Vedi INDIANA, Arte dell'anno: 1961 - 1995
INDIANA, Arte
INDIANA, Arte. - L'arte i. raggiunge alcune delle sue espressioni più alte in tempi che sono cronologicamente al di fuori dei limiti posti a questa Enciclopedia. Qui l'arte i. è trattata dalla preistoria all'epoca Gupta.
1. Preistoria. − La preistoria dell'India non è ancora ben conosciuta, e non si testimoniano sino ad oggi manifestazioni artistiche nel Pleistocene
I graffiti, le incisioni, le pitture rupestri in rosso d'ocra o in bianco, in caverne e ripari sotto roccia, in regioni centrali e centro-settentrionali dell'India, sebbene riferiti a tardivi orizzonti del Paleolitico, sembrano tuttavia di epoca molto tarda (metà del I millennio a. C. − metà del I millennio d. C.). Generalmente in queste rappresentazioni sono scene di danza e di caccia, con figure umane, talora a cavallo, armate di giavellotti e di scudi, e varie specie di animali: cervidi, rinoceronti, orsi, bovidi, cavalli, elefanti, forse anche canguri e giraffe. Ricorrono inoltre schemi amorfi e figure itifalliche. Il repertorio stilistico, nell'accentuata schematizzazione di temi prevalentemente naturalistici, offre ripetute analogie con le comuni pratiche di arte rupestre (v. rupestre, arte).
2. Periodo protostorico. − Sebbene in alcune località delle valli dello Zhob e di Quetta si siano avuti indizî sicuri di culture appartenenti ad un Neolitico antico − caratterizzate da rozza ceramica a decorazione impressa di motivi ad intreccio − è tuttavia soltanto in coincidenza col pieno affermarsi dei centri protostorici dell'Asia occidentale che trae sviluppo in India, a partire forse dalla metà del IV millennio a. C., una civiltà agricola sostanzialmente omogenea, caratterizzata nell'attrezzatura materiale da uno strumentario litico levigato e da utensili di rame e di bronzo.
Nelle regioni occidentali, essa presenta una popolazione riunita in villaggi, con abitazioni costruite in mattoni di fango e munite talora di fondamenta in pietra. L'entità dei rinvenimenti avuti, nel deporre per una popolazione relativamente densa e organizzata, sta ad indice di una stabilità notevole nel sistema di vita.
La ceramica si presenta lavorata al tornio, in fogge vascolari prevalentemente aperte, ed un'ornamentazione dipinta si dispiega in un ricco repertorio di motivi geometrici e naturalistici.
Nonostante l'unicità complessiva del patrimonio culturale, gradualmente si accentuano nelle diverse aree elementi singoli di differenza, particolarmente riscontrabili appunto nella produzione ceramica. Questa si distingue da taluni in due classi: una ceramica a fondo chiaro, principalmente diffusa nel Belucistan meridionale e nel Sind (stazioni di Quetta, Aniri, Nundara, Nal, Kulli); ed una ceramica a fondo rosso, documentata nel Belucistan settentrionale, nella valle dello Zhob. Nell'ambito di tale classificazione, si circoscrivono ancora nelle diverse località particolari elementi di tecnica e stile ornamentale. Nella valle di Quetta un'ornamentazione in nero si dispiega su temi geometrici organicamente ripartiti su fasce orizzontali a linee parallele, riempite a zig-zag e triangoli, linee oblique, motivi ovoidi o ad occhi. Ad Amri una ceramica sempre a fondo chiaro, ma frequentemente ingubbiata, esplica una decorazione in colori di nero e di rosso, su temi geometrici a fasce parallele e a riquadri, soprattutto riempiti da motivi a scacchiera e a zig-zag. A Nundara un'ornamentazione a motivi geometrici e naturalistici si compone in colori di nero e di rosso. L'elemento naturalistico si avvale di disegni di foglie del sacro pipal, e di numerosi animali, quadrupedi, volatili, pesci. A Nal − oltre un tipo di ceramica a fondo scuro, inornato o con semplici motivi dipinti o in rilievo − è una classe di ceramica a fondo chiaro spesso ingubbiata, che esplica una decorazione in colori di nero e di rosso, di giallo, blu e verde, disciplinata in larghe fasce, e variamente articolata in accostati disegni a scacchi, a circoli, a cuori, ed in motivi vegetali e animali. Questo naturalismo di temi, congiunti a schemi geometrici, si ritrova a Kulli, ove un ornato in nero si dispiega in disegni vegetali e animali, delimitati fra bande di linee parallele; e fra gli animali ha anche qui, come altrove, un posto di rilievo il toro gibboso dai grandi occhi e dalle corna lunate. Infine, anche nella valle dello Zhob una decorazione in colori di bruno e di nero su rosso, si esplica a motivi prevalentemente naturalistici; e solo in una fase più tarda predomina un ornato geometrico a fasce di linee parallele o a riquadri di bande verticali.
Differenze fra le varie località si riscontrano pure in un genere particolare della produzione ceramica, nelle figurine fittili di animali e di donne. Ritenute dapprima ricorrere solo nelle culture di Kulli e dello Zhob, ci sono di recente testimoniate anche in Quetta. Fra le rappresentazioni animali, il toro gibboso spicca notevolmente: ha occhi dipinti e dipinti tratteggi sul corpo, talora zebrato. Con maggiore plasticità è però resa l'immagine femminile, spesso limitata alla parte superiore del corpo sino alla vita. A Kulli ricorre, usualmente coperta d'un copricapo, con le braccia ai fianchi e adorna di monili e di placche. Nessun esplicito intento naturalistico è nel rilievo anatomico o nei tratti del volto, sagomato in un profilo aquilino, talora a civetta, con gli occhi resi a tondelli e senza bocca. Più espressive sono le figurine di Quetta e dello Zhob, col capo spesso coperto d'elaborate acconciature. Il volto ha grandi occhi a fori tondi e le palpebre talvolta rigonfiate. Spesso il naso è accennato e la bocca sottile. Il seno è pure rilevato.
È stato posto in rilievo il valore simbolico di queste figurine per un'ideologia di fertilità propria del mondo agricolo. Il loro riscontro in seno alle culture più avanzate del III e del II millennio a. C. accerta una lunga persistenza dell'antica religiosità ed è documento del permanere vitale delle prime concezioni plastico-figurative dell'India.
3. Culture dell'Indo. − A partire dalla metà del III millennio a. C., ad oriente della barriera montuosa del Belucistan, sulle pianure alluvionali dell'Indo e dei suoi affluenti, trae sviluppo una grande civiltà urbana, la cui area di irradiazione viene estendendosi sino nel Panjab e nel Pakistan, dal Belucistan al Kathiawar, e, attraverso il Rajputana, sino alla valle del Gange.
I frequenti riscontri ed i constatati sincronismi con le coeve culture della Mesopotamia hanno indotto a postulare, attraverso il Belucistan ed il Sind, una serie di apporti e di derivazioni dall'Asia occidentale, donde il termine spesso usato di Civiltà Indo-sumerica.
I centri principali di questa civiltà furono Mohenjo-dāro (v.) nel Sind, sulla riva destra dell'Indo, e Harappā (v.) nel Panjab, sulla riva sinistra del Ravi. Dall'assimilazione di antichi centri minori trassero inoltre sviluppo cittadelle e villaggi fortificati, centri eminentemente commerciali, come Chanhu-dāro (v.), Amilano, Dabar Kot, Sandhanawallah, Rupar, Derawar, Rangpur, Sutkagendor, Ali Murad, Tharro.
La serie cospicua dei reperti di scavo documenta uno sviluppo intenso dell'architettura civile. Le due maggiori città, Mohenjo-dāro e Harappā, costruite su pianta quadrangolare, con orientamento N - S delle vie principali e tracciato stradale a scacchiera, si attennero al sistema planimetrico originale pur nelle successive ricostruzioni. Sotto il livello stradale era una rete di condutture in mattoni per canali di scarico e fognature. In mattoni e strutture di legno erano costruiti gli edifici: botteghe, magazzini, mercati, case ad uno e due piani, con cortili interni, servizi igienici, vasche e, talvolta, altri edifici accessorî. Magazzini e silos, come pure le fabbriche e le officine, si trovavano spesso dislocati in un quartiere periferico. Nel settore occidentale della città, su posizione elevata, sorgeva l'acropoli, cinta da mura e costruita su pianta a parallelogramma, in cui erano edifici pubblici e cerimoniali, atrî, terrazze degradanti, palestre, chiostri adibiti forse a collegi monastici, grandi vasche con corti perimetrali. Nessun tempio o palazzo reale è stato identificato; nel complesso l'edilizia rifugge dal monumentale. In sede architettonica non ricorrono strutture di grande rilievo: nota, come sistema di copertura, la vòlta ad aggetti, non è testimoniato invece alcun tipo di arco. Il rinvenimento di alcuni capitelli e basamenti rende attendibile l'impiego di colonne o pilastri di legno.
La scoperta nell'area della città di numerose officine e fabbriche per la lavorazione del metallo, la preparazione e cottura dei mattoni, la fabbricazione della ceramica, ecc., depone per un'epoca di alta industrializzazione. La produzione ceramica accentua in modo particolare l'aspetto industriale. Lavorata al tornio, in fogge vascolari prevalentemente tondeggianti, esplica un repertorio uniforme. Tecnicamente ricorre in varî tipi: a fondo chiaro e superficie liscia, con ingubbiatura rossa ed invetriata. Una classe di vasellame per uso domestico appare inornata. La decorazione si esplica tuttavia in nero su fondo rosso od in policromia su fondo chiaro. La sintassi ornamentale è costituita da motivi geometrici e naturalistici: l'elemento geometrico comprende fasce di linee parallele, zone a scacchiera, disegni arcolari e spiraliformi; il tema naturalistico si presenta con stilizzati motivi di piante e di foglie, e con figure umane e animali. Si combina di solito con l'elemento geometrico, disponendosi fra bande di linee parallele o riquadri a scacchiera. Un intento episodico si accentua nel tratteggiare alcune scene di vita. Le composizioni risultano sempre fortemente schematiche.
Posto di rilievo occupano le figurine fittili, umane e animali. Fra queste sono alcune rappresentazioni di buoi, talora aggiogati a piccoli carri. La destinazione a giocattolo pare riconoscersi chiaramente, quando talvolta la testa dell'animale può muoversi tirandola per un filo, passato fra gli appositi fori. Le figurine umane consistono in prevalenti rappresentazioni muliebri dal capo elaboratamente acconciato. Sono nude e adorne di monili, con le braccia monche e le gambe riunite. I tratti del volto e del corpo sono resi sommariamente mediante l'applicazione di singole parti in argilla. Ma cura particolare è rivolta al rilievo dei seni. Interessante è inoltre il riscontro frequente di fori o tondelli ombelicali.
L'ideologia di fertilità, cui queste figurine sono verosimilmente in rapporto, si definisce compiutamente dal rinvenimento di altri oggetti a simbolo sessuale.
Altri reperti in argilla sono le cretule o sigilli frequentemente anche in pietre dure e in avorio scolpiti o intagliati, con pittogrammi, rappresentazioni di esseri reali e fantastici, motivi vegetali, in un complesso di temi in cui la glittica indiana si cimentò, riallacciandosi talora strettamente al repertorio figurativo mesopotamico. Vi sono, infatti, rappresentazioni di esseri giganteschi, di pretese divinità dai tratti zoomorfici, di mostruosi bovidi a tre teste. Ma nell'insieme prevale una caratterizzazione naturalistica di figure animali: elefanti, bisonti, tigri, zebre, antilopi.
La lavorazione del metallo è documentata in quest'epoca da utensili ed articoli di rame, stagno, piombo, bronzo, argento e oro. Lo strumentario annovera ami, punte di freccia e di lancia, asce, coltelli, rasoi. Ricorrono vasi, coppe, tazze d'argento e recipienti di rame battuto. Sono inoltre degli articoli ornamentali, fra cui alcuni tipi di spille. Sugli oggetti ricorre talora una decorazione in motivi geometrici e naturalistici. Hanno rilievo, infine, alcune statuette di rame e di bronzo, fra cui celebre l'esile figurina di giovane danzatrice da Mohenjo-dāro.
Da Mohenjo-dāro e da Harappā provengono anche esemplari di scultura in pietra a tutto tondo. Da Mohenjo-dāro (v.) è il busto di un personaggio virile, probabile ritratto votivo di un sacerdote. Ha la capigliatura e la barba rese con duri solchi incisi, ed indossa una veste decorata a trifogli, che lascia scoperta la spalla destra. La composizione è arcaica, rigido l'atteggiamento, ieratica e distaccata l'espressione. Maggiore scioltezza e plasticità di forme si documenta a Harappā (v.) ove è specialmente curato il nudo maschile ed il corpo è modellato nei particolari anatomici. Talora una leggera torsione del corpo e una dislocazione assiale delle membra concorrono ad un'impressione di movimento. Dinamismo e plasticità sono i caratteri salienti di queste composizioni.
Riscontri tecnici e stilistici fra la produzione scultorea della valle dell'Indo e quella mesopotamica del III millennio individuano elementi in comune che inducono a postulare per l'India una derivazione da moduli artistici asiatico-occidentali; ma nel complesso si avverte già un'elaborazione di forme che indirizza ad uno sviluppo autonomo.
Verso la metà del II millennio a. C., mentre si segna il declino delle culture urbane della valle dell'Indo, nuovi insediamenti si costituiscono nel Belucistan, nel Sind, nel Panjab, nella valle gangetica e nell'India centrale. Sono culture che, pur avendo tratti in comune con la civiltà dell'Indo, sostanzialmente ne differiscono per assetto culturale. Recenti indagini ne hanno documentato un'area di diffusione nelle valli del Narmada e del Chambal, nel Deccan, Karnatak, Rajputana e Saraushtra. Sono stanziamenti di genti agricole in abitazioni di pianta quadrangolare e circolare, che fabbricano al tornio una ceramica dalle fogge vascolari per lo più aperte, in cui una decorazione dipinta si esplica in nero su fondo rosso o bianco − raramente in bianco su fondo nero −, in un repertorio di temi geometrici che si accompagnano talora a motivi naturalistici fortemente stilizzati. Le analogie riscontrabili, in tecnica ed ornamentazione, con la produzione iranica di Siyalk e Hissar inducono taluni studiosi a postulare in quest'epoca l'eventualità di relazioni dirette con le culture iraniche dell'ultima Età del Bronzo e della prima Età del Ferro (v. asia, civiltà antiche dell').
4. Periodo Vedico e pre-Maurya. − Verso la fine del II millennio a. C., dalle regioni nord-occidentali dell'India, ha inizio un lento, ma progressivo, espandersi degli Arya nel bacino dell'Indo, nella valle del Gange e nel Deccan. Con lo stanziamento ulteriore di genti indo-arie su pianure e foreste, in villaggi di pianta rettangolare, muniti d'accesso sui quattro lati, entrano in uso abitazioni di pianta circolare e quadrangolare, divise in più vani, costruite con legno e bambù e con i tetti di paglia. Identico materiale da costruzione è usato verosimilmente per edifici e strutture di riunione e di culto. L'edilizia in mattoni ed in pietra pare, infatti, non abbia avuto sviluppo considerevole sino al costituirsi dei nuovi agglomerati urbani, intorno alla metà del I millennio a. C. e dovette dapprima concentrarsi prevalentemente su opere di fortificazione. Risalgono infatti al VI sec. a. C. i bastioni delle mura ciclopiche della cittadella di Rajagriha.
Delle strutture architettoniche del periodo vedico, fonti letterarie danno notizia di palazzi e sale di assemblea, di santuarî ed altari, di luoghi sacri e strutture sepolcrali. Rintracciandosi nelle età seguenti una linea di continuità da talune di queste strutture, si accorda all'epoca vedica e pre-Maurya rilevante importanza nello sviluppo di forme e moduli basilari per l'evoluzione dell'architettura indiana, hindu e buddista.
Fra i pochi reperti di quest'epoca, sono alcuni tumuli funerarî, scoperti a Lauriyā Nandangarh, ed interpretati generalmente come precedenti tipologici dello stūpa buddista (v. stūpa). I pali in legno, infissi al centro dell'estremità superiore dei tumuli cupoliformi, costituirebbero gli antecedenti diretti dei simbolici yasti degli stūpa. Risalgono anche a quest'epoca alcune strutture sepolcrali a camera, scavate nella roccia, rinvenute a Mennapuram e Calicut in Malabar, nell'India meridionale. Hanno tetto cupoliforme e sono strutturalmente poste in relazione con la cosiddetta capanna vedica di forma tondeggiante. Un pilastro di pietra, fissato al centro del vano, sarebbe l'equivalente simbolico dei pali in legno sui tumuli di Lauriyā.
In campo figurativo si assiste in quest'epoca al perdurare di taluni generi tipici delle culture della valle dell'Indo. Persiste, ad esempio, la tradizione iconografica della cosiddetta "dea madre" nelle figurine muliebri, in terracotta e persino in oro, dall'attento rilievo degli attributi di fertilità.
In campo religioso, due movimenti di riforma, buddismo e jainismo, si diffondono, frattanto, a partire dalla seconda metà del VI sec. a. C. Verso la fine dello stesso secolo, l'annessione del bacino dell'Indo all'impero persiano e lo sviluppo di nuove relazioni culturali con paesi occidentali dell'Asia, conseguono in campo artistico l'apporto di molteplici temi ornamentali e figurativi, particolarmente iranico-achemènidi (v. achemènide, arte; iranica, arte), che incideranno profondamente sul repertorio dell'arte i. in epoca seriore.
5. Periodo Maurya (322-185 a. C.). − Unificatasi parzialmente l'India sotto la dinastia Maurya (v.), un intenso sviluppo politico e culturale culmina con il regno di Ashoka, patrono del buddismo. In campo artistico ha luogo un'elaborazione di tecniche d'arte, strutture architettoniche e moduli decorativi stranieri, che più si formalizzano in un' arte essenzialmente aulica.
Si rinverrebbe un apporto iranico nelle strutture dei palazzi, torri e padiglioni di Pataliputra (v.), la città sul Gange, capitale dell'impero. La stessa sala d'udienza del palazzo imperiale si vuole sia stata costruita sul modello della celebre sala del trono del palazzo di Dario in Persepoli. A quest'arte di influenza iranico-achemènide rimanderebbe una serie di colonne, a carattere essenzialmente commemorativo, su cui venivano incisi editti imperiali per la propagazione del buddismo. Erette a simbolo di sovranità universale, in vicinanza del palazzo imperiale o di un luogo sacro, quantunque dette generalmente di stile persepolitano, accentuerebbero secondo taluni una più precisa derivazione assiro-babilonese. Si compone il capitello di un elemento campaniforme a petali di loto e di un plinto circolare, variamente fregiato, che sta di base ad una o più figure di animali (leoni, tori, elefanti). Ne è un esemplare celebre il capitello composito di Sārnāth, dal plinto scolpito a ruote ed animali alterni, sormontato da un gruppo di quattro leoni addorsati, sui quali s'impostava un'imponente ruota, simbolo della Legge.
In campo architettonico si osserva in epoca Maurya un'evoluzione cospicua dei tipi basilari dell'architettura religiosa buddista. Sono monumenti di quest'epoca i chaitya di Sudama e di Lomas Rishi, sulle colline di Barābar, santuarî rupestri, di derivazione, secondo taluni, dalle caverne scolpite dell'Irān. Moduli architettonici e decorativi dell'antica architettura in legno, vi si traducono in composizioni eminentemente scultoree. Ricavati interamente nella roccia, hanno accesso da un portale delimitato da due pilastri obliqui, sovrastati da un arco ad ogiva. L'interno, per mezzo di due file di pilastri a fusto poligonale, sui quali si impostano gli archivolti, è diviso in una navata centrale e due seminavate laterali. Si compone d'un vestibolo rettangolare e d'una sala in abside, in cui è situato il dagoba (v.), reliquiario in forma di stūpa, scolpito nella roccia.
Nella scultura del periodo Maurya è di particolare importanza il delinearsi di un'elaborazione iniziale dell'iconografia religiosa. È una delle più arcaiche rappresentazioni antropomorfiche di divinità lo Shiva del liṇgam Brasurāmeshvara da Gudimallam. Più compiutamente si esprime l'intento iconografico in un'arcaica statuaria in pietra, in cui l'adattamento di tecniche lungamente usate nel legno ed avorio, si palesa insieme all'assimilazione di formule stilistiche di probabile derivazione iranica. Ne sono esemplarî alcune statue di Yaksha − cosiddetti spiriti della natura o signori della vita. Sono rigide figure stanti, di forme massicce, prive di caratterizzazione e dalle vesti pesanti, convenzionalmente drappeggiate a linee incise. La loro importanza non si esaurisce nel singolo documento di primi esempî di scultura iconografica: emerge dal carattere complessivo un'espressione estetica ed una visione d'arte che sono basilari per lo sviluppo del plasticismo nell'arte indiana.
6. Periodo Shunga e I° periodo Āndhra (185-25 a. C.). − Uno sviluppo crescente dell'arte buddista si afferma in queste età, particolarmente nelle regioni meridionali e centro-settentrionali dell'India, ove spesso si affianca alla più diffusa arte dell'Induismo.
Nell'architettura rupestre ha evoluzione il vihāra, sorta di monastero (v. convento), che, nelle sue forme più semplici, si compone di una serie di celle d'abitazione, che si aprono sulle pareti di un atrio. Talvolta però vi si accede attraverso un vestibolo; nell'interno è pure ricavato un chaitya. Celebre di quest'epoca è il vihāra di Bhaja, nelle vicinanze di Puna, databile forse alla prima metà del Il sec. a. C., il cui chaitya, di pianta rettangolare absidata, è diviso in navate da due file di pilastri ottagonali, che seguono la curva dell'abside e sui quali si raccordano le arcate della vòlta a botte della navata centrale.
Pure in quest'epoca si definisce compiutamente l'evoluzione architettonica dello stūpa, reliquiario buddista, che si compone d'una costruzione di mattoni e di pietra, consistente in un basamento circolare, o zoccolo quadrato di breve altezza, su cui si imposta un corpo cupolato, che è di raccordo, superiormente, ad un piccolo belvedere, cinto di balaustra, al cui centro è un simbolico pilastro, coronato di parasoli circolari. Intorno allo stūpa è uno spiazzo perimetrale, adibito ad ambulacro, delimitato all'esterno da una cancellata, che è palese traduzione in pietra di un antico steccato, di recinto ad un luogo sacro o un tumulo funerario. Ai quattro lati della cancellata sono i toraṇa, portali in pietra, di derivazione probabile da un antico arco a triplice trabeazione in forma di Π, originariamente costruito in legno o canne di bambù. Sugli stipiti e gli architravi dei portali, sui pilastri e le balaustre delle cancellate, sui basamenti degli stūpa, ricorrono spesso opere di scultura, particolarmente bassorilievi, che illustrano episodi diversi della tradizione buddista.
Appartengono a quest'epoca alcuni stūpa di Bharhut e di Sanchi. Da un punto di vista scultoreo presentano nei bassorilievi l'intento di prime composizioni narrative, raccolte in scene elementari su pannelli e medaglioni e realizzate con la tecnica della sovrapposizione verticale dei piani. Sono in prevalenza scene di jātaka, episodi delle vite anteriori del Buddha, la cui presenza è allegoricamente espressa da alcuni segni simbolici, come le impronte dei piedi, la ruota, l'ombrello e l'albero sacro. I mezzi espressivi − qui, come fra i rilievi del vihāra di Bhaja (v.) − permangono inizialimente entro il limite della visione Maurya, e le figure risultano rigide, graficamente tratteggiate da duri segni incisi. Il rilievo è schiacciato, il senso del volume manca. Ma un'elaborazione di stile avvia presto a forme più plastiche e modellate. Ciò nonostante, le proporzioni restano convenzionali, poco curati i profili, ed i volti privi di caratterizzazione. Nelle scene si introducono figure stilizzate di animali, motivi floreali ed elementi decorativi che traggono spunto ancora dal repertorio artistico dell'Asia occidentale. Tema figurativo di rilievo è quello della Yakshī abbracciata ad un albero. Ed è in questa figura muliebre − corrispettivo dello Yaksha maschile − che per prima si attenua la rigida staticità e pesantezza della rappresentazione scultorea del corpo umano. Troviamo, infatti, fra i bassorilievi di Sanchi, all'apice della produzione scultorea di quest'epoca, figure di Yakshi a tutto tondo − originariamente montate sotto l'architrave inferiore dei toraṇa − nelle quali la plasticità delle forme acquista risalto dalla torsione delle membra, ed il corpo si atteggia con flessuosa cadenza nelle morbide linee del modellato. È un'espressione d'arte matura che si impone di modello e di norma. Anche la pittura ne rivela l'impronta. Lo si può constatare particolarmente nelle pitture parietali della cosiddetta "caverna X" di Ajanta (v.), in cui si rievoca l'episodio del Seddhanta Jātaka: l'elefante, incarnazione del Buddha, che sacrifica le sue zanne d'avorio. Stilizzazione e naturalismo si affiancano nelle figure umane e animali in un'opera artisticamente compiuta.
7. Periodo Kuṣāna. − A partire dall'èra cristiana, le regioni norde centro-occidentali dell'India, sviluppano, in un'arte ufficiale, di contenuto essenzialmente religioso, principî tecnici e mezzi espressivi che traggono derivazione da tendenze artistiche estranee alle tradizioni dell'India, ed accentuano elementi iranici, parthici ed ellenistico-romani. Già un'influenza ellenistica era pervenuta nell'India con la costituzione dei cosiddetti regni indo-greci del Panjab e dell'Afghanistan e col dominio dei Greci della Battriana sul bacino dell'Indo. Più tardi, sotto la dinastia dei Kusina, all'influenza ellenistica di questi regni indo-greci (v.), si sostituisce, per il tramite di contatti commerciali con l'Impero Romano, un ancor più considerevole apporto dal mondo classico di elementi di cultura e di arte. Nello stesso tempo un più largo raggio di influenze artistiche e religiose, converge sull'India dalle regioni del Vicino Oriente, dell'Irān e dell'Asia centrale.
Due centri vengono costituendosi principalmente: quelli del Gandhāra (v.) e di Mathurā (v.). Nell'uno e nell'altro le tradizioni artistiche dell'India incidono in misura diversa e si risolvono con caratteristiche particolari. Ma in entrambe è il documentarsi di un medesimo rinnovamento dei repertori artistici e iconografici del buddismo e jainismo. All'iconografia del buddismo le due scuole contribuiscono validamente nella rappresentazione della figura del Buddha (v.) in forme umane (v. gandhāra, arte del).
Lo si coglie in posizione stante, o seduto a gambe incrociate, su trono di leoni o di loto. Veste il mantello monastico e lo individualizzano i contrassegni simbolici della sua persona: la protuberanza del cranio, i lobi delle orecchie distesi in lunghi pendenti, l'ūrnā lenticolare al centro della fronte. Anche la diversa posizione delle mani e delle dita ha interpretazione simbolica: e spesso è colto in atto di benedicente. Ad eccezione di questi elementi comuni e tratti peculiari alla sacralità del Buddha, i tipi iconografici delle due scuole si differenziano notevolmente l'uno dall'altro, aderendo nel Gandhara a schemi prevalentemente classici, ed in Mathurā costantemente attenendosi a forme di più diretta ispirazione indiana. Rimane incerto a tutto oggi quale delle due scuole detenga il merito dell'innovazione iconografica; e se fu realizzazione per apporto dell'Occidente o per conquista stessa dell'arte indiana. Sicuro è tuttavia che forme iconografiche ellenistico-romane sono state talvolta adottate ad esprimere contenuti buddisti. Approssimativamente contemporanea all'innovazione iconografica del Buddha, è quella del Bodhisattva, che si rappresenta in figura stante, vestito dell'abito monastico, o semplicemente coperto nella metà inferiore del corpo, e adorno di varî monili. Elementi stilistici tendono a dargli spesso derivazione dalle più antiche statue di Yaksha. Fra i legami che ne intercorrono, sul piano iconografico, si riscontra ad esempio che la concezione della trinità buddista − il Buddha affiancato da due Bodhisattva in atto di serventi − può avere avuto prime espressioni in termini figurativi nelle scene di Yaksha ai lati dell'albero sacro, simbolo aniconico della presenza del Buddha.
Arte di Mathurā. − Mentre l'arte del Gandhāra ha uno sviluppo che esce fuori dai limiti veri e proprî dall'arte i. (v. gandhāra, arte del), Mathurā, antico centro religioso ed artistico dell'India settentrionale, realizza particolarmente una fase di intenso sviluppo fra il II ed il III sec. d. C., pur continuando a detenere importanza nella produzione artistica dell'India durante la dinastia dei Gupta, sin'oltre la metà del VI secolo. Maggiore aderenza a concezioni d'arte dell'India esso denota e, generalmente con caratteri di continuità, evolve dalle epoche anteriori, rivelando particolari derivazioni dai complessi monumentali di Bharhut (v.) e Sanchi (v.). Una linea di svolgimento intermedio documenta talora fra le attitudini prevalentemente innovatrici del Gandhāra ed il più accentuato conservativismo, cui nel meridione dell'India s'attiene nel contempo la scuola d'Amarāvatī (v.), più diretta erede di antiche tradizioni. Pur non estraneo alle innovazioni del Gandhāra, ed esposto con i Kuṣāna ad eterogenee influenze "barbariche", il centro di Mathurā cerca di assimilare al repertorio indiano costantemente ogni apporto, riuscendo per questa via a ristabilire alfine un equilibrio con le scuole meridionali, in un fondo comune che è di premessa al rigoglio culturale ed artistico dell'epoca gupta.
A testimonianza di un apporto scito-parthico e centro-asiatico sono alcune statue di re ed alti personaggi Kuṣāna, unici esempî di ritrattistica ufficiale nell'India antica. Rappresentate in costume cosiddetto scitico, sono figure stanti o sedute, in posizioni di rigido frontalismo. Celebre fra tutte è l'imponente statua acefala del monarca Kanishka, le cui mani alla vita stringono saldamente le impugnature della spada e della mazza.
All'influenza "barbarica" si aggiunge in Mathurā un contributo iranico, palese in certe forme dell'iconografia religiosa, sia buddista che shivaita. È stata inoltre rilevata da taluni una probabile derivazione iranica in certa sobrietà di modellato nel tutto tondo e nell'alto rilievo. Ma lo schema delle figure, le proporzioni spesso un po' tozze dei corpi, l'annotazione pesante dei volumi, indicano attinenze costanti alle antiche realizzazioni plastiche. Ne sono esempio alcune figure di Yaksha e di giovanetti recanti offerte, oltre che di figure muliebri dai seni turgidi e dalla vita sottile, nelle quali si attesta quella predilezione per il nudo femminile, in forme carnose, tipica del gusto indiano. E ad uno stile prettamente indiano riportano pure, in genere, le composizioni di bassorilievo, ove le figure rimangono sul piano di fondo, senza che si ricerchino effetti illusivi di profondità e giochi di chiaroscuro. A differenza ancora del Gandhāra, non esiste particolare attitudine all'elaborazione di schemi narrativi, ma si accentua, invece, uno spiccato senso di decorativismo, che tuttora tradisce un intendersi della scultura di complemento all'opera architettonica. Differisce infine dalle forme del Gandhāra il tipo iconografico del Buddha, in cui maggiore raffinatezza è talora nei tratti del volto, dagli occhi pienamente aperti, le guance tonde, la bocca ampia, piegata in tenue sorriso. La testa è coperta d'un semplice copricapo, che tratteggia la protuberanza del cranio e cela la tonsura. Maggiore uniformità è inoltre nella enumerazione dei simboli sacrali. Ancora, il mantello scende scoprendo la spalla destra, ed aderisce al corpo in un panneggio sottile, dalle pieghe semplificate, a linee incise.
8. Tardo Periodo Andhra (25 a. C. - 320 d. C.). − Per le regioni centrali e meridionali dell'India rappresenta questo periodo nella cultura e nell'arte, in linee collaterali ad un'autonoma evoluzione di temi antichi, una fase di ripetuti contatti con le realizzazioni del Gandhara e di Mathurā, oltre che direttamente col mondo classico, per via di commerci fra i paesi dell'Occidente romano e gli emporî dell'India, di cui si ricorda il celebre porto di Virampatnam (v. arikamedu), presso l'attuale Pondichery.
Costante fioritura dell'arte buddista si ha con il patrocinio degli Āndhra (v. āndhra, epoca). Nell'architettura rupestre, una serie di chaitya e vihāra, nelle località occidentali di Kanheri, Nāsik e Karli, documentano il graduale trapasso da forme architettoniche sobrie e lineari, a strutture notevolmente appesantite d'elementi decorativi. Hanno pianta quadrangolare absidata, con colonnato lungo le navate e l'abside. Nel chaitya di Karli (v.), le colonne hanno capitelli composti d'un elemento campaniforme e d'un plinto a tronco piramidale invertito, che sta di base ad un gruppo accostato d'elefanti, su cui si impostano le arcate della vòlta. Due massicce colonne sono pure sull'entrata, ed il capitello lotiforme è di supporto ad alcuni leoni che reggono le simboliche ruote. La persistenza di motivi riscontrati nell'arte Maurya s'impone con evidenza. E ad essa riconducono ancora le colonne dai capitelli sormontati da leoni, poste ai quattro lati delle balaustre di recinto allo stūpa d'Amarāvatī (v.), in sostituzione degli antichi toraṇa, tuttora in uso altrove. Nell'evoluzione dello stūpa si palesa frattanto una maggiore altezza delle strutture di base ed una più accentuata globularità dei corpi cupoliformi. Restano di quest'epoca le fondazioni dello stùpa d'Amaravati, iniziato nel periodo Maurya e completato nel corso del Il sec. d. C. Rimangono inoltre a Nāgārjunikonda fondazioni di templi all'aperto di pianta quadrangolare absidata, d'un monastero con corte interna, circondata da celle individuali, strutture di palazzi e d'un edificio di pianta circolare a pareti anulari concentriche, munito d'alto pilastro centrale e diviso in un numero di celle mediante muri radiali.
Dalla serie cospicua di rilievi rinvenuti nelle diverse località si desume l'importanza considerevole dell'opera di scultura nell'ornamentazione del monumento architettonico. Si pronuncia nel bassorilievo una spiccata attitudine allo svolgimento di temi narrativi, che trovano composizione in opere di complesso significato iconografico e di più maturo linguaggio formale. Una disposizione delle figure su più piani consegue effetti di profondità, cui si aggiunge studiata prospettiva e ricerca del movimento. può addursi ad esempio la celebre lastra d'Amarāvatī su "L'Adorazione delle Orme dell'Eletto". La presenza del Buddha è espressa talora in forme note di simbolismo o in immagini a figura umana. Sia nel bassorilievo che nella statuaria − di cui il Buddha di Nāgārjunikonda costituisce una delle opere migliori − il tipo iconografico non differisce sostanzialmente dalle rappresentazioni del Gandhara e di Mathurā: all'una o all'altra scuola riconduce anzi per particolari stilistici e tecnica d'esecuzione. Il volto tende all'ovale, i tratti sono allungati, le chiome a riccioli. Il mantello è indossato lasciando scoperta la spalla destra e modellandosi in pieghe naturalistiche, od anche in panneggi a linee concentriche incise, che tradiscono intenti prevalentemente decorativi. La concezione massiccia delle figure, conferisce ai corpi una pienezza di forme, che accentuano effetti di corposa e organica plasticità. Con cura estrema sono rilevati i tratti simbolici; e le immagini acquistano una dolcezza d'espressione ed una spiritualità nuova che fanno di questo cosiddetto stile d'Amāravatī uno dei momenti di maggiore realizzazione della plastica indiana anteriormente ai Gupta. È ad esso che si deve la prima diffusione di forme iconografiche nei paesi dell'Asia sud-orientale (v. indocina, arte dell'; indonesia, arte).
9. Periodo Gupta (320-647). −Parzialmente riunificatasi sotto la dinastia visnuita dei Gupta (il cui fondatore, Chandragupta, fu coronato re dei re a Pataliputra nel 320 d. C.; v. gupta, epoca), l'India vive in quest'epoca l'apogeo della sua civiltà, maturando un'evoluzione culturale ed artistica che si rivelerà decisiva nel processo di "indianizzazione" dell'Asia, già in quest'epoca in via di compiuta realizzazione, sia in campo religioso che artistico. È nell'arte il confluire di diverse tendenze in una espressione unitaria, in cui, per esperienza di lunga tradizione, trovano misurato innesto elementi singoli d'acquisizione, contribuenti a stabilire, in modo spesso definitivo, un repertorio di temi, che a lungo perdureranno sostanzialmente invariati.
L'architettura segna compiuta evoluzione delle strutture più antiche e si perfeziona ulteriormente nell'edilizia templare hindu e buddista. Chaitya e vihāra − di cui sono celebri di questa epoca alcuni delle grotte d'Ajanta (v.) − modificano le loro strutture in più complessa planimetria e si arricchiscono sempre più d'elementi di ornato: volute ed intrecci di vegetali su colonne e pilastri, capitelli di tipo composito fittamente scolpiti, lunghi fregi figurati sugli architravi ed infine, ancora sugli archivolti e lungo le navate, brevi nicchie ed edicole, con cornici ad archetto, ricavate sulle pareti a contenere immagini sacre, ed alternate talora a pannelli ornati da motivi floreali. Analogie ripetute coi tipi del Gandhāra presenta in quest'epoca lo stūpa, in un accentuato verticalismo di linee, in una riduzione dei volumi di base, e in una più ristretta sezione dei corpi cupoliformi. Appartenenti probabilmente al VI sec. d. C. sono gli stūpa di Sārnāth, di Rājagriha e di Nālandā. Grande rilievo ha in essi la decorazione scultorea in opere di bassorilievo su pietra o su rivestimenti di stucco. Sono inoltre riprodotte in miniatura strutture architettoniche, quali archi e pilastri, che inquadrano nicchie intervallate regolarmente, contenenti immagini sacre. Fregi ad ornato floreale decorano prevalentemente le superfici di base. Nell'ambito ancora dell'edilizia religiosa, ottiene sviluppo in quest'epoca un tipo architettonico a pianta absidale, che rivela alcuni elementi in comune con le strutture dei santuarî rupestri. Sono edifici di pianta quadrangolare absidata, con divisione dell'interno in navate. Il tetto segue di regola la vòlta a cuna, ed un arco ad ogiva incornicia l'ingresso sulla facciata principale. Si citano di questo tipo il tempio di Kapoteshvara a Chezarla, ed il tempio di Dūrgā ad Aihole (v.). A partire, inoltre, dal V sec. d. C., col graduale abbandono della pianta in abside, entra in uso l'edificio di pianta quadrangolare, su schema rettangolare o quadrato, preceduto talora da portico ipostilo. È di questo periodo il tempio XVII di Sanchi. Da tale tipo architettonico avrebbe tratto rapida evoluzione, secondo taluni, un edificio di culto a corpo principale quadrato e copertura piramidale a quattro spioventi. Ulteriori trasformazioni avrebbero dato l'avvio a strutture quadrangolari di base, con corpo superiore piramidale a piani degradanti. Ne è un esempio un tempio in pietra di Māvalipuram, sui cui piani sono disposti, in forme di balaustre perimetrali, una serie di edifici in miniatura. Al tipo architettonico a pianta quadrata e copertura piramidale riconducono pure alcuni edifici a torre, di cui sono esemplari, appartenenti forse al V sec., il santuario di Shiva a Deogarh, ed il tempio di Bhitargaon. Infine, nel corso del VI-VII sec., dallo schema di copertura piramidale, per progressiva arcuatura degli spioventi, si sarebbe giunti al tipo architettonico dello shikhara, di cui, fra i più antichi esemplari, è il tempio di Lakshmana a Sīrpur, nell'India centrale.
In tutti questi edifici grande rilievo assume l'ornamentazione scultorea nell'inserzione di strutture architettoniche in miniatura ed in opere di bassorilievo. Frequenti sono inoltre le immagini sacre disposte all'interno di nicchie e di piccole edicole. Il bassorilievo si svolge su fregi d'ornato floreale, o in rappresentazioni figurate d'ispirazione brahmanica e buddista. Le scene rivelano bilanciata distribuzione dei volumi, cui contribuisce un dinamismo in veduta laterale che si oppone di norma a un centro statico. I temi plastici sono più complessi e maggiore è la compenetrazione dei piani e il disimpegno nella prospettiva. In alcune lastre permane tuttavia l'antica tecnica del primo piano, ottenuto mediante lo sproporzionato ingrandimento dei personaggi centrali, intorno a cui muove la scena. Stilisticamente più matura e tecnicamente compiuta è nel periodo Gupta la statuaria, in opere di tutto tondo e di altorilievo. Sulla base dell'indirizzo della scuola d'Amarāvatī, un progressivo risolversi delle tendenze del Gandhāra e di Mathurā, si manifesta in uno stile accademico che persegue l'equilibrio e l'eleganza formale, l'idealizzazione dei tratti, la dolcezza dell'espressione. Il tipo iconografico del Buddha riconduce dapprima al Gandhāra; ed il mantello monastico copre ambedue le spalle, drappeggiandosi in pieghe concentriche che aderiscono al corpo in un panneggio diafano, da cui traspare la nudità delle membra. Più tardi, segna prevalenza il tipo iconografico dalla spalla destra scoperta, e le pieghe del panneggio si diradano sino a scomparire, lasciando il corpo protetto da un semplice velo. Le membra accentuano particolare dolcezza di modellato ed armonia di proporzioni e di forme. Le figure inoltre, tuttora impostate frontalmente, traggono effetti di movimento da una più pronunciata "triplice flessione" (tribhanga). Nel volto si coglie di solito un'espressione misericordiosa e meditativa. In contrasto con la semplicità delle acconciature monastiche delle figure di Buddha, sono le immagini di Bodhisattva e di divinità brahmaniche, in abiti principeschi ed acconciature più elaborate. Talvolta a torso nudo, riccamente adorne di monili, hanno le chiome raccolte in una crocchia o pettinate a boccoli. Ne è un bell'esemplare un Bodhisattva da Sārnāth, dal sorridente volto giovanile.
Pure nell'epoca Gupta raggiunge piena affermazione la pittura murale. Appartengono a questo periodo numerose opere delle grotte di Ajanta (v.), di Bāgh e di Bādāmī. Raccolgono scene di jātaka, ed episodî dell'ultima vita del Buddha. Sono variopinte composizioni di figure umane e animali, in scene aperte o fra dipinti riquadri di strutture architettoniche. Una forte sensibilità coloristica consegue frequenti effetti di organica plasticità.
L'invasione degli Unni Eftaliti (Unni bianchi) riduce, nel corso del VII sec. la religione buddista nell'India settentrionale, e nel S si espande contemporaneamente sempre più l'induismo. Sotto le dinastie indù si apre un nuovo periodo artistico (impropriamente detto anche del Medioevo indiano), che giunge sino all'età moderna, ma che è al di fuori dei limiti cronologici assegnati alla presente Enciclopedia. (Si vedano, oltre alle voci citate nel corso del testo, anche le seguenti: bodh-gaya; bodhisattva; brahamagiri; buddha; chaitya; dagoba; hastinapura; khandagiri; patna; sāri dheri; shan; shunga, epoca; takht-i bahi; taxila).
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(A. Tamburello)
Musei nell'India e nel Pakistan. − Opere d'arte indiana delle epoche considerate nel precedente articolo si trovano nei principali musei occidentali (Londra, British Museum; Parigi, Museo Guimet; Leningrado, Ermitage; New York, Metropolitan Museum); ma non sempre risulta agevole avere un quadro della ricchezza di opere conservate nei musei dell'India stessa. Diamo qui un elenco alfabetico delle località dell'India e del Pakistan nelle quali si trovano musei d'arte antica contenenti opere relative ai periodi qui considerati:
Ājmēr; Rājputānā-Museum: sculture di tarda età Gupta provenienti da Kāmān, Sāwar, Sirōhī, ecc.
Allahābād; Allahābād-Museum: sculture da Bharhut (età Shunga), Khoh e Garhwā (età Gupta); terrecotte da Kaushāmbī (Kosām).
Āmbēr presso Jaipur; Museo Archeologico: terrecotte e altri reperti arcaici da Bairāt, Sāmbhar, Rairih; sculture di tarda età Gupta da Abanēri.
Barodā; Barodā-Museum: trovamenti da Harappā; materiali del Gandhāra; Yakshī di un recinto e altre sculture di Mathurā (II sec. d. C.); rilievo in schisto con amanti in stile Gandhāra-Maturā; sculture della prima età Gupta da Shāmlajī (Shiva, Matrikās, ecc.); sculture di piena età Gupta da Tintoi; Sūrya da Rodā, Kārttikeya (Barodā) e Shiva-Pārvatī (da Kāpūrī) del VII sec. d. C. Bronzi Jaina da Akotā (IV-XII sec.); manico di un vaso in bronzo di età romana, con erote; cammeo da Kārvan.
Benares; Museo Bhāratīya Kalā Bhavan: terrecotte da Rājghāt e Kārttikeya (IV-VI sec.).
Bhīlsā; Bhīlsā-Museum; capitello Maurya con protomi di toro, cariatide (Shunga-Kuṣāna); teste di epoca Kuṣāna.
Bhubanēshwar; Bhubanēshwar-Museum: frammenti di sculture di età Maurya e tardo Gupta.
Bījāpur; Bījāpur-Museum: statua di Yaksha in stile Shātavāhana.
Bīkānēr; Bīkānēr-Museum: terrecotte da Sūratgarh (III-IV sec. d. C.).
Bombay; Museo Prince of Wales: trovamenti di Mohenjo-Dāro e di Harappā; terrecotte Maurya e Shunga-Kuṣāna; sculture del Gandhāra; rilievi di terracotta dell0 stūpa di Mīrpur Khāss (IV sec., Sind); rilievo di Vidyādhara (Gupta), ecc.
Calcutta; Asotosh-Museum: terrecotte (dall'epoca Maurya al Medioevo). Indian-Museum: stūpa di Bharhut, Yakshī di Bēsnagar, grande collezione di sculture Gandhāra e Mathūra (gruppi con "baccanali"), rilievi in terracotta da Bhītargāōn, gruppo Shiva-Pārvatī del 458-9 d. C.) da Kosām; Sūrya semisassanide da Gum (Chambā); sculture Gupta da Sārnāth; Padmapāni da Sankīsa; sigilli indo-greci, Kuṣāna e Gupta.
Chambā; Chambā-Museum: forma per mattoni Gupta.
Chandīgarh e Patīala; Museo del Panjab orientale: sculture Gandhāra e Gupta da Agrōha.
Gwāliōr; Museo Archeologico: Yakshī da Pawāyā; sculture e terrecotte pre-Gupta e Gupta arcaiche da Pawāyā (rilievo di Triwikrama, IV sec. d. C.); statue di mātrikā della prima epoca Gupta e narasimha da Bēsnagar; Pārvatī da Bēsnagar, ecc.; dvārapāla da Mandasor; kubēra da Tumāin; Shiva danzante da Ujjain; nascita di Krishna (o di Māhavirā) da Pathārī (VII sec.), ecc.
Hyderabad (Deccan); Hyderabad-Museum: torso da Nagar; terrecotte e sigilli da Kondapur, Maski, ecc. (stile Shātavāhana).
Jhālawād (Rājasthān); Jhālawād-Museum: statua di Ardhanārīshvara (prima età Gupta).
Jōdhpur; Jōdhpur-Museum: Vishnu della prima età Gupta; due statue in stile provinciale misto Kuṣāna e tardo-Gupta.
Karachi (Pakistan); Karachi-Museum: v. karachi.
Kolhāpur; Kolhāpur-Museum: trovamenti di arte romana (Posidone tipo Istmo, ecc.).
Lahōre (Pakistan); Museo Provinciale: trovamenti da Mohenjo-Dāro, Harappā, ecc.; sculture del Gandhāra; sculture Gupta da Mūrti, ecc.
Lucknow; Provincial Museum: Yaksha da Rāmnagar; sculture e terrecotte Shunga, grande collezione di sculture di scuola Mathurā; statua del cavallo votivo di Samudragupta; sculture Gupta di Garhwā (Bhīma e Jarāsandha), Jātaka Kshantivādin.
Madras; Government Museum: rilievi e reliquiarî Shātavāhana dagli stūpa di Amarāvatī, Jaggayyapēta, Gōli, ecc.
Mathurā; Museo Archeologico: la più notevole collezione di scultura e terrecotte Mathurā (età Shunga-medioevo), Pārkham Yaksha; statue dei re Kuṣāna, teste scitiche e tocarie, statua di Hāritī-Kambojā (stile del Gandhāra), rilievo con Amōhinī, Katrā Bodhisattva (100 d. C.), pilastro Bhūthēshar Yakshī, figura Jaina, Sūrya semisassanide, Buddha Gupta (v. Tavola a colori).
Nāgārjunikonda; Archaeological Museum (presso Bēzwāda): statue e rilievi buddisti nel tardo stile Ikshavaku e Shātavāhana.
Nālandā; Archaeological Museum: Vishnu su Garuda (prima epoca Gupta), da Rājgir; bronzi Nālandā (Gupta medievali).
Nuova Delhi; National Museum: trovamenti di Mohenjo-Dāro e di Harappā, capitello di Ashoka da Sārnāth, sculture Shunga, Gandhāra e Mathurā (scene di baccanali, figura di monaco ispirata da schemi occidentali, ecc.). Terrecotte Akhnūr, coppa di argento romana da Rūpar, affreschi da Mīrān (Turkestan orientale), statue e rilievi Gupta da Dēogarih, Bhumara, Gwalior, Bhāgalpur, Sondanī, Aihole, Suhāniā; terrecotte da Ahichchhattra (Shiva, Pārvatī, divinità femminili fluviali, ecc.); sigillo da Sharvavarman Maukharī (con eroti, di tipo ellenistico).
Patna; Patna Museum: statue di Yaksha, Dīdarganj Yakshī, torsi Maurya, notevole raccolta di terrecotte Maurya e Shunga, dee madri, rilievi Shakuntalā da Nālandā; terrecotte della prima età Gupta da Chausā (Rāmāyana) e Bēlwā, bronzi Kurkihār (tardo-gupta, medioevo).
Peshawar (Pakistan); Peshawar Museum: sculture del Gandhāra, reliquiario di Kanishka.
Puna; Deccan College Research Institute: trovamenti preistorici, protostorici e Shātavāhana.
Rāipur (Madhya Pradēsh), Museo: bronzi buddistici Sīrpur (VI sec.).
Rājshāhī (Pakistan orientale); Varēndra Research Society: Buddha e bronzi Gupta.
Sanchi; Museo Archeologico: frammenti di statuette e rilievi da stūpa e dai loro recinti (Shunga e Shātavāhana), statue-colonna della prima età Gupta, Buddha e Bodhisattva Gupta.
Sārnāth (presso Benares); Museo Archeologico: teste Maurya; capitelli di tipo semigreco, Bodhisattva (scuola Mathurā); Buddha Gupta; Bodhisattva; stele buddiste, ecc.
Srīnagar (Kashmir); Museo: terrecotte Ushkūr, statua di un re Kuṣāna ("Panchika"); rilievi di mattoni da Hārvan (ellenistici, parthici, prima età Gupta); statuette e terrecotte da Vijabrōr (tarda età del Gandhāra, principio del VI sec.); statue di Buddha e Bodhisattva da Pandrēthān e Parihāsapura (principio dell'VIII sec.).
Taxila (Pakistan); Museo Aarcheologico: rinvenimenti locali di età ellenistica, indo-parthica e gandharica (sculture, bronzi, argento, oreficerie).
(H. Goetz)