Vedi ITALICA, Arte dell'anno: 1961 - 1995
ITALICA, Arte
ITALICA, Arte. − 1. Definizione. − Per arte i. intendiamo le manifestazioni indigene di artigianato artistico nella penisola italiana e in Sicilia, dall'Età del Ferro all'età augustea, che mostrano caratteri primarî ed evidenti di originalità rispetto al mondo greco, punico e celtico. L'area culturale etrusca è stata lasciata da parte, meritando una trattazione particolare (v. etrusca, arte).
L'esistenza di un artigianato italico, non etrusco, fu intravista in occasione dei primi scavi di Capua (1845), di Bovianum Vetus (1857-58) e delle scoperte del Fucino (1866). Si parlò in un primo momento di arte sannitica (Rochette, Minervini, Garrucci), quindi di arte i. (Helbig). Bisognava tuttavia arrivare agli anni 1920-30 e alle polemiche sull'originalità dell'arte etrusca, perché si spianasse la via alla sua comprensione e se ne cominciassero a pubblicare i documenti. L'importanza del problema fu enormemente accresciuta dalla scoperta casuale (1934) del Guerriero di Capestrano (v.). Tuttavia fino ad oggi sono mancate una raccolta ordinata del materiale e una sua adeguata valutazione storica e critica. Un primo tentativo in tal senso, basato soprattutto sulla scultura etrusca, è stato fatto da G. von Kaschnitz-Weinberg nell'ambito della teoria della struttura: un filone di opere sarebbe improntato dalla struttura lineare cubistica di tradizione villanoviana, un altro filone, secondario, da quella dinamico-plastica di tradizione sabino-laziale-campana. Ne risulterebbe una pseudoplastica, espressione di una spiccata sensibilità per lo spazio interno. Il riconoscimento di codeste strutture non può però esaurire il problema storico né valere come giudizio di qualità (v. struttura). A questa seconda esigenza ha reagito il Bianchi Bandinelli, indicando come carattere distintivo dell'arte i. una tendenza fortissima verso l'improvvisazione e la vivacità espressiva, qualità che senza l'apporto della tradizione greca non riescono a tradursi in linguaggio poetico. Principalmente del problema storico si sono viceversa occupati il Boëthius e in specie il Pallottino che, dopo aver constatato la disparità di esperienze figurative in essa presenti, ha tentato di inserire quelle arcaiche nel quadro di una più vasta prospettiva mediterranea, supernazionale, non escludendo, infine, per tutte le epoche l'apporto personale di singoli maestri, quale noi ora possiamo solo intravvedere al di là della sopravvissuta produzione artigianale (v. anche romana, arte).
(G. Colonna)
2. Precedenti decorativi di età preistorica. − Il terreno in cui l'arte i., nel periodo della sua formazione, affonda le radici, non si può certo definire come un ambiente culturale unitario, né, tanto meno, come una tradizione omogenea di gusto. Tuttavia, la delimitazione geografica che si è data dell'arte i. non è una pura definizione di comodo: essa ha valide ragioni storiche nelle vicende dei secoli che precedettero immediatamente il suo manifestarsi. La storia delle origini dell'arte i. è, insomma, la storia di una serie di eventi e di esperienze che accomunarono, sia pure in modi, misura e tempi diversi, alcune regioni della penisola, e, pur senza ricondurle ad unità culturale, crearono in esse una predisposizione a reagire, tutte più o meno in forme analoghe, alle grandi influenze esterne che si andarono affacciando a partire dagli inizî della colonizzazione ellenica.
a) Tarda Età del Bronzo. − Sul finire dell'Età del Bronzo, nei secoli in cui si va maturando la crisi del mondo egeo, l'Italia appare distinta in due diverse aree culturali: quella padana, intimamente saldata al mondo centroeuropeo e danubiano, e quella peninsulare, in sostanza culturalmente isolata, ma che gravita tuttavia in qualche modo intorno all'ambiente mediterraneo.
La diversità fra le due sfere, quella padana e quella della penisola, si nota soprattutto nei prodotti dell'industria vascolare. Nella ceramica dell'Italia settentrionale domina un gusto decorativo giunto ad affermarsi nelle palafitte transpadane e nelle terremare per una serie di apporti successivi dall'Europa centrale, che si vale di mezzi prevalentemente plastici: così le solcature e le bozze, che modulano variamente la superficie del vaso, pur senza interromperla, facendo anzi corpo con essa secondo una sintassi spesso intimamente legata alla forma, di cui sottolinea l'articolarsi. L'effetto visivo è sovente quello di una massa turgida, che tende ad espandersi verso l'esterno. È una decorazione varia, piuttosto nei modi in cui è eseguita, che nel repertorio dei motivi, relativamente costanti: bozze e mammilloni, lisci o circoscritti da solcature concentriche; fasci di solcature parallele, orizzontali, o anche verticali con disposizione "metopale", o formanti ornati geometrici piuttosto elementari: zig-zag, denti di lupo, festoni, linee ondulate, ecc., disposti con un ordinamento per lo più rigidamente zonale.
L'aspetto culturale "subappenninico" (v. appenninica, civiltà) che nello stesso torno di tempo domina nella penisola è, entro certi limiti, il proseguimento della civiltà appenninica, fiorita nel corso della media Età del Bronzo. Vi perdura infatti la caratteristica decorazione incisa, ma in misura molto minore, solo in alcuni centri, e con un repertorio molto impoverito di motivi (ornati geometrici lineari, o a nastro riempito con tratteggio o con punteggio, ormai più spesso rettilinei che curvilinei, fra cui alcuni tipi di meandro retto). Ma la grande maggioranza delle numerosissime fogge della ceramica fine è priva di ornati. Sono forme per lo più articolate; predominano in esse i profili fortemente curvilinei, ad andamento convesso-concavo, frequentemente interrotti dallo spigolo vivo di una carena.
Maggior fortuna ha la decorazione plastica, che però troviamo quasi esclusivamente nelle forme, in gran parte tozze ed elementari, dal profilo unito, per lo più moderatamente convesso, del vasellame più grossolano. Si tratta tuttavia di un gusto plastico ben diverso da quello dominante nella valle padana: gli elementi decorativi sono sovrapposti alla superficie del vaso, senza far corpo con essa; manca un'intima connessione con la forma. Questa decorazione si vale per lo più di cordoni, lisci o ad intacchi a ditate, ecc., generalmente orizzontali, ma spesso anche disposti a formare ornati a reticolato, a zig-zag, a triangoli pendenti, a festoni, anche a spirale. Frequenti sono pure gruppi di costolature verticali; bugnette (ben distinte però dalle bozze e dai mammilloni della pianura padana); gruppi di tubercoli (una specie di decorazione à la barbotine).
Ma questo gusto per una decorazione che giustappone anziché modellare, senza stretti legami con la tettonica del vaso, trova la sua massima libertà di espressione nelle anse, in cui il piacere di plasmare, sostanzialmente avulso da ogni funzionalità, vivace e un po' ridondante, crea un gran numero di tipi e varianti: anse a nastro con apici revoluti, anse ad ascia, anse cornute e cilindro-rette, ecc., oltre ad alcuni rari esemplari di anse con appendice a testa zoomorfa, in cui compare un certo intento figurativo. Vere e proprie figurette di quadrupedi non compaiono forse ancora in questa fase, ma sono già presenti nella contigua area terramaricola.
Diversamente da quanto accade per i prodotti ceramici, altre classi di oggetti, come l'industria di osso e di corno, e soprattutto i bronzi, rivelano un intenso rapporto tra ambiente settentrionale ed ambiente peninsulare. Qui la penisola si limita praticamente ad assorbire; la tipologia (fibule ad arco di violino, spade e pugnali a lingua di presa, asce ad alette, ecc.) è la stessa della koinè centroeuropea.
b) Periodo di transizione. − Con la fase di transizione dall'Età del Bronzo all'Età del Ferro le due forme di gusto, decorativo e plastico, che si sono definite come proprie rispettivamente dell'ambiente padano e di quello "subappenninico", entrano tra di loro in un diretto e intenso rapporto sul territorio della penisola. Questo fenomeno è in concomitanza colla diffusione del rito incineratorio e di molti altri elementi culturali. La natura di questi apporti è difficilmente definibile, anche, e forse soprattutto, perché è molteplice. Se infatti essa si configura prevalentemente come una vasta ondata di influenze culturali, in concomitanza con fondamentali innovazioni ideologiche, con l'introduzione di forme più progredite di economia agricola, e con probabili modificazioni nella stratificazione sociale, l'incidenza di sia pur limitati episodî immigratorî appare verosimile. Questi, come quelle, sono probabilmente di varia derivazione: ad una o più correnti provenienti dalla zona delle terremare (v.) e dall'area padana settentrionale va aggiunta senza dubbio una componente transadriatica, di più diretta origine danubiano-balcanica, che sembra affermarsi più particolarmente sul versante orientale della penisola; ma tutti questi filoni si intrecciano in modo tale, che non sarebbe agevole tentare di distinguere gli apporti dell'uno e dell'altro. Questo ampio fenomeno culturale, la cui manifestazione più cospicua è costituita dalle necropoli ad incinerazione "protovillanoviane" (v. villanoviana, civiltà) ci può apparire dunque oggi come sostanzialmente unitario. Ma non è uniforme comunque il modo in cui esso si contrappone al sostrato di tradizione "subappenninica". In alcuni casi la facies "protovillanoviana" viene assorbita dal sostrato locale senza modificarlo profondamente; in altri essa gli si sovrappone e i due filoni culturali coesistono, ma non si giunge ad una completa fusione; altrove questo amalgama è più intimo; in alcuni casi infine, sembra che la nuova cultura riesca ad imporsi in pieno, cancellando quasi ogni traccia della tradizione precedente. È legittimo pensare che appunto questa varietà di situazioni locali abbia dato origine al frazionarsi della precedente unità culturale della penisola nelle diverse facies regionali dell'Età del Ferro.
Con le necropoli "protovillanoviane" fa dunque la sua prima apparizione nella penisola quel genere di gusto che si è definito come tipico della valle padana. Bozze e mammilloni lisci o circoscritti da solcature concentriche; costolature e baccellature verticali; scanalature oblique; motivi geometrici a fasci di solcature parallele modellano le urne e gli altri vasi di corredo, di cui sottolineano le forme, articolate e spesso tendenti a profili angolari. Ma questa decorazione non è modellata con la turgidezza dei prototipi da cui deriva: essa è più asciutta, schematica, come irrigidita, e spesso scadente nell'esecuzione.
Interpretando questo fenomeno come un decadimento e un impoverimento, si è dovuta ammettere per la prima Età del Ferro una nuova e più diretta connessione con il vecchio ceppo danubiano-balcanico, che spiegasse il rifiorire della decorazione a bozze e solcature in alcune culture italiche. Ora, una continuità di rapporti con l'altra sponda dell'Adriatico, anche per la prima Età del Ferro, è innegabile, e largamente testimoniata nei bronzi; ma, per quanto riguarda invece la produzione ceramica, a ben vedere, già in alcuni gruppi "protovillanoviani" è presente in germe una gran parte degli elementi fondamentali di varie culture del ferro peninsulari, non solo nella decorazione, ma anche nelle anse e nelle forme. Nell'abitato "protovillanoviano" di Ancona, ad esempio, troviamo forme tipiche della civiltà delle tombe a fossa, come l'anforetta panciuta a collo distinto ed anse verticali, e l'orciolo biconico monoansato; e nelle più arcaiche tombe di Allumiere compaiono le tazze a collo distinto, anche con la caratteristica ansa bifora propria di tale forma ceramica per tutta l'Età del Ferro. Questo precoce, anche se sporadico, fermento di elementi nuovi è più evidente lungo la fascia adriatica, e soprattutto nella parte settentrionale di essa, certo in connessionè con quella componente transadriatica cui si è già accennato. Il nuovo innesto dal vecchio ceppo danubiano-balcanico si configura dunque più come introduzione di fermenti, destinati poi a svilupparsi vivacemente, avvenuta nel corso della fase di transizione dall'Età del Bronzo all'Età del Ferro, che come un massiccio influsso culturale in epoca posteriore.
Del resto, la decorazione plastica della fase "protovillanoviana" non è neppure del tutto irrigidita e impoverita. Si incontrano qua e là, specie nell'area emiliano-marchigiana, manifestazioni di un gusto più turgido e mosso. Né è difficile spiegare questa mancanza di uniformità con una maggiore o minore disposizione e aderenza dei varî gruppi alla sensibilità nuova, per le diverse situazioni createsi localmente, come si è accennato, dal contrapporsi di facies "protovillanoviane" e sostrato "subappenninico". Alla comprensione di questo vario atteggiarsi del gusto crea un grave ostacolo la diversità tra ceramica funeraria e ceramica degli abitati. D'altra parte, è in questi ultimi che appare più forte la tradizione "subappenninica", sia nelle forme, sia nella fantasiosa vivacità degli elementi plastici che è molto maggiore di quanto non sembri dai materiali delle necropoli.
Nella produzione metallurgica la dipendenza dall'influsso transalpino è invece completa, per tipologia e per tecnica. Di particolare importanza, per il grande sviluppo che questa produzione assumerà nell'ambiente italico della prima Età del Ferro, sono i primi manufatti di lamina metallica a sbalzo, peraltro piuttosto importati che prodotti localmente: notevolissime le tazze bronzee del ripostiglio di Tolfa, e i dischi aurei di Borgo Panigale e di Gualdo Tadino.
c) Prima Età del Ferro. − Le varie facies regionali della prima Età del Ferro ci mostrano, ormai stabilizzati, i diversi esiti del complesso intreccio di eventi verificatisi nel corso del periodo di transizione. Nella civiltà picena più precocemente e saldamente che altrove sembra essersi compiuta la fusione fra il filone "subappenninico" e quello "protovillanoviano": il gusto che ama modellare il corpo dei vasi con bugne e solcature ha trovato un suo felice punto di incontro con quello che predilige la vivacità delle appendici plastiche.
Nella civiltà delle tombe a fossa della Calabria e della Campania, la prima di queste due componenti, più che fondersi col sostrato "subappenninico" pare, entro certi limiti, soppiantarlo. Una delle poche sopravvivenze della tradizione locale si ha nella decorazione incisa, o impressa a "rotella", con motivi nastriformi, riempiti a tratteggio, per lo più varietà di meandro (che si ritrovano anche spesso sui bronzi, nei quali, tuttavia, il filone di origine danubiano-balcanica rimane sempre quello principale). Ma il gusto di gran lunga dominante è sempre quello dell'ornamentazione a bozze e scanalature, che qui si manifesta con particolare vivacità; anche le forme vascolari vi si adeguano; non sono rare le fogge rigonfie, schiacciate, quasi otriformi, di cui gli elementi decorativi sembrano ulteriori espansioni. Soprattutto nell'area campana, anforette, tazzine ad ansa bifora, orci biconici, rivelano anche nelle numerose varianti delle forme la stessa irrequieta ricerca di effetti plastici.
L'alto ed il medio versante tirrenico sono occupati da due culture, le cui affinità con gli altri gruppi della penisola appaiono molto limitate: la civiltà villanoviana dell'Etruria, e la facies delle urne a capanna del Lazio.
Nell'area della vera e propria civiltà villanoviana le sopravvivenze del gusto "subappenninico" sono minime; d'altra parte, anche gli ornati plastici di tipo padano e transadriatico, introdottisi con l'orizzonte "protovillanoviano", rivestono una importanza secondaria. Domina invece una decorazione lineare geometrica, soprattutto a fasci di solcature sottili, o a linee incise a pettine, il cui repertorio di motivi (fra i quali alcuni tipi di meandro) trova solo in parte i suoi precedenti nei materiali delle necropoli della fase di transizione. Tuttavia la connessione del villanoviano con queste è comunque strettissima (rito crematorio, urne biconiche, scodelle a bordo rientrante, ecc.). Il fatto è che in esso, evidentemente, la componente transadriatica è, fra le varie del "protovillanoviano" quella che ha avuto un'influenza minore.
La più antica cultura laziale, rappresentata da una parte delle tombe a cremazione del Foro e dei Colli Albani, determina in un primo momento un'area di separazione tra villanoviano e civiltà delle tombe a fossa. In essa, la tradizione "subappenninica" è ancora molto forte, anche se impoverita di tutti gli elementi più vistosi. Ne fanno fede le numerose forme ovo-cilindriche e panciute; le tazze carenate; le anse cornute; la decorazione a cordoni rilevati, spesso disposti a reticolato: qui il gusto plastico di tipo danubiano-balcanico non ha avuto modo di affermarsi; la fase "protovillanoviana" è riuscita ad introdurre solo il rito crematorio e qualche forma vascolare, come la scodella a bordo rientrante. L'influenza villanoviana è limitata ai bronzi e, forse, alla stessa urna a capanna.
È dunque una tradizione impoverita, incapace sia di ulteriori sviluppi, sia di resistenze ad influssi esterni, che la civiltà delle tombe a fossa incontra nel Lazio: qui il gusto plastico ad essa peculiare trova campo per una nuova, ampia fioritura: costolature e scanalature verticali, oppure oblique, disposte più o meno distanziate tutt'intorno al corpo del vaso, o anche alternate a bozze o cuppelle circoscritte da solchi concentrici; o queste ultime soltanto, sempre comunque con un discreto effetto plastico; oppure bugnette lisce appena percettibili, che, sole, o insieme ad una serie di sfaccettature quasi insensibili, modellano il vaso in modo da tenderne e inturgidirne leggermente la superficie. Altrettanta ricchezza di varianti si nota nelle forme vascolari.
Di questa fioritura partecipano e ad essa contribuiscono anche alcuni gruppi dell'interno dell'Appennino, etnicamente umbri e sabini, che tendono ad affacciarsi sul versante tirrenico; ed insieme le due correnti penetrano nelle zone periferiche dell'Etruria meridionale, specie interna (Bisenzio, territorio capenate, falisco, veiente, ecc.), dove l'affermarsi della civiltà villanoviana sembra essere stato meno deciso; e più tardi, e con minore intensità, in aree più vaste del territorio etrusco (Tarquinia, Vulci, Vetulonia, ecc.). In questo ambiente trova anche ampie possibilità l'industria dei bronzi laminati con decorazione a sbalzo e incisa (dischi di fibule, cinturoni, bacini, situle, ecc.) di cui si sono già indicate l'origine danubiano-balcanica, la provenienza attraverso l'Adriatico e la prima apparizione già nella fase "protovillanoviana", cui segue il notevole ruolo acquistato nell'ambito della civiltà picena e di quella delle tombe a fossa; ma che ora giunge ad una ricchezza e ad una diffusione di gran lunga maggiore.
Monumenti considerati. − a) Tarda Età del Bronzo. − Ceramica delle palafitte e altre stazioni transpadane: P. Laviosa Zambotti, La civiltà enea della Valle Padana studiata specialmente nella ceramica, in Studi Etr., xi, 1937, p. 9 ss.; P. Castelfranco-G. Patroni, in Mon. Ant. Lincei, xxiv, 1916, p. 309 ss. Ceramica delle terremare: G. Säflund, Le Terremare, Lund 1939, p. 117 ss., tav. 4 ss. Ceramica subappenninica: R. Pettazzoni, in Mon. Ant. Lincei, xxiv, 1916, p. 221 ss.; U. Rellini, in Mon. Ant. Lincei, xxiv, 1931, p. 129 ss.; E. Brizio, in Mon. Ant. Lincei, ix, 1899, p. 617 ss.; U. Calzoni, in Not. Scavi, 1933, p. 45 ss.; F. Rittatore, in Riv. Sc. Preist., vi, fasc. 1-2, 1951, p. 16 ss.; U. Rellini, in Mon. Ant. Lincei, xxvi, 1920, p. 5 ss.; G. Patroni, in Mon. Ant. Lincei, ix, 1899, p. 545 ss.; U. Rellini, in Mon. Ant. Lincei, xxiv, 1916, p. 461 ss.; L. Bernabò Brea, in Bull. Palet. It., n. s., x, vol. 65, fasc. 1, 1956, p. 67 ss., e in Archivio de Prehistoria Levantina, iii, 1952, p. 411 ss.; M. Gervasio, I dolmen e la civiltà del bronzo nelle Puglie, Bari 1913; R. Peroni, Per una definizione dell'aspetto culturale "subappenninico", in Mem. Acc. Linc., ix, 1958. Decorazione incisa: R. Peroni, Tradizione subappenninica nella decorazione ceramica della cultura laziale, in Arch. Class., x, 1958, p. 242 ss. Figurette di animali: U. Rellini, in Mon. Ant. Lincei, xxxiv, p. 190, fig. 14; R. Pettazzoni, in Mon. Ant. Lincei, xxiv, 1916, p. 291, fig. 45; P. E. Arias, in Emilia Preromana, iii, 1951-52, p. 79 ss., tav. ii; G. Annibaldi, Il Museo Naz. delle Marche di Ancona, Ancona 1958, fig. a p. 13; G. Säflund, op. cit., tav. 40, 1-8. Bronzi: U. Rellini, Per lo studio delle spade di bronzo scoperte in Italia, in Bull. Palet. It., 1926, p. 64 ss.; R. Peroni, Zur Gruppierung mitteleuropäischer Griffzungendolche der späten Bronzezeit, in Badische Fundberichte, xx, 1955, p. 69 ss.; J. Sundwall, Die älteren italischen Fibeln, Berlino 1943, p. 66 ss. b) Periodo di transizione. − Necropoli "protovillanoviane": G. A. Colini, in Bull. Palet. It., 1913, p. 19 ss.; Q. Quagliati - D. Ridola, in Mon. Ant. Lincei, xvi, 1906, p. 5 ss.; G. A. Colini, in Bull. Palet. It., 1911, p. 120 ss.; A. Minto, in Bull. Palet. It., 1924, p. 123 ss.; L. Bernabò Brea, in Bull. Palet. It., n. s., x, vol. 65, fasc. i, p. 82 ss. Abitato in Ancona: D. Lollini, in Bull. Palet. It., n. s., x, vol. 65, fasc. 1, p. 237 ss. Tazze di Tolfa: G. A. Colini, in Bull. Palet. It., 1910, p. 114 ss. Dischi di Gualdo Tadino: G. Annibaldi, in Bull. Palet. It., n. s., viii, parte v, 1953, p. 175 ss. Disco di Borgo Panigale: P. E. Arias, in Emilia Preromana, iii, 1951-1952, p. 79 ss. c) Prima Età del Ferro. − Civiltà picena: Vl. Dumitrescu, L'età del ferro nel Piceno, Bucarest 1929; E. Brizio, in Not. Scavi, 1902, p. 437 ss.; G. Pellegrini, in Not. Scavi, 1910, p. 333 ss.; E. Brizio, in Mon. Ant. Lincei, v, 1895, p. 84 ss.; D. Lollini, in Bull. Palet. It., n. s., x, vol. 65, fasc. 1, p. 250 ss. Civiltà delle tombe a fossa: E. Gabrici, in Mon. Ant. Lincei, xxii, 1913; P. Orsi, in Mon. Ant. Lincei, xxxi, 1926, p. 6 ss. Civiltà villanoviana: E. Stefani, in Not. Scavi, 1929, p. 325 ss.; L. Pernier, in Not. Scavi, 1907, pp. 43 ss.; 227 ss.; 321 ss.; I. Falchi, Vetulonia, Firenze 1891, p. 31 ss.; A. Minto, Populonia, Firenze 1943, p. 56 ss.; D. Randall Mac Iver, Villanovans and Early Etruscans, Oxford 1924. Lazio: G. Pinza, in Mon. Ant. Lincei, xv, 1905; E. Gjerstad, Early Rome, ii, The Tombs, Lund 1956. Fase delle tombe a fossa in Etruria: R. Paribeni, in Not. Scavi, 1928, p. 434 ss.; E. Stefani, in Not. Scavi, 1911, p. 433 ss.; O. Montelius, La civilisation primitive en Italie, Stoccolma 1904, ii, 2, tav. 258 ss.; 281 ss.; 348. Cinturoni: G. Kossack, Ueber italische Cinturoni, in Praehistorische Zeitschrift, xxxiv-xxxv, 1950, p. 132 ss. Vasellame di bronzo laminato: G. von Merhart, Studien über einige Gattungen von Bronzegefässen, in Festschrift des Römisch-Germanischen Zentralmuseums in Mainz, 1952, ii, p. 11 ss.
(R. Peroni)
3. Monumenti figurati. − A parte le già citate figurine di animali "protovillanoviane", di provenienza picena, che vanno poste in rapporto, se non con l'ambiente transadriatico, certo con il sostrato "subappenninico", le più antiche testimonianze figurate di arte i. sono per noi rappresentate da una serie di statuette fittili di offerenti, rinvenute entro tombe a cremazione dei Colli Albani (IX-VIII sec. a. C.): hanno braccia protese, a volte con una tazza nella destra, gambe raccorciate, collo lungo, a punzone che fa tutt'uno con la testa, riconoscibile generalmente solo per la prominenza del naso e le due espansioni laterali raffiguranti gli orecchi. La loro primitività non è del tutto gratuita, ma va inquadrata in un ciclo di coeve esperienze mediterranee, di origine preistorica, volte a rielaborare l'eredità figurativa tardomicenea.
a) Fase subgeometrica. 1) Italia peninsulare e Sicilia (in generale). − In un momento storicamente successivo, l'affermarsi della colonizzazione greca sulle coste meridionali e siciliane ed il coevo, rapido fiorire della cultura protoetrusca sul medio Tirreno, determinano un vasto incremento, una assai più larga diffusione di questa coroplastica minore, modellata a mano, sulla falsariga delle analoghe esperienze colte di stile subgeometrico (v. geometrica, arte). È una produzione che va perdendo l'originario, predominante significato funerario, per trasformarsi in applicazioni decorative su vasi d'impasto o in ex voto a sé stanti, offerti nei santuarî, ove erano custoditi in apposite stipi. Parallelamente, e in armonia con essa, si sviluppa una piccola plastica in bronzo fuso, con destinazione per lo più ornamentale (pendagli e altri elementi del mundus muliebris, parti di vasi, ecc.).
Le stipi più notevoli giunte fino a noi vengono dalla Campania, precisamente da S. Scolastica presso Montecassino e dal santuario della dea Manca alla foce del Garigliano. Quest'ultimo ha restituito alla luce quasi duecento figurine in terracotta dell'epoca, a volte fornite di una base, generalmente nude, con le gambe raccorciate come negli idoli albani e le braccia protese o distese lungo i fianchi o riportate sul ventre, spesso per reggere qualche oggetto irriconoscibile. Mani e piedi sono spesso conformati a pinna striata. La struttura del corpo è ora piatta, tabulare, con i seni distanziati e il collo allungato, ora invece più arrotondata, con superfici gonfie unitariamente o mosse con un plasticismo sommario. Varî sono i tipi dei volti. Una stilizzazione che potremmo definire espressionistica compare in certi visi squadrati, con occhi e narici profonde e assai distanziate, bocca larga, orizzontale, mento quasi assente (Mingazzini, in Mon. Ant. Lincei, xxxvii, 1938, tavv. xii, 1, 4-5; xiii, 7, 8, 18, 19): l'impressione è quella di una maschera scimmiesca. Essa ritorna in un'altra statuetta, più grande ma quasi informe nel corpo, da Iesi (Ancona), e in un pendaglio bronzeo da Oliveto Citra nell'alta valle del Sele. Più frequente è il tipo di volto a semplice punzone con solchi orizzontali (id., ibid., tav. xiii, 5, 8-10), o a punzone con due prominenze laterali (id., ibid., tav. xiii, 3, 4, 6). Quest'ultima conformazione compare anche in alcune statuette del museo di Ancona, dalla superficie mossa irregolarmente, e in certi pendagli bronzei piceni a figure filiformi con le braccia allargate. Da essa derivano certe teste piccole, con volto da civetta, occhi rotondi, bocca larga, naso corto (id., ibid., tav. xii, 3), che incontriamo anche in alcuni pendagli dalle stipi di Satrico e Valvisciolo, in uno a tre figure da Spoleto e in un bel simplegma su piccola base da Vizzini (Catania), esibente due figure vivacissime, di cui la maschile regge nella sinistra una grossa scodella. Il tipo del simplegma ritorna in un pendaglio da Centuripe e in altri analoghi da Locri e Torre del Mordillo, il che conferma l'intensità dei rapporti di quest'epoca tra la Calabria e la Sicilia orientale. Nei pendagli però le teste sono divenute globulari, con un processo di riassorbimento del volto che ritroviamo in un bronzetto del museo di Potenza, che ha le mani riportate sul ventre, in un pendaglio con portatrice di vaso da Satrico e in un altro simile da Novilara, che ha però le braccia filiformi atteggiate nel gesto del pudore. Tra i prodotti più fini di questa piccola plastica bronzea si annoveri una figurina di guerriero da Ripatransone nel Piceno, ora a Parigi, che porge una tazza con la destra, mentre brandisce l'ascia con la sinistra. Con gran cura sono indicati l'alto elmo a cono e la cintura a borchie rotonde, ma il pregio è tutto nella vivacità immediata del gesto, nell'impressione di vita che sa comunicare. Evidente è il confronto con bronzi protoetruschi tipo Vulci e Bisenzio.
Per completare la rassegna si vedano le statuette fittili di cavallo con cavaliere, forse parti di vaso, da Numana e Belmonte Piceno, e tutto il ricco repertorio di figurine di cavalli, cani, tori, arieti, per lo più di bronzo e a destinazione ornamentale, provenienti da tutte le regioni dell'Italia centro-meridionale, compresi Lazio e Puglia, e dalla Sicilia centro-orientale.
ii) Importanza della Campania. − Nella elaborazione di questo patrimonio figurativo un posto notevole, preponderante va attribuito alla Campania, che, oltre alle stipi già menzionate, ha dato alla luce una superba serie di bronzi decorati, tutti purtroppo reperibili solo in vecchie e inadeguate pubblicazioni.
Sono fibule, pendagli, coperchi di ciste, arredi a due piatti sovrapposti, affollati da figurine di portatrici di vasi, guerrieri, suonatori, minotauri, scimmie, cervi, ocherelle, ecc. Di alcuni di questi oggetti risulta, dai luoghi dei rinvenimenti, che furono esportati in Lucania e nella Daunia come un magnifico tripode su rotelle da Lucera, e forse anche più lontano, come sembrerebbe attestare, se è italico, il carrello da Strettweg nella Stiria. I rapporti con la produzione protoetrusca sono indubbi, ma si riscontra una certa originalità nelle proporzioni maggiormente sfinate, nel tono più popolaresco dell'insieme. Predominano le teste a impianto globulare, con forte prognatismo. Questa industria campana del bronzo andrà progressivamente sempre più assimilandosi ai modelli etruschi, sicché nel VI sec. la serie ad esempio dei cinerarî a lebete non potrà più essere presa in considerazione.
Conferma la funzione direttrice della Campania il fatto che proprio in questa regione compaiono i primi esempî di una scultura in pietra, che si avvale del tufo locale. Sono statuette votive di piccole dimensioni, che ripetono inalterati tipi e formule proprie della piccola plastica.
Da Fratte di Salerno viene una figura femminile stante, con il capo che sembra velato, il corpo a parallelepipedo con gli spigoli smussati, il viso piatto, la bocca a taglio orizzontale. Una simile maschera ritorna in un busto proveniente dal santuario Patturelli alle Curti di Capua (n. 178 nel catalogo dell'Adriani). A quest'epoca risale anche la più antica fra le più di centocinquanta statue di quella provenienza che raffigurano una donna seduta con uno o più bimbi in fasce sulle ginocchia, il tipo cioè della dea-madre (n. 1 Adriani). La struttura piatta e squadrata del corpo, i seni distanziati, le gambe atrofizzate, le braccia aderenti sono elementi già incontrati nella stipe del Garigliano, come pure il viso a testa di civetta. Né manca a Capua stessa la piccola plastica fittile di questa età. Al medesimo livello stilistico sembra riferirsi un gruppo di teste in calcare da stele funerarie, recentemente rinvenute sulla costa meridionale del Gargano (F. Rittatore).
Questa posizione di avanguardia della Campania è dovuta probabilmente al fatto che sulle sue coste si mescola alle tradizioni locali una forte azione culturale, sia greca (Cuma, Ischia) che protoetrusca. La stessa situazione, ma in termini più modesti, si verifica nel Piceno, che pure occupa un posto di rilievo nel quadro tracciato.
iii) Cronologia. − I termini cronologici di codesta produzione sono piuttosto ampî e imprecisi: se qualche prodotto, come certi pendagli dalla Cuma preellenica o dalle Murge baresi, sembra essere anteriore alla fine dell'VIII sec., la massa scende invece al VII e alla prima metà del VI, con attardamenti locali forse fino ai primi decennî del V secolo. Parallelamente, come vedremo, si hanno prodotti di datazione meno approssimativa, grazie alla possibilità di più precisi confronti con l'arte colta.
Un fenomeno analogo si verifica anche per la ceramica dipinta àpula, che, dopo averci dato il grande deposito della Taranto preellenica, raggiunge la sua massima diffusione, con le due varietà dauna e peuceta, nei secoli VII e VI, conservando pressoché inalterato l'esuberante repertorio di motivi geometrici, in parte di origine balcanica. La figura umana compare in esso sporadicamen te, sotto forma di stilizzazioni filiformi estremamente spinte, simili a quella del cervo, che nel VII secolo si diffonde nella produzione picena di bronzi laminati e lavorati a sbalzo (ciste, cinturoni, ecc.). Si tratta di veri arabeschi lineari di gusto astratto.
b) Fase orientalizzante. − Più fedeli riecheggiamenti di motivi orientalizzanti incontriamo in un pendaglio bronzeo e in un'ansa fittile da Novilara, che mostrano la solita figura di donna nel gesto pudico, ma con la cintura alla vita e una lunga treccia sulle spalle. Una serie di tazze daune è ornata con figurine a tutto tondo di donne ritte sull'orlo, pesantemente acconciate con grossi monili e lunghe trecce nodose che scendono fin sotto la vita. Ma è sempre in Campania che si hanno i prodotti di maggior qualità. Dalla stipe del Garigliano viene una statuetta maschile in terracotta, frammentata, di chiara ispirazione dedalica, come pure un'eccezionalissima testa maschile, fittile, grande poco meno del naturale, che per il berretto basso ricorda l'ambiente cretese: il viso largo, gli occhi obliqui e asimmetrici vanno ascritti ad eredità subgeometrica (Mingazzini, op. cit., tav. xvi, 6-7). A Capua la ricca produzione locale di antefisse ha inizio con una serie raffigurante l'Artemide Persica che stringe per il collo due cigni (?), a rilievo basso e piatto, di gusto dedalico. Un tipo di antefissa simile, ma assai più rozzo e ancora affatto sub-geometrico, proviene da Lucera e mostra un dio o eroe che colpisce con una lancia per mano due animali ritti a schema araldico.
c) Fase arcaica. i) Versante tirrenico e Sicilia. − Gli influssi dell'arcaismo greco (metà VI-metà V sec.) sono in genere più scarsi e sporadici di quanto non si possa pensare.
A Capua la piccola scultura in tufo dà altri saggi interessanti nella rielaborazione del tipo, già precedentemente fissato, della kourotràphos. Il n. 2 Adriani è ancora in pieno nella tradizione subgeometrica, come mostra il gesto ardito e ingiustificato del braccio destro, che squilibria tutta la composizione. Il n. 8 si collega invece a modelli greco-orientali nella impostazione della figura solidamente seduta, con testa piccola e incassata nelle spalle. Soprattutto notevole è il n. 5 che rivela nel volto una larga conoscenza di modelli tardo-arcaici o protoclassici, mentre il trattamento delle mani e dei piedi, i seni geometrizzati, le spalle squadrate si riallacciano alla tradizione locale. Lo stile del panneggio, piatto e lineare, ritorna in una figuretta acefala della stipe del Garigliano (Mingazzini, op. cit., tav. xxv, 9). In altre statuette di quella stipe, come pure in un bronzetto di koùros al museo di Potenza, si hanno esempî della inserzione forzata di forme arcaiche su forme indigene, si tratti della struttura del corpo (id., ibid., tavv. xiii, 16; xxv, 10) o della conformazione del volto (id., ibid., tavv. xiii, 2, 16; xiv, 1; xv, 1). I corpi di queste figure dal viso arcaico sono a struttura laminare e allungata, anche se, come in un caso, nello schema della corsa in ginocchio. Ma non mancano esempî di maggiore originalità. Una figura allungatissima e dalle braccia ridotte a moncherini presenta un viso di tradizione locale, squadrato, con fronte alta, calotta liscia, occhi rotondi (id., ibid., tav. xv, 3, 4, 6), testimoniando una notevole ricerca di compattezza volumetrica, quale appare anche in un pendaglio itifallico da Satrico e in un bronzetto di offerente da S. Agata di Militello (Messina). Così sono tra le cose più felici che ci ha lasciato l'artigianato italico alcune statuette fittili dalle stipi del Garigliano e di Montecassino, rappresentanti omini nudi, grassi, discretamente proporzionati, dalle superfici gonfie e quasi prive di notazioni, la testa tirata all'indietro, fronte bassa, profilo sfuggente. Ad esse possono avvicinarsi alcuni bronzetti di offerenti, forse di età un poco più recente, nel solito schema a braccia protese con la mano destra aperta. I due esemplari siculi, l'uno dal ripostiglio del Mendolito presso Adrano, l'altro al museo di Catania (con iscrizione sicula), avevano in origine la lancia nella sinistra, e sono infatti vestiti da guerrieri: quello di Adrano con il costume locale, cioè casacca stretta dal cinturone, il catanese già con la greca corazza a campana. Un altro esemplare, da Serra d'Arce nella media valle del Sele, è nudo e mostra già una incipiente modellazione del torace. In tutti e tre la violenza del gesto, l'esuberanza delle forme carnose, la sciattezza del modellato superficiale si affermano originalmente rispetto ai modelli greci, che han servito solo a dare un principio di organizzazione formale.
È interessante constatare come in quest'epoca si verifichi eccezionalmente anche il fenomeno inverso, cioè la penetrazione di elementi indigeni nell'artigianato greco-coloniale. Valga come esempio Cuma. Una serie di piccole antefisse (?) con Gorgone fuggente, di cui l'esemplare più conservato è a Berlino, esibisce un corpo e soprattutto delle braccia stranamente sfinate e filiformi, che ritornano anche nelle anse figurate di una grande anfora bronzea, con guerriero stante tra due leoni rampanti.
ii) Umbria. − Nell'Italia centrale si fece ovviamente sentire la vicinanza dei centri culturali etruschi, specie nell'Umbria, sottoposta all'azione di Chiusi.
Da Todi viene un busto fittile di donna dai seni sviluppatissimi e turgidi, una gran collana sul collo, la testa tirata all'indietro: il ricordo dei canopi è evidente. Più primitiva, più rude è una testa fittile maschile dal Clitumno, con bocca aperta e occhi a pallottola come in alcune figure della stipe del Garigliano. A questo ambiente si riferiscono anche le più antiche fra le teste fittili della stipe di Carsoli, purtroppo ancora inedite.
iii) Versante adriatico (Piceno, Apulia ed area sabellica). − Manifestazioni artistiche assai più interessanti ci riserba tuttavia il versante adriatico della penisola, ove il maggiore isolamento favorì il realizzarsi di più complesse esperienze locali.
Nel Piceno, ora all'apogeo della propria floridezza culturale ed economica, inizia la produzione locale di mascherette femminili in ambra o in osso, largamente esportate anche sulle coste abruzzesi. L'accento arcaico è evidente, ma negli occhi sbarrati, nella bocca piccola, nei capelli spartiti e striati vi sono una secchezza e durezza, solo in parte ascrivibili alla difficoltà della materia.
Sempre al filone di suggestioni arcaiche, forse in parte mediate dall'Etruria, va attribuita la comparsa della grande scultura in calcare od arenaria, di regola funeraria, che rinveniamo in varî luoghi del Piceno, dell'Abruzzo e del Sannio.
Da Capestrano (v.), sul versante meridionale del Gran Sasso d'Italia, vengono una statua di guerriero, con iscrizione sud-picena, e un torso acefalo di donna, ambedue a grandezza naturale e con resti della policromia in rosso e giallo (ora al museo di Chieti). Minuziosa e fedelissima è la indicazione di ogni particolare del ricco abbigliamento sia del guerriero (spada, pugnale, dischi-corazza, elmo, sandali, ecc.), che della donna (fibule, pendagli, ecc.). A questo compiacimento veristico si accompagna un completo disinteresse per la struttura articolata del corpo, quale è propria dell'arcaismo greco. Le figure sono costruite su un principio di rigida simmetria, ancor più accentuata dalla forma geometrizzata di seni, glutei e cosce. Si veda come contrastano con il senso di gravità e di massa dell'insieme particolari come gli avambracci sfinati e le mani appiattite, ridotte a puro disegno, che il partito del pollice ritto vieppiù sottolinea. Le superfici sono atone nella loro tensione unitaria, legnosi i grandi occhi cerchiati e le labbra spremute. Giustamente si sono cercati i prototipi di queste statue nell'arte greca geometrica e dedalica (Boëthius). Ancora meglio, forse, dobbiamo immaginarle come macroscopici ingrandimenti della piccola plastica indigena di cui abbiamo finora parlato, ingrandimenti in cui va giocoforza perduta quasi del tutto l'originaria vivezza e comunicabilità di sapore popolaresco, sotto una maschera aulica che non arriva a divenire stile. Lo stesso discorso vale per la grande testa elmata di Numana, dai caratteristici piccoli occhi rotondi, che è certo un prodotto di maggiore cultura e forse anche di età più recente, come mostra in particolare il trattamento della bocca e degli orecchi. Ben poco si può dire dell'enorme stele iscritta di Belmonte, in cui è sembrato a qualcuno di poter riconoscere il profilo di una figura umana. Stranamente ignorata dagli archeologi è rimasta finora la stele di Bellante (Teramo), ora al museo di Napoli, ben nota ai linguisti per la lunga iscrizione sud-picena che si avvolge attorno alla figura stante scolpitavi nel centro, con la parte superiore del corpo di prospetto, l'inferiore di profilo. La testa è inclinata di fianco, con uno spunto vivace, le braccia sono nella stessa posizione di quelle del Guerriero di Capestrano, ma invertita, e, come in quello, appaiono sfinate e terminanti con piccole mani dal pollice ritto. Simili sono le cosce gonfie, le spalle squadrate, caratteristica la presentazione di profilo dei piedi. Sembra che la figura sia immaginata vestita di una corta tunica aderente, senza che il sesso traspaia. Il monumento è interessante anche perché permette forse di capire la genesi tipologica delle statue di Capestrano: nei pilastri e nella base, ricavati entro un solo lastrone, che inquadrano il guerriero, potrebbe vedersi un avanzo della primitiva concezione del monumento funerario a stele con rilievo centrale. Anche l'iscrizione incisa verticalmente su uno dei pilastri ricorda in certo qual modo l'iscrizione spiralica di Bellante. E di grandi stele iscritte, ma non figurate, che potrebbero rappresentare il primo gradino di questa evoluzione, vi è copia nel Piceno centro-meridionale.
Per completare il quadro di questa scultura adriatica non resta che aggiungere due frammenti di stele maschili ad altorilievo, l'una da Collelungo nella Marsica, l'altra da Loreto Aprutino fra i Vestini, recentemente accedute al museo di Chieti, e inoltre le due statuette votive di cavalieri da Agnone e da Trivento, ora anch'esse al museo di Chieti, per le quali non è da escludere un diretto influsso campano. Allo stesso ambiente culturale misto si riferisce una serie inedita di antefisse da Lucera a testa femminile entro nimbo a baccelli: i grandi occhi cerchiati, le labbra spremute, il viso prognato concordano pienamente con il Guerriero di Capestrano, mentre il nimbo è un elemento campano, prezioso per la cronologia perché permette di stabilire definitivamente a non prima della fine del VI sec. la datazione di quelle sculture.
Un'eco di questa statuaria potrebbe infine, vedersi sull'altra sponda dell'Adriatico, in quell'Istria dove pure giungeva la ceramica àpula: le sculture votive di Nesazio hanno infatti con essa più di un punto in comune.
Tutti questi monumenti valgono soprattutto come documento di una ambiziosa quanto immatura aspirazione alla grande arte. Indubbiamente più spontanee, più vere sono altre opere che rivelano una maggiore indipendenza rispetto all'arte ufficiale, ponendosi nel solco di remote tradizioni preistoriche. Sono opere di disegno.
Su una stele dal territorio di Salapia, sulle coste della Daunia, l'ampia e pesante cornice a motivi meandriformi rimanda all'ambiente balcanico, mentre il campo è occupato da una complessa parure della Età del Ferro, disegnata con realistica disinvoltura. Si noti la grossa fibula vista di prospetto, nel meno leggibile dei modi, ossia con l'arco rivolto verso lo spettatore, e, in basso, la linea ondeggiante descritta dall'ultimo filare dei pendagli. Né si esita ad affrontare la figura umana, come mostra il complesso delle quattro stele da Novilara a decorazione figurata, di cui due sono al Museo Pigorini, una a Pesaro, una, inedita, ad Ancona (un'altra stele è occupata, come a Salapia, da un solo grande ornamento femminile a pendagli). I motivi decorativi, basati principalmente sulla spirale e sulla ruota, ed anch'essi di origine balcanica, inquadrano scene più o meno complesse, cui prendono parte numerose figurine: combattimenti, cacce, navigazione, battaglia navale, ecc. Il repertorio è assai ricco, compaiono carri, navi a remi e a vela, pesci, uccelli, quadrupedi, un leone, un orso, un toro, un albero. I guerrieri portano lance, scudo rotondo ed elmo conico con alto cimiero. La cura attenta con cui sono incisi gli ornati e le epigrafi nord-picene, che compaiono in tre di esse, certificano la dignità e il valore che in queste stele si riponeva. Ma il disegno figurato è di un'altra qualità, svelto, approssimativo, restio ad ogni preoccupazione di simmetria e di compiacimento geometrico. Coerentemente la composizione è disarticolata, confusa, frantumata in gruppi liberamente posti nello spazio. Se la tecnica, alcune particolari convenzioni rappresentative e forse la stessa concezione dell'insieme ci riportano a un mondo figurativo preistorico, quale ci è noto soprattutto dai petroglifi alpini e liguri, la tipologia di alcune scene rivela la conoscenza della ceramica greca del VI secolo (von Salis). Lo stile però è profondamente diverso, tanto dalle coeve tra le incisioni della Val Camonica, quanto dai vasi attici a figure nere o dalle stele della Certosa, cui pure qualcuno ha pensato. Si consideri la migliore delle stele e forse anche la più recente −, quella integra, cioè, del Museo Pigorini. Gli scorci sono tanto arditi, la composizione tanto sobria ed inserita nel campo con gusto così sicuro, che il von Salis ha creduto di vedervi un influsso della ceramica polignotea e post-polignotea, abbassandone la cronologia alla fine V-IV secolo. Ciò però è manifestamente in contrasto sia con la celtizzazione del territorio da parte dei Galli Senoni, sia con la cronologia assai più alta indicata dal corredo della tomba 42 di Novilara-Servici, su cui era ancora in situ una stele similare, a decorazione spiralica. La scioltezza, la disinvoltura che ci colpiscono vanno attribuite a quel filone di tradizione geometrica, attestato soprattutto dalla piccola plastica, in cui risiede la spiegazione di tanti fenomeni dell'arte italica. La tecnica in questo caso non si è opposta, ma anzi ha valorizzato al massimo le sue possibilità, ben diversamente che nella scultura in pietra.
Che i tempi vadano cambiando lo mostra però la stessa piccola plastica indigena, che quasi scompare, soverchiata dalla massa dei prodotti di importazione e soprattutto di ispirazione forestiera.
Accenti locali si possono cogliere ad esempio su un gruppo di ricche anse bronzee simili a quelle già menzionate di Cuma, con figura di guerriero tra cavalli incedenti: si vedano in particolare gli esemplari da Foligno, Belmonte Piceno e a Villa Giulia. Alcuni bronzetti di notevoli dimensioni, databili ai primi decennî del V sec., presentano problemi che si avvicinano a quelli della grande scultura. Così l'Ercole da Castelbellino al museo di Ancona mostra un impianto frontale, con braccia atrofizzate, torace e gambe lisce e allungate, mentre il viso, incorniciato da treccioline, è soffuso di ionismo: la striminzita leontè avvolta sui fianchi, con la protome sul sesso, ci riporta all'Etruria. Nel Marte maggiore dalla stipe di Cagli (Pesaro), nudo, dal viso tardo-arcaico, la calotta dei capelli è cesellata con gusto astratto, il corpo ha l'aspetto di un manichino dalle membra affusolate, geometricamente tornite.
d) Fase subarcaica. i) Umbria e Piceno. − Le proporzioni esageratamente allungate di questi bronzetti ritornano, e ancora più accentuate, in tutte le altre figurine di Marte da Cagli e in altri da Sassoferrato e Fabriano, come pure negli offerenti ritagliati su lamina da Arcevia, erroneamente finora attribuiti allo strato celtico. Esse sono dovute ad un influsso culturale proveniente dall'Umbria, dove nel V sec. ne troviamo larghissima testimonianza nella ricca produzione locale di bronzetti. La tipologia è praticamente ridotta al solo Marte, o Minerva, gradiente, con la lancia nella destra alzata e lo scudo nella sinistra protesa. La cronologia è indicata dalla presenza esclusiva di corazze a ptèryges e spallacci e di elmi attici a paragnatidi mobili. Tra i gruppi che si possono ricondurre all'attività di singole officine ve n'è uno costituito da figure filiformi, in parte provenienti da Todi e da Calvi, agili e ben composte: un cordone stringe in basso la corazza, l'elmo fa tutt'uno con la testa ed è coronato da un enorme cimiero, decorato a freddo, come il tronco, con punti, linee, cerchielli. Un altro gruppo, di carattere più provinciale, è riconoscibile nella maggioranza dei pezzi di Cagli: sono marionette vivacissime, dalle membra disarticolate, la testa piccola a profilo sfuggente, fronte bassa, grandi sopracciglia striate. A codesta produzione se ne accompagna una minore, ma assai più diffusa negli innumerevoli santuarî sparsi per la regione (Amelia, Bettona, Assisi, Nocera Umbra, Ancarano, ecc.). Si tratta di figurine rozzissime, o fuse e poi modellate con la lima, o addirittura ritagliate su lamina, raffiguranti guerrieri con elmo od offerenti dei due sessi, i primi in genere con la destra alzata, i secondi con le braccia abbassate o allargate. La loro diffusione testimonia il formarsi di una cultura locale, con proprie, seppur modestissime, caratteristiche, di lontana origine etrusca.
ii) Dati storici (la crisi del V sec. e l'espansione osco-umbra). − Questo fenomeno rientra in un processo evolutivo di vasta portata storica, che, più o meno manifestamente, si avverte in tutta la penisola e in Sicilia, man mano che si scende nel V secolo. Le vecchie Culture del Ferro ad ambito regionale, come la sicula, l'àpula, la "meridionale", la picena, vanno rapidamente declinando, sia per la sempre più massiccia penetrazione culturale greca, in particolar modo ateniese, sia di rimbalzo per la crisi profonda che travaglia l'Etruria, caposaldo del progresso civile in Italia. Come loro ultime manifestazioni politiche possiamo considerare le lotte dei Messapi contro Taranto e le imprese di Ducezio in Sicilia. Un mondo nuovo va ora affacciandosi alla storia, il mondo dei popoli barbari di lingua osco-umbra, gli "Italici" dei linguisti, abitanti le inospiti montagne dell'interno della penisola. Il loro moto di espansione interessa tutte si può dire le pianure costiere, sedi già delle ricche Culture del Ferro: ma le maggiori affermazioni politiche esso le coglie in Campania, nella seconda metà del V sec., in Lucania e in Calabria, nella prima metà del successivo.
Poco sappiamo della parte che ebbero gli Umbri in codesta prospettiva storica: certo è ad essa che si riconnette il risveglio culturale attestato dalla piccola plastica, che influenza da una parte il Piceno, come abbiamo visto, dall'altra lo stesso Lazio, probabilmente in rapporto all'espansione sabina, equa, volsca (stipi del Viminale, di Satrico, di Norba). Fu una fioritura però non di lunga durata, a causa soprattutto dell'azione disturbatrice dei Celti, che verso la fine del secolo e l'inizio del successivo si andò facendo notevole.
iii) La Campania sannitica. − Assai maggior copia e varietà di documenti, come era da aspettarsi dai dati storici, ci ha lasciato la Campania.
Alla metà del V sec. s'inizia la produzione locale di vasi a figure rosse, con il gruppo che Beazley ha chiamato del Pilastro della Civetta, caratterizzato da un disegno goffo, duro, che contrasta con l'ottima qualità della tecnica. I soggetti sono generalmente incomprensibili, o perché i modelli sono stati mal copiati o per l'allusione a culti locali a noi ignoti. Siamo però forse ancora nella Campania etrusca. Per definire il clima stabilitosi con l'invasione bisogna rivolgersi in primo luogo all'esame delle terrecotte templari, in cui si possono individuare molte ripetizioni imbarbarite di tipi greco-etruschi di stile severo. Si veda in particolare la serie delle antefisse e degli acroterî capuani. La maschera di Achebo dapprima (Koch, Dachterrakotten aus Campanien, Berlino 1912, tav. x, 2) perde ogni consistenza plastica, riducendosi a un gioco di linee e di moduli nella barba, nei baffi, nei capelli; quindi assume una grinta abnorme, in cui ogni tessuto connettivo scompare, il naso e le arcate sopraccigliari si collegano in un astratto motivo geometrico dai contorni taglienti, occhi, corna, orecchi acquistano il sapore di grafie convenzionali (id., ibid., figg. 83-84). La Gorgone passa per una simile degradazione, dapprima in senso lineare, con totale perdita del volume (id., ibid., fig. 49), quindi trasformandosi addirittura in un campo piatto da cui affiorano qua e là cordoni e dossi a rilievo, ricordo dei lineamenti. Un grande acroterio clipeato da Fratte offre una deformazione espressionistica della maschera di Achebo, con bocca aperta, labbra a cordone, occhi a bulbo enorme e rilevato, barba e capelli a grumi. Altro esempio di processo dissolutivo si ha per il tipo di antefissa a testa femminile sormontata da nimbo tra due fiori di loto: un esemplare da Fratte mostra già un'esecuzione grossolana, una serie intera da Capua riduce tutti gli ornati a informi motivi lineari, a malapena riconoscibili, mentre la testa assume proporzioni esagerate e aspetto semplificato, con i capelli simboleggiati da un'aureola di segni paralleli (id., ibid., tav. xiv, 4, a sinistra). Perfino il dominio tradizionalmente conservatore dell'arte monetaria viene invaso da un soffio di barbarie: le monete di Cuma presentano negli ultimi decennî del secolo alcune curiosissime versioni della testa di ninfa, con profilo sfuggente, naso diritto, capelli a calotta. Né il fenomeno è limitato all'arte applicata: una grande testa fittile di divinità barbata e laureata, da Triflisco sul medio Volturno, mostra la stessa mancanza di volume, la stessa geometrizzazione dei tratti del volto. Si notino le pupille a bottone forato e le sopracciglia e ciglia striate.
In altre opere appare però un accento più costruttivo, più indipendente, forse, anche se solo in senso negativo, dalla tradizione colta.
Già in un'antefissa a busto femminile a Copenaghen si scorge un principio di rassodamento formale: esso si fa evidente in un'antefissa circolare capuana dalla faccia larga, i lineamenti ridotti a pochi elementi isolati sull'ampia superficie, il collo stretto, gli orecchi a sventola, i capelli raccolti in una banda striatò (id., ibid., fig. 86). Si confrontino anche una lamina ritagliata da Norba e un modellino di acroterio dalla stipe del Garigliano (Mingazzini, in Mon. Ant. Lincei, xxxvii, 1938, tav. xli, 4). Una testa fittile dalla stessa stipe rivela, su un piano di maggiore cultura, la stessa esigenza di semplificazione, cui forse non sono neppure estranei echi di gusto classico (id., ibid., tav. xxi, 1). Si aspira a riacquistare il senso della materia: una statuetta, in tufo, di cavallo con cavaliere da Fratte, derivata forse dalla iconografia di una serie di antefisse capuane, ci si presenta come una massa greve, che le pieghe ben scandite del mantello non intaccano nemmeno. Un plasticismo rozzo, ma non senza efficacia, appare su un'antefissa capuana in cui è rielaborato con bonarietà popolaresca il tipo della Gorgone fuggente (?). Ancora più istruttive al riguardo sono alcune statuette dal fondo Patturelli di Capua, come le nn. 7 e 9 Adriani, che mostrano un certo plasticismo nella massa dei capelli e, soprattutto la n. 6, un vero primordiale monolite, su cui è impiantata una testa squadrata fortemente obliqua verso l'alto, la bocca ridotta a un taglio orizzontale, gli occhi affossati nelle orbite. Il confronto migliore è dato da un bronzetto di Marte al Louvre, assai noto per l'armatura sannitica che indossa. Le spalle larghe, le mani enormi, l'impianto tozzo e grottesco esprimono un senso di fresca barbarie. Nel viso compare il solito nesso tra lungo naso e arcate sopraccigliari, le pupille sono forate, la fronte bassissima. Un viso quasi identico lo incontriamo in una testa fittile votiva da Fratte, erroneamente giudicata una maschera funeraria, mentre la stessa asciutta linearità di certe antefisse capuane con Achebo, già menzionate, compare in un'altra testa da Capua, assai più robustamente costruita.
iv) La piccola plastica bronzea nell'area osco-sabellica. − Il bronzetto del Louvre ci introduce nel mondo affascinante della piccola plastica bronzea a destinazione votiva, che incontra ora, nella seconda metà del V sec., una rigogliosa fioritura nell'Italia meridionale. A differenza di quanto accade nell'area umbro-piceno-laziale non è un fatto di durata limitata, ma primo passo di una produzione che senza cesure giungerà fino alle soglie dell'età imperiale romana.
La tipologia è ristretta, ma non quanto quella umbra: offerenti, Marte, Giove, Minerva e soprattutto Ercole, l'Ercole imberbe, rappresentato generalmente con la clava nella destra alzata e l'arco nella sinistra protesa, mentre la leontè penzola dall'avambraccio, in uno schema, che è quello tipico per le figure in assalto di stile tardo-arcaico e soprattutto severo. La sua preminenza assoluta deve essere ancora convenientemente spiegata dagli storici della religione. Codesta produzione è propria quasi esclusivamente dell'area geografica toccata dall'espansione osco-sabellica (Abruzzo, Molise, Campania, Lucania, Calabria), ed appare in esatta concomitanza con essa, sicché non v'è dubbio che si riferisca al particolare ambiente culturale venutosi a creare in seguito a quel fenomeno di tanta importanza nella storia dell'Italia preromana. Ritengo che possa essere suddivisa stilisticamente in quattro grandi fasi, corrispondenti grosso modo anche a una seriazione cronologica. La prima si riallaccia direttamente alle suddescritte terrecotte e sculture campane: è il momento primitivo, dominato dalla tendenza a geometrizzare le superfici, senza alcuna sensibilità per il modellato plastico. L'anatomia, le muscolature compaiono solo in pochi casi e per accenni convenzionali. La straordinaria libertà dei movimenti e la crudezza di espressione vanno ascritte all'eredità geometrica, ancora certo attiva in questa età, come mostra per esempio la dea-madre capuana n. 13 Adriani, con il suo movimento vivacissimo. Tra gli esemplari che rivelano un qualche ricordo di tradizioni colte si menzionano la "Offerente" da Rapino (Chieti), ancora ionizzante nel profilo e nel panneggio lineare, l'Ercole da Vaglio (Potenza), con il suo viso arcaizzante, l'Ercole dall'Abruzzo al Louvre, più classicheggiante, l'Apollo da Cirò, anch'esso vicino a modelli classici nel viso e nell'impostazione; Di contro ad essi vi è una massa di figurazioni affatto anomale, che vanno da scheletriche esasperazioni filiformi, come un Ercole da Alfedena, a manifestazioni di esuberanza plastica, di violenza formale per masse lisce e rigonfie, come un Ercole a Chieti e un altro, ancora più interessante, da Posada in Sardegna, a figure allungate e sfinate in vivace movimento, come un Giove a Villa Giulia e un Ercole a Berlino. Si tratta di una produzione copiosa, sparsa in quasi tutti i musei italiani ed esteri, e pertanto di difficile studio. Anche in essa si possono determinare molti gruppi di officina, alcuni dei quali costituiti da non pochi esemplari. Un parallelo nella grande scultura è offerto da un bassorilievo in calcare da Rapino con protome maschile, inedito, al museo di Chieti.
v) Apulia. − Prima di lasciare il V sec. dobbiamo menzionare la penetrazione di elementi figurati anche nel repertorio della ceramica indigena àpula, che traversa ora un periodo di grave crisi.
Già in un grande cratere a figure nere a Berlino compaiono cavalieri ed animali deformati vivacemente nello spirito della tradizione geometrica. Esso poi è ancora più evidente in altri prodotti, in specie messapici, ornati da silhouettes filiformi.
e) Il IV sec. a. C. − i) Versante tirrenico e Sannio. − Inoltrandoci nel IV sec. constatiamo come l'adattamento ai modelli classici vada facendosi strada quasi in ogni campo.
Tra i bronzetti si veda per esempio un Marte da Bovianum Vetus, o un Ercole da Pietragalla in Lucania o un altro Ercole bibax da Cariati in Calabria: nei particolari si nota una faticosa conquista di formule classiche. Il viso dell'Ercole da Pietragalla si riannoda direttamente a quello dell'antefissa capuana circolare a testa femminile, il che si verifica anche per una notevolissima serie di antefisse da Fratte con teste di menadi o di sileni, dal largo volto a rilievo basso, intagliato con una certa durezza: i capelli e la barba del sileno sono resi con un fitto gioco di linee parallele, l'acconciatura femminile è molto sobria. Da Fratte viene pure una serie di interessanti statuette votive fittili, che raffigurano un'offerente con fasce e cinghialetto, vestita di un chitone dalle pieghe rigidamente geometrizzate. Vicino a queste opere sembra pure un guttus da Teano a figura di papposileno sdraiato, con la grossa testa tirata all'indietro, le membra come rinsecchite. Un progresso notevole nella struttura del viso appare in una serie di antefisse capuane con testa di Pan entro girali di acanto (Koch, op. cit., tav. xv, 1, a d.) e in una bella testa fittile di Dioscuro da Calvi, piena di austera semplicità nei capelli a banda striata verticalmente. Si potrebbero attribuire a questo periodo anche alcune delle dee-madri capuane, come i nn. 11 e 26 Adriani, con la loro impostazione nettamente frontale, il viso severo, le pieghe del mantello fortemente accentuate: si noti nella n. 26 l'apertura del velo e il possente attacco delle spalle. Teste di prospetto, sia di giovane imberbe che di Pallade, compaiono in questo periodo anche nella monetazione bilingue, in greco e in osco, di Fistelia. Così pure elementi di gusto italico non mancano sulle monete di Noia, Hyria, Irnum e perfino su quelle di Napoli, negli anni 390-380: ma si tratta di materiale, che, pur noto da tempo, non è stato ancora edito adeguatamente. Istruttivo intanto è il confronto con le maschere gorgoniche impresse a stampo su fondi di kýlikes "precampane" a vernice nera da Cuma; in altre kýlikes da Teano appare una maschera umana ridotta a una cifra simbolica, costituita da qualche linea e qualche punto a rilievo.
Nel campo del disegno possono essere ascritte a influsso italico certe intemperanze, certe scorrettezze che compaiono nella pittura funeraria campana, specie in alcune raffigurazioni pestane di coppie di gladiatori. Considerazioni analoghe valgono per il disegno delle ciste prenestine, particolarmente delle più tarde, o per le teste femminili dei piatti Genucilia attribuiti dal Del Chiaro al ramo falisco. In Campania si ha il vero e proprio tentativo di dar vita a una produzione ceramica originale, parallela a quella colta delle fabbriche di Cuma e di Abella. Il Beazley e l'Albizzati hanno potuto identificare alcuni pittori sopratutto in base al materiale del museo di Capua. Le grandi teste femminili, timidamente delineate, del Pittore di Vitulazio sono le più vicine alla tradizione italica, mentre una curiosa esperienza quasi barocca è rappresentata dal Pittore Riccardi, con le sue tozze figure sovraccariche di riempitivi e arditamente deformate nelle estremità: l'insistenza lineare ricorda le citate offerenti da Fratte. Lo stile arioso, impressionistico del Pittore Majewski sembrerebbe rivelare, se non è pura coincidenza, una precoce conoscenza delle esperienze compendiarie ellenistiche. Il gruppo più numeroso, quello del Pittore di Siamese, è però su tutt'altra direzione: le sue figure femminili di sapore popolaresco, dalle sagome a volte arditamente irregolari, ricordano i motivi figurati della coeva ceramica canosina, come le strane e minuziose decorazioni delle vesti ne ricordano il repertorio decorativo. Né mancano altre ceramiche del Museo Campano che additano gli stessi rapporti.
ii) Apulia. − Siamo giunti così a considerare l'Apulia, cioè la regione che ci riserba in proposito le maggiori sorprese, dopo le premesse già viste nel V secolo.
Tra la ceramica canosina troviamo askòi e candelabri ornati da figurine disegnate a contorno in uno stile schematico assai simile a quello universale dell'arte dei bambini: teste umane, cacce, teorie di donne che si tengono per mano, giochi di ragazzi ci si svolgono dinanzi in una rumorosa parata, in cui appena qualche particolare ricorda che ci troviamo in piena età classica. Né il fenomeno è limitato a Canosa, poiché sia a Gnathia che in fabbriche peucete compaiono simili scene e figure, disegnate però a colore pieno. Il capolavoro di questo stile è il canosino askòs Catarinella, sulla cui pancia si svolge una scena di pròthesis, con suonatori di corno e tuba, prefiche, ancelle: le teste sono generalmente conformate a ruota dentata, la prospettiva non esiste. Un simile ciclo figurativo, così ricco di elementi propriamente folcloristici, non si ritrova in questa età altro che nell'ambiente atestino, il che deve illuminare sul peso delle tradizioni preistoriche, che già a Novilara avevano dato larga prova di sé. Del resto non manca in Apulia una piccola plastica fittile, all'incirca coeva, che attesta per suo conto il carattere altamente conservatore dell'ambiente artistico indigeno: una donna-candelabro da Barletta, due cavalieri da Rudiae, un offerente avvolto nel mantello dal barese sono ancora sostanzialmente nella tradizione subgeometrica. Nella ceramica forse non è da escludere la presenza anche di un certo umorismo paesano, che denunzia la tarda età. Contrastano con la sfrenata libertà delle scene figurate le grandi teste femminili di prospetto che compaiono su alcuni askòi canosini, derivate dai busti così frequenti nelle anfore àpule a figure rosse. In alcuni casi la derivazione è relativamente fedele, in altri si nota un processo di alterazione esattamente analogo a quello incontrato su certe antefisse di Capua e di Fratte e nelle teste del Pittore di Vitulazio: viso largo e rotondo, bocca piccola, naso lungo, capelli raccolti in una stretta fascia.
f) Il III sec. a. C. − Con la ceramica canosina e con altri dei prodotti esaminati scendiamo già notevolmente nel III secolo. Il periodo che va dagli ultimi decenni del IV alla fine del III sec. rappresenta l'apogeo dell'arte i. dal punto di vista della tecnica e dell'adeguamento ai modelli aulici. I centri culturali della Magna Grecia e della Sicilia, in specie Taranto, Napoli, Siracusa, sono nella loro ultima fioritura, che beneficamente si spande sull'ambiente indigeno, ormai pienamente avviato sul cammino di un rapido progresso civile. L'uso della scrittura e della moneta si è generalizzato, dopo lunghe e sanguinose lotte la pax romana si è affermata sulla penisola. Si diffonde una pratica di buono stile che dà prodotti sufficientemente colti e corretti, anche se mediocri, assai vicini alla produzione greco-ellenistica. Si può parlare ormai di una koinè culturale italica, che tende sempre più ad assorbire in sé anche l'ambiente etrusco e laziale.
La stipe di Carsoli (v.), per quello che è stato finora pubblicato, dà un quadro abbastanza fedele di questo momento storico, sia con le terrecotte (teste, statuine) che con i bronzetti, raffiguranti Ercole, Marte e offerenti, nudi o ammantati, le donne spesso velate. Per quel che riguarda i bronzetti si vedano, tra l'abbondante produzione, un Ercole da Pietragalla, un altro Ercole, stante però e con cornucopia, e un Giove imberbe, ambedue a Berlino: sono figure armoniosamente slanciate, dalla testa piccola, il movimento equilibrato. Tutta la monetazione dell'epoca, assai copiosa in Campania e nel Sannio, è su questo piano di dignità formale, come pure la decorazione delle lastre iscritte capuane dette iuvilas. A Capua troviamo una statua fittile di offerente nuda, in terracotta, dalle membra longilinee, le superfici legnose, per l'evidente imperizia di un artigiano non uso a lavorare su scala tanto grande. Tra la scultura in tufo segnaliamo le dee-madri nn. 65, 79, 8o, 88, 90, 91, 108, 109 e 112 (Adriani), in molte delle quali l'atteggiamento è assai libero, a volte anche con moto di torsione della testa, il panneggio è trattato con cura. Il carattere conservatore dell'ambiente è attestato dal perdurare ancora in questa età dello stesso schema tipologico in uso fin dai primordî della produzione: né esso muterà fino alla fine. Compare ora a Capua anche il tipo di una offerente stante, il n. 154 Adriani, con colomba in mano e chiare reminiscenze scopadee nel volto, e una serie di edicolette con ragazzi o bambini ad altorilievo, accosciati sulle gambe incrociate, secondo un motivo ellenistico (nn. 155-157 Adriani). A Palestrina inizia la produzione locale di busti funerarî in calcare raffiguranti donne velate, nel tipo della Pudicizia: a quest'epoca risalgono i nn. 1 e 2 (Giuliano).
g) Fase di transizione fra il III e il II sec. a. C. − Avvicinandosi alla fine del secolo e ai primi decennî del successivo si constata un certo appesantimento, una certa volgarizzazione delle forme.
Si veda come da un viso come quello del n. 90 (Adriani) si giunga a quelli di due serie tra loro simili di antefisse capuane, dalle labbra carnose, i capelli tratteggiati sommariamente (Koch, tav. xvii, 6-7). Eguali caratteristiche offrono i busti prenestini nn. 3, 4 (v. vol. ii, fig. 344) e il (Giuliano). Vicina è pure una testa fittile di donna da Capua, dall'acconciatura classicheggiante. Dalla stessa città viene una dea-madre fittile ora a Copenaghen, dalle braccia sproporzionatamente sottili, la capigliatura frettolosamente abbozzata a solchi partenti dal sommo della fronte, con ricordo della Melonfrisur. Essa ritorna sulla testa n. 128 (Adriani), su un'altra testa in tufo da Fratte e su alcuni bronzetti da Carsoli. Un viso invece dagli occhi asimmetrici, la bocca semiaperta, l'espressione inebetita compare su una serie di antefisse da Fratte con testa di Pallade: anche la policromia è particolarmente violenta, gli elementi ornamentali irrigiditi in una stilizzazione lineare. Una non dissimile configurazione del volto incontriamo in una testa fittile maschile pure da Fratte, in un'altra femminile dalla stipe del Garigliano (Mingazzini, op. cit., tav. xxi, 6) e nella dea-madre n. 44 (Adriani): bocca piccola, occhi fortemente obliqui, capelli a stretta fascia scandita da solchi. La dea-madre n. 44 si rivela poi per una degradazione del tipo della 90, e si noti sul petto il panneggio a rilievo negativo.
h) Il II sec. a. C. − Man mano che scendiamo nel II sec. questo fenomeno si ingigantisce. Cause di ordine generale, come in primo luogo la decadenza delle città della Magna Grecia, determinano lo stabilirsi di un clima artistico qualitativamente più basso e più aperto alle deformazioni espressionistiche. La qualità artigiana decade. Si ricerca il nuovo con spirito di insofferenza, anche sotto un lontano influsso di malcomprese esperienze medio-ellenistiche.
Una statuina in calcare di donna offerente a Copenaghen di provenienza abruzzese, presenta proporzioni abnormi, testa troppo grossa, panneggio approssimativo, occhi chiusi, capelli striati. L'impostazione affatto primitiva della figura ritorna in un bronzetto di offerente da Bovianum Vetus. Pure fra le teste votive di Carsoli non manca qualche esempio di degenerazione. A Capua questa involuzione può essere seguita su alcune sime fittili del tipo a grifi affrontati ai lati di un cantaro, in cui tutti gli elementi della composizione si irrigidiscono astrattamente (Koch, op. cit., tav. xxvi, 1; Not. Scavi, 1957, p. 364, fig. 2), o ancora meglio su un gruppo di dee-madri, i nn. 14, 17, 19 e 22 (Adriani), in cui il sedile è come riassorbito nella figura ed il panneggio sulle gambe è segnato solo con un sommario schema di solchi a triangolo col vertice in basso. Le teste mostrano una derivazione da visi "belli" come quello della n. 65. Simile nel disinteresse totale per la struttura del corpo è una statuina fittile di dea-madre a Napoli, dai seni a pallottola. Ma anche senza scadere a questo livello, la produzione in tufo dell'epoca è sciatta, abborracciata. Si veda una testa come la n. 125 o la statua di dea n. 153, con melagrana nella sinistra e forse una colomba nella destra, dal corpo inorganicamente articolato, il panneggio aderente trattato con gusto lineare. Il suo eccessivo allungamento ritorna in due bronzetti di offerenti a Napoli, con vaso nella destra e capo velato, e in una serie di statuette fittili da Fratte, raffiguranti offerenti con cinghialetto e kòlathos. Interessante è l'irrigidimento del volto che dal n. 79 (Adriani) ci conduce al n. 86, con un processo strettamente analogo, e quasi con lo stesso risultato fisionomico, a quello che ci è dato osservare sui busti di Palestrina nn. 5-7 (Giuliano), dove pure si va alterando disorganicamente un tipo creato nel secolo precedente. A Capua abbiamo anche un busto fittile maschile dalla bocca semiaperta, gli occhi sbarrati, l'espressione inebetita. Assai simili sonom alcuni altri ritratti campani in calcare, come uno, malnoto, da Teano e uno da S. Prisco vicino Caserta, con il suo volume a sfera, gli occhi enormi e asimmetrici, duramente cerchiati. Anche nell'Italia centrale non mancano esperienze similari, come attestano i rilievi di certe urnette perugine. Ciò che permette in ultima analisi di distinguere la produzione del II da quella di due o tre secoli prima, analogo a volte nell'arditezza di formule nuove ed estranee alla tradizione colta, è il mutato senso delle superfici, ora di regola più molli, più sfatte, mosse, ricche di notazioni. La differenza è percepibile assai bene nella produzione dei bronzetti votivi, che ci presentano una gamma svariatissima di esperienze. Fortunatamente però si è conservato anche un grande bronzo di quest'epoca, il Marsia da Paestum, fuso a pezzi staccati, che consta di una testa di arte arcaistica inserita su un corpo di produzione locale. Il tronco è esageratamente lungo, le gambe raccorciate, il pube solo abbozzato, le membra tutte enfiate innaturalmente. Tra i bronzetti, purtroppo, gli esemplari più notevoli per la definizione di questa sensibilità, sono inediti o sparsi in pubblicazioni particolari e secondarie: se ne vedano taluni nei musei di Parma, Cassel e al Palazzo dei Conservatori. A quest'epoca risalgono, nel loro complesso, anche talune fra le più importanti stipi di bronzetti venute finora alla luce. Quella da Caramanico (valle del Pescara) consta di più di trenta piccoli Ercoli, di cui quelli di arte più colta hanno la fronte incorniciata da riccioli all'Alessandro: le superfici sono mosse irregolarmente, la materia è modellata quasi come cera. Da Sepino ne viene un'altra, composta da pochi esemplari di maggiori dimensioni, in parte di età più recente, ognuno dei quali appartiene a un distinto gruppo di officina, ampiamente testimoniato altrove. Un'altra stipe viene dai dintorni di Trieste e va attribuita indubbiamente ai coloni italici di Aquileia.
i) Il I sec. a. C. − In queste ultime stipi si trovano già esemplari appartenenti all'ultima fase della produzione dei bronzetti italici, che scende dallo scorcio del II fino quasi a tutto il I sec. a. C. Lo stile acquista un aspetto chiaramente tardo-ellenistico e và perdendo progressivamente di originalità, sicché quasi insensibilmente si trapassa nella produzione romana di età augustea e giulio-claudia.
I gruppi di officina sono pochi ma ricchi di esemplari, segno di una produzione notevolmente accentrata. Tra i pezzi più pregevoli si consideri l'Ercole in assalto già al Palazzo Reale di Napoli, pieno di foga irruenta, di pathos pergameno; l'Ercole bibax da Alife, di evidente derivazione lisippea; l'Ercole stante a Marsiglia e il Marte ex-Morgan, ambedue caratterizzati da una vigoria contenuta, da una asciutta resa degli scarsi particolari. È uno stile che, tenuto conto delle debite differenze, si avvicina a quello dei ritratti romani del principio del secolo, in cui lo Schweitzer ha colto echi italici.
A Capua è ancora attiva in questa età la produzione di busti votivi fittili: uno di offerente con la colomba nella destra è ancora attardato nel solco della tradizione espressionistica, per la sommarietà e violenza dei mezzi impiegati, mentre un altro di giovane togato, dalla folta capigliatura, si rivela già vicino alla ritrattistica romana della metà del secolo. Le ultime dee-madri in tufo − la produzione sembra cessare verso l'età di Silla − sono ormai in pieno nella tradizione ellenistica: si vedano i nn. 66, 81, 87, 93, 94 e 110 (Adriani) con le loro varie caratterizzazioni ideali della madre come una giovane dal viso sorridente.
Capua resta anche dopo la deduzione della colonia sillana un centro di attivo artigianato, come mostra in particolare la serie delle stele funerarie di età tardo-repubblicana ed augustea, in cui si nota ancora un forte gusto provinciale. A Palestrina si producono ritratti in calcare e terracotta sempre più influenzati dalla produzione cittadina (come i nn. 10 e 12 Giuliano). Allo stesso ambiente italico-romano si può riferire un busto in calcare di giovane imberbe al museo di Ancona. Echi di tradizioni locali sono rintracciabili infine su numerosi rilievi in calcare di provenienza abruzzese e di cronologia tardo-repubblicana o proto-imperiale, come il frontone ed il fregio del tempietto funerario di Lusius Storax da Chieti, i rilievi funerarî da Amiterno con scene di esposizione funebre, di banchetto, di processione e di monomachia, la base di Nonio Gallo da Isernia, il rilievo forse alludente alla transumanza da Sulmona. Ancora in età post-flavia, a quel che sembra, compaiono su un cippo di Amiterno figure basse e tozze, isocefale, dai profili sfuggenti e i gesti esagitati. Ormai però non si può parlare più di arte i.: siamo infatti in pieno nel dominio dell'arte popolare romana (v. romana, arte).
Monumenti considerati. − Figurine da Ancona: G. Annibaldi, Il Museo Naz. delle Marche in Ancona, Ancona 1958, fig. a p. 13. Idoli albani: G. Hanfmann, Altetruskische Plastik, i, Würzburg 1936, p. 2 ss.; G. Q. Giglioli, in Bull. Palet. It., N. S., iv, 1940, p. 177 ss. a) Fase subgeometrica: stipe S. Scolastica: L. Pigorini, in Bull. Palet. It., xlii, 1916-17, p. 85 ss., fig. B; D. A. Puntoni, in Not. Scavi, 1949, pp. 144 s., fig. 2; 157, fig. 15. Stipe del Garigliano: P. Mingazzini, in Mon. Ant. Lincei, xxxvii, 1938, cc. 760 ss., tavv. xii-xiv; L. Pigorini, art. cit., p. 92, fig. d. Statuetta da Iesi: E. Galli, in Bull. Palet. It., N. S., ii, 1938, p. 68 ss., tavv. i-ii. Pendaglio da Oliveto: P. C. Sestieri, in Not. Scavi, 1952, p. 59, fig. 6 c. Statuette ad Ancona: P. Marconi - L. Serra, Il Museo Naz. delle Marche in Ancona, Roma 1934, p. 70 in basso; I. Dall'Osso, Guida del Museo Naz. di Ancona, Ancona 1915, p. 69, fig. a p. 62. Esempî di pendagli piceni: P. Marconi, in Mon. Ant. Lincei, xxxv, 1935, c. 386, fig. 38. Pendagli da Satrico: N. Bonacasa, in St. Etr., xxv, 1957, p. 552, figg. 4, 5, 8. Da Valvisciolo: R. Mengarelli - R. Paribeni, in Not. Scavi, 1909, p. 257, fig. 24. Da Spoleto: C. Pietrangeli, Spoletium, Roma 1938, p. 20, tav. ii, a. Simplegma Vizzini ed altri: P. Orsi, in Ausonia, viii, 1913, p. 58 ss., figg. 6-7. Bronzetto a Potenza: M. Sestieri Bertarelli, Il Museo Arch. prov. di Potenza, Roma 1957, p. 25, fig. 56. Pendaglio da Satrico: N. Bonacasa, art. cit., fig. 2. Pendaglio da Novilara: M. Hoernes-O. Menghin, Urgeschichte der bildenden Kunst in Europa, 3a ed., Vienna 1925, pp. 451, 6; 632. Guerriero da Ripatransone: E. Babelon-J. A. Blanchet, Catal. des bronzes antiques du Cabinet des Médailles de la Bibliothèque Nationale, Parigi 1895, p. 401, n. 916. Cavalieri piceni: I. Dall'Osso, op. cit., figg. a pp. 132 e 141; P. Marconi-L. Serra, op. cit., l. c. Esempî di figurine di animali: I. Dall'Osso, op. cit., fig. a p. 301; M. Jatta, in Bull. Paletn. It., xxx, 1904, pp. 49 s., 73 s., tav. vii, 2, 7, 8, 10 (Puglia); G. Pinza, in Mon. Ant. Lincei, xv, 1905, cc. 575 ss. R. Mengarelli-R. Paribeni, art. cit., p. 258 (Lazio); D. Adamesteanu, in Mon. Ant. Lincei, xliv, 1958, cc. 397 s.; 443 ss.; 523 ss.; 596 ss. (Sicilia). Bronzi campani: M. Hoernes-O. Menghin, op. cit., pp. 499, nn. 2-7, 639 ss.; G. Hanfmann, op. cit., p. 115 s. Carrello da Strettweg: R. Pittioni, Urgeschichte des Osterreichischen Raumes, Vienna 1954, p. 620 s., fig. 439. Statuetta da Fratte: P. C. Sestieri, in Not. Scavi, 1952, p. 153, fig. 65. Sculture in tufo da Capua: A. Adriani, Cataloghi illustrati del Museo Campano, i, Scultura in tufo, Alessandria d'Egitto 1939. Piccola plastica da Capua: G. Patroni, Catal. dei vasi e delle terrecotte del Museo Campano, iv, Capua 1899-1900, p. 448 ss. Pendagli da Cuma: E. Gabrici, in Mon. Ant. Lincei, xxii, 1913, cc. 74, 88, 145 s., figg. 20, 21, 33, tavv. 25, 4-5; 26, 3. Pendagli pugliesi: M. Jatta, art. cit. Motivi figurati nella ceramica àpula: M. Gervasio, Bronzi arcaici e ceram. geometrica nel Museo di Bari, Bari 1921, p. 238 ss.; M. Mayer, Apulien, Lipsia 1914, tavv. 15, 4-6 e 8; 16, 1-2. Sui bronzi piceni: P. Marconi, art. cit., cc. 337 s., figg. 27, 28, 33, tavv. ii-viii, xix, xx. b) Fase orientalizzante: pendaglio e ansa da Novilara: M. Hoernes-O. Menghin, op. cit., pp. 451, 7; 459, 1; 632 s. Tazze daune: M. Mayer, op. cit., p. 132 ss., tavv. 1; viii, 3-4; ix, 6 ecc. Statuetta dalla stipe del Garigliano: G. Q. Giglioli, in Ausonia, vi, 1911, p. 69 ss., fig. 11. Antefisse capuane: H. Koch, Dachterrakotten aus Campanien, Berlino 1912, p. 52 s., tav. xii, 1; A. Maiuri, in Not. Scavi 1927, p. 459 s., fig. 8 (da Compulteria). Da Lucera: M. Mayer, op. cit., p. 299 s., tav. 37, 6. c) Fase arcaica: bronzetto a Potenza: M. Sestieri Bertarelli, op. cit., fig. 57 a sinistra. Pendaglio da Satrico: N. Bonacasa, art. cit., p. 553, fig. 7. Bronzetto da S. Agata: P. Orsi, art. cit., p. 57 s., fig. 5. Figurine dalle stipi del Garigliano e S. Scolastica: P. Mingazzini, art. cit., tav. xvi, 2 e 4-5; D. A. Puntoni, art. cit., p. 157, fig. 15. Bronzetto dal Mendolito: P. Orsi, art. cit., p. 52 ss., fig. 3. Bronzetto a Catania: G. Libertini, in Rivista indo-greco-italica, vii, 1923, p. 221 ss., con fig.; J. Whathmough, The Pre-italic Dialects of Italy, ii, Londra 1933, p. 449, n. 579. Bronzetto da Serra d'Arce: P. C. Sestieri, in Not. Scavi, 1952, p. 49, fig. 2. Antefisse cumane: E. Gabrici, art. cit., tav. lxxi, 1. Anfora cumana: E. Gabrici, art. cit., c. 561 s., tav. lxxia, 3. Busto da Todi: A. Paoletti, Statuetta in terracotta di Todi, Perugia 1948. Testa del Clitumno: E. Galli, in St. Etr., xv, 1941, p. 9 ss., tavv. i-ii. Maschere picene: P. Marconi, art. cit., c. 425 ss., fig. 50, tav. xxxi. Capestrano: G. Moretti, Il guerriero italico di Capestrano, Roma 1936; A. Boëthius, in Die Antike, xvii, 1941, p. 177 ss., in partic. p. 183 ss.; S. Ferri, in Boll. d'Arte, xxxiv, 1949, p. 1 ss.; M. Pallottino, in Arch. Class., i, 1949, p. 208 ss. Testa da Numana: P. Marconi, in Boll. d'Arte, xxviii, 1934, p. 481 ss. Stele da Belmonte: G. Franciosi, in Rend. Font. Acc., ii, 1923-24, p. 185 ss., tavv. xiv-xv; J. Whathmough, op. cit., p. 227 ss., n. 348. Stele da Bellante: J. Zvetaieff, Inscriptiones Italiae mediae dialecticae, Lipsia 1884, p. 1 ss., tav. 1, 1; J. Whathmough, op. cit., p. 238 s., n. 352. Cavalieri da Trivento e Agnone: A. Sogliano, Il Museo prov. sannitico di Campobasso, Napoli 1889, p. 167, n. 1365 s. Nesazio: B. Tamaro, in Bull. Palet. It., xlvii, 1927, p. 116 ss. Stele da Salapia: L. Mariani, in Rend. Acc. Lincei, 1909, p. 407 ss., con tav.; M. Mayer, in Jahrbuch, xxv, 1910, p. 191 s. Stele figurate da Novilara: A. v. Salis, in Sitzungsberichte der Heidelb. Akad. der Wissensch., Philosophisch-histor. Klasse, 1936-37, 1; G. Annibaldi, op. cit., fig. a p. 18 (inedita). Stele da Novilara con pendagli: I. Dall'Osso, op. cit., p. 1774, fig. a p. 169; V. Dumitrescu, L'età del ferro nel Piceno, Bucarest 1929, p. 14 s. Stele della tomba 42: E. Brizio, in Mon. Ant. Lincei, v, 1895, c. 172 ss., fig. 25 ss. Anse picene: K. A. Neugebauer, in Röm. Mitt., xxxviii-xxxix, 1923-24, p. 403 s. Ercole da Castelbellino: E. Galli, in St. Etr., xv, 1941, p. 27 ss., tav. iii ss. Marte da Cagli: G. Bendinelli, in Mon. Ant. Lincei, xxvi, 1920-21, cc. 234 ss., fig. 12. d) Fase subarcaica: altre figure di Marte: da Cagli: id., ibid., cc. 224 ss., fig. 1 ss. Da Sassoferrato: I. Dall'Osso, op. cit., fig. a p. 327. Da Fabriano: G. Annibaldi, op. cit., fig. a p. 20. Lamine da Arcevia: E. Brizio, in Mon. Ant. Lincei, ix, 1899, cc. 649 ss., figg. 7-12. Marte da Todi: G. Becatti, Tuder-Carsulae, Roma 1938, p. 35, fig. 344. Da Calvi: R. Paribeni, in Scritti in onore di B. Nogara, Roma 1937, p. 359 ss., tav. 47. Stipi umbre: Bull. Inst. Corr. Arch., 186o, p. 119; 1864, p. 56 ss. (Amelia); 188o, pp. 248 (Bettona); 249 (Assisi); Not. Scavi, 1891, p. 309 ss. (Nocera Umbra); 1878, p. 13 ss., tav. 1 s.; 188o, p. 8 ss. (Ancarano), ecc. Stipe del Viminale: G. Pinza, in Mon. Ant. Lincei, xv, 1905, cc. 270 s., tav. xvi, 1-10, 12 s., 15. Stipe di Satrico: N. Bonacasa, art. cit., pp. 549, 559, 565, figg. 1, 16, 25. Stipe di Norba: Not. Scavi, 1901, p. 530, fig. 11; 1903, p. 251, fig. 20; 1904, p. 250 ss., fig. 12. Gruppo Pilastro della Civetta: A. D. Trendall, Vasi antichi dipinti del Vaticano, i, Città del Vaticano 1953, p. 38. Antefissa con Gorgone a campo piatto: R. Bianchi Bandinelli, Storicità dell'arte classica, 2a ed., Firenze 1950, p. 127 ss., tav. 6o, n. 121. Acroterio da Fratte: P. C. Sestieri, in Boll. d'Arte, xxxiv, 1949, p. 344, fig. 4; id., Not. Scavi, 1952, p. 90 s., fig. 5. Antefissa da Fratte: id., art. cit., p. 94 s., fig. 8 b; id., Boll. d'Arte, xxxiv, 1949, p. 345, fig. 6. Monete di Cuma: L. Breglia, in Le Arti, iv, 1941-42, p. 43, tav. xi, 4. Testa da Triflisco: M. Napoli, in La Parola del Passato, ii, 1956, p. 386 ss., con figura. Lamina da Norba: Not. Scavi, 1904, p. 454, fig. 12, ultima a destra. Cavaliere da Fratte: P. C. Sestieri, art. cit., p. 350, fig. 24; Not. Scavi, 1952, p. 151 s., fig. 63. Marte al Louvre: G. Q. Giglioli, in Arch. Class., iv 1952, p. 174 ss., tav. 38. Testa da Fratte: P. C. Sestieri, art. cit., p. 119, fig. 30. Testa da Capua: L. Breglia, art. cit., p. 40 ss. tav. x; R. Bianchi Bandinelli, op. cit., pp. 127, 129, tav. 58, n. 112. Offerente da Rapino: G. Q. Giglioli, art. cit., p. 182 ss., tav. 42. Ercole da Vaglio: M. Sestieri Bertarelli, op. cit., p. 25 s., fig. 6o. Ercole al Louvre: A. De Ridder, Les bronzes antiques du Louvre, i, Parigi 1913, p. 47, n. 283, tav. 25. Apollo da Cirò: P. Orsi, Templum Apollinis Alaei, Roma 1933, p. 201 s., tav. xii. Ercole da Alfedena: L. Mariani, in Mon. Ant. Lincei, x, 1900, c. 260, fig. 11 b. Ercole a Chieti: E. Galli, in Le Arti, i, 1938-39, p. 400, tav. 125, 11. Ercole da Posada: A. Taramelli, in Boll. d'Arte, v, 1925, p. 42 ss., fig. 6 s. Giove a Villa Giulia: G. Q. Giglioli, art. cit., p. 189, tav. 45, 2. Ercole a Berlino: K. A. Neugebauer, in Arch. Anz., 1922, cc. 93 ss., fig. 44. Cratere àpulo: M. Mayer, Apulien, p. 290 ss., tav. 30. Altri vasi àpuli con figure: id., op. cit., tavv. 28, 4-5; 33, 4-5, 8; 34, 4 e 9. e) Il IV sec. a. C.: Marte da Bovianum: G. Q. Giglioli, art. cit., p. 177 ss., tav. 40, 1 s. Ercole da Pietragalla: M. Sestieri Bertarelli, op. cit., fig. 58. Ercole da Canati: E. Galli, in Le Vie d'Italia, 1939, p. 937, figg. 8-12. Antefisse da Fratte: P. C. Sestieri, art. cit., p. 96, fig. 11; id., in Boll. d'Arte, 1949, p. 345, fig. 8. Offerenti da Fratte: id., in Not. Scavi, 1952, p. 131, fig. 44. Guttus da Teano: E. Gabrici, in Mon. Ant. Lincei, xx, 1910, c. 100 s., fig. 70. Testa da Calvi: A. Levi, Le terrecotte figurate del Museo Naz. di Napoli, Firenze 1926, p. 142 s., fig. 114. Monete di Fistella: R. Garrucci, Le monete dell'Italia antica, Roma 1885, tav. 89, nn. 28-35. Altre monete osche: A. Sambon, Les monnaies antiques de l'Italie, i, Parigi 1903, pp. 177 s. (Napoli), 297, 313, 337. Kýlikes da Cuma: E. Gabrici, in Mon. Ant. Lincei, 1913, tav. 107, 1, 3, 8-10. Monete da Teano: id., ibid., 1910, col. 27, fig. 14. Tombe pestane con gladiatori: P. C. Sestieri, in Riv. Ist. Arch. St. Arte, N. S., v-vi, 1956-57, p. 75, fig. 13; p. 8o, fig. 21; A. Marzullo, Tombe dipinte scoperte nel territorio pestano, Salerno 1935, tavv. a, e. Piatti Genucilia falisci: M. A. Del Chiaro, The Genucilia Group, Berkeley-Los Angeles 1957, tavv. 21-24. Ceramica locale campana: J. D. Beazley, in Journal Hellenic Studies, lxiii, 1943, p. 102 ss.; A. Rocco, in Mem. R. Acc. Napoli, vi, 1942, tavv. iv, 9; vi, 12 s.; C.V.A., Italia, Capua, iv Er, passim. Ceramica canosina figurata: M. Mayer, op. cit., p. 279 s., tavv. 38, 16; 39, 1, 10-14; 40, 9 s. Altra ceramica àpula figurata: M. Mayer, op. cit., tav. 34, 1 s. e 5. Askòs Catarinella: S. Ferri, in Historia, iii, 1929, p. 673 ss. Statuette fittili: M. Mayer, in Jakrbuch, xxv, 1910, p. 176 ss., figg. 1, 9-11; Apulien, p. 298, tav. 23, 12. Mascheroni femm.: id., op. cit., tav. 40, 6 e 8. f) Il III sec. a. C.: stipe di Carsoli: A. Cederna, in Not. Scavi, 1951, p. 169 ss.; id., in Arch. Class., v, 1953, p. 187 ss. Ercole da Pietragalla: M. Sestieri Bertarelli, op. cit., fig. 59. Ercole e Giove a Berlino: K. A. Neugebauer, Führer durch das Antiquarium, i, Bronzen, Berlino 1924, p. 40 s., tav. 54. Iuvilas capuane: J. Heurgon, Étude sur les inscriptions osques de Capoue dites iuvilas, Parigi 1942. Statua offerente da Capua: A. Maiuri, in Boll. d'Arte, xxvii, 1933, p. 35, fig. 10; A. Adriani, op. cit., p. 30, tav. b, 5. Busti da Palestrina: A. Giuliano, in Röm. Mitt, lxlxi, 1953-54, p. 172 ss., tavv. 69-77. g) Fase di transizione dal III al II sec. a. C.: testa femminile da Capua: L. Breglia, in La Critica d'Arte, vii, 1942, p. 37, tav. xiv, 6. Dea-madre a Copenaghen: F. Poulsen, Das Helbig Museum der Ny-Carlsberg Glyptothek, Copenaghen 1927, p. 4, H. 4, tav. 3. Testa in tufo da Fraue: P. C. Sestieri, in Not. Scavi, 1952, p. 153, fig. 64. Bronzetti da Carsoli: A. Cederna, in Not. Scavi, 1951, p. 198, fig. 10, n. 20; Foto Gab. Fot. Naz. 34664, 34671 s. Antefisse con Pallade da Fratte: P. C. Sestieri, art. cit., p. 97, fig. 13; id., in Boll. d'Arte, 1949, p. 346, fig. 11. Testa maschile da Fratte: id., art. cit., p. 349, fig.. 20; id., in Not. Scavi, 1952, p. 119, fig. 30. h) Il II sec. a. C.: offerente a Copenaghen: F. Poulsen, op. cit., p. 82, H. 171, tav. 61. Bronzetto da Bovianum: G. Q. Giglioli, art. cit., p. 180, tav. 41, 1 s. Teste da Carsoli: A. Cederna, art. cit., figg. 20, 14; 21, 16. Dea-madre a Napoli: A. Levi, op. cit., p. 117, fig. 96. Bronzetti a Napoli: G. Q. Giglioli, art. cit., p. 185, tav. 43. Offerenti da Fratte: P. C. Sestieri, art. cit., p. 133, fig. 45 s. Busto da Capua: A. Adriani, op. cit., p. 30, tav. b, 6; R. Bianchi Bandinelli, op. cit., tav. 64, n. 131 s. Ritratto da Teano: E. Gabrici, art. cit., col 9 s., fig. 3. Ritratto da S. Prisco: A. de Franciscis, in Not. Scavi, 1956, p. 64 s., fig. 3 s. Urnette perugine: G. Q. Giglioli, Arte etrusca, Milano 1935, tavv. 405, 1 s.; 406, 2 s.; 407, 1. Marsia da Paestum: A. Marzullo, in Atti della Società Italiana per il Progresso delle Scienze, v, 1932, p. 193 ss., tavv. i-iv; P. C. Sestieri, Il nuovo Museo di Paestum, Rorna 1955, p. 8. Bronzetti a Parma: G. Monaco, in St. Etr., xvi, 1942, p. 527 s., nn. 28 s., 31, tavv. 36, 6 s.; 38, 4; a Cassel: M. Bieber, Die antiken Skulpturen u. Bronzen des K. Mus. Fridericianum in Cassel, Marburg 1915, p. 66, nn. 179, 183 s., tav. 42 s.; al Palazzo Conservatori: H. S. Jones, The Sculptures of the Palazzo dei Conservatori, Oxford 1926, p. 191 ss., n. 7, 10, 19, tav. 75. Stipe di Caramanico: Arch. Anz., 1941, col. 630, fig. 123. Stipe di Sepino: A. Maiuri, in Not. Scavi, 1926, p. 248 s., fig. 2 s. Stipe di Trieste: A. Gaheis, in Archeografo triestino, Ser. 3a, iv, 1908, p. 240 s., tav. 1 s. i) Il I sec. a. C.: Ercole già al Palazzo Reale di Napoli: L. Curtius, in Antike Plastik, Festschrift Amelung, Berlino 1928, p. 61 ss. Ercole da Alife: A. Levi, in Not. Scavi, 1916, p. 111 ss., fig. 1 s. Marte ex-Morgan: A. Sambon, in Le Musée, iii, 1906, p. 429, tav. lx. Ritratti romani sotto influsso italico: B. Schweitzer, Die Bildniskunst der römischen Republik, Lipsia-Weimar 1948, p. 53 ss. Busti da Capua: R. Bianchi Bandinelli, op. cit., tavv. 58, n. 113; 64, n. 129 s. Stele funerarie da Capua: L. Forti, in Memorie della R. Accad. Napoli, vi, 1942, pp. 43 ss.; 299 ss. Busto ad Ancona: B. Schweitzer, op. cit, p. 31, n. 5, fig. 8. Tempietto di Lusius Storax: E. Ghislanzoni, in Mon. Ant. Lincei, xix, 1908, cc. 541 ss., tavv. i e iii. Rilievi da Amiterno, nell'ordine: G. Persichetti, in Röm. Mitt., xxiii, 1908, p. 15 ss., tav. iv; F. Fornari, in Not. Scavi, 1917, p. 332 ss., figg. 1-5; E. Ghislanzoni, art. cit., cc. 589 s., tav. v, 2. Base da Isernia: H. Fuhrman, in Mitt. Inst., ii, 1949, p. 45 ss. Rilievo da Sulmona: M. Rostovtzeff, in Antihe Plastik, cit., p. 215, fig. 1. Cippo da Amiterno: F. Weege, in Röm. Mitt., cit., p. 26 ss., figg. 1-4.
(G. Colonna)
Bibl.: Manca un lavoro complessivo. Per le opere citate nell'introduzione: R. Rochette, Fouilles de Capoue, Parigi 1853, p. 35; G. Minervini, in Bull. Arch. Napolitano, N. S., VI, 1857-58, p. 189; R. Garrucci, in Bull. Ist. Arch. Germanico, 1860, p. 8; W. Helbig, ibid., 1864, p. 62 s.; 1866, p. 67; G. v. Kaschnitz-Weinberg, in St. Etr., VII, 1933, p. 135 ss.; id., in Mitteil. des Deutschen Arch. Inst., III, 1950, p. 148 ss.; id. in Handbuch der Altertumswissenschaft, VI, 2, 1950, p. 384 s.; G. v. Merhart, Donauländische Beziehungen der früheisenzeitlichen Kulturen Mittelitaliens, in Bonner Jahrbücher, CXLVII, 1942, p. i ss.; R. Bianchi Bandinelli, Storicità dell'arte classica, 2a ed., Firenze 1950, p. 117 ss.; A. Boëthius, in Atti del I Congresso internaz. di preistoria e protostoria mediterranea, Firenze 1952, p. 410 ss.; M. Pallottino, in La Parola del Passato, V, 1950, p. 5 ss. Per gli Italici in senso linguistico: G. Devoto, Gli antichi Italici, 2a ed., Firenze 1951. Sulla Campania: L. Breglia, in La Critica d'Arte, VII, 1942, p. 35 ss. Per l'arte popolare romana: G. Rodenwaldt, in Jahrbuch, LV, 1940, p. 12 ss.
(R. Peroni-G. Colonna)