MEROITICA, Arte
Sotto la designazione di arte m. si intende il complesso delle manifestazioni artistiche che ha avuto luogo a mezzogiorno dell'Egitto dal IV sec. a.C. fino alla metà circa del IV sec. d.C. Essa prende il nome da Meroe, non molto a Ν dell'odierna Khartum, che durante tale periodo fu capitale di questo vasto territorio, succedendo in questa funzione alla più antica Napata (v.) (oggi Gebel Barkal) alla IV cateratta del Nilo.
Il fatto che per ragioni politiche e amministrative tale regione sia stata sotto il controllo delle autorità archeologiche egiziane fino al momento dell'indipendenza sudanese (1956) ha determinato una visione dei documenti di questo mondo in un'ottica egittizzante: gli stretti rapporti fra la civiltà napatea e i suoi modelli egiziani giustificavano questo atteggiamento, e i legami fra quella civiltà e quella più tarda comportavano un trasferimento di questo approccio anche alla seconda. È stata in grande misura la costruzione della nuova diga di Assuan quella che, concentrando sulla Nubia (v.) una attività di ricerca archeologica ineguagliata, ha fatto vedere l'in sufficienza dell'angolatura egiziana per la comprensione di molti fenomeni.
Si è preso così atto di quanto di autonomo c'è in quella regione in un organico svilupparsi e susseguirsi di civiltà varîe ma fra loro collegate, nella storia delle quali va inserita l'influenza (fino all'occupazione territoriale, per alcuni tempi) della confinante terra d'Egitto.
Di questa concezione di fondamentale autonomia culturale della Nubia in senso lato, il momento meroitico diventava (dopo quello assai più antico di Kerma) in certo modo il più importante e organicamente significativo. È il momento in cui uno stato territoriale ampio e di precisa struttura tratta con le altre potenze del tempo (i Tolemei e poi i Romani fino agli Axumiti), inventa una scrittura per una sua lingua, si testimonia in un'abbondante serie di documenti. Non è un caso se il periodo meroitico ha assunto, per il Sudan moderno, il peso e la funzione di rappresentante ufficiale del passato archeologico del paese.
Il periodo relativamente breve durante il quale si è affrontata la problematica relativa alla civiltà meroitica fa sì che per varí aspetti di quel mondo ci si debba per ora contentare di impostazioni provvisorie. Così è per quel che concerne le dimensioni dell'area meroitica: se a Ν templi e nomi di sovrani meroitici giungono fino all'isola di File, molto più vago è il confine meridionale che successivi trovamenti (di carattere casuale) vanno spostando sempre più a S verso il Sennar, e a O verso il Kordofan e il Darfur: la ricchezza dei risultati dell'indagine archeologica per la parte settentrionale e la scarsezza di ricerche metodiche per le altre regioni costituiscono un quadro così squilibrato che non può essere usato che con estrema cautela, assumendo tuttavia come dato di fatto che vistosi resti antichi non si incontrano a S della c.d. Isola di Meroe. È così chiamata la regione compresa fra l'Atbara e il Nilo Azzurro, dove è la massima concentrazione di avanzi monumentali: quelli dell'antica Meroe (Begrawwya e Kabušya) e di altri centri come Musawwarat eṣ-Ṣofra Naqa (v.), Wād Ben Naqa, non lontano dall'odierna Šendi. Fuori da questo gruppo, un altro centro di importanti resti è al termine della IV cateratta, dove Napata aveva rappresentato il confine meridionale dell'impero egiziano durante la XVIII dinastia e in età ramesside, e poi la capitale dell'impero unito di Nubia ed Egitto nella XXV. Questo centro di antiche tradizioni ha mantenuto la sua funzione di città sacra anche durante l'età meroitica, così come Kawa e Seidinga più a N, presso la III cateratta, dove anche a monumenti egiziani e napatei se ne aggiungono di meroitici.
A questa serie di centri se ne contrappone un'altra situata fra la II e la I cateratta: Faras, Karanog, Debod, Qaṣr Ibrīm, Hierasykaminos (Maharraqa) e la stessa File, dove si hanno templi e necropoli meroitiche. Le due grandi aree presentano così sicure affinità da poterle considerare insieme per molti aspetti, ma si possono anche notare differenze tali da poter parlare di un meroitico settentrionale e uno meridionale. Il primo, assai più immerso in un contesto egittizzante (la «Bassa Nubia» ha fatto a lungo parte dell'impero egiziano, l'«Alta Nubia» mai), ha caratteristiche geomorfologiche diverse (le terre coltivabili sono assai meno estese); non vi si trovano necropoli regali, il che ne mostra la funzione di periferia rispetto al centro politico. Non è un caso che ancor oggi la Bassa Nubia faccia parte dell'Egitto e non del Sudan.
Al non molto definito quadro geografico non si oppone una più precisa cornice cronologica. Essa è basata su una lista di sovrani ricostruita dalle iscrizioni delle loro tombe (o da considerazioni archeologiche). Si ha così una serie di «generazioni» che sono numerate a partire dall'inizio della regalità napatea fino alla caduta di Meroe sotto l'attacco axumita (da c.a il 360 a.C. a c.a il 320 d.C.) per poco meno di un'ottantina di personaggi. La durata dei singoli regni è fondamentalmente convenzionale, e convenzionale è questa struttura cronologica che serve come impalcatura a una storia che non può essere ricostruita, in pratica, che dai resti archeologici, in quanto i testi in meroitico (a carattere formale e funerario nella maggior parte dei casi) possono essere letti, ma la lingua che essi trascrivono è tuttora ignota, sebbene se ne intendano parole e strutture singole, in una situazione non diversa da quel che avviene per l'etrusco. Questo lungo periodo può, naturalmente, essere suddiviso in periodi più brevi: un primo «meroitico antico» è più o meno contemporaneo della dinastia tolemaica in Egitto, il periodo «classico» lo segue per circa un secolo, e dal II sec. si ha un «meroitico tardo».
È ovvio che questo schema del tutto tradizionale ha solo una funzione pratica, e si appoggia a quel che è giudicato l'evolversi di aspetti formali del materiale figurativo. Questo assume così una funzione di guida alla comprensione di tutta la civiltà meroitica. Il dato di fatto continuamente presente è costituito dalla importanza dell'ispirazione egittizzante, che viene in modo diverso recepita e tradotta in un linguaggio stilistico volta a volta diverso. L'autorità esemplare dell'Egitto è fondata più su un prestigio genericamente culturale che non su una coincidenza di ideali formali: ed è così che dal vicino settentrionale si importano soprattutto elementi tipologici, che, in questo periodo, possono essere di due tipi completamente diversi, faraonici gli uni, ellenistici gli altri. È questo convivere di due diversi patrimoni iconografici spesso entro lo stesso contesto mostra a che livello sia avvenuto il mutuo: esso serve solo di supporto a una traduzione in un gusto nuovo, che si compiace di una paratassi di elementi decorativi assai minuti i quali si sommano fino a formare l'intiero (laddove l'impostazione figurativa egiziana e quella greca tengono d'occhio prima di tutto la struttura generale entro la quale vanno collocati e prendono senso i particolari).
Che questo atteggiamento finisca col privilegiare le arti decorative è quasi tautologico, e in effetti il più coerente e ammirevole gruppo di opere d'arte di questa civiltà è forse dato dalle sue ceramiche e dalle sue oreficerie. Modelli egiziani e modelli ellenistici sono certo in taluni casi ripresi molto da vicino; insieme, si ê spesso sottolineato come, accanto a questi, altri se ne possano indicare di assai più lontana origine, di indiani e di asiatici. Le segnalazioni di queste ultime influenze, tuttavia, sono spesso state appoggiate a indizî di non grande perentorietà.
Le testimonianze più importanti che abbiamo a disposizione, e quelli da cui in pratica derivano anche le altre, sono i resti architettonici, templi, tombe, abitazioni. I templi si possono dividere in due grandi categorie: quelli che sono destinati a divinità di origine egiziana (soprattutto Ammone e Iside) e quelli sacri a divinità indigene (il dio-leone Apedemak soprattutto). I primi sono costruiti secondo la sintassi egiziana che prevede uno sviluppo di pianta in numerosi vani con specifiche funzioni dal portale al sacrario; i secondi invece constano fondamentalmente di un vano unico - diviso talvolta in un naòs e in un pronao - eventualmente circondato da colonne. Spesso questi santuari sono riuniti in gruppi: così a Meroe, a Napata (Gebel Barkal), a Naqa.
Il più importante e vario di questi gruppi è quello di Muṣawwarat eṣ-Ṣofra (le «immagini gialle») che riunisce varî edifici entro un ampio muro di cinta. Il tempio centrale è costruito su una piattaforma, che si ritrova anche in altri casi di costruzioni meroitiche, ed è circondato da colonne. Per paralleli strutturali è stato datato al I sec. a.C. Datato con più precisione, invece, un più piccolo edificio templare («Tempio del Leone») ricostruito da una missione tedesca da un cumulo di rovine, che conserva numerosi testi in geroglifici egiziani di tipo tolemaico e il nome di un sovrano che si data nel penultimo quarto del III sec. a.C. Fra le cose notabili di questo complesso sono le decorazioni scolpite, che mostrano architravi con protomi divine (animalesche e umane) e che pongono alla base delle colonne gruppi di animali o che, in un caso, terminano un muro in un'immagine di elefante. Sono, questi, sintomi del gusto caratteristico di questa civiltà per una decorazione che assume su di sé gran parte dell'interesse dello spettatore.
Un particolare gruppo di edifici è costituito dai c.d. chioschi - luoghi di sosta per le processioni - facilmente accessibili, circondati da colonne: il modello è noto in Egitto, ed egittizzante è in genere anche il corrispondente meroitico di questi edifici - di cui ê stato notato comunque che un gruppo è costruito metricamente, uno modularmente, e cioè in un caso su multipli di una misura di uso corrente come il cubito, nell'altro adoperando una parte dell'edificio come elemento di misura delle altre: sono due concezioni opposte che convivono. E così convivono modelli faraonici e modelli classici nel c.d. Chiosco Romano di Naqa, un altro esempio del gusto per l'ornamentazione. Elemento di raccordo per tutta la cronologia meroitica e per lo studio dello sviluppo di alcuni suoi aspetti sono le necropoli regali di Meroe, dove sorgono le tombe a piramide dei successivi sovrani.
Le piramidi proseguono il tipo di tomba adottato già dai re napatei a el-Kurru (v.) e a Nuri (v.), e che allora aveva sostituito più antichi modelli di sèma funerario a tumulo. E', dunque, il risultato di un'egizianizzazione della cultura, e sottolinea un atteggiamento connesso con le funzioni faraoniche dei re della XXV dinastia. Tuttavia è da segnalare che le piramidi napatee e poi quelle meroitiche che ne derivano non rivaleggiano e non imitano quelle regali egiziane, bensì quelle assai più modeste dei privati della regione tebana, di cui imitano anche il maggiore sviluppo in altezza rispetto alla base. La cappella che vi si appoggia rappresenta il luogo di culto ed è adornata di rilievi che con una certa monotonia mostrano scene di purificazione e di offerta, con figurazioni divine sul fondo. Vi sono elementi di sviluppo nello stile dei rilievi, ma il carattere sacrale e il ricordo di modelli egiziani irrigidisce qui la fantasia dello scultore. Oltre che a Meroe, una serie di piramidi che pone problemi sull'identità e sulla funzione dei re che vi sono sepolti è presso Napata, al Gebel Barkal. Ma vi sono, naturalmente, molti altri cimiteri per la gente comune lungo tutta la valle, e in più di un caso anche queste tombe erano sormontate da piccole piramidi, e contenevano corredi. Da segnalare che proprio in questo campo vi sono differenze fra la Bassa e l'Alta Nubia: nella prima appaiono stele dipinte piuttosto che scolpite, i corredi comportano bellissime e finissime ceramiche assai più rare nel S, e con la tomba sono connesse «statue di anima» - cioè immagini del defunto con corpo di uccello e testa umana come l'immagine dell'anima in Egitto - e «teste di ricambio», cioè teste scolpite in pietra e deposte nella tomba come era avvenuto assai prima e per breve periodo in Egitto.
Vi sono, infine, i resti di abitazioni. Molto modeste in genere, se non per i palazzi regali: uno ne è stato identificato a Wād Ben Naqa, con portici e sale, un altro - datato all'inizio della nostra èra - a Napata, costruito su una piattaforma e dotato anch'esso di cortili e sale con abbondanti decorazioni, un terzo a Meroe, connesso con un edificio, le c.d. Terme Romane, che è del tutto inconsueto per il tipo della ricca decorazione: sono statue di animali, di suonatori, di donne nude, di gruppi che chiaramente cercano di imitare modelli del mondo classico. Una sfarzosa decorazione con l'impiego di piastre, formelle e tondi di ceramica cen figure varie, rilievi dorati (e addirittura doratura di interi ambienti) è ricostituibile per queste Terme Romane come per il palazzo del Gebel Barkal: tali decorazioni aggiungono un vistoso elemento spettacolare alle strutture architettoniche.
Con l'architettura va connessa anche la maggior parte dell'attività degli scultori. Davanti ai templi, infatti, si allineano immagini di animali (leoni, arieti) che ricordano le divinità titolari, e statue in forma umana si levano vicino alle porte, talvolta in dimensioni colossali, che rappresentano gli dèi. Altre statue, oltre quelle «di anima», ornano le necropòli, come il gruppo della regina Shanakdakhete con un principe che deriva dal cimitero di Meroe. Queste sculture si compiacciono tutte di una pesantezza di volumi e di una elementarità di costruzione su cui i particolari descrittivi son tracciati con leggeri tratti.
Altre sculture, di assai minori proporzioni, sono rappresentate da fusioni in bronzo e da plastiche in terracotta o terra smaltata. In questi prodotti di minori proporzioni è più facile trovare esemplari in cui il richiamo a modelli ellenistici è così esplicito da lasciare in taluni casi dei dubbi circa una eventuale provenienza dei singoli pezzi dall'ambiente alessandrino. Esso però può essere escluso per ragioni archeologiche in un certo numero di casi che son sufficienti per valutare le capacità dei bronzisti locali. E, così, dobbiamo riconoscere come locali le gioiellerie complesse e fantasiose di cui esempì particolarmente importanti derivano dalla piramide di una regina Amanishakhete a Meroe e furono trovate e portate in Europa da un medico bolognese, Ferlini, che seguì la spedizione egiziana di conquista del Sudan di Ibrahim Pascià: furono questi ori, venduti a Monaco e a Berlino, a presentare al mondo archeologico europeo le caratteristiche di questa civiltà artistica. Fra questi esempî di gioielli un posto a parte tiene forse la sfragistica; anelli con castoni incisi come suggelli - in oro quelli regali, in argento o in ferro gli altri - mostrano un chiaro senso della composizione e un gusto per il particolare esplicitamente messo in mostra.
Gli aspetti delle arti di cui fin qui abbiamo parlato testimoniano tutti un ambito a vario livello aulico. Ma c'è da considerare anche una serie di prodotti di altra origine, nei quali i richiami culturali sono assai meno evidenti, in cui l'Egitto appare solo come fornitore di simboli grafici e in cui i legami con i momenti precedenti (e seguenti) della cultura figurativa nubiana sono molto più facili da constatare in un incatenarsi di elementi che risale al Neolitico e che scende fino all'età cristiana. Si allude qui soprattutto alla vastissima e impegnatissima arte ceramica. Vi sono da una parte quelle ceramiche domestiche che hanno un tale conservatorismo che non è sempre facile datarne gli esemplari, costruiti secondo modi che si perpetuano nell'attività femminile della casa. Ma anche quelle più chiaramente concepite per il mercato, e di cui esemplari si possono trovare in varie località scavate - ciò che prova la loro circolazione - rivivono e ampliano il piacere di una tecnica raffinata e lasciano libera fantasia a una decorazione che ogni volta si rinnova e che può compiacersi talvolta del suo nitido segno, talvolta della sua disinvolta abilità a occupare gli spazi vuoti, che può essere geometrica o floreale, o addirittura impiegare forme viventi, stilizzate, talvolta naturalistiche: quel che è costante è una certa nettezza e sicurezza tecnica che fanno delle ceramiche meroitiche forse le più belle fra quelle sudanesi, eredi lontane di quelle di Kerma, e precorritrici di quelle di età cristiana. E qui che il gusto decorativo e un certo distacco dalle forme organiche proprio della cultura artistica sudanese trovano la più schietta e immediata espressione.
Questo panorama dell'arte m. è ancora assai impreciso e vago: molto c'è ancora da esplorare nei campi di rovine (tutto sommato non troppo devastati) e - come sempre - nelle raccolte dei musei e dei documenti. Ma l'interesse per questo campo di studi ê ormai destato, e c'è da sperare in rapidi progressi di conoscenza che porteranno a più meditate valutazioni.
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