressa sul fondo, ed armonizza con le fogge abitualmente mosse o bizzarre del vasellame.
In parallelo al pieno formularsi di questa concezione plastica, il medio Jōmon è interessato da direttive stilistiche che elaborano formule precedenti o temi attinti ancora al Moroiso. In questo ramo di sviluppo collaterale agli stili di Katsusaka ed Ubayama, il segno più tipico dell'elemento decorativo è forse dato dal nuovo predominare dell'ornamentazione a corda. Documentata ampiamente nello stile di Horinouchi, si accompagna spesso ad una tecnica ad incisione o a solcature. Il disegno si costruisce a fasce rettilinee o a bande ad S e a spirale, che si snodano in complesse volute.
Nel campo figurativo, le statuine d'argilla, abitualmente femminili, documentano la prevalenza di un intento naturalistico che limita l'elemento decorativo a semplici tratti scanalati o spiraliformi. Particolare attenzione è rivolta a rilevare i seni o a rigonfiare il ventre di una protuberanza, che talvolta è solcata nell'impegno evidente di tratteggiare il sesso. Il trattamento del volto è molto sommario e la testa è spesso triangoliforme.
Il successivo stadio di Angyo presenta una produzione vascolare di medie e piccole dimensioni: recipienti globulari, vasi ad alto piede, urne, incensori, tazze. Alcune fogge hanno profilo angolare, che risente forse di un'influenza dalle tecniche di lavorazione del bronzo. In fatto di decorazione prevale un gusto progressivamente più sobrio, che attenua ogni sovrabbondanza dell'ornato. Uno straordinario eclettismo caratterizza il primo momento di questo stile: si riscontra l'ornato cordiforme del Moroiso, il plasticismo del Katsusaka, gli elementi nastriformi del Horinouchi, mentre nuovi motivi si preannunciano: alcuni che mostrano di una derivazione dal bronzo, altri che risentono dello stile di Kamegaoka, che viene attualmente diffondendosi nel Giappone settentrionale. S'incontrano motivi ad arco, che racchiudono brevi zone trattate con impressioni a corda. Quest'ultima scompare in un secondo tempo, mentre al disegno curvilineo si affianca l'ornato a linee parallele, consistente talora in elementi a rilievo. Un tipo di vasellame è modellato in forma di volto umano, senza dimensione di volume. Le arcate sopraccigliari si congiungono al naso; e gli occhi e la bocca sono trattati a rilievo con l'applicazione di tondelli. È questa una caratteristica che si riscontra pure nelle figurine, sia in quelle di tipo più o meno naturalistico, che in quelle estremamente stilizzate. Poca attenzione è rivolta agli organi sessuali; ed il corpo, trattato molto sommariamente, appare coperto di vesti. Numerose sono le rappresentazioni di animali: cinghiali, cani, orsi, scimmie, ecc.
L'ultima fase del Jōmon, che per taluni include anche lo stile di Angyo, si realizza pienamente con la cultura di Kamegaoka, che, sviluppatasi originariamente nel N, si irradia poi in tutto il Giappone. La ceramica perviene ora ad un maggiore grado di elaborazione tecnica e stilistica. Alle fogge già note del vasellame se ne aggiungono altre di insolita varietà di forme, anche se di dimensioni ridotte. Le pareti dei vasi sono frequentemente levigate, e le superfici appaiono talora colorate in rosso o in nero. Anche l'ornamentazione è varia. Se si escludono alcuni tipi di vasi per semplice uso domestico, che sono poveri di ornato e presentano solo motivi impressi a corda, la restante produzione documenta un gusto decorativo sobrio ma ricco, che si esplica in un disegno figurativo molto stilizzato, in figure di uccelli e draghi. I paralleli con i bronzi cinesi della dinastia Han (206 a. C. - 220 d. C.) sono numerosi e fanno pensare ad un notevole campo di influenze. La figura umana appare trattata in alcune placche e nelle solite statuine d'argilla. Su alcune armi e utensili si documenta l'uso della lacca, la cui derivazione cinese sembra indiscutibile.
L'industria litica progredisce intanto verso strumenti ben levigati. Alcune asce quadrangolari ricordano quelle delle culture neolitiche dell'Asia sud-orientale. Si diffondono, inoltre, strumenti e attrezzi agricoli, che fanno parte del nuovo orizzonte culturale sopravvenuto. Le influenze non sono però sentite solo nell'attrezzatura materiale. L'allargamento delle comunità, infatti, e il loro stabilirsi in una vita di villaggio meno soggetta a continui spostamenti, segna un'anticipazione di quell'assestamento sociale che ha luogo col passaggio da un'economia di consumo ad una di produzione, e da un'attività individuale o domestica ad un'organizzazione cooperativistica.
È dunque sul finire del Jōmon che si realizza un aspetto culturale pienamente neolitico, la cui durata, momentanea nelle zone di contatto, costituisce uno stadio di transizione (circa II-I sec. a. C.).
Civiltà Yayoi. - Nel meridione la civiltà Jōmon termina circa tra la fine del II e l'inizio del I sec. a. C., quando una nuova civiltà prende a diffondersi, muovendo dal settentrione di Kyūshū verso il N in un periodo di tempo che va approssimativamente dal II sec. a. C. al IV d. C. Questa cultura è nota col nome di Yayoi, strada di Tokyo, ove nel 1884 se ne ebbero le prime testimonianze archeologiche. La sua area di irradiazione comprende la parte meridionale e centro-occidentale del Giappone fino alla pianura del Kantō.
Nel settentrione perdura in quest'epoca la civiltà Jōmon, che si attarda in certe zone fino al V-VI sec. d. C. ed in Hokkaidō addirittura fino al X. La derivazione continentale della cultura Yayoi è palese. Indiscutibili sono gli apporti dalla Cina, che con la dinastia Han ha aperto i confini ad una grande espansione culturale. Non mancano da N influenze esercitate dalla Siberia; né da S quelle da culture dell'Estremo Oriente meridionale. Su queste ultime punta l'attenzione di molti studiosi, che riferiscono ad esse l'introduzione della coltura del riso, la diffusione di ideologie e pratiche magico-religiose, e l'introduzione di tutta una attrezzatura materiale e di un diverso sistema architettonico, detto appunto di tipo meridionale. In parallelo, infatti, al crescente diffondersi di abitazioni a tetto spiovente e piano di calpestio a livello del suolo (hirachi), entra nell'uso il tipo di capanna takayuka, a piano rialzato, su pilastri conficcati al suolo. Simile ad una palafitta cui si accede da una scala esterna, si compone in un primo tempo d'un solo vano; mentre in seguito diversi ambienti sono ottenuti da divisori che uniscono i pali dell'ossatura col palo centrale. Il tetto è spiovente. Rivestimento e copertura sono di fibre vegetali, paglia o legno. Costituisce probabilmente questa capanna il tipo basilare dell'architettura giapponese residenziale e religiosa Shintō. Se ne ha richiamo nel santuario di tipo tenchi-kongen, venutosi componendo nelle strutture essenziali intorno ai primi secoli dell'èra cristiana. La costruzione basa su una piattaforma lignea. I pilastri, che sono in funzione di rialzo, servono da armatura dell'intero edificio e di sostegno del tetto. Si ricollega a questo ordine architettonico il celebre santuario di Ise, costruito originariamente intorno al III sec. d. C. nei moduli stilistici dello Yuiitsu Shimmei. Si compone di due edifici principali, il Naikū ed il Gekū, intorno ai quali simmetricamente se ne distribuiscono altri di minor rilievo.
Con l'adozione della vita agricola sedentaria sorgono nell'epoca Yayoi numerosi villaggi su pianure coltivabili o su terreni in vicinanza delle acque. All'agricoltura, praticata a zappa e ad aratro, si accompagnano attività sussidiarie, come la caccia e la pesca. L'attrezzatura materiale comprende nei primi tempi uno strumentario di pietra e di legno; mentre più tardi, col crescente diffondersi del metallo, entrano nell'uso comune utensili e strumenti di bronzo, che determinano un forte incremento di tutta la produzione.
Alla civiltà Yayoi si è soliti assegnare una ripartizione in tre fasi. Il periodo antico sarebbe per certi studiosi da classificarsi ancora nell'ambito di una cultura neolitica. Pur avendosi introduzione dell'agricoltura, di una nuova ceramica lavorata al tornio, di un'industria litica più evoluta, il metallo non farebbe ancora la sua comparsa. Ma ciò pare smentito dal rinvenimento di alcuni oggetti di rame e bronzo associati a materiale che risale agli inizi dell'epoca Yayoi. Verosimilmente quindi questa prima fase sta a rappresentare un momento di transizione all'età dei metalli, che si realizza dapprima, nel medio Yayoi, ad opera di una diretta importazione dalla Cina di armi e utensili, quali alabarde, giavellotti, daghe, asce, coltelli, punte di freccia, nonché specchi e monete, che risalgono alla prima dinastia Han. Nella terza fase le tecniche di estrazione mineraria e di fusione risultano ampiamente conosciute, ed uno strumentario in rame testimonia gli inizî della metallurgia giapponese. Ma nei primi tempi non diminuisce l'importazione dalla Cina di prodotti manufatti; e la produzione indigena è rivolta particolarmente alla fabbricazione di articoli di carattere ornamentale e di strumenti simbolici del cerimoniale religioso.
Ha rilievo fra questi un tipo di campana di bronzo (dōtaku), la cui forma tronco-conica allungata presenta in sezione un andamento ellittico, dato da due costolature mediane che si uniscono nella parte superiore in una superficie espansa, munita di foro, che funge da elemento di sostegno. La presenza del battaglio indica che in origine questi dōtaku sono vere e proprie campane. Se ne riscontrano dei prototipi in Cina, in Manciuria e in Corea. Ma in Giappone subiscono un'evoluzione particolare. Aumentano di dimensioni; e dagli esemplari più antichi, di 20 cm d'altezza, si passa in seguito ad alcuni di circa un metro e mezzo. Progressivamente perdono di funzionalità, e diventano strumenti simbolici. Tipici della cultura Yayoi continuano ad essere documentati anche in età successiva. Sono attestati ampiamente nell'isola di Shikoku e nella parte centrale di Honshū, mentre pare che non vi sia alcun esemplare rinvenuto in Kyūshū. Su questi dōtaku una decorazione semplice, finemente incisa o rilevata, si esplica in vari motivi. Lo stile ornamentale ryūsuimon, in un simbolico "disegno ad acqua che scorre", compone una serie di linee parallele che si dispiegano ad andamento meandriforme od anche bustrofedico. Un altro stile, detto kesadasukimon, predilige ripartire la superficie frontale del dōtaku in varî riquadri, chiusi da linee incise o a rilievo, o da larghe strisce a disegni a graticcia.
Il motivo geometrico, dunque, predomina; ma si preannuncia pure una tendenza al naturalismo, che introduce scene di vita quotidiana, di caccia, di pesca o d'altra attività di lavoro o di rito. Ma il naturalismo è solo in una scelta di temi, non in una tecnica di disegno. La composizione è schematica quasi di carattere pittografico; e la figura umana o animale, ridotta sempre a un numero essenziale di tratti, è stilizzata e ideografica.
Le medesime scene di vita giornaliera ricorrono talvolta eguali anche nella ceramica di questo periodo; ma pure qui è una predilezione per motivi stilizzati, geometrici, che risolvono la decorazione in un disegno semplice di linee incise o rilevate, che seguono un tracciato di bande parallele o di motivi a zig-zag o a spirale. Il repertorio stilistico della ceramica Jōmon permane dunque in certe forme, ma si impoverisce, e seppure dapprima raggiunge un'eleganza sobria, col tempo si standardizza e si rinchiude in una composizione facile, prevalentemente lineare, che solitamente riveste zone molto limitate del vaso. Nella varietà degli stili che si riscontrano (Sugu, Ongagawa, Hajinoutsuwa), più che per decorazione, la ceramica si caratterizza da un punto di vista morfologico. Al periodo antico dello Yayoi sono databili vasi a sagoma emisferica, che si riportano alla contemporanea produzione vascolare della Corea. Più tardi il vasellame presenta numerose varietà di fogge: vasi muniti di coperchio, tazze, scodelle, teiere, e diversi tipi di coppe, talune delle quali ad alto piede, che si diffondono particolarmente nel medio Yayoi. Nell'ultimo periodo si riscontra una fusione progressiva fra gli elementi morfologici piuttosto curvilinei della ceramica Jōmon, e quelli più angolari del vasellame Yayoi, che risente delle tecniche di lavorazione del bronzo. Nello stesso tempo si manifesta una tendenza ad appiattire le superfici dei vasi; mentre alcune fogge a calice presentano l'alto piede lavorato a traforo in figure geometriche. Col tempo anche il repertorio morfologico si esaurisce nella ripetizione di certe fogge, accentuando un'uniformità tipologica che è il risultato palese di un artigianato industriale. Verso la fine di quest'epoca, infatti, diventa sempre più rigorosa la ripartizione dei mestieri; e in concomitanza di tutto un assestamento politico delle comunità, si organizzano categorie d'artigianato giuridicamente riconosciute.
Periodo Kofun. - Verso la fine del III sec. d. C. e gli inizi del IV, si diffondono in Giappone ulteriori elementi culturali, che, prendendo piede dapprima nel settentrione di Kyūshū, s'irradiano in direzione N-O pervenendo infine nella regione del Kantō. Designata col nome di kofun ("tombe antiche"), l'epoca assiste ad una larga diffusione di certe strutture funerarie che continuano la tradizione dolmenica continentale dell'Età del Bronzo, di cui si ha già un preavviso in Kyūhū nello Yayoi, in alcuni dolmen di forma semplice che traggono diretta derivazione da tipi analoghi della Corea meridionale.
Sono numerosi adesso, nel periodo Kofun, i tumuli funerari principeschi (misasagi), che consistono in una grande camera sepolcrale, delimitata da pareti a lastroni di pietra e ricoperta da un alto tumulo di terra. In derivazione da analoghe strutture della Corea settentrionale e della Mongolia, maturano in Giappone con uno sviluppo particolare, raggiungendo talora grandi dimensioni. Il defunto è posto all'interno di una camera sepolcrale in un sarcofago di pietra o di terracotta, sul quale ricorrono spesso disegni geometrici a linee rette e curve. All'interno della camera sepolcrale è pure il corredo funebre, generalmente abbastanza ricco. Sul tumulo, disposte in cerchio a delimitare un recinto, sono delle terrecotte dette haniwa. In un primo tempo esse consistettero forse in semplici cilindri d'argilla, alti circa 40 cm, infissi nella terra del tumulo allo scopo presunto di impedirne il franamento. Più tardi il cilindro appare sormontato da un secondo elemento plasmato in figura umana o animale. Sembra allora che questi haniwa possano caratterizzarsi come corredo funebre, anche se non ne fanno strettamente parte. In corrispondenza di antichi riti funebri cinesi si sono voluti spiegare in sostituzione di sacrifici umani e animali, per cui dovrebbero rappresentare delle ideali vittime immolate in onore del defunto. La figura umana è abitualmente limitata al solo busto. Esistono tuttavia esemplari a figura intera, seduta o stante. Sono rappresentati uomini e donne. La figura appare di solito vestita, ma non mancano esemplari nudi. La ricerca anatomica è limitata per lo più al trattamento dei seni. Per dare movimento alla figura ed evitare una posizione eccessivamente rigida, alcuni haniwa hanno le braccia goffamente ricurve, tese in avanti o con le mani in alto, nell'atto talora di reggere uno strumento o un oggetto. Il volto, solitamente colorato in rosso, è curato nei tratti essenziali: due buchi a mandorla ad indicare gli occhi, ed un taglio forato a tratteggiare la bocca; mentre rese con cura sono le orbite sopracigliari ed il naso, che per lo più è diritto. Eseguite in serie, e generalmente assai rozze, non sono tuttavia prive di espressione. Questa talvolta è austera, se i tagli oblunghi della bocca e degli occhi sono rettilinei, o appare buffa o grottesca se gli occhi sono tondi e sgranati e la bocca si apre a mezzaluna. Le figure di animali ritraggono cavalli, cani, cervi, cinghiali, oche, galline, ecc., tutti sempre vivacemente caratterizzati. La tecnica resta quella del vaso fittile a parete plastica e interno vuoto.
La produzione di questi haniwa è curata dagli hajibe, ceramisti che sin dalla fase finale dello Yayoi si sono dedicati alla fabbricazione del vasellame di tipo hajinoutsuwa, che perdura in quest'epoca in un identico repertorio di fogge e di ornamenti, fintanto che non è soppiantato da un nuovo tipo di ceramica proveniente dalla Corea, che si diffonde intorno alla seconda metà del V sec. d. C. Fabbricato dai suetsukuribe, va noto come tipo suenoutsuwa. Cotto in forni ad alta temperatura (noborigama), costruiti alle falde o sui declivi delle colline, questo vasellame si presenta di color grigio con delle venature azzurrine, ed a volte con uno strato di vernice che è dato durante la cottura dal silicio contenuto nell'argilla. Le fogge sono limitate ad alcuni tipi di vasi; bacili, tazze e coppe a fondo piatto e concavo. Un tipo di ceramica riproduce modellini di case. Limitato e uniforme è pure il repertorio decorativo. Su alcuni vasi, di uso eminentemente cerimoniale, un'ornamentazione si esplica in figure umane e animali. Ma nella maggior parte del vasellame è una prevalenza di motivi geometrici che compongono un disegno assai semplice di linee rette e curve, isolate e raccolte in bande, molto simili a quelle che si notano sui sarcofagi di pietra o di terracotta.
Nel campo della lavorazione del metallo, l'epoca assiste ad un crescente diffondersi di uno strumentario in ferro. Noto, a quanto pare, già dalla fase media del periodo Yayoi, è soltanto ora che il ferro sembra forgiato su vasta scala nello stesso Giappone. Basandosi sugli inizi in quest'epoca di una vera e propria lavorazione locale, taluni studiosi definiscono il periodo Kofun come Età del Ferro. Si dedicano alla lavorazione del metallo tre categorie di artigiani: i kanuchibe, i kanetsukuribe e i kagamitsukuribe. A questi ultimi è riservata la fabbricazione degli specchi, che occupano da un punto di vista artistico uno dei posti di principale rilievo nell'ambito di tutta la produzione in metallo. Già non nell'epoca Yayoi, si diffondono adesso largamente. Sono di bronzo, di forma discoidale, ad unica superficie liscia riflettente. Sprovvisti di manico, hanno sul verso un'appendice centrale simile ad un bottone forato trasversalmente, che consente di infilare un cordoncino. Su questa stessa faccia lo specchio è ricoperto da una decorazione in vari motivi a rilievo. Del tutto identici per forma e decorazione agli specchi cinesi sono gli esemplari più antichi, alcuni dei quali provengono direttamente dalla Cina. Rispetto a questi, gli specchi fabbricati in Giappone risultano più scadenti, sia per tecnica di lavorazione che per bellezza di disegno. Più tardi la produzione migliora, ma la decorazione continua solitamente a ripetersi negli stessi temi dei modelli cinesi, anche se talvolta è pregevole, come nel caso delle repliche di specchi dell'epoca Han, che riproducono in modo attento e lineare le stesse semplici composizioni geometriche. Non così è invece nella ripetizione dei motivi simbolici, particolarmente taoisti, che ricorrono frequentemente sugli esemplari dell'epoca delle Sei Dinastie (220-589). Gli artigiani giapponesi non capiscono verosimilmente il loro significato allegorico, e li riproducono in maniera maldestra, attratti solo dalla bellezza formale del disegno. Oltre il campo della pura imitazione, in un liberarsi progressivo dalle influenze dirette, gli specchi introducono, in un secondo tempo, ad una decorazione che si rivela tipicamente giapponese. È lo stesso stile a tendenza naturalistica, che si è già notato per i dōtaku di bronzo. Anche qui hanno risalto disegni di case, scene di caccia e di danza, figure di guerrieri. La composizione rimane minuta, schematica, sempre ideografica. Nell'avvio graduale al pittoricismo dell'arte g., non fa apparente contrasto il ritrovare uniti motivi geometrici di linee rette e curve simmetricamente disposte.
La restante produzione in metallo, sempre attestata nelle tombe come corredo funebre, si esplica in armi e armature, finimenti per cavalli e vari monili. Fra le armi hanno rilievo due varietà di spade: lunghe e corte, a lama sempre diritta ed unico taglio. Nell'elsa, l'impugnatura di bronzo (tsuba) è dorata o damascata in argento. Talvolta ha la forma di un pomo, più spesso quella di un anello, leggermente schiacciato ai poli, nel cui interno sono montate una o più figure affrontate di animali mitici, quali fenici e draghi. Nei primi tempi è chiara l'imitazione di modelli cinesi, ma in seguito un gusto che si rivela caratteristicamente giapponese trasforma il disegno scultoreo in una specie di arabesco.
Della rimanente produzione possono avere qualche interesse artistico gli oggetti d'ornamento, per lo più bracciali e orecchini d'oro, o più spesso di rame o bronzo placcati in oro. Gli anelli oltre che in oro, sono pure laminati in argento. Altri tipi di monili sono lavorati in pietra: collane e bracciali, composti di grani di vetro, di giadeite, nefrite, ed altre pietre dure. Hanno in gran numero forma di tubetti (kudatama) o di grosse virgole (magatama). Questi ultimi, forati sull'estremità più larga, s'intendono usati a fini magici, e si spiegano in derivazione da forme di denti animali, la cui utilizzazione risulta praticata diffusamente presso molte altre culture.
Alla lavorazione della pietra, oltre che alcuni bastoni cerimoniali di tipo mongolico e cinese, ci riportano alcune rozze sculture. La lavorazione è molto sommaria e risente di un'influenza dalla Cina. Il volto, fermato da due ciocche di capelli che cascano lateralmente, è reso semplicemente da quattro buchi al posto degli occhi, del naso e della bocca. L'assenza di una ricerca del volume e di una qualsiasi concezione plastica pone un profondo iato con la produzione scultorea, notevole ed anche originale, che è iniziata sotto la guida dell'arte buddista.
Periodo Asuka (552-645). - Nella seconda metà del VI sec. il Giappone si apre ufficialmente al buddismo e, nel rivolgimento culturale che ne consegue, un maggiore intercorrere di rapporti e di scambi ha inizio col continente. La scrittura cinese è introdotta e tutto il patrimonio culturale si rinnova sotto l'influenza della Cina. In questo periodo - che dal nome di una celebre imperatrice è detto èra di Suiko - pur assistendosi al permanere di manifestazioni artistiche tradizionali, si vede l'introduzione di nuove direttive e temi d'arte essenzialmente religiosa, che aderiscono intimamente alle concezioni estetiche del buddismo.
In campo architettonico, mentre, sia pure commiste a moduli architettonici cinesi, perdurano le strutture tradizionali nei santuarî Shintō e nelle residenze private, nuove direttive architettoniche si introducono al seguito delle prime edificazioni di templi buddisti. I nobili Soga, il principe Shōtoku Taishi, la stessa imperatrice Suiko, facendosi apostoli della nuova fede e mecenati d'arte, promuovono e curano la costruzione di templi, dei quali per il 624 se ne accertano già 46 in tutto il Giappone. Fra i più celebri dell'epoca sono il Hōkō-ji, il Shitennō-ji, e soprattutto il Hōryū-ji di Nara.
Il complesso degli edifici templari è racchiuso abitualmente da un recinto rettangolare (hōrō), aperto sui quattro lati. L'ingresso principale è a S costituito da un portale (nandaimon), da cui si accede ad un atrio interno (chūmon), che collega i due bracci delle verande perimetrali (kairō). Gli edifici interni sono distribuiti secondo un asse N-S: a destra del chūmon è l'"aula d'oro" (kondō), a sinistra una pagoda (tō), mentre all'interno e dietro sorgono gli edifici di minor rilievo: il refettorio e sala di lettura (kōdo), la torre adibita a campanile (shurō), il deposito di sacre scritture (kyōzō), ecc. Le costruzioni sono interamente in legno, ma poggiano su fondamenta e piattaforme in pietra e hanno il tetto, già leggermente arcuato agli spigoli, ricoperto di tegole. Questo ricorre a doppi spioventi o a forme piramidali e composite, ed è poggiato su pilastri o colonne ad entasi e larghi piedistalli. Gli edifici sono di solito a uno o due piani; le pagode a tre e a cinque. Queste si sviluppano su pianta quadrata, con sovrapposizione ad ogni piano delle strutture di base (pilastri, mensole, tetti). Il verticalismo della composizione risulta, quindi, addizione di elementi orizzontali. La pagoda termina in alto con il simbolico sōrin, guglia metallica circondata da cerchi. Gli edifici del tempio sono esternamente ravvivati da accesa policromia, nella quale predomina il rosso, spesso in contrasto col bianco. Sono queste anche le caratteristiche architettoniche del Hōryū-ji, alcuni edifici del quale (Chūmon, Kondō, Hōzō e la pagoda a cinque piani) sembra risalgano al periodo Asuka, e costituiscono, insieme a due pagode a tre piani del Hōki-ji e del Hōrin-ji, i pochi resti dell'architettura buddista di quest'età.
Nella scultura, il periodo Asuka segna gli inizî della statuaria in bronzo ed in legno di: soggetto buddista. Prima fra tutte si cita la grande triade del Kondō del Hōryū-ji, che, datata al 623, reca la firma di Tori, celebre scultore la cui scuola rimane fondamentale nell'evoluzione dell'arte buddista giapponese. L'opera suddetta costituisce il prototipo di quello stile definito anche "severo" che è in diretto rapporto con la statuaria cinese della seconda metà del VI secolo. Sullo scenario finemente lavorato di un grande nimbo a profilo di foglia, la rigida, ieratica immagine di Shākyamuni seduto in trono, grandeggia al centro della composizione. Le stanno ai lati due Bodhisattva, figure di serventi, in piedi su foglie di loto. Non individualizzate sono le fisionomie dei volti e assente e distaccata ne è l'espressione. I corpi sono trattati pesantemente, privi di proporzioni; ed il panneggio scende ampio in grosse pieghe lineari. Riscontrabile è in quest'opera, pur nella rigida frontalità e nella composizione lievemente piramidale del gruppo, una palese derivazione da tecniche di scultura in pietra. Un'elaborazione di stile avvia subito però alla composizione di forme più delicate e di figure plastiche, nella cui espressione dei volti traspare un sorriso e nel trattamento del panneggio una linea più morbida cura le pieghe delle vesti. Si rivelano chiaramente queste nuove tendenze nella scultura appartenente a questo periodo: negli Shitennō del Hōryū-ji, nel Hankā del Chūgū-ji, ma soprattutto nella celebre Kudara-Kannon del Hōzō del Hōyū-ji, in cui palpita di umanità il sorriso che il volto esprime, e tutta la figura è ritratta con naturalezza, in piedi, reggendo in mano un'ampolla. Le forme allungate conservano flessuosa fragilità, che è accresciuta dal modellato fluente del panneggio aderente al corpo. Si è con quest'opera di fronte ai primi esempi di una espressione reale, vivace, che, sotto l'insegnamento dell'arte indiana dei Gupta e cinese dei T'ang, non si appaga di eleganze formali, ma ricerca l'umano, e nell'umano traduce il divino, servendosi di forme vere per l'espressione di un contenuto trascendente. In questa visione dell'arte, che vuol valersi di un'esperienza della realtà, suole da taluni riconoscersi un momento di quella originalità artistica giapponese che dall'elaborazione di forme acquisite giunge alla creazione di elementi nuovi ed autentici.
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