Anglonormanna, Arte. Metalli lavorati
L'arte della lavorazione dei metalli nel periodo della dominazione normanna dell'Inghilterra non conobbe grandi mutamenti tecnici rispetto alla produzione anglosassone, anche se alcuni metodi di decorazione delle superfici, quali il niello e lo smalto, acquistarono una maggiore diffusione nel 12° secolo.
Due erano i principali metodi usati per la lavorazione dei metalli: la fusione in stampi e la forgiatura a martello.
In tutti i sistemi di fusione il metallo veniva liquefatto e colato in stampi di tipo diverso, a seconda degli oggetti da eseguire: semplici stampi aperti per spille o gioielli decorati solo su una faccia e stampi chiusi, a volte complessi, per oggetti dove contavano sia la forma sia la decorazione, quali le campane. Il metodo di fusione a cera persa rendeva possibile l'esecuzione di dettagli netti; il modello di cera era rivestito di argilla, con fori per la colatura del metallo e per la ventilazione. Con il calore l'argilla si induriva, mentre la cera, fondendo, lasciava le cavità dello stampo vuote per ricevere il metallo fuso.Il metallo era forgiato usando lamine di dimensioni appropriate, tagliate approssimativamente nella forma del pezzo da eseguire; veniva poi temperato e modellato a martello su incudini di diverse forme. La superficie poteva quindi essere lavorata in più modi: a sbalzo, a incisione, a niello, con smalti, dorature e posa in opera di gemme. L'arte dell'orafo in quest'epoca includeva quella del gemmario: le gemme non erano tagliate ma solo levigate; le qualità apprezzate dai contemporanei, infatti, erano principalmente il colore e le 'virtù'.
La tecnica degli smalti consisteva nell'applicazione di polvere di vetro, variamente colorata con ossidi metallici, su una superficie di metallo inciso, per lo smalto champlevé, o in alveoli riportati ottenuti con piccole tramezzature metalliche per lo smalto cloisonné. La cottura a temperatura elevata (700°-800°C) saldava poi assieme i due materiali.
L'accresciuta diffusione dello smalto su metallo a partire dal sec. 12° trovava ragione nella sua durevolezza e nella brillante gamma cromatica che esso offriva all'artista: una considerevole attrattiva in un periodo in cui l'uso di motivi araldici (il cui effetto era dipendente dal colore) su manufatti in metallo acquistava un'importanza sempre maggiore nel repertorio figurativo. Entrambi i tipi di smalto, champlevé e cloisonné, sono attestati nel sec. 11° (English Romanesque Art, 1984, nr. 224; Buckton, 1986); fino al sec. 12° il tipo più comunemente usato era quello champlevé, in cui il disegno era ottenuto a bulino sulla superficie del metallo, in genere una lega di rame, risparmiando sottili bordi, rialzati rispetto alle cavità e ai solchi incisi. Lo smalto veniva poi posto in queste cavità, spesso con diversi colori in un unico campo.
Ben pochi oggetti in metallo del periodo romanico sono sopravvissuti alle vicissitudini della Riforma inglese nel sec. 16° e allo zelo dei puritani nel 17° secolo. I metalli preziosi erano particolarmente esposti a rischi di vario genere e, conseguentemente, gran parte di ciò che resta si è salvato solo grazie a seppellimenti intenzionali o accidentali. Di questi pezzi, ben pochi sono firmati, datati o di provenienza nota, cosicché la loro attribuzione ad artisti inglesi dipende in genere dall'analisi stilistica - non sempre inequivocabile - basata sul confronto con manoscritti e sculture.
Tra i più antichi oggetti conservati è il Candelabro di Gloucester (Londra, Vict. and Alb. Mus.), di raffinata concezione e realizzazione, eseguito in un amalgama di metalli (comprendente argento, rame, ferro, piombo) e fuso in tre parti con il metodo della cera persa. Reca un'iscrizione secondo la quale fu donato dall'abate Pietro a quella che è ora la cattedrale di Gloucester: può quindi essere datato tra il 1104 e il 1113.Il candelabro è decorato con draghi, scimmie e figure umane che popolano un fitto fogliame; la preminenza data ai simboli dei quattro evangelisti sul nodo denuncia la sua funzione di candelabro d'altare. Anche se evidentemente influenzato dallo stile degli oggetti in metallo prodotti nei territori dell'Impero quali i candelabri di Bernoardo a Hildesheim, dell'inizio del sec. 11°, il Candelabro di Gloucester presenta tratti stilistici indubbiamente inglesi.Le categorie di oggetti liturgici in metallo di quest'epoca più largamente conservatisi sono i calici e le patene, in genere d'argento, in gran parte sopravvissuti in quanto sepolti assieme ai sacerdoti che li possedevano, come simbolo del loro ufficio. Oman (1957) ha calcolato che sono probabilmente otto gli esemplari d'argento rimasti, datati tra il 1050 e il 1200 circa. Molti sono quasi privi di decorazione sulla superficie; i più elaborati sono il calice e la patena di argento dorato e inciso di Hubert Walter, arcivescovo di Canterbury (1193-1205): il calice è decorato con boccioli e fiori confrontabili con quelli di manoscritti come il Salterio di Winchester (Londra, BL, Cott. Nero C.IV), del 1150 circa.
Un altro tipo di oggetto liturgico, l'acquasantiera, era largamente prodotto usando il piombo, probabilmente a imitazione degli esemplari in bronzo della regione mosana; in Inghilterra se ne conservano sedici e pochi altri in Francia. Il piombo, di facile reperibilità perché estratto in gran quantità sul territorio inglese, era fuso in lamine, saldate poi assieme a formare un cilindro. La decorazione della superficie, ottenuta già con la fusione, era spesso elaborata, con boccioli floreali intrecciati, come sull'esemplare di Barnet by-le-Wold (Lincolnshire), del 1150-1160 (Zarnecki, 1957, tav. 75) o con personaggi, animali e iscrizioni, come su quello di Brookland (Kent), del 1200 ca. (Zarnecki, 1957, tavv. 56-65).
È noto che il bronzo era usato per la fusione di campane e porte di chiese, un'attività che vide primeggiare il maestro Hugo di Bury St Edmunds, operante anche come miniatore intorno al 1135 (Kauffmann, 1975, nr. 57), ma la cui produzione è quasi del tutto scomparsa. Restano poche campane di età normanna, in gran parte di bronzo fuso e prive di decorazione, tranne che per qualche iscrizione, come quelle del 1200 ca. a Chaldon nel Surrey (Stahlschmidt, 1884, pp. 77-78) e a Littleborough nel Nottinghamshire (English Romanesque Art, 1984, nr. 262).
Pochi battenti in bronzo si conservano su porte di chiese, in genere a forma di testa di leone stilizzata, come nella cattedrale di Durham, 1170 ca. (Geddes, 1982) o ad Adel (Buckinghamshire), verso il 1200 (English Romanesque Art, 1984, nr. 264). Dei turiboli (ivi, nr. 261) e dei candelabri (ivi, nr. 249) in bronzo si sono conservati solo frammenti; che ne esistessero di enormi è suggerito dalla descrizione del grande candelabro di bronzo a sette bracci nella cattedrale di Durham, così grande da estendersi da un lato all'altro del coro (ivi, p. 21 n. 5). Si conservano numerose figure in bronzo di Cristo provenienti da croci di altare o processionali (ivi, nrr. 233-240), ma solo due croci di bronzo complete, quella di Lund del 1050-1075 ca. e quella di Monmouth del 1170-1180 (ivi, nrr. 229, 241). Diversi pastorali di rame dorato, databili tra il 1100 e il 1200, si sono mantenuti quasi integri, spesso con elaborati ricci a boccioli floreali e altri motivi fitomorfi incisi sui fusti e sui nodi (ivi, nrr. 267-273).I manufatti metallici profani sono ben più rari di quelli ecclesiastici. Gli anelli, che costituiscono il tipo più comune, si sono salvati perché posseduti da vescovi o arcivescovi e quindi sepolti con essi e poi ritrovati (English Romanesque Art, 1984, nrr. 311-317, 320). La produzione di altri piccoli oggetti, in genere in lega di rame, è documentabile solo da frammenti di fibbie di cinture, fermagli di cinghie e spille (spesso decorate a fusione con motivi animalistici) e pochi sigilli.
L'argenteria profana è quasi del tutto perduta, con l'eccezione del tesoro di Dune (isola di Gotland): un gruppo di coppe in argento del 1150 ca., recanti incisi i caratteristici 'boccioli d'orchidea' inglesi (English Romanesque Art, 1984, nrr. 304-306) e arricchite con dorature e niello. Ancora più inusuale è la presenza su una di queste coppe di un'iscrizione che fornisce i nomi sia dell'artigiano, Simone, che del committente, Zhalognev (ivi, nr. 305). Rimangono pochi cucchiai d'argento, i c.d. cucchiai di Iona, Taunton e Pevensey del 1150 ca. (ivi, nrr. 297-299); quello che presenta la lavorazione più elaborata è il c.d. Cucchiaio dell'Incoronazione, del 1200 ca. (G.E.P. How, J.P. How, I, 1952, p. 24, tav. 5), di argento dorato, in origine smaltato e abbellito da una perla, con decorazione incisa di fogliame e boccioli.
La produzione inglese del sec. 12° seguiva da vicino gli sviluppi continentali e pertanto lo stile degli smalti appare influenzato dalle opere mosane. I primi legami tra le due regioni possono essersi stabiliti per la presenza in Inghilterra, prima e dopo la conquista, di alti ecclesiastici provenienti dalla Lorena. Alcuni tra i pochissimi smalti conservatisi di quel periodo si trovano nel Vict. and Alb. Mus. a Londra. Il più antico di questi è la c.d. placca Masters', che presenta un Giudizio universale dall'iconografia assai originale, con il Cristo fiancheggiato da angeli, che si libra sui tormenti dell'inferno. Lo stile è puramente inglese, privo di qualsiasi influsso mosano e può essere messo a confronto con quello dei manoscritti degli anni intorno al 1150, come il Salterio di Winchester. Nel British Mus. sono conservate due placche smaltate che, al contrario, presentano uno stile marcatamente mosano; una di esse raffigura Enrico di Blois, vescovo di Winchester (1129-1171), e potrebbe provenire dal Reliquiario di s. Swithun, eseguito intorno al 1150 per contenere le reliquie del santo a Winchester. Di una serie di placche illustranti le vite di s. Pietro e s. Paolo, probabilmente facenti parte di un reliquiario, restano solo sette esemplari, divisi ora tra Londra, New York, Digione, Lione e Norimberga (English Romanesque Art, 1984, nr. 290). Il loro stile è inglese e l'affinità della loro iconografia con quella dei contemporanei mosaici della Cappella Palatina di Palermo e del duomo di Monreale può forse essere motivata dall'influenza di un prototipo comune quale, per es., un manoscritto bizantino. In quest'epoca, infatti, erano assai forti i legami tra l'Inghilterra e la Sicilia.
Un gruppo di tre pissidi con smalti, databili intorno al terzo quarto del sec. 12°, unisce tratti stilistici mosani con i lussureggianti girali di vite e fiori tipici della scultura e dei manoscritti inglesi contemporanei (English Romanesque Art, 1984, nrr. 278-280); la loro insolita iconografia si ritrova anche in alcune pitture murali inglesi. Due delle pissidi, quella recentemente acquistata dal Vict. and Alb. Mus. presso Lord Balfour di Burleigh e l'altra nella Pierp. Morgan Lib. di New York, devono provenire dalla stessa bottega, data la loro straordinaria somiglianza sia nello schema, sia nella gamma cromatica. La terza, detta 'di Warwick' (Londra, Vict. and Alb. Mus.) ha perso gran parte della decorazione a smalto e il coperchio. Come negli altri due esemplari, anche il coperchio della Pisside di Warwick dovette senza dubbio essere decorato con smalti raffiguranti scene dal Nuovo Testamento, in giustapposizione a quelle tratte dall'Antico Testamento sulla coppa, per rappresentare insieme il sacrificio di Cristo e la redenzione, un tema estremamente appropriato per un oggetto destinato a contenere le ostie per l'eucaristia. Alcune scene sulle tre pissidi sono così simili tra loro da far pensare a un'esecuzione in un'unica bottega. Il repertorio dei motivi era lo stesso usato per le pitture murali scomparse nelle cattedrali di Peterborough e Worcester.
Nell'età romanica il termine orafo probabilmente comprendeva la pratica nella lavorazione e nella decorazione di tutti i metalli; molti artisti possono aver avuto quindi la versatilità di Hugo di Bury, miniatore della Bibbia di Bury del 1135 ca., ma noto anche come scultore e orafo.Londra era probabilmente il centro principale di questa produzione, ma la presenza in tutto il paese di zecche - che tra i vari lavoranti dovevano senz'altro includere degli orafi - e di grandi fondazioni monastiche, dove vi era necessità di riparare e rinnovare gli arredi sacri, deve avere assicurato una diffusione abbastanza ampia dell'arte della lavorazione dei metalli in questo periodo.
Bibliografia
J. Stahlschmidt, Surrey bells and London bell-founders, London 1884, pp. 77-78.
G.E.P. How, J.P. How, English and Scottish silver spoons, I, London 1952.
G. Zarnecki, English romanesque lead sculpture. Lead fonts of twelfth century, London 1957.
C. Oman, English Church Plate 597-1830, London 1957, pp. 299, 304, 309.
M.M. Gauthier, Emaux du Moyen Age occidental, Fribourg 1972 (con bibl.).
C.M. Kauffmann, Romanesque manuscripts, 1066-1190 (A survey of manuscripts illuminated in the British Isles, 3), London 1975, p. 90 nr. 57.
J. Geddes, The Sanctuary ring of Durham Cathedral, Archaeologia 107, 1982, pp. 125-129.
English Romanesque Art 1066-1200, cat., London 1984 (con bibl. sui singoli argomenti trattati nella voce).
D. Buckton, Late 10th and 11th century ''cloisonné'' enamel brooches, MArch 30, 1986, pp. 8-18.
v. anche Anglonormanna, Arte. Parte introduttiva