Vedi MINOICO-MICENEA, Arte dell'anno: 1963 - 1973
MINOICO-MICENEA, Arte
I. Cronologia. - II. Arte Minoica: A) Architettura: a) tecnica; b); città; c) palazzi; d) case e ville; e) tombe; f) vani di culto; B) Pittura; C) Ceramica; D) Plastica; E) Glittica; F) Artigianato: a) oreficerie; b) vasi di pietra; c) bronzi; d) avorî. - III. Arte Micenea: A) Architettura: a) generalità; b) città; c) palazzi; d) case; e) tombe; B) Scultura; C) Pittura; D) Ceramica; E) Artigianato. - IV. Diffusione della civiltà Minoico-Micenea. - V. Le scritture cretesi-micenee. - VI. I risultati dei recenti scavi di festo e le nuove proposte di cronologia.
Nel II millennio a. C. una brillante civiltà è fiorita nel Mediterraneo orientale, la civiltà minoico-micenea. Gli ultimi echi di questa civiltà si ritrovano in Omero.
Colui che ce la rivelò per primo fu H. Schliemann (v.), grande ammiratore dei poemi omerici, il quale, ritiratosi dal commercio, cercò a Hissarlik, in Asia Minore, il luogo dell'antica Troia. Cominciati là gli scavi e costretto a sospenderli, nell'agosto del 1876 iniziò lo scavo di Micene (v.) e trovò le famose cinque tombe a fossa con i loro magnifici tesori. Alla civiltà rivelata da questo scavo, e specialmente alla ceramica, fu dato il nome di "micenea", termine che fu usato per la prima volta dal Furtwängler e dal Loeschke (Mykenische Vasen). Nel 1885, insieme a W. Dörpfeld, lo Schliemann mise in luce a Tirinto la pianta di un palazzo miceneo. Lo Schliemann voleva anche scavare a Creta, ma dovette rinunziarvi in seguito a dissensi col governo turco. Negli ultimi decennî del XIX sec. l'italiano F. Halbherr; l'inglese A. J. Evans; due studiosi greci, J. Hazzidakis e St. Xanthudidis, esplorarono l'isola di Creta, alla ricerca di documenti greci e pregreci sulla storia dell'isola. A. Taramelli visitò nel 1900 la grotta di Mavrospilion sul Monte Ida, al disopra del villaggio di Kamàres, e vi trovò per la prima volta una ceramica dipinta a vivaci colori che, dal luogo di trovamento, fu detta ceramica di Kamàres. Nel 1899, l'Evans iniziò lo scavo di Cnosso (v.); nel 1900, F. Halbherr e L. Pernier iniziarono quello di Festo (v.) e lo Halbherr nel 1903 quello di Haghìa Triada. Successivamente ebbero inizio gli scavi nella Creta orientale: degli Americani a Gurnià, Vasilikì, Mochlos, Psira e altre località minori; degli Inglesi a Palekastro, Zakro, Petsofà, ecc. Nel 1904 lo Xanthudidis incominciò l'esplorazione delle thòloi della Messarà; nel 1909 lo Hazzidakis quella di Tylissos; nel 1921, i Francesi iniziarono lo scavo di Mallia (v.). Fu la rivelazione di una civiltà del Bronzo, più antica, ma quasi altrettanto ricca, di quella scavata dallo Schliemann a Micene. Nel 1904, quando il diverso carattere della civiltà di Creta si fece sensibile, l'Evans propose che la nuova civiltà rivelatasi a Creta fosse detta "minoica", dal nome di Minos, mitico re di Cnosso. "Miceneo" continuò a indicare (e indica tuttora) la civiltà dell'Egeo nel secondo millennio, dall'inizio dell'influsso cretese.
Gli scavi nell'isola di Milo, a Filakopì (1896-99); quelli di Thera; l'esplorazione delle altre isole cicladiche, mostrarono una civiltà che viene chiamata "cicladica" (v.), la quale fu a contatto con la civiltà minoica e micenea, ne importò i prodotti e ne sentì l'influenza.
I. Cronologia. - La civiltà del Bronzo di Creta, fu la prima ad avere un ordinamento cr0nologico, il quale fu la base su cui fu stabilita la cronologia dell'Età del Bronzo greca e cicladica. Il termine "miceneo" indicò dapprima l'intero campo della nuova civiltà greca e cretese, senza divisioni in periodi. A Creta, fino dagli inizî degli scavi si usò una divisione basata sulla decorazione ceramica: "Kamàres" e "Miceneo". Con "Kamàres" si indicò il periodo della ceramica con policromia su fondo nero, sconosciuta nella Grecia; "Miceneo" indicò il periodo successivo, con la ceramica dipinta in bruno o nero sul fondo chiaro, già conosciuta dagli scavi di Micene e Tirinto. Nel 1903 R. C. Bosanquet usò tre periodi che indicano una successione cronologica: Kamàres, Miceneo Antico, Miceneo Recente. Nel 1904 cominciò la fortuna della parola "minoico". Nel 1905, l'Evans propose una cronologia in nove periodi, che, un poco modificata, è alla base della pubblicazione degli scavi di Cnosso: Minoico Antico (abbreviato qui M A) I, II, III; Minoico Medio (abbreviato M M) I, II, III; Minoico Tardo (abbreviato M T) I, II, III. Ogni periodo si suddivideva in due sottoperiodi a e b; il M T III, in tre a, b, c. Anteriore al Minoico Antico era il Neolitico. Questa cronologia relativa si basava sulla successione degli stili ceramici trovati sui pavimenti di Cnosso. Malgrado alcuni attacchi (Franchet, Åberg), questa successione cronologica fu accettata. Recentemente i nuovi scavi ne hanno messo in dubbio l'esattezza: in altre parti di Creta i periodi dell'Evans non si succedono nell'ordine stabilito da lui. Questo fu constatato in alcuni scavi regolarmente stratificati: a Tylissos; a Festo, che ha le nette stratificazioni delle gettate di calcestruzzo che separano le quattro fasi del palazzo (v.); in una tomba di Lebena (v. oltre II C). Si aggiunga che le stratificazioni di Cnosso sono involute e che alcuni stili mancano, o sono rari (il M A III, proprio della Creta orientale; il M T I b). Le più recenti cronologie minoiche riconoscono 5 periodi, basati sulle distruzioni e ricostruzioni dei palazzi: neolitico; prepalaziale; protopalaziale; tardo-palaziale; postpalaziale (o miceneo). I tre ultimi periodi corrispondono ai periodi I, II e III trovati dal Hazzidakis a Tylissos.
Tradurre questa cronologia relativa in cronologia assoluta è più difficile. Gli studiosi sono d'accordo nell'affermare che l'inizio del Minoico Tardo III e quello del Miceneo III del continente greco, possono essere datati intorno al 1400 a. C.: perché Tell el-῾Amārnah, abbandonata nel 1350 a. C., aveva ceramica del Miceneo Tardo III a. L'Evans ha datato i suoi nove periodi in base a sincronismi con l'Egitto, cioè in base a oggetti egiziani, datati, trovati a Creta e ad oggetti cretesi trovati in Egitto. Una statua egiziana della fine della XII dinastia era in uno strato Minoico Medio II, di Cnosso; ceramica del Minoico Medio II b fu trovata in Egitto, ad Abido, in una tomba della XII dinastia. Questo sincronismo dava all'Evans l'eguaglianza: XII din. = M M II = 1900-1700 circa a. C. Sulla base di questa datazione l'Evans (Pal. of Min., i, p. 25 ss.) stabilì: M A=3400-2100 a. C.; MMI = 2100-1900 a. C.: MM II 1900-1700 a. C.; MM III = 1700-1580 a. C.;M T I = 1580-1450 a. C.; M T II = 1450-1400 a. C.; M T III = 1400-1200 a. C. In seguito alla scoperta a Mari (Mesopotamia) di tavolette iscritte, che obbligano ad abbassare la data del regno di Hammurapi di Babilonia (il Goetze lo data al 1848-1806 a. C.; lo Smith al 1792-1750; l'Albright al 1728-1686 a. C.; il Poebel al 1715-1673) fu abbassata la cronologia egiziana e, come conseguenza, quella minoica. Elementi base, ma solo quale termine post quem, per la datazione della civiltà minoica sono: la presenza di un cilindro babilonese dell'inizio del regno di Hammurapi, o di poco anteriore, nella tomba B di Plàtanos, che ha ceramica dell'inizio del M M I; la presenza nella stessa tomba di tre scarabei egiziani, il più antico non anteriore alla XII dinastia (1991-1778 a. C.); la presenza di uno scarabeo d'avorio, egiziano, della XII-XIII dinastia, in una tomba di Lebena (v.) accanto a vasi tipici del M M I a; uno scarabeo egiziano (circa 1650 a. C.) in uno strato M M II a Cnosso. In base a questi elementi l'inizio del M M I si dovrà datare dopo l'inizio della XII dinastia egiziana (1991 a. C.). Perciò l'inizio del M M I al 2.000 a. C. sembra ancora troppo alto; più esatte saranno le date del Hutchinson (1950 a. C.), del Levi (1850 a. C.), dell'Åström (1800 a. C.). Il sincronismo (v. sopra) su cui si era basato l'Evans non sembra sussistere (Kantor e altri).
Gli studiosi si accordano nel fissare l'inizio del tardo-palaziale e la costruzione dei secondi palazzi al 1570, o 1550 a. C., l'Åström scende al 1525 (= fine del MM III b); il Platon e il Marinatos datano la ricostruzione al 1700 a. C., perché la pongono alla fine del M M II b. Rimangono incerti l'inizio e la durata dell'età prepalaziale, lunghissima per alcuni (da 1300 a 8oo anni: Evans, Pendlebury, Weinberg, Marinatos), ma ridotta a 700 anni dallo Schachermeyer, a 6oo dal Matz, a 500 dal Platon, a 450 da Hutchinson e a 150 dal Levi, il quale pone l'inizio del Minoico Antico circa il 2000 a. C. Solo il controllo di futuri scavi può decidere se si debba accettare la brevissima cronologia del Levi, dedotta dallo scavo di Festo (v. questa voce, vi) o quella più lunga circa 400 anni (Alexiou), che risulterebbe dalla tomba di Lebena: una lunga durata del M A è generalmente respinta. Uguale incertezza sussiste per la durata del Neolitico, che sembra assai lungo a Cnosso e che il Levi vede brevissimo a Festo.
Le cronologie recentemente proposte risultano dalla tabella riportata qui sotto. La nuova cronologia proposta dal Palmer per la datazione della scrittura lineare B a Cnosso e per la distruzione del secondo palazzo cnossio, circa il 1200 a. C., (anche dal Blegen), ha sollevato proteste.
L'Età del Bronzo nella Grecia continentale, è detta "elladica"; quella delle Cicladi, "cicladica". Per ambedue la cronologia, a partire dal 1600-1550 e fino al 1400 circa a. C., si basa sui confronti con Creta e su numerosissimi oggetti e vasi minoici, o loro imitazioni, trovati sul continente o nelle isole. Dopo il 1400 a. C., specialmente da circa il 1300, sono di primaria importanza per la cronologia gli scavi di Cipro (Enkomi) e della costa asiatica (Tarso, Ugarit, Alalakh, ecc.). I periodi si basano sulla successione degli stili ceramici.
Tabella
Per la Grecia l'Età del Bronzo è stata divisa in Elladico Antico, Medio e Tardo. Con l'Elladico Tardo, detto anche "Miceneo", ebbe inizio la forte influenza dell'arte di Creta sul continente. L'Elladico Antico e quello Medio interessano la preistoria. L'Elladico Tardo è stato suddiviso in tre periodi, I, II e III; l'Elladico Tardo III corrisponde al Minoico Tardo III di Creta, ed è diviso in tre sottoperiodi, a, b, c. L'abbreviazione usata qui per indicare i periodi elladici è quella più usuale nelle pubblicazioni: EH; MH;LH.
Elladico Medio (M H) . . . - 1580 a. C. (per alcuni 16oo a. C.).
Elladico Tardo I, o Miceneo I (L H I) = M T I a = 1580-1500 a. C.
Elladico Tardo II a, o Miceneo II a (L H II a) = M T I b = 1500-1450 a. C.
Elladico Tardo II b, o Miceneo II b (L H II b) M T II= 1450-1425 a.C.
Elladico Tardo III a, o Miceneo III a (L H III a) MT III a = 1425-1300 a.C.
Elladico Tardo III b, o Miceneo III b (L H III b) = MT III b = 1300-1230 a.C.
Elladico Tardo III c, o Miceneo III c, (L H III c) = MT IIIc= 1230-1075 a. C.
Questa cronologia fu stabilita dal Furumark nel 1944 ed è un ampliamento di quella già fissata da Wace e Blegen. È generalmente seguita, benché non sia sempre soddisfacente, perché basata sull'evoluzione di motivi decorativi per la quale mancano basi cronologiche sicure. Rimangono incerti l'inizio del L H I, basato sulla ceramica minoica a motivi vegetali, ceramica che sembra avere continuato a Creta fino alla distruzione dei secondi palazzi; la fine del L H II (1425), perché lo "stile del Palazzo" continuò, sembra, sul continente oltre la distruzione dei secondi palazzi; il passaggio tra il L H III a e il L H III b; quello tra il L H III b e il L H III c; la data finale del Miceneo. Il Wace ha suggerito nel 1953 alcune modificazioni: L H III a = 1425-1340; L H III b = 1340-1210; L H III c = 1210-1100 a. C. Nel 1957 ha precisato che il passaggio tra L H III a e L H III b = 1350 a. C. = fine XVIII dinastia egiziana.
Benché sicuri contatti fra le Cicladi, il continente greco e Creta esistano fino dai periodi più antichi (pissidi, idoletti cicladici, ceramica, ecc.), essi possono essere usati per stabilire la cronologia della civiltà cicladica soprattutto per due isole, Milo e Thera. A Milo, nella cosiddetta seconda città di Filakopì, furono importati e imitati vasi cretesi del M M e del M T I; vasi fatti a Filakopì furono inviati in Creta (a Cnosso, Temple Repositories) e, sul continente, a Micene. Nella terza ed ultima città di Filakopì arrivarono e furono imitati tanto i vasi cretesi del M T III, che arrivarono anche a Thera, Paro, Delo ecc., quanto quelli L H III del continente. In base a questi contatti si può stabilire:
Cicladico Medio = M M = ..... - 1550 a. C.
Cicladico Tardo I = M T I = 1550-1400 a. C.
Cicladico Tardo II = M T III = L H III = 1400-1100 a. C.
Questa nomenclatura è stata estesa anche a Cipro. (Cipriota Antico, Medio, Tardo).
II. Arte minoica. - Gli scavi di Cnosso hanno influenzato eccessivamente il giudizio degli studiosi di arte minoica: ciascuna località è stata studiata in funzione e sul modello di Cnosso. A questa tendenza pancnossia hanno contribuito due fattori: Cnosso in alcune epoche fu il centro più ricco e brillante dell'isola - basterebbe a dimostrarlo quanto ha prodotto nel campo della pittura -; fu quello che ha maggiormente sentito i contatti con le altre civiltà del Mediterraneo. Inoltre, lo scavo di Cnosso fu pubblicato per primo, benché in modo non sistematico né completo, ma con ricchezza di confronti, che facevano della pubblicazione una comoda, ma non sempre esatta, enciclopedia minoica. Appunto perché Cnosso fu presa come la misura dell'arte di Creta nel III e II millennio a. C., si giunse ad assurdi storici: se in un centro, o in una intera regione, mancavano alcuni stili cnossii, fu detto che quei centri erano stati distrutti e abbandonati durante il periodo in cui quegli stili mancavano. Terminata la lacuna stilistica, gli abitanti sarebbero riapparsi in pieno rigoglio nella regione, o nella città, e avrebbero riabitato esattamente nei luoghi che avevano abbandonato. Tutta la Creta orientale e la città di Mallia sarebbero state disabitate nel Medio-Minoico II; Mallia anche a partire dalla fine del Tardo-Minoico I a; tutta l'isola nel T M II, Cnosso eccettuata. Questo concetto, che era alla base delle pubblicazioni dell'Evans, è stato abbandonato da motti studiosi, i quali ritengono che certe lacune - che non sono mai totali - significano solo che alcuni stili rimasero produzione di alcuni centri.
L'arte minoica ebbe carattere proprio e ben definito, che la rese diversa dalle altre civiltà dei Mediterraneo. È straordinario come la piccola isola abbia potuto malgrado i contatti con le altre civiltà, sviluppare e mantenere per circa un millennio una fisionomia così indipendente e originale, e così forte da influire sulle civiltà vicine. Ma, benché le varie città cretesi si inquadrino tutte nella stessa facies generale, hanno ciascuna un aspetto e uno sviluppo proprio. Si possono riconoscere a Creta quattro province artistiche, ciascuna delle quali seguì uno sviluppo proprio, influì sulle regioni vicine e ne fu influenzata: Cnosso, Festo, Mallia, la Creta orientale. Cnosso fu indubbiamente il centro più monumentale e ricco, mirò al grandioso, alla magnificenza e ricchezza dell'ornamentazione. I centri e ville vicine - Nirou Chani, Tylissos, Sklavòkampos, Amnisos - ne risentirono l'influenza. Festo, invece, dominò i centri della fertile pianura della Messarà e la costa del Mare Libico. A Festo tutto era più volutamente semplice, ma il gusto era squisito: si cercò soprattutto l'armonica severità della linea e la sobrietà decorativa. Tutto a Festo è più piccolo che a Cnosso, ma è aggraziato ed elegante, in accordo con la natura circostante. Basta vedere, del resto, con quale apprezzamento di un panorama pittoresco fu scelta la posizione delle due città più importanti, Festo e Haghìa Triada. Festo e Cnosso rappresentarono nell'arte minoica due diverse sensibilità artistiche; ambedue sono importanti nella formazione e sviluppo dell'arte minoica. La Creta orientale rimase sempre un poco appartata e provinciale; le sue cittadine - Palekastro, Gurnià, Psira, Mochlos, Zakro - non erano grandi, ma erano numerose e seppero mantenersi indipendenti in tutti i campi artistici. La più ricca e importante fu Palekastro. Mallia infine, benché influenzata tanto da Cnosso che dalla Creta orientale, ebbe anche essa una sua fisionomia. In tutte le epoche questi quattro centri si influenzarono vicendevolmente. Uno studio della cronologia, della civiltà e dell'arte minoica deve basarsi su tutti e quattro i centri, nessuno escluso, anche quando uno di questi dominò sugli altri.
Per quanto risulta finora, la Creta occidentale sarebbe rimasta quasi completamente estranea alla civiltà minoica, sviluppandosi solo in età greca. I rari trovamenti sono generalmente tardi, senza speciali caratteristiche. Questo dipenderà molto dalla scarsa esplorazione del territorio, ma anche dal fatto che la regione era selvaggia, di difficile accesso e di conseguenza meno abitata. Non si può ancora dire se i centri, che incominciano ora ad essere scavati, hanno una fisionomia propria.
Contatti con le civiltà del bacino del Mediterraneo si notano in tutti i campi dell'arte minoica, più o meno forti a seconda dei centri e delle epoche. Gli influssi e l'importazione, specialmente nel periodo prepalaziale, non si esercitarono attraverso un solo porto per diffondersi poi nel resto dell'isola, ma arrivarono indipendentemente in centri separati. Le Cicladi commerciarono con Cnosso, la Creta orientale e meridionale; in quest'ultima regione il commercio avvenne probabilmente attraverso il porto di Lebena. L'Egitto e la costa asiatica ebbero rapporti con Cnosso e con la costa meridionale dell'isola. Quest'ultima, anzi, ebbe contatti frequenti nel periodo prepalaziale. I rapporti con la Grecia sembrano essere limitati a Cnosso, tuttavia si possono notare contatti fra la ceramica della Creta orientale e quella del continente greco.
A proposito della pittura, e l'osservazione può estendersi a tutto il campo decorativo dell'arte minoica, il Pendlebury ha giustamente osservato che, contrariamente a quanto avveniva nelle altre regioni del Mediterraneo, l'arte minoica non ha mai trattato avvenimenti storici e neppure la vita giornaliera. Non esistono scene di caccia, eccetto su un pugnale bronzeo di assai dubbia autenticità, né di pesca, né di guerra, fino alla conquista greca.
A) Architettura. - Gli studiosi di architettura minoica, cioè coloro che han tentato di definirne il carattere e la posizione artistica, l'hanno giudicata in maniera assai dura. È apparsa incomprensibile e confusionaria (Rodenwaldt), illogica, primitiva (Snijder). Solo recentemente, in seguito a maggiore conoscenza dei palazzi, delle ville signorili e delle città, il giudizio è divenuto meno severo (Banti, Matz, Platon). Si è riconosciuto che gli architetti minoici avevano un filo conduttore nel costruire gli edifici, che sapevano disporre i vani, adattarli ai bisogni di chi li abitava, equilibrare le varie parti dei loro edifici. Nei secondi palazzi - meno probabilmente nei primi, dei quali del resto non abbiamo resti sufficienti per un giudizio - gli architetti mostrarono non solo capacità tecniche, ma anche un profondo senso artistico e una chiara valutazione degli effetti scenografici. Basta vedere nel piazzale occidentale di Festo l'imponente gradinata "teatrale" e il suo incontro con la scala che sale al piazzale superiore e con la scalinata del propileo per essere colpiti dalla illusione di ampiezza e profondità che l'architetto ha raggiunto e da come ha saputo ottenere effetti pittorici mediante il giuoco di ombre e luci, derivante dai denti e riseghe e dalle aperture della facciata. A Cnosso, nel cosiddetto "teatro", benché ristretto entro uno spazio limitato, l'architetto ha saputo dare l'illusione di ampiezza e di un accesso monumentale; la grande entrata S, a terrazze, se realmente era quale fu ricostruita dall'Evans, aveva una imponenza che rivela un grande artista; egualmente imponente è la grande scalinata che sale dal quartiere signorile al cortile centrale (uno dei rarissimi esempi, a Cnosso, di un moderno restauro soddisfacente). Anche le urne sono costruite secondo un piano organico. Il viadotto, su cui passava la strada - studiata dall'Evans - da Cnosso alla parte meridionale dell'isola, è un'opera di ingegneria notevole. La strada era lastricata, come lo sono altre strade minoiche. Nei pressi dei grandi palazzi e, talvolta, nelle vie principali della città (Palekastro, Haghìa Triada) le strade avevano un marciapiede centrale rialzato. Resti di impianti portuali erano a Katsabà, a Komò, a Palekastro, ad Haghìa Pelaghia, ad Amnisos, forse a Mallia.
L'architettura minoica ha caratteri comuni che le danno unità stilistica, caratteri che furono spesso sottolineati dagli studiosi. Ma da centro a centro si notano differenze di pianta, di indirizzo artistico. Ogni centro ed anche piccole città come Palekastro, vide i propri problemi e cercò di risolverli a seconda del proprio gusto e delle diverse condizioni locali. Le discussioni sull'origine dell'architettura minoica, che appassionarono gli studiosi (Noack, Dörpfeld, Mackenzie) all'inizio del secolo, se cioè fosse di origine anatolica, caria, greca, libica, fenicia, sono ora sorpassate.
a) Tecnica. - Differì a seconda della cronologia, della importanza degli edifici e anche delle località. Materiali di costruzione furono il calcare locale, il gesso alabastrino (Cnosso, Festo, Haghìa Triada, occasionalmente altrove), l'ardesia verde o grigio-azzurra (Mallia, Psira e, eccezionalmente, altre località: Haghìa Triada, Amnisos, Archanes). All'inizio dell'età prepalaziale i muri furono in mattoni crudi su un basamento di ciottoli e fango; gradualmente la costruzione fu più accurata, i sassi rozzi del basamento furono più regolari, e il basamento stesso divenne più spesso, più alto e fu rafforzato, come anche le parti in mattoni crudi, da una intelaiatura di travi verticali, trasversali e orizzontali. Nell'età dei secondi palazzi si usarono grossi blocchi, le fondamenta furono robuste e imponenti, la costruzione in mattoni crudi fu più limitata. Il confronto con i muri dell'Anatolia - il Lawrence afferma che la tecnica è uguale - mostra che i muri minoici erano meno regolari e che i mattoni crudi erano meno usati. In alcuni centri (Gurnià, Psira, Festo, Haghìa Triada) i mattoni crudi non furono usati, o furono usati di rado. Cambiò anche la costruzione delle facciate: i primi palazzi avevano un basamento di pietre e argilla, su cui poggiava la costruzione a mattoni crudi e travi; il basamento aveva uno zoccolo di lastre di calcare, o di gesso alabastrino, poste per ritto su un basso plinto sporgente. Nell'età dei secondi palazzi le facciate, e in generale i muri esterni (cortili, pozzi di luce), ebbero un basamento più alto di bei blocchi accuratamente squadrati. I muri a pietre e argilla erano coperti da uno strato più o meno spesso di calce e paglia, ricoperto a sua volta da un sottile strato di stucco fine, che copriva anche i blocchi squadrati. Non sono state trovate tegole, né vi sono prove di tetti a doppio spiovente. Resti di tetto di canne, alghe marine e argilla furon trovati a Palekastro (blocco E). Nel Minoico Tardo III le costruzioni ex novo (Haghìa Triada, Gurnià, Zakro, Palekastro, ecc.) mostrano ottima tecnica. Nella Creta orientale, anzi, la struttura isodoma fu usata quasi unicamente in questa età. Nelle frequenti ricostruzioni di edifici, in seguito a incendio o terremoto, nelle costruzioni sul pendio di una collina si usò interrare le rovine e costruire al disopra. A Festo queste rovine furono solidificate coprendole con uno spesso strato di calcestruzzo (impasto di sabbia, calce e ciottolini).
La decorazione degli ambienti era affidata alla pittura e al rivestimento con lastre di gesso o di calcare (zoccoli alle pareti, banchi, basi di colonna, soglie, stipiti). I pavimenti erano in terra battuta, in stucco bianco o rosso, in lastre di calcare, di ardesia o di gesso. Le lastre di gesso erano talvolta disposte a disegno, sottolineato dallo stucco rosso che riempiva le connessure; a Cnosso si usò spesso disporle a mosaico. Cortili, pozzi di luce, vani scoperti avevano il pavimento in calcestruzzo (calce, sabbia e ciottolini), o a lastre di calcare. Pavimenti con decorazione dipinta furono trovati a Festo e a Haghìa Triada.
Per sostegno del soffitto o dei portici si usarono pilastri e colonne. La colonna minoica aveva la base cilindrica, o troncoconica, in gesso, calcare o breccia variegata. Il fusto era di legno, liscio; a Cnosso (Piccolo Palazzo, Casa di S-E) alcune colonne avevano il fusto con scanalature verticali, concave o convesse. Il capitello, di legno, aveva echino rigonfio e abaco quadrangolare. Il rapporto fra base e colonna, che l'Evans e altri dicono "minoico", esiste solo a Cnosso. Rilievi e pitture mostrano che la colonna poteva esser rastremata in basso o in alto. La colonna rastremata in basso è caratteristica della civiltà minoica e micenea e non è stata trovata altrove. È errato che sia stata trovata a Zincirli.
b) Le città. - Nell'età prepalaziale, e tanto meno nel Neolitico, non vi furono abitati sufficientemente importanti da meritare il nome di città: erano villaggi e gruppi di poche case, la cui popolazione si occupava di agricoltura, di pesca, o commerciava con le isole vicine. Alla fine del periodo, però, nella Creta centrale e meridionale alcuni centri dominavano già quelli vicini; così Festo dominò nella Creta meridionale; Cnosso e Mallia, nella Creta centrale. All'inizio del Medio-Minoico i tre centri avevano già accentrato in sé l'attività artistica e commerciale della regione circostante. La costruzione dei palazzi principeschi suggerisce che il dominio fosse anche politico. Le città intorno ai tre palazzi, però, sono poco conosciute, sia perché l'attenzione degli scavatori fu rivolta ai palazzi e solo saltuariamente al centro abitato, sia perché l'età anteriore all'ultima ricostruzione, nelle tre città e altrove, è rappresentata soprattutto da depositi di frammenti ceramici e da scarsi resti di muri o pavimenti: le case piccole e mal costruite sono o distrutte, o irriconoscibili sotto le costruzioni più recenti. La Messarà, per esempio, fu fittamente popolata, ma i centri agricoli a cui appartennero le numerose tombe circolari (v. sotto) ci sfuggono, anche i più ricchi come Kumasa e Platanos. Solo Festo emerse e si impose nel Minoico Medio e Haghìa Triada nel Minoico Tardo. La recente scoperta di tombe e di un centro abitato a Lebena, che fu il porto di Gortina in età greca, potrà forse chiarire la causa della fortuna di Festo. Monastiraki (M M II), a N-O di Festo, fu giudicata dagli scavatori un palazzo, ma non ha affatto le caratteristiche dei palazzi minoici: sembrerebbe piuttosto un piccolo e provinciale insediamento con vani irregolarmente addossati l'uno all'altro e non raggruppabili in singoli edifici. Solo con l'età dei secondi palazzi si ebbe notevole sviluppo urbanistico nelle tre città principali. Lo constatiamo soprattutto a Cnosso e a Mallia, dove conosciamo case ricche e ben costruite, unite fra loro e con il palazzo da strade lastricate. L'estensione delle tre città sembra esser stata notevole, così notevole che per Cnosso è stato supposto che le case fossero riunite in gruppi, isolati e separati fra loro, ipotesi, del resto, che è stata fatta anche per Micene.
La Creta occidentale è troppo poco conosciuta per poter parlare di centri abitati (un gruppo di sei case del Minoico Antico fu trovato a Hellenes Amarìou). Nella Creta orientale lo sviluppo urbanistico seguì una via indipendente dal resto dell'isola. Si ebbero molti piccoli centri, ma nessuno sembra avere imposto una supremazia artistica o politica. Erano varie piccole cittadine provinciali di agricoltori, o di naviganti, che sfruttarono i porti naturali della regione, raggiungendo una discreta fioritura artistica, ma non la supremazia e ricchezza di Cnosso e Festo. È soprattutto nella Creta orientale che arriviamo ad afferrare la fisionomia di una città minoica. A Vasilikì, sull'istmo di Hierapetra, fu scavato un gruppo di case - le più antiche sono del Minoico Antico - ma ci sfugge la pianta del centro abitato. Conosciamo meglio i centri dell'età dei secondi palazzi, i quali però risalgono all'età prepalaziale. L'isola di Mochlos, abitata dal Minoico Antico alla fine del Minoico Tardo III, era unita allora alla terraferma. Fu ricca, a giudicare dalle tombe, ma la città, insufficentemente scavata, fu distrutta da un violento incendio alla fine dei M T II e dal tardo centro romano. Due case di un abitato della fine del Minoico Medio furono scavate ad Achiadia. Gurnià, su una bassa collina del Golfo di Mirabello, è una cittadina pittoresca, ma non molto ricca. Le case, piccole, erano aggruppate in blocchi e allineate lungo le strade, larghe in media m 1,6o, pavimentate con sassi lisci e piatti, disposti a gradino quando il pendio era più ripido. La strada principale saliva fino a un palazzetto signorile. Simile, ma a pianta meno ricca, pittoresca e regolare, era la città sull'arido isolotto di Psira, costruita sul ripido pendio della collina, con lunghe scale che scendevano fino al porto. Fu abitata dal M A II al M T II. A Zakro, all'estremità orientale di Creta, le case sono interessanti ma, apparentemente, isolate o quasi, fra loro. Palekastro, costruita in pianura, fu la città più importante di questa zona: la pianta dell'abitato è chiara, con vie lastricate (larghezza m 1,40-2,50) che si incrociano. Nella Creta meridionale il piccolo centro di Haghìa Triada, presso Festo, fiorì a cominciare dal Minoico Tardo I. Dopo la distruzione dei secondi palazzi, questi non furono ricostruiti, ma l'isola rimase fittamente abitata e alcuni centri furono ancora fiorenti. Nei centri maggiori alcune case rimasero intatte e continuarono ad essere abitate nel Minoico Tardo III a, altre furono riadattate in parte (Palekastro, casa Δ; Mallia, casa E; Cnosso, Piccolo Palazzo). In alcuni casi la città sembra essersi spostata: a Festo gli abitanti si insediarono nelle rovine del palazzo e sulla seconda acropoli, dove è ora la casa italiana; a Mochlos, la città si spostò verso Turloti, dove fu trovata la necropoli del Minoico Tardo III; lo stesso è stato supposto per Mallia. A Haghìa Triada si costruirono due edifici sopra la villa distrutta ma il villaggio si spostò più a N. Gurnià fu scarsamente abitata. Psira sembra esser stata abbandonata. Altrove nuovi edifici furono costruiti (Tylissos, Gurnià, Platì, Zakro, Kuramenos, ecc.). Centri sorti nel Minoico Tardo III sono Platì nei Lasithi; Kefala presso Chondros, distrutto da un incendio fra il 1300 e il 1250; Kuramenos, nella Creta orientale.
Le città minoiche non ebbero le fortificazioni caratteristiche e imponenti delle Cicladi e della Grecia, tuttavia i nuovi scavi hanno mostrato che ve ne erano. A Mallia, vicino al porto, un grosso muro si può interpretare come una fortificazione. Non è fortificazione, invece, il grosso muro a denti a cui si appoggiavano le case del villaggio di Haghìa Triada. A Kuramenos (M T III) la cima spianata della collina era circondata da un muro che partiva dalla riva del mare e vi ritornava. È stato supposto da alcuni, e negato da altri, che i grandi palazzi avessero nella fase più antica fortificazioni (muro di cinta e Early Keep di Cnosso; bastioni della fase più antica del primo palazzo di Festo; bastioni della facciata occidentale di Mallia).
Le città, spesso anche le ville di campagna, fabbricavano localmente gli oggetti necessari: basterebbero a provarlo, per i bronzi, le numerose matrici trovate negli scavi. Le officine erano spesso nel palazzo principesco. Si sono trovate officine: una bottega di scultore, quella di un intagliatore di avorio, l'Officina del Lapidario a Cnosso; un forno per fusione a Festo; officine per la lavorazione dei vasi in pietra, di oggetti in bronzo, di pietre incise a Mallia; forni per la cottura delle ceramiche a Platyskinos presso Achiadia, Vathypetron, Zù di Sitìa, Cnosso. Vi erano botteghe per la vendita: una bottega di vasi di terracotta nella casa 104 di Festo; una bottega di asce e altri oggetti in bronzo a Mallia nella casa Z γ; una bottega forse a Palekastro nel blocco γ, vano 37. Un torchio per l'uva e un frantoio per le olive erano a Vathypetron, un altro frantoio era a Palekastro.
c) Palazzi. - "Palazzi" sono generalmente detti i palazzi principeschi dei tre centri maggiori, Cnosso, Festo e Mallia. Per estensione furono detti palazzi anche ville e edifici signorili meno estesi, ma notevoli per accurata costruzione, pianta dei vani, bellezza di suppellettile (Gurnià, Haghìa Triada, Sklavokampos, Tylissos, Amnisos, Nirou Chani, Vathypetron, Palekastro). I tre grandi palazzi (v. cnosso; festo; mallia) hanno, quando si considerino le grandi linee, storia e cronologia simili. Costruiti nel Minoico Medio I, quando i tre centri emersero al disopra degli altri insediamenti minoici, ebbero nel corso dei secoli numerosi rifacimenti e ricostruzioni, in conseguenza di distruzioni, incendi, desiderio di abbellire. Si possono tuttavia riconoscere, in tutti e tre, due grandi periodi architettonici, che formano la base della cronologia minoica (v. sopra), il primo e il secondo palazzo. Ai due periodi corrispondono reali differenze di tecnica, di pianta dei vani, di decorazione.
Per dimensioni e ricchezza i palazzi cretesi gareggiano con quelli dell'Egitto, dell'Asia Anteriore, della Mesopotamia. È stato affermato che derivano dall'architettura orientale, ma quando si confrontino risulta evidente che accanto ad alcune somiglianze, eccessivamente sottolineate dagli studiosi, - per esempio l'uso di travi di legno per consolidare le mura e di ortostati, la presenza di cortili, di pitture parietali somiglianze che possono esser dovute al clima, alla necessità di dar luce ai vani interni, al materiale usato, vi sono differenze profonde e sostanziali nella pianta, l'indirizzo artistico, la concezione generale.
La fase detta dei "primi" palazzi (M M I a - M M III b) è chiara solo nei vani dell'ala occidentale di Festo, nelle sue tre (non due, come hanno detto alcuni) fasi successive, separate da strati di calcestruzzo. Altrove, abbiamo singoli pavimenti, resti di muri, depositi ceramici, ma l'edificio non è ricostruibile. A Cnosso e Mallia, i recenti saggi sembrano indicare che è rimasto assai meno del primo palazzo di quanto si pensava. L'ipotesi dell'Evans, Pendlebury e altri che, nella primitiva fase, il palazzo di Cnosso si componesse di edifici separati da passaggi (insulae) intorno al cortile centrale, non sembra più sostenibile. Caratteri comuni ai tre palazzi sono l'orientazione N-S; il cortile centrale lastricato; la facciata principale O interrotta da denti profondi e con ortostati; il piazzale occidentale, con cisterne circolari, o rettangolari (interpretate a Cnosso come fosse di scarico); i magazzini; l'entrata principale a portico con colonna fra due ante e corridoio laterale in fondo al portico (Cnosso, West Porch e corridoio della "processione"; Festo, propileo II e corridoio III). Sfortunatamente, né le sale né i quartieri signorili ci sono giunti, ma il palazzo di Festo ha conservato un vano di culto della terza fase protopalaziale. I palazzi cretesi furono costruiti su terrazze a livelli diversi, ricercati volontariamente e ottenuti con tagli della collina o rialzando i pavimenti. Questa ricerca di dislivelli, altrettanto caratteristica quanto i denti delle facciate, separa i palazzi di Creta da quelli orientali. È evidente fino dalla più antica fase dei primi palazzi, ma diventò cosciente elemento d'arte solo nei secondi palazzi. Gli architetti hanno così spezzato le linee ed i volumi, contribuendo a dare varietà e movimento, togliendo alla massa ogni eccessiva pesantezza.
I secondi palazzi furono costruiti nel periodo più brillante dell'architettura minoica: sono opera di architetti eredi di una lunga esperienza nel campo tecnico e artistico. L'architettura del palazzo di questo periodo si studia a Mallia e a Festo meglio che a Cnosso. Quest'ultimo non fu costruito ex novo, ma ebbe successive modificazioni, aggiunte, adattamenti, che oscurano la pianta primitiva. La Sala del Trono, per esempio, è circondata da ambienti miseri; sono molte le stanze buie. Si capisce come sia sorta l'ipotesi che il palazzo di Cnosso sia il mitico labirinto di Minosse. A Festo, e in altri palazzi e ville, le stanze di parata sono isolate. Ambienti caratteristici di questo periodo sono: il propileo, cioè l'entrata monumentale al piano superiore, che - a differenza dal continente - è unito alla scalinata; la cosiddetta sala "minoica", documentata solo in questo periodo ma così diffusa, variata ed armonica, nei palazzi, ville e case, da far supporre una lunga esperienza anteriore; i cosiddetti "bagni" o "bacini lustrali" (ve ne era forse già uno, di pianta atipica, nell'ultima fase del primo palazzo festio); il corridoio a "zampa di cane". La sala "minoica", detta da alcuni mègaron, è un vano quadrangolare con una o più pareti contigue sostituite da porte, che comunicano con un portico, illuminato da un pozzo di luce, o piccolo cortile. Talvolta vi erano due portici disposti a squadra; in un caso i portici erano opposti (Festo, vano 5o); eccezionalmente le porte davano accesso a un peristilio (Festo, vano 93 e peristilio 74; Cnosso, Piccolo Palazzo).
Sale caratteristiche, ma non tipicamente minoiche, sono quelle con banchi intorno alle pareti. Sono frequentissime nella Creta meridionale (Festo, Haghìa Triada); a Cnosso è di questo tipo la Sala del Trono; altrove sono rare. Solo a Cnosso esiste la Sala del Trono; ma sedili simili al trono cnossio furono trovati a Katsabà e a Poros. I "bagni" sono vani singolari a pianta quadrata ai quali si scende per due brevi rampe a squadra, fiancheggiate da parapetto con colonne. L'uso è discusso. A Festo erano vicino e in rapporto alle sale signorili e al quartiere della servitù, e anche a Mallia, e nelle ville e case di tutta l'isola il "bagno", se vi era, era prossimo alla sala signorile.
I palazzi e le ville, spesso anche le case, avevano almeno un piano superiore: ne è un esempio il "Quartiere Domestico" a Cnosso; scarsi resti se ne hanno a Festo e nessuno a Mallia, ma devono essere presupposti in base alle scale trovate. Le ricostruzioni del piano superiore, eseguite a Cnosso e proposte per altri centri, rimangono nel campo della fantasia.
d) Case e ville. - Nel Neolitico e Subneolitico gli abitanti vissero in capanne, rifugi sottoroccia e grotte naturali (Grotta di Ilizia presso Amnisos, Miamù, Potistiria, Haghìa Photià, Trapeza, Kastellos Tzermiadon, ecc.). Case neolitiche sono state trovate, per ora, solo a Cnosso e dintorni e, recentemente, a Festo. A Cnosso si conoscevano già da tempo due case subneolitiche (v. cnosso). I nuovi scavi hanno fatto conoscere una casa del Neolitico antico (1959) e due sovrapposte del Neolitico medio (1958). Avevano un solo vano rettangolare; nella parte inferiore il muro era rivestito di calce e rinforzato all'interno da contrafforti. Una casa del Neolitico medio a Katsabà (v. cnosso) era composta di due vani entro una corte recinta da muro. La casa tardo-neolitica di Magasà, a due vani, è per ora l'unica costruzione neolitica della Creta orientale. Ha la caratteristica pianta, detta but and ben, che si ritrova negli ossuarî (Mochlos; Palekastro). Case di età prepalaziale furono trovate nella Creta orientale. Ma è così forte la differenza fra le semplici tombe a casa di quella regione e l'abitazione complessa e vasta di Vasilikì, attribuita alla stessa età, che, data la mancanza di porte, o soglie, dobbiamo chiederci se, invece di una casa, quasi un palazzo, a numerosi vani, non si tratti piuttosto di numerose casette. Altrove (Mochlos, Palekastro, Gurnià) le case erano piccole, con muri scadenti, poi distrutte da abitazioni più recenti.
Le abitazioni dell'epoca dei primi palazzi sono spesso troppo distrutte per giudicarne l'architettura. Unica per la pianta è la casa di Chamezi, a perimetro ovale. Si era creduto di riconoscervi l'influsso delle capanne neolitiche ovali o circolari. Il Mackenzie ha dimostrato che la pianta fu imposta dalla configurazione del terreno: i vani irregolarmente quadrangolari furono adattati al perimetro ovale. Al centro della casa era un pozzo di luce rettangolare, con la cisterna. Malgrado l'irregolarità dei vani, abbiamo qui, per la prima volta, una casa a pianta organica, razionalmente disposta intorno al cortile centrale, quale troviamo nei primi palazzi. Le case dei grandi centri contemporanei e di altre località (Vasilikì, Mochlos, Palekastro, Psira, Monastiraki, Haghìa Triada, ecc.) hanno, per quanto si può riconoscere, ancora perimetro e vani irregolari, senza alcun tentativo di costruire una pianta razionale. Un vano della casa di Chamezi aveva il focolare mobile, ma il focolare fisso appare ancora in due case medio-minoiche di Mallia e nella fase più antica del primo palazzo di Festo. Le case erano a più piani, come provano i resti di scale e il cosiddetto Mosaico della Città di Cnosso, un gruppo di lastrine di faïence che rappresentano case a più piani.
Di una architettura privata, cioè di edifici a pianta organica, si può parlare solo per il periodo dei "secondi palazzi". Alla distruzione dei primi palazzi andò unita quella di molte case, tutte meno solidamente costruite di quelli. Si ebbe allora un forte sviluppo urbanistico e numerose nuove costruzioni di case e di ville, spesso costruite sul pendio della collina, con facciata e ingresso sulla strada. Una scala scendeva al sottosuolo (che generalmente non aveva porta esterna). Molte volte, però, il sottosuolo non aveva scala e vi si scendeva da un'apertura nel pavimento. Se vi era un piano superiore, come in alcune belle case di Palekastro, un'altra scala saliva dal vestibolo al secondo piano. Di questo tipo sembra essere la casa riprodotta su una lastrina di avorio trovata a Cnosso, casa che ha la porta più alta della linea del terreno. Troviamo in questo periodo, accanto a case piccole, irregolari e a pochi vani (casa dei Blocchi Caduti, del Bue Sacrificato, a Cnosso; case di Festo; alcune case di Haghìa Triada; molte case di Gurnià, ecc.) anche grandi case e numerose ville (Cnosso, Tylissos, Haghìa Triada, Gurnià, Sklavokampos, Vathypetron, Korakiès, Nirou Chani, Amnisos, ecc.), costruite alla fine del Minoico Medio III e il Tardo-Minoico I.
Alcune ville ripetono in dimensioni minori l'architettura e le caratteristiche dei grandi palazzi: hanno la facciata esterna a blocchi squadrati e i caratteristici denti minoici, il perimetro movimentato (fanno eccezione la villa B di Tylissos, e la Casa delle Sfere fittili ad Haghìa Triada, con perimetro rettangolare che ricorda le costruzioni del Tardo-Minoico III), la sala minoica col portico e il pozzo di luce ed i cosiddetti "bagni" (mancano a Haghìa Triada), benché siano spesso di pianta atipica. Il palazzetto di Gurnià, orientato N-S, con cortile centrale e una rudimentale scalinata teatrale (scalinata simile hanno anche Haghìa Triada e Nirou Chani), ricorda la pianta dei palazzi. Il Piccolo Palazzo di Cnosso e la villa di Haghìa Triada per il numero, la bellezza delle sale, la elegante decorazione competono con i palazzi. Lo stesso si dica della villa del Minoico Medio III di Amnisos, a due piani, con bellissime pitture. A Vathypetron uno dei vani terreni, con tre focolari di argilla, è stato detto una cucina, ma l'interpretazione è dubbia, come per tutte le supposte cucine minoiche (casa β 5 di Palekastro, vano 9 di Haghìa Triada, casa di Riza presso Achladia, casa B di Prasa presso Heraklion, ecc.). Forse l'unica sicura cucina minoica che conosciamo è quella di una casa di Makritichos (Cnosso); ma in generale i Minoici cucinavano all'aperto, come ha mostrato l'abitato del Minoico Tardo III di Kephala. Nella casa Z β di Mallia, nel vano XVII, era un focolare fisso (m 1,00 × 0,71) fatto con quattro grandi mattoni crudi: è per ora il solo esempio a Creta di un focolare fisso in una casa dell'età dei secondi palazzi.
Pianta caratteristica hanno le grandi case della Creta orientale, meno elaborate e raffinate di quelle della Creta centrale e meridionale, ma interessanti per la tipologia e la pianta. La facciata, a denti, segue il tracciato della strada. Un semplice vano rettangolare serviva da entrata ed aveva uno stretto recesso a sinistra della porta con un banco di pietra o di legno (Zakro, casa G; Palekastro vani Γ 1, B 8, B 27, Δ 47-48, Ξ 1). Un dato nuovo presentano quattro case (vani Δ 19, Δ 23, B 6, forse Δ 40) di Palekastro: uno dei vani principali aveva al centro un'area quadrata lastricata, un poco più bassa del pavimento circostante; ai quattro angoli erano quattro basi di colonne. Questi vani furono creduti dapprima un portico con impluvium, ma subito dopo furono interpretati come un esempio di mègaron di tipo continentale, con focolare al centro. Non essendo state trovate tracce di fuoco nel quadrato centrale, siamo tornati all'ipotesi dell'impluvium; del resto Δ 23 ha anche una fogna per l'uscita dell'acqua. Un vano a pianta simile era nella casa E di Mallia e a Sklavokampos. Malgrado le quattro colonne, non ha impluvium la sala 50 di Festo, e le sale 4 e 12 di Haghìa Triada.
Le costruzioni ex novo del Tardo-Minoico III non hanno tracce di decadenza (Haghìa Triada: mègaron A-D, santuario H, agorà; casa J a Zakro; casa Δ a Palekastro, case Eh, He, santuario a Gurnià). L'abitato Tardo-Minoico III di Kephala è interessante, ma non è ancora pubblicato. Unica nell'architettura di questo periodo è la cosiddetta agorà di Haghìa Triada, che è forse l'unico sicuro edificio pubblico minoico. Sono rarissimi gli edifici con il mègaron continentale: edificio A-D di Haghla Triada, la casa He di Gurnià, una casa di Tylissos, dove è stato riconosciuto recentemente dal Platon.
e) Le tombe. - L'inumazione è costante; l'unica tomba a incinerazione, a Azzolu, presso Tylissos, è della fine del Minoico Tardo III. Si deve escludere che le tracce di rogo, osservate in alcune tombe della Creta meridionale (Kumasa, Portì, Platanos, Lebena, Kalyvia), a Palekastro e a Magasà, indichino l'incinerazione. Nell'età più arcaica il cadavere era in posizione rannicchiata; è poi generalmente in posizione stesa, ma ancora nel M T II una tomba di Katsabà aveva il cadavere rannicchiato. Le tombe furono spesso tombe di famiglia e, anche, di una comunità; alcune sono ossuarî con deposizione secondaria (Mallia, Creta orientale). La tipologia delle tombe variò secondo l'epoca e la località; ma in uno stesso luogo furono usati vari tipi di tomba. Nei tre grandi centri conosciamo solo le tombe di alcuni periodi.
Le sepolture più antiche furono in grotte o in ripari sotto roccia (Zakros, Pyrgos, Kumaro, Gurnià, Trapeza, Galanà Charakia, Skafidia, ecc.). In alcuni casi (Haghìa Photià, Trapeza, Miamù) le grotte usate nel Neolitico per abitazione vennero poi adibite a sepoltura. Seppellimenti in grotta continuarono nel Minoico Medio (Meskinì nei Lasithi, Sitìa) e fino al M T III (Berati Piskokefalio, Plaka). Già in età prepalaziale si trovano tombe di vari tipi: a cista (Sfungaras, Mochlos); ossuarî a forma di vano, costruito con pietre o lastre; ossuarî in fessure della roccia (i charniers di Mallia, Mochlos, Partira); ossuarî a casa di più vani, tipici della Creta orientale (Mochlos, Gurnes, Gurnià, Palekastro). L'ossuario più bello e complesso è quello di Chrysolakkos, a Mallia, che appartiene all'età dei primi palazzi.
Nella Creta meridionale dall'inizio del M A al M M II si ebbero le tombe a pianta circolare, le thòloi, che furono tombe collettive, usate da un intero villaggio (Haghìa Irini, Drakones, Voros, Siva, Apesokari, Haghìa Triada, Kalathianà, Kumasa, Christòs, Portì, Kutsokera, Salame, Platanos, Marathokephalo, Lebena, Kamilari, forse Haghios Onouphrios). Alcune furono riusate nel M T III (Drakones, Haghìa Irini, Kamilari). Fuori della Creta meridionale conosciamo poche thòloi simili a Krasì, a Cnosso, a Galanà Charakia (Sitia), questa con seppellimenti anche in pìthoi e làrnakes. Erano limitate da uno spesso muro circolare, la copertura era a falsa cupola come hanno mostrato le tombe di Lebena e di Kamilari. Alcune thòloi (Platanos, Portì, Haghìa Triada, Apesokari, Lebena, Kamilari) avevano all'esterno camerette quadrangolari con numerose deposizioni e offerte e, in alcuni casi, servirono forse al culto per i morti. Nel Minoico Medio la Creta meridionale ebbe tombe a pìthos e ossuarî a uno o più vani (Haghìa Triada, Portì, Drakones, Platanos); nel Minoico Tardo III, ebbe le usuali tombe a camera scavate nella roccia.
Sono del Minoico Medio le prime rudimentali tombe a camera scavate nella roccia tenera: le più antiche e semplici sono, forse, quelle del cimitero di Mavrospelio, a Cnosso, nelle quali si è voluto vedere l'origine delle tombe a camera complesse del Minoico Tardo, diffuse in quasi tutta l'isola. Le deposizioni in pìthoi (grandi orci in terracotta) rovesciati e in làrnakes (casse in terracotta con coperchio piano o a schiena d'asino), usate nella Creta orientale fino dal periodo prepalaziale, divennero frequenti in tutta l'isola, ma nella Creta orientale furono il tipo di sepoltura preferita; quelle in pìthoi cessarono, o quasi, all'inizio del Minoico Tardo III, restando solo per tombe di bambini; le altre continuarono fino al termine dell'età minoica. La tomba a camera penetrò nella Creta orientale quando stava per terminare la civiltà minoica (Myrsini, Pachyamnos). A Palekastro, per esempio, fu trovata una sola tomba a camera scavata nella roccia (è incerto se T M I, o III).
All'epoca del secondo palazzo, Cnosso si separò nettamente dal resto dell'isola per la monumentalità e varietà delle tombe. È un unicum la Tomba del Tempio, costruita nel Minoico Medio III b e usata ancora nel Minoico Tardo II: è una tomba a camera con numerosi vani (ingresso, portico, cortile, sala, cripta). La camera sepolcrale, quadrata, era scavata nella roccia, rivestita di lastre di gesso, con pilastro al centro e soffitto dipinto in azzurro; sopra alla cripta era un vano a due colonne. Alla fine del Medio-Minoico appartiene la tomba a falsa vòlta di Isopata. Quella a falsa cupola di Kephala datata anch'essa al M M III, è forse più recente. La tomba più usuale a Cnosso è forse quella a camera, scavata nella roccia tenera, spesso a pianta molto complessa: fra le più interessanti è la tomba delle Doppie Asce.
Vi sono anche tombe a fossa, con in basso un gradino rientrante che forma una seconda fossa per il cadavere, più piccola, chiusa da lastre; tombe a pozzo con in basso una nicchia laterale e sporgenze lungo la parete per facilitare la discesa. Queste tombe avevano spesso corredi funebri ricchissimi. La tomba a camera e quella a fossa continuarono a Cnosso anche nel M T III.
Dopo il 1400 a. C. si diffuse, accanto alla tomba scavata, la tomba a costruzione, a pianta quadrata con falsa cupola, o falsa vòlta (Presos, Mulianà, i Lasithi, Platyskinos, Damania). La tomba a falsa cupola di Haghios Theodoros segna la fine dell'età minoica.
f) Vani di culto. - Il culto ebbe luogo in grotte, in luoghi all'aperto, recinti o no da muri, o in vani. Non risulta differenza cronologica per l'inizio dei tre tipi: non conosciamo culti prima degli inizî dell'età protopalaziale; un culto neolitico a Festo è molto dubbio. Alcune grotte furono occupate in età prepalaziale, ma il culto cominciò solo nel Minoico Medio I (grotta di Ilizia ad Amnisos, grotte di Arkalochori, Kamàres, forse Trapeza nei Lasithi, Skotinò); in altre grotte (Psychrò, Patsos, Spiliaridia, Faneromeni) il culto ebbe inizio in età più recente. Trapeza servì successivamente per abitazione, sepoltura e culto. Nella grotta presso Amnisos il culto continuò in età classica.
I culti all'aperto (Monte Iuktas, Haghìa Triada, Zakro, Petsofà, Piskokefalon, Christòs, Askoi Pediados, Kapetanianà, Itia, Festo, ecc.), spesso sulla cima di un monte, furono numerosi. I più antichi cominciarono nel M M I. Gli scarsi e tardi resti di costruzioni trovati in rapporto ad alcuni (Petsofà, Iuktas, Kapetanianà, forse Christòs) sono insignificanti; solo Haghìa Triada può vantare intorno al culto del Piazzale dei Sacelli, iniziato nel Minoico Tardo III a, un mègaron, una loggia, un portico, un santuario.
La civiltà minoica non ebbe templi né luoghi di culto monumentali, ma in palazzi, ville e case sono venuti alla luce dei vani che furono supposti adibiti al culto (Vathypetron, Prasa, Trullos, Psira,Nirou Chani, Tylissos, Haghìa Triada, Chamezi, Palekastro casa Δ 4, case di Mallia, ecc.). Gli studiosi vogliono riconoscere vani di culto di tre tipi: con pilastro in calcare; con banchine intorno alle pareti; con cosiddetti vasi "cultuali", o figurine maschili o femminili. Ma nella maggior parte dei casi questi vani non si distinguono affatto dai comuni vani di abitazione o dai magazzini, perciò bisogna esser prudenti nell'accettarli come luogo di culto. I pilastri, per esempio, hanno spesso unicamente funzione di sostegno; raramente sono accompagnati da convincenti prove di culto come ha, per esempio, il vano con pilastro della casa B di Gypsades (Cnosso). I banchi alle pareti sono, nella Creta meridionale, un usuale motivo decorativo e non hanno speciali rapporti con il culto. A questo proposito è interessante notare che la villa di Kannià, presso Gortina (v. vol. iii, p. 988, fig. 1265), certamente sede di culto, aveva pilastri solo nei magazzini di derrate (iv; xi; xiv); un solo vano (v), fra quelli riservati al culto, aveva le banchine. Fra i sicuri luoghi di culto si può ricordare a Marna un vano dell'edificio-ossuario di Chrysolakkos; l'edificio rettangolare scavato nel 1956, in cui i gradini di accesso sono fiancheggiati da un muretto a corna, edificio singolare per la pianta; forse, nel palazzo, l'edificio XXIII nel cortile N. Festo ebbe due vani di culto: il vano VIII dell'ultima fase del primo palazzo, con tre minuscoli vani accessori esterni (la tripartizione assenta da alcuni è immaginaria) e fossa sacrificale; forse i vani 8-10 del secondo palazzo, che si distinguono da altri vani solo perché non comunicano con il palazzo, ma solo col piazzale. In una casa del Minoico Tardo III di Katsabà, un vano triangolare era addetto al culto: una lastra di pietra, sorretta da tre pietre che fungevano da gambe, era forse l'altare. A Cnosso si sono voluti riconoscere molti vani di culto. Quello medio-minoico, tripartito, con parte centrale più alta, fu immaginato dall'Evans nel cortile centrale in base ad alcuni frammenti di affresco miniaturistico (affresco del tempio) e alla stipe trovata in vani vicini (Temple Repositories). È una ricostruzione ipotetica. I frammenti dipinti, sui quali si basa, non combaciano, né combaciavano quando fu fatto il restauro; potrebbero essere disposti differentemente. Sicuro è, invece, il santuario delle Doppie Asce (M T III) il quale appartiene ad un piccolo gruppo di vani-santuario con caratteri comuni: quello di Gurnià potrebbe essere del Minoico Tardo I, gli altri sono del Minoico Tardo III (Haghìa Triada; sacello delle Doppie Asce e sacello dei Feticci a Cnosso). La stessa tipologia continuò nel Protogeometrico (Kavusi) e nel Geometrico (Karphi). Sono piccoli edifici a uno o due vani, quadrangolari, spesso isolati completamente, con banco alla parete di fondo (Cnosso, Haghìa Triada, Kavusi), o a squadra (Gurnià) per sorreggere gli oggetti del culto. Questi vani a banco passarono in Grecia (Asine in Argolide; Vrulià a Rodi; Haghìa Irini a Cipro): in Creta continuarono in età arcaica e fino all'età ellenistica.
Gli scavi degli ultimi anni hanno rivelato un nuovo tipo di santuario, la casa-santuario, cioè una casa che, probabilmente, non era abitata dall'uomo, ma era interamente destinata al culto: la casa di Russès presso Chondros e quella a numerosi vani di Kannià presso Gortina (v. vol. iii, p. 988, fig. 1265). Ambedue sono dell'età dei secondi palazzi ed hanno, accanto ai vani per il culto, numerosi magazzini per olio e cereali.
Una terracotta del Minoico Tardo III (Cnosso, sorgente del Caravanserai), a forma di capanna circolare, con apertura quadrangolare per la porta, aveva all'interno una divinità femminile a braccia alzate (tre vasi simili, ma senza la figura, furono trovati a Festo; cinque a Karphi): potrebbe interpretarsi come la riproduzione di un sacello circolare, ma edifici o vani di culto circolari non sono stati trovati a Creta. Pianta circolare ebbero le tombe a thòlos e le cisterne; la costruzione circolare di Arkanes è probabilmente una cisterna; gli ipogei di Cnosso (M A III, o M M I) sono problematici. Un vaso circolare simile, con porta conservata, ma di età geometrica, ha sul tetto un foro, attraverso il quale due figurine osservano all'interno la dea a braccia alzate.
B) Pittura. La tecnica usata fu, secondo lo Heaton, quella dell'affresco, con occasionale aiuto della tempera, se necessario. Nuove ricerche sembrano indicare che i Minoici usarono solo la tempera. Nel Minoico Medio si trova anche la pittura a "incavo", in cui il disegno, scavato nello stucco, era riempito con paste di colore diverso (Festo, Amnisos). Il rilievo in stucco duro, modellato e poi dipinto, appartiene piuttosto alla plastica, ma quello del "Principe-Sacerdote" può esser studiato solo insieme alla pittura. L'uomo è sempre dipinto in rosso e la donna in bianco. Il corpo umano è rappresentato secondo la convenzione usuale in Egitto e nell'Asia Anteriore, cioè completamente in profilo, oppure con testa in profilo, busto frontale, gambe in profilo. La testa umana è frontale solo nell'"Affresco del gioiello" (testina femminile della collana) e in una figura maschile dell'"Affresco dello Sgabello", ritrovata nel recente restauro (una seconda testa dello stesso affresco, restaurata in veduta frontale, lascia dei dubbi sulla esattezza del restauro). Del primo affresco rimane troppo poco per giudicare l'età; il secondo appartiene al M T II. I colori usati erano di origine minerale (bianco, nero, rosso, azzurro, più raramente il verde).
L'arte minoica ha toccato forse il massimo splendore nella pittura parietale. Sfortunatamente questa ci è giunta spesso in frammenti insignificanti: lo stucco su cui i Minoici dipingevano, friabilissimo perché è quasi calce pura, spesso caduto dai piani superiori (Amnisos, Cnosso, Palekastro), è stato trovato in frantumi. Nel restauro, in base a frammenti insignificanti furono ricostruite grandi pitture. Lo stile originario è irriconoscibile: domina solo quello del restauratore. Certi affreschi duri e monotoni (Caravanserai) erano tali in origine, o furono resi così dal restauratore ? Rimane anche il dubbio se, unendo frammenti che non attaccano, il restauratore abbia frainteso il soggetto e alterato la composizione. A un errore di questo genere si deve l'aver trasformato in un giovanetto la scimmia azzurra del famoso Raccoglitore di zafferano. Alcuni restauri, come La Dama in portantina, la Fontana, l'Affresco dello Sgabello, il fregio con argonauti, ecc., sono basati su elementi insufficienti. Salvo poche pitture, lo studioso giudica i motivi, non lo stile né la composizione. Si aggiunge la difficoltà della datazione, perché una pittura può esser stata fatta in qualsiasi periodo compreso fra la costruzione del vano e la sua distruzione.
Non tutti i centri minoici ci hanno restituito pitture. La grandissima maggioranza fu trovata a Cnosso. Vengono poi, per importanza, Haghìa Triada e Amnisos. Scarsi frammenti vengono da Nirou Chani, Psira, Tylissos e Mallia. A Palekastro, nella casa E, si trovarono un frammento di stucco a rilievo e un piccolo frammento dipinto con tre crochi su fondo giallo. A Festo le pareti avevano solo motivi decorativi; anche i rari frammenti con foglie sembrano essersi limitati a riprodurre la decorazione dei vasi del Minoico Tardo. Solo alcuni frammenti di stucco a rilievo con rami dipinti del quartiere signorile N potrebbero appartenere a una scena figurata.
Non ci sono giunte pitture a soggetto figurato anteriori al Minoico Medio III, ma dei frammenti con motivi ornamentali, nei primi palazzi di Cnosso e di Festo, mostrano che le pareti non erano solo a tinta unita; a Festo e ad Haghìa Triada furono decorati anche pavimenti del M M I; più recenti, dell' ultima fase del primo palazzo, sono dei frammenti con rombi, un motivo che fu usato anche nel Minoico Tardo. La pittura a soggetto ornamentale continuò fino al termine della civiltà minoica (marmi variegati, spirali, rosette, ecc.), isolata, o per bordi intorno, o sotto, la pittura figurata. Vi appartiene il conosciuto, ma brutto, affresco degli Scudi. La più antica pittura a soggetto figurato era, per l'Evans, il Raccoglitore di zafferani, da Cnosso (M M II); su dati stilistici, è stata abbassata al Minoico Medio III (Snijder, Platon). La figura azzurra, mancante della testa, spalle, un braccio e una gamba, restaurata come un giovane che salta da roccia a roccia fra crochi e vasi da fiori, fu identificata dal Pernier come una scimmia. Anche se si accetti la datazione più recente, il Raccoglitore di zafferani rimane sempre una delle più antiche pitture. Anteriore potrebbe essere la decorazione di una sala della villa di Amnisos, perché ancora dipinta a "incavo" e perché conserva alcuni motivi ornamentali, quali la decorazione a nastro della parete. Queste pitture mostrano già una esperienza tecnica notevole, in base alla quale si dovrà pensare che pitture a motivi figurati fossero già nei primi palazzi. Scimmie azzurre sono anche nelle pitture della Casa degli Affreschi, una casa di Cnosso dove erano, ammucchiati l'uno sull'altro, numerosi frammenti di affreschi a soggetto naturalistico: paesaggi con rocce, erbe, piante di papiro, crochi, iris, gigli, edera, scimmie ed uccelli.
Il periodo più antico della pittura minoica si è ispirato alla natura, separandosi in questo dalla contemporanea produzione degli altri paesi del Mediterraneo, che hanno veduto la natura solo in funzione dell'uomo ed a lui sottoposta. Qui, invece, l'opera d'arte è sentita come opera completa anche senza la figura umana. Questa valorizzazione della natura, che l'arte minoica introdusse per prima nel bacino del Mediterraneo, che sarà imitata in Egitto all'epoca di Tell el-῾Amarnah e a Milo produrrà il bellissimo affresco dei pesci volanti (Filakopì), fu introdotta nel mondo antico dall'isola di Creta. A questa corrente naturalistica appartiene a Cnosso l'affresco con delfini e pesci (la posizione reciproca dei pesci è dovuta al restauratore); quello con pernici e uccelli del Caravanserai; le bellissime pitture a incavo della villa di Amnisos, dove gigli, iris, crochi, menta, spuntavano a ciuffi dal terreno o da vasi. Il migliore affresco di questo stile naturalistico, fortunatamente inalterato da restauri, è quello sulla parete S del vano 14 della villa di Haghìa Triada. È molto rovinato da un incendio che ne ha alterato le tinte, annullando l'effetto delle macchie di colore vivace fra i verdi e i bruni delle foglie: un gatto selvatico dalla schiena arcuata avanza cauto fra rocce e rami d'edera verso un uccello; caprioli saltano tra cespugli d'iris, gigli, crochi, rami a foglie dentate. Frammenti isolati mostrano resti di altri animali. Questi affreschi non sono i soli dipinti in questo stile; frammenti d'ispirazione simile, da Cnosso, mostrano quanto fosse apprezzata la natura. La datazione suggerita (Evans e altri), è il Minoico Medio III, o l'inizio del Minoico Tardo I. È difficile dare un ordine cronologico a questo gruppo. Le pitture più antiche sono forse quelle di Amnisos, a causa della tecnica dell'incavo. Le pitture cnossie del Caravanserai e della Casa degli Affreschi sembrano, a giudicare dagli scarsi frammenti originali, di qualità più bassa, ma questo non corrisponde necessariamente a maggiore arcaismo. Anzi, hanno dei manierismi che, se non sono dovuti unicamente al gusto del restauratore, sembrerebbero indicare un'età più recente, cioè l'irrigidimento di motivi ormai sorpassati. Tuttavia, si potrebbe pensare che la pittura più recente sia quella di Haghìa Triada, che è al tempo stesso quella qualitativamente più alta, perché in base all'architettura la villa non sembra essere anteriore all'inizio del Minoico Tardo I e perché la parete di fondo dello stesso vano 14 era decorata in modo diverso: una donna elegantemente vestita è seduta tra i fiori e l'erba. Essa forma il passaggio fra le pitture ispirate alla sola natura e quelle dove la figura umana prevale, o è sola. Le pitture di questo secondo gruppo, datate dall'Evans fra il Medio-Minoico III e il Tardo-Minoico I, rappresentano soprattutto donne: si ornano con grazia, come le Signore in blu (Ladies in blue), l'Affresco del Gioiello (Jewel Fresco) di Cnosso e il frammento di Psira. Oppure, negli affreschi miniaturistici, assistono a cerimonie: l'affresco del Tempio, quello del Bosco Sacro e della Danza (Sacred Grove Fresco), ambedue di Cnosso. Oppure danzano, come la Fanciulla del Megaron della Regina; o sono trasportate in portantina come la Dama in portantina (Palanquin Fresco) di Cnosso; o parlano fra loro a gruppi di due come nell'Affresco dello sgabello pieghevole (Campstool Fresco), al quale apparteneva il frammento conosciutissimo detto la Parigina (il recente restauro ha dato nuovi frammenti; ma la ricomposizione è dubbia); o volteggiano al disopra del Toro (Toreador). Tutti questi hanno un carattere particolare, che si nota quando si confrontino con la contemporanea pittura egizia, o con i rilievi della Mesopotamia, o con la pittura di Mari. Sono personaggi in atteggiamento artificioso, che vivono fuori dalla realtà: si noti, per esempio, che il toro non ha infilato con le corna gli acrobati. Gli affreschi di questo gruppo si accordano bene con la natura incantata e fiabesca del gruppo precedente. Il migliore rappresentante di questa tendenza è il bellissimo Principe-Sacerdote (King-Priest), felice unione del rilievo in stucco e della pittura: è una figura da fiabe, con la pesante corona di gigli e piume, caratteristica della fine del XV e del XIV sec. a. C. (il viso è di restauro, gli è stato dato quello del "Coppiere") il quale avanzava, nel restauro originale, fra i gigli e le farfalle. Questi, ricostruiti in base a due minuscoli frammenti, sono stati aboliti, ma anche così il "Principe" è un poco sdolcinato, un poco figura da balletto. Anche il cosiddetto Capitano dei Negri (Captain of the Blacks) appartiene allo stesso mondo: nessuno immaginerà che possa adoprare in guerra le due lance che ha in mano. E non si direbbero guerrieri nemmeno quelli che alcuni hanno creduto di riconoscere su alcuni frammenti nello stile miniaturistico.
Spirito e ispirazione completamente diversi ha il famoso Coppiere (Cup-Bearer) di Cnosso, che avanza dignitoso e severo, reggendo con ambedue le mani un pesante rhytòn. L'Evans pensò che facesse parte di una processione simile a quella che esisteva nel corridoio sud-occidentale, all'ingresso del palazzo. La ricostruzione attuale della processione è solo un'ipotesi (dubbia è la disposizione delle figure su varî piani), ma se i personaggi avevano, come sembrerebbe dalle rare figure meno frammentarie, la compostezza e dignità del Coppiere, formavano un insieme unico, animato da uno spirito diverso da quello del Principe-Sacerdote e del Capitano dei Negri. Questa dignita e evidente nell'affresco dello Sgabello pieghevole e nei Grifoni stilizzati della Sala del Trono, i quali sono diventati un'astrazione araldicamente dignitosa.
I tre gruppi sopra indicati possono o no corrispondere a tre periodi cronologici diversi. Secondo la cronologia accettata, le pitture naturalistiche sarebbero le più antiche; quelle a figura umana sarebbero incominciate quando la moda dei paesaggi cominciava a declinare; le più recenti sarebbero il Principe-Sacerdote e il Capitano (Minoico Tardo III): queste datazioni si appoggiano su una stratigrafia tutt'altro che sicura. Se si esamina quali sono lo spirito e la mentalità alla base di queste pitture, si dovrebbe invertire la datazione. Il Coppiere ha lo spirito virile che rivelano le cosiddette Tombe di Guerrieri (v. cnosso, § A c), nei cimiteri cnossi del Minoico Tardo II, spirito che si può attribuire all'influsso dei Greci, che una recente ipotesi fa arrivare a Creta in questo periodo; ipotesi che si accorderebbe con le armi trovate nelle tombe e disegnate sulle tavolette scritte in lineare B. La Processione e l'affresco con la Parigina sono anch'essi dignitosi. Invece il Principe e il Capitano hanno ancora la visione minoica della vita.
Riesce difficile accordare le datazioni che sono date di questi affreschi con i dati stilistici. Per esempio, gli affreschi miniaturistici, trovati solo a Cnosso, hanno uno stile speciale, diverso dal resto della pittura minoica: è una pittura rapida, a grandi masse, quasi "impressionista", con scarsi particolari. L'Evans e altri pensano che appartenga all'età della ricostruzione di Cnosso: si aveva fretta e si volle dipingere più rapidamente possibile. La stessa spiegazione fu data anche per la pittura "impressionista" dell'ultimo periodo di Pompei; oggi sappiamo che la pittura "impressionista" è, a Pompei, l'affermazione di un nuovo stile. Lo stesso può essere avvenuto a Cnosso. Non è facile ammettere che la pittura miniaturista possa essere contemporanea, o quasi, di pitture accuratamente rifinite, ricche di particolari. Si pone perciò il problema se si debba riconoscere a Cnosso due scuole contemporanee diverse per stile (una che dipinge con cura i minimi particolari, l'altra che dipinge a grandi masse), o se, come a Pompei, e come sembrerebbe preferibile anche per Creta, la diversità di stile corrisponda a una diversa cronologia.
Datazione discussa ha il sarcofago di Haghìa Triada, con soggetto ispirato da cerimonie funebri, entro una ricca cornice di rosette e spirali. È datato da alcuni al M T II (Evans, Matz, Platon), da altri al M T III a (Pendlebury, Banti, Marinatos). Il sarcofago ha, è vero, molto che riporta ai secondi palazzi (motivi decorativi, ricchi diademi sulla testa di alcune figure), ma le vesti, il carro, l'ispirazione generale, sono già di età micenea. Vicine al sarcofago, dal quale non possono essere separate troppo per cronologia, sono altre pitture di Haghìa Triada: il pavimento dipinto a pesci diversi di un piccolo santuario; il fregio di rosette della loggia sul Piazzale dei Sacelli; dei frammenti da uno scarico, con processione (?) e daini, dove appaiono figure che indossano le nuove vesti di età Tardo-Minoico III.
C) Ceramica. - La ceramica minoica è stata a lungo classificata e studiata senza distinzione di fabbriche e di stili locali, prendendo come base la ceramica di Cnosso, la prima e la meglio conosciuta. A questo criterio, che ha avuto il merito di sottolineare l'unità stilistica della ceramica minoica, è subentrata la tendenza di ricercare non le somiglianze fra i varî centri, ma le differenze. Il primo tentativo è del 1934; da allora, la conoscenza delle singole fabbriche e degli stili locali è notevolmente aumentata (Banti, Pendlebury, Demargne, Levi).
Tutti, o quasi tutti i centri, piccoli o grandi, ebbero nell'antichità una fabbrica locale per la produzione della ceramica di uso domestico, con o senza decorazione dipinta. Questa ceramica imitava forme e decorazioni del centro più importante della regione, quello in cui si formavano gli stili e si elaboravano i motivi decorativi. A questo centro si ricorreva per avere i bei vasi di lusso. Riconoscere varie fabbriche con fisionomia propria non significa negare l'unità artistica della ceramica minoica. In tutta l'isola sono uguali le forme (ma non identiche), la tecnica decorativa e anche i motivi, ma i diversi centri ebbero speciali preferenze.
Vi furono scambi e influssi reciproci fra i quattro centri ceramici maggiori - Cnosso, Festo, Mallia, la Creta orientale-, come vi sono fra Creta e le vicine Cicladi, l'Egitto, la Grecia, l'Anatolia.
Nel Neolitico due soli centri, Cnosso (v.) e Festo (v.) offrono la possibilità di studiare le forme ceramiche e le decorazioni. I vasi erano fatti a mano e cotti all'aria libera, la decorazione era incisa o a stralucido. A Cnosso furono riconosciuti tre periodi; a Festo due. In altre località (Mallia, Sfungaras, grotta di Ilizia a Amnisos, Skales, Trapeza, Magasà, Miamù, ecc.) il materiale scarso permette solo di riconoscere alcune caratteristiche locali. A Festo fu trovata una ceramica neolitica finora sconosciuta: incisa, dipinta in bianco e anche in rosso, a superficie chiazzata in rosso e nero, a spruzzi a rilievo, ecc.
La ceramica subneolitica era finora datata in base a criterî stilistici (grotte di Pyrgos, di Arkalochori, di Ilizia a Amnisos, di Partira, ecc.). È incerto se la ceramica detta di "Trapeza" (Trapeza Ware) sia neolitica o del Minoico Antico, perché non ha confronti altrove: ha decorazione plastica con cordoni verticali pizzicati, o con una rudimentale testa umana. Due thòloi di Lebena (v.), sulla costa S, danno la successione cronologica della ceramica prepalaziale. Nel Subneolitico si avevano vasi grigi, a collo cilindrico e orecchiette forate, e tazze con protuberanze a corna (trovati anche ad Amnisos, Partira). Nel Minoico Antico I si avevano vasi di tre tipi: ceramica tipo "Pyrgos" (finora considerata subneolitica, cioè vasi grigi decorati a stralucido simili ai calici a piede di Pyrgos, Arkalochori, Cnosso, Hellenes Amariu); ceramica tipo Haghios Onuphrios, decorata in bruno o rosso sul fondo naturale ingubbiato (linee parallele o incrociate, a triangolo, a zig-zag); ceramica simile per motivi e forme, ma decorata in bianco sul fondo nero. Caratteristici del M A I sono i vasi plastici, le pissidi a piede, le brocche a corpo sferico e lungo beccuccio, le tazze. Nel periodo seguente (M A II) troviamo i vasi a "chiazze" (Mottled Ware) del tipo di Vasilikì, ma più rozzi; questi vasi ebbero brillante fioritura solo a Vasilikì (Creta orientale). Qui la superficie del vaso è lucida, le chiazze formano motivi originali e vivaci. Bicchieri, teiere e boccali a lunghissimo becco e forma metallica furono raramente esportati (pochi esemplari esportati a Cnosso, Mallia, Trapeza, Gurnià). Se si eccettua Vasilikì, dappertutto questo stile fu scadente. È verosimile che i vasi "a chiazze" scadenti, trovati in tutta l'isola, non siano una imitazione dei vasi di Vasilikì ma una derivazione della ceramica "a chiazze" neolitica (Levi). La ceramica che l'Evans e altri hanno creduto caratteristica del Minoico Antico III, a decorazione bianco-lattea su fondo nero, è uno stile locale della Creta orientale. Suo motivo preferito fu la spirale. Dalla Creta orientale questo stile raggiunse Mallia e Cnosso, ma arrivò nel S solo all'inizio del Minoico Medio.
L'età protopalaziale segnò la prevalenza dei motivi bianchi e rossi sul fondo nero o bruno, ma continuarono, soprattutto nella Messarà, i vasi decorati in bruno sul fondo chiaro. La Creta orientale ebbe ancora originalità di forme e di motivi con le caratteristiche lattiere decorate con fregio di pesci; con i boccali e le tazze decorati con spirali e false spirali, rami e fiori. Questi motivi furono imitati nella Creta centrale, a Mallia, Krasì, Nirou Chani e nella Pediada. Nella Creta meridionale, tazze, boccali e teiere delle tombe a thòlos preferirono le timide decorazioni lineari bianche e rosse sul fondo scuro e i vasi a fondo chiaro. Ma accanto a questa decorazione più semplice, la bottega di Festo produsse per la prima fase del primo palazzo e per la grotta sacra di Kamàres, la ceramica policroma (o Kamàres), dipinta in bianco, rosso, giallo, arancio sul fondo nero, o bruno, orosso-bruno. L'uso della ruota permise di fabbricare vasi di forme svariate, eleganti, a pareti sottilissime (vasi "a guscio d'uovo"). Elementi geometrici, spiraliformi, motivi fantastici e naturalistici, animali, piante e figure umane, furono distribuiti sulla superficie del vaso con un raro gusto inventivo e ornamentale e notevole freschezza decorativa. Nella seconda fase del primo palazzo scomparvero i vasi più semplici e restò solo il Kamàres. La fioritura a Festo (v.) fu così brillante da far supporre che lo stile policromo sia nato là e passato poi a Cnosso, dove ebbe uguale sviluppo. A Mallia e nella Creta orientale si ebbero solo rare importazioni e ancor più rare imitazioni. Fra i vasi policromi si possono includere quelli a pareti finissime, coperti interamente, o in parte, da vernice bianca spessa, talvolta sopradipinta in rosso, vasi che il Dawkins chiamò "Kamàres bianco". L'Evans li considerava di esclusiva fabbrica cnossia, ma gli esemplari più belli e raffinati, a pareti più sottili, vengono da Festo (seconda fase del primo palazzo); rari frammenti da Palekastro e Zakro. Altra tecnica frequente a Festo e a Cnosso, è la decorazione a stampiglia, che imita lo sbalzo (conchiglie, zig-zag, spirali, cerchielli, ecc.), su vasi a pareti sottili a superficie bruna o nera. I frammenti trovati a Mallia e a Palekastro furono importati probabilmente. Frequentissimi nella prima fase del primo palazzo a Festo e nelle thòloi della Messarà, rari a Cnosso, quasi sconosciuti a Mallia e nella Creta orientale, sono i vasi decorati a rilievo à la barbotine detti anche di "Haghìa Fotinì" (v. festo). Quando avvenne la distruzione del primo palazzo festio (1570 o 1550 per Banti, Matz, Levi; 1700 per Marinatos, Platon), dominava ancora la decorazione policroma ma si usava la sopradipintura bianca più di quella rossa; i motivi erano meno fantastici e complessi; la forma dei vasi più uniforme. A Cnosso e nella Creta orientale si ebbero vasi, dipinti in bianco su nero, con fiori e piante, veduti con notevole senso naturalistico. Sono conosciutissimi i vasi con gigli, ma troviamo anche altri fiori - tulipani, crochi, margherite ecc. - e rami. Nelle fabbriche della Creta orientale la spirale si trasformò in fregio di foglie sinuose; furono frequenti i tre petali roteanti intorno a un cerchio; un pìthos di Pachyamnos aveva un fregio di delfini. Gli stessi motivi furono presto dipinti in vernice bruna o nera sul fondo chiaro del vaso. Fu frequente la cosiddetta Rippled ware, a fitte linee verticali, ondulate. La decorazione in vernice bruna fu definitivamente adottata dalla ceramica dei secondi palazzi nel M T I, ma continuarono anche, benché più rare, la decorazione bianca e rossa sul fondo nerastro o bruno (Festo, Haghìa Triada, Palekastro, Petra, Psira, Sklavòkampos) e le liste e puntini bianchi sopradipinti su un motivo in vernice bruna (Mochlos, Palekastro, Gurnià, Tylissos, Festo, Haghìa Triada). Nella Creta orientale e a Mallia il rosso - di una gradazione diversa di quella medio-minoica - fu usato anche sui vasi a fondo chiaro. Eccezionalmente si ebbero vasi a fondo bianco, ottenuto mediante un leggero strato di stucco, sopradipinto in rosso e in azzurro (Cnosso, Haghìa Triada). Forme nuove furono il rhytòn a corpo sferico, piriforme o conico e, nel M T I b, la brocca a falso collo. Nel M T I a i motivi più frequenti furono la spirale (la spirale ricorrente nella Creta meridionale; la spirale falsa, o con foglie; o a C nella Creta orientale e a Mallia); i rami, piante e fiori. In un secondo tempo (M T I b) si aggiunsero i motivi marini, la doppia ascia, il nodo sacrale, ecc. Nella Messarà (Festo, Haghìa Triada, Kannià presso Gortina), a Mallia, nella Creta orientale, spirali e piante furono i motivi decorativi preferiti fino alla distruzione del secondo palazzo (Banti, Dessenne, Deshayes, Levi); i motivi marini - rappresentati da vasi importati e dalle loro imitazioni - si trovano con quelli vegetali e spiraliformi nella fase finale. Lo stesso avvenne a Tylissos (Hazzidakis). Questo non corrisponde al quadro tracciato dall'Evans, per cui in tutta l'isola i motivi marini avrebbero completamente sostituito quelli vegetali nel Minoico Tardo I b.
Una fabbrica - di Cnosso (Evans, Bosanquet, Charbonneaux, Karo, Furumark, Hood, Deshayes), o della Creta orientale (Banti) - ha prodotto alcuni dei vasi più belli per tecnica e decorazione. Le forme preferite furono il rhytòn e l'alabastro. Nel periodo più antico furono decorati con spirali e motivi vegetali; nel più recente, con motivi marini (polipo, argonauti, stelle marine, coralli, ecc.) e puramente decorativi (doppia ascia, nodo sacrale, zig-zag, nervature ecc.). Questi vasi furono esportati in quasi tutti i principali centri dell'isola e imitati in Creta, nelle Cicladi e nella Grecia: le imitazioni del continente greco (alabastro da Egina, brocca di Marsiglia, vasi di Micene, Pylos ecc.), elaborarono gli stessi motivi in modo diverso. Una nuova forma, l'alàbastron schiacciato, è di origine greca. Una seconda fabbrica, sicuramente cnossia, fu quella detta "stile del Palazzo" (M T II). Forme caratteristiche furono le grandi anfore a molte anse, le brocche a falso collo, gli alàbastra schiacciati, i calici a due anse e corpo globulare. I motivi decorativi furono in parte quelli del Tardo-Minoico - gigli, papiri, argonauti, polipi, delfini, ecc. - in parte motivi nuovi - architettonici, elmi, scudi - ma furono stilizzati ed uniti secondo una nuova sintassi decorativa. Una brocca di forma barocca con decorazione dipinta e plastica ha delle protuberanze coniche e uno scudo sul collo. Vasi nello "stile del palazzo" furono trovati in alcuni vani del palazzo e in rare case di Cnosso, nel porto di Katsabà, in un gruppo di tombe a Cnosso e a Katsabà. Qualche raro prodotto arrivò in alcuni centri o vi fu imitato (Mallia, Maronia di Sitia, Palekastro, Zakro, Psira, Arkalochori, Plaka, Haghìa Triada). Per alcuni lo "stile del Palazzo" ha influenzato la ceramica del continente (Evans, Furumark, Matz); per altri l'influsso del continente avrebbe determinato il sorgere di questo stile (Wace, Blegen, Snijder, Kantor).
La distruzione finale dei palazzi non influì notevolmente sulla ceramica. Non vi è distinzione netta fra la ceramica della fine dei secondi palazzi e il Minoico Tardo III a. La transizione fra il Minoico Tardo II e il Minoico Tardo III fu così graduale che riesce difficile giudicare a quale dei due periodi attribuire i vasi. Questo fu osservato a Cnosso, Kannià presso Gortina, Mallia (Pendlebury, Hutchinson, Levi, Dessenne). Questo periodo di transizione (Minoico Tardo III a) non sembra aver durato a lungo (Evans, Pendlebury, Dessenne). Le forme più usuali furono il calice a piede con due anse verticali, l'anfora a falso collo, i caratteristici alàbastra, specialmente quelli schiacciati. Si introdusse ora il cratere. Fra i motivi decorativi è nuovo l'uccello, che a Kalyvia (Festo) e su una bellissima brocca da Katsabà è più stilizzato che in Grecia o in Egitto, le due località che l'avrebbero introdotto in Creta. Si ritrovano i motivi decorativi dell'età precedente: spirali, motivi vegetali e marini, che man mano si stilizzarono; più lentamente nel Minoico Tardo III a, più rapidamente, fino a divenire irriconoscibili, nel Minoico Tardo III b. Il ceramista sembra aver perduto la nozione del motivo originale. Così la palma, già stilizzata nel Minoico Tardo II (anfora da Katsabà) fu dipinta in posizione orizzontale su un vaso della casa E di Mallia (M T III a) e nel Minoico Tardo III b divenne quasi irriconoscibile. L'uccello fu messo in posizione araldica o sul dorso di un pesce, togliendogli ogni idea naturalistica. L'evoluzione del polipo, dell'argonauta, di altri motivi, è stata spesso descritta. La làrnax sepolcrale ebbe particolare sviluppo nel Minoico Tardo III e fu decorata sia con i motivi decorativi della pittura vascolare, sia con nuovi motivi più ambiziosi: animali alati, la mucca con il vitellino, la figura umana (Zafer Papura, Ierapetra, Palekastro, Pyrbolia). Alcune, molto rozze, hanno le corna di consacrazione e la doppia ascia (Palekastro, Episkopì), le quali sono state interpretate come indicazione di scene di culto. La sola làrnax in pietra, non in terracotta - per cui una scena di culto è sicura, è quella trovata nella necropoli di Haghìa Triada (v. sopra § B).
D) Plastica. - Non si può parlare di "scultura" per l'età minoica. Non esistono statue; il tentativo dell'Evans di ricostruirne una non convince. Fino alla fine del sec. XV a. C. si trovano solo figurine di terracotta, steatite, bronzo, osso, avorio, di dimensioni ridotte: l'altezza supera solo eccezionalmente i cm 25. È rarissima la figura femminile nuda. In generale la donna indossa una veste con giubbetto aperto davanti fino alla cintura e gonna scampanata con o senza volanti che formano punta davanti; l'uomo ha intorno ai fianchi un perizoma.
È recente la scoperta a Cnosso, in uno strato neolitico antico, di una figurina maschile (altezza m 0,10) in pietra bianca, che ha già il modellato di figurine finora datate alla prima fase palaziale (figurina di steatite, da Portì). L'unica figurina neolitica con modellato altrettanto evoluto è quella trovata a Lerna, in Argolide. Per la tipologia e l'esecuzione la figurina di Cnosso sembra più recente di quelle trovate nelle tombe della Messarà, finora giudicate della seconda metà dell'età prepalaziale, ma forse già del Minoico Medio I: quelle maschili hanno testa e corpo triangolare; le femminili, una gonna scampanata, con accenno anche a uno o più volanti (Haghìa Triada, Platanos). Anche un secondo tipo un poco evoluto (Haghìa Triada, Platanos), con berretto a turbante e perizoma, è sempre meno evoluto della figurina neolitica cnossia. Simili alle figurine della Messarà sono quelle della grotta di Trapeza, nei Lasithi. In queste figurine prepalaziali si può riconoscere l'influsso degli idoletti cicladici (v. cicladica, arte), che furono importati e forse imitati (Tekkè). In età prepalaziale fiorirono nella Creta meridionale i vasi plastici a forma di animale. Solo pochi meritano di esser ricordati: una brocca a forma di uccello con becco spalancato (Kumasa); una capra selvatica che volge indietro la testa (Portì); i rhytà a forma di toro, alle cui corna si aggrappano uno o due minuscoli ometti (Kumasa, Portì), non hanno valore artistico, ma sono notevoli per movimento e vita. Sono meno riusciti i rhytà a figura femminile (tombe della Messarà, Mallia, Trapeza, Mochlos).
Anche le figurine in terracotta da case, palazzi, o santuarîmedio-minoici hanno soprattutto interesse antiquario, come quelle trovate a Chamezi, quelle conosciutissime di Petsofà, e altre (Iuktas, Itià di Sitia, Festo, ecc.). Una testina femminile (?) da Festo, della seconda fase del primo palazzo, conserva i colori e il gusto della ceramica di Kamàres. Simile, anche per l'alto berretto, è un bronzetto di adorante, a Leida. Le statuette di Piskokefalon, specialmente quelle femminili, hanno qualità più alta. La pettinatura, morbida, legata da una larga fascia, dà slancio alla figura; il volto ovale, modellato in superficie come tutta la plastica minoica, ma grazioso, era completato dal colore. Le statuette in faïence dei Temple Repositories di Cnosso, sono fredde e dure di modellato. Migliori sono le conosciutissime lastrine a rilievo dallo stesso deposito. L'età dei secondi palazzi è infestata, sfortunatamente, dai numerosi falsi di statuette di bronzo, steatite e soprattutto avorio, in musei e collezioni private. Nessun valore artistico hanno in generale le piccole terrecotte tardo-minoiche di animali o uomini (Haghìa Triada, villa, Piazzale dei Sacelli e necropoli; Zu di Sitìa; Festo; Kannià, ecc.); ma a Kannià presentano particolare interesse una figurina maschile acefala che indossa la corazza - abbiamo solo un altro esempio di guerriero a Cnosso, in una tomba del Minoico Tardo II - e un pìnax con due sfingi alate, affrontate, che annunziano già gli schemi araldici del Minoico Tardo III. Rhytà plastici, in terracotta (Festo, Cnosso, Mallia, Gurnià, Psira, Vasilikì), in pietra (Cnosso) e steatite (Cnosso), a forma, o protome, di bove, o di leone (quelli a protome leonina solo a Cnosso) sono modellati in modo più o meno naturalistico a seconda della cronologia. Il rhytòn a testa di leonessa da Cnosso è bellissimo, molto più bello di quello a testa di toro (steatite), ammirato ma flaccido. Gli stucchi a rilievo dipinto, i fregi in pietra, da Cnosso, con spirali o a triglifo e mezza rosetta, sono pura decorazione: solo rari stucchi raggiungono livello artistico, il Principe-Sacerdote (v. sopra); un frammento (avambracci e braccio che reggono un rhytòn) il cui modellato non è indebolito da aggiunte di restauro; il toro all'ingresso N. Di questo è rimasta la testa, modellata con maggior forza di quanto si trovi generalmente. I tre vasi in steatite di Haghìa Triada - rhytòn con lottatori, vaso con enigmatica processione, bicchiere con soldati e ufficiali - sono una importazione da Cnosso, da dove vengono minuti frammenti simili: appartengono al Minoico Tardo II, del quale hanno lo spirito e lo stile. La qualità è alta. La più bella figurina di età minoica è l'Acrobata in avorio, trovato a Cnosso. La linea fluida e scorrevole del corpo sottolinea lo slancio della figura, che sembra fendere l'aria. Due altre statuette d'avorio, di maggiori dimensioni del solito, furono trovate recentemente. Fra i numerosi bronzetti meritano di esser ricordati il grasso e dignitoso adorante anziano da Tylissos: il giovinetto da Griviglia (fine M T III). Il bronzetto della Collezione Churchill - un giovane nell'atto di saltare al disopra del toro - sarebbe l'unico esempio di composizione chiusa nella plastica minoica e questo ne fa dubitare l'autenticità. Al Minoico Tardo III era datato finora l'inizio della più antica plastica di dimensioni maggiori. Lo scavo di Kannià ha mostrato che si deve risalire al Minoico Tardo II. Sono statue di culto femminili, a veste campanata, braccia alzate, corona sulla testa, trovate in varie parti dell'isola (Gurnià, Karfì, Gazì, Priniàs, Kannià; di uguale tipo, ma più piccole, quelle di Cnosso, Haghìa Triada, Pankalochori). La parte inferiore del corpo è cilindrica. In alcune il viso è informe (Gurnià, Pankalochori); è indistinto e flaccido a Kannià e in una statua di Gazì; più modellato, con maggiori dettagli, a Karfì. Queste differenze possono corrispondere a diversa cronologia (Levi), o a diversa capacità del formatore. In tutte le teste è caratteristica la linea orizzontale delle sopracciglia, pronunziata e spesso sporgente, linea che ritroviamo in un rhytòn a testa maschile barbata, da Festo (M T III). Alla fine del Minoico Tardo III alcune teste del Piazzale dei Sacelli, a Haghìa Triada, hanno modellato netto che lascia indovinare sotto la pelle tesa le ossa frontali e mascellari ed annuncia già teste geometriche come quella di Kalochorio.
E) Glittica. - I sigilli minoici sono, per tecnica e composizione, fra i migliori dell'antichità. Fino dall'età prepalaziale fu costante l'uso di assicurare la chiusura di recipienti, forse di documenti, con una cordicella, il cui nodo veniva ricoperto di argilla umida, sulla quale si imprimeva il sigillo personale. Sigilli e anelli-sigillo venivano posti nella tomba insieme al possessore; palazzi e case hanno dato pietre incise e, in maggior numero, le "cretule" (cioè i noduli di argilla con l'impressione del sigillo). Molte cretule erano in un deposito dell'inizio del Minoico Medio a Festo (sotto al vano 25) e in depositi dell'età dei secondi palazzi (Zakro, Haghìa Triada, Cnosso). I sigilli di età prepalaziale furono trovati quasi esclusivamente nella Creta meridionale: erano numerosi in alcune thòloi (Haghìa Triada, Platanos, Lebena; in minor numero a Kumasa, Kalathianà, Portì, Kamilari). Fuori dalla Messarà ne conosciamo da Trapeza e dalla Creta orientale (Sfungaras, Mochlos). È sperabile che la thòlos di Lebena dia sicure stratificazioni per i sigilli prepalaziali, datati finora in base allo stile. In età prepalaziale le forme (cono, piramide, bottiglia, bottone, disco, cilindro, semicilindro, cubo, scarabeo, ecc.), la decorazione, il materiale (il più usato fu la steatite, ma si hanno in terracotta, schisto, osso, avorio; si preferirono pietre tenere) furono svariatissimi, come sempre all'inizio di una industria; in seguito forme e materiale diventarono più uniformi: gli incisori seguivano ormai una tradizione. Il sigillo ebbe anche una presa figurata: uccello, scimmia, colomba con i piccoli, leone, cane, figura femminile alata, ecc. Il repertorio dei motivi è ricchissimo: semplici o complessi, geometrici, ma soprattutto curvilinei e spiraliformi, vegetali e animali. Alla ricchezza del repertorio non corrispose, in età prepalaziale, uguale abilità tecnica o compositiva: si volle solo riempire la superficie del sigillo in modo conveniente e riconoscibile senza nessun tentativo di composizione, né pretese d'arte.
Mallia e Festo hanno dato un importante contributo per i sigilli dei primi palazzi, che conoscevamo finora quasi unicamente dal "Deposito dei Geroglifici" di Cnosso. L'officina di incisori trovata recentemente a Mallia lavorava soprattutto materiale tenero (steatite, avorio), ma incominciava già ad usare pietre più dure, come il cristallo di rocca. I motivi ancora primitivi del suo repertorio e l'incisione stentata (questi sigilli medio-minoici sono più rozzi di quelli del Minoico Antico della Messarà) saranno dovuti al provincialismo caratteristico di questa città. A Cnosso si usarono pietre dure - agata, calcedonia, onice ecc. - ed i motivi decorativi hanno quella predilezione per le linee movimentate e sinuose, quella tendenza al naturalismo, che caratterizzano già le cretule dell'"Archivio" di Festo. I motivi lesti sono elaborati; dominano gli animali, l'uomo, il polipo, i segni dell'alfabeto geroglifico; fanno la prima apparizione il dèmone minoico, il grifone, l'animale che abbatte la preda, la corsa volante. Il "Deposito dei Geroglifici" a Cnosso aggiunse la testa umana. Uno dei più bei sigilli è quello usato per la cretula festia con capra selvaggia (agrìmi) su una roccia e, in basso, un cane che cerca di raggiungerla: ricorda un sigillo da Archanes, più recente, dove la capra e il cane formano composizione chiusa. Per il momento della distruzione dei primi palazzi la nostra conoscenza deriva soprattutto da cretule di alcuni depositi di Cnosso: le 150 cretule dei Temple Repositories hanno una serie di nuovi motivi - scene di lotta, forse di culto - in generale bene adattati alla ristretta superficie del sigillo. Prevalgono ora i sigilli in pietra dura o semidura. Un sigillo a disco del Piccolo Palazzo ha su un lato una strana testa maschile barbata, sull'altro una testa di toro; si deve escludere che questa e altre teste maschili su sigilli e cretule possano essere ritratti. Le cretule del Minoico Tardo di Zakro e quelle di un vano di Haghìa Triada non hanno una datazione sicura: le seconde,dovrebbero, in base alla stratigrafia, appartenere al periodo finale della villa. Per la composizione, il movimento, mostrano che la glittica minoica aveva raggiunto un alto livello. I sigilli del Minoico Tardo hanno in generale forma amigdaloide e lenticolare. Gli anelli-sigillo di metallo, di bronzo, ma più spesso d'oro furono frequenti. I rari esemplari genuini - le falsificazioni furono e sono numerose - mostrano che l'anello non era in oro massiccio, ma in bronzo ricoperto da una lamina d'oro. Uno dei più antichi, da Sfungaras, aveva il castone di cristallo; interessante è uno da Mochlos, con rappresentazione di una nave; i più belli sono quelli di Cnosso. Frequente sugli anelli di questa età è la lotta con il toro - belle cretule con questo soggetto furono trovate a Sklavòkampos - ed anche il toro solo; una cretula frammentaria mostra una cavallo su una nave; sono frequenti le scene cosiddette di "culto". Una serie di sigilli con un uomo che, armato di pugnale, attacca un leone, o lo uccide, è sospetta. In un deposito del Minoico Tardo I di Cnosso fu trovata una matrice in terracotta per anello d'oro; una cretula impressa con lo stesso motivo viene da Zakro a Skalavòkampos, alcune crétule erano uguali a quelle di Zakro, Haghìa Triada, Gurnià. Cretule impresse con uno stesso sigillo, da località diverse, non sono frequenti. I depositi cnossî con cretule del Minoico Tardo II (degli Archivi, del Piccolo Palazzo, della East Hall, del Sacello Centrale, del S-W Basement) e i sigilli da tombe cnossie della stessa età mostrano preferenza per scene di culto, o figure araldiche. Tecnica e composizione sono buone, i motivi sono interessanti dal punto di vista antiquario, ma i gruppi sono più freddi e meno spontanei di quelli del Minoico Tardo I. Più decadenti, sciatti e rigidi sono i sigilli del Minoico Tardo III: un cilindro di ematite da Haghìa Pelaghia, vicino a Cnosso, ha una scena fantastica fra grandi papiri, ma l'incisione è debole. Il materiale più importante, M T III b, viene dalla Officina del Lapidario a Cnosso, dove erano materiale grezzo, sigilli non terminati e noduli di pietra usati per prove ed esperimenti.
F) Artigianato. - Creta ha avuto fino dall'età prepalaziale un artigianato fiorente. I principali laboratori e officine erano nei palazzi e nelle ville.
a) Oreficerie. - Gioielli e vasi preziosi non sono molti se confrontati con quelli del continente. Questo dipenderà da due cause: la grande maggioranza delle tombe furono saccheggiate, i palazzi furono accuratamente spogliati degli oggetti di valore dopo ogni distruzione. Ma anche ammettendo questo, abbiamo l'impressione che i Minoici dessero ai defunti meno oro e meno preziosi di quel che fu dato nella Grecia micenea.
Furono usati l'oro pallido, più raramente l'argento. Per vaghi, sigilli, pendenti, si usarono le pietre dure e semipreziose (cristallo di rocca, lapislazzuli, calcedonia, onice, agata, ametista, cornalina), l'avorio, ma anche terracotta, steatite, calcari, vetro. La faïence fu adoperata per gioielli. I gioielli più frequenti furono collane, pendentifs, diademi e corone. Sono rari i braccialetti. I giovani della grande processione del corridoio N-O a Cnosso, avevano cerchi alla caviglia; il Coppiere e il Principe avevano dei bracciali all'avambraccio; l'Acrobata di avorio sembra avesse bracciale e braccialetti. Gli affreschi e figurine mostrano che l'uomo aveva più gioielli della donna: collane, braccialetti, bracciali, anelli alle caviglie. La lamina d'oro e d'argento era ritagliata nella forma voluta e ornata a punzone, a stampiglia, a sbalzo, a granulazione. Si usò l'incrostazione per mobili. Non abbiamo da Creta esempî di ageminatura. In linea generale le oreficerie più belle e ricche sono quelle cnossie.
In età prepalaziale le tombe di Mochlos (M A II e III) hanno dato un notevole numero di gioielli: diademi, spilli con capocchia a fiore, rametti con foglie, pendenti, collane con vaghi di differenti pietre. Tecnica e disegno sono semplici (sottile lamina aurea decorata a file di punti), ma piacevoli, specialmente i rami e i fiori. Ancora più semplici sono i gioielli di Pirgos e di Haghìa Trias (Pirgiotissa). Rari frammenti di oreficerie dalla Creta meridionale (Kumasa, Platanos, Kalathianì) sono più evoluti come tecnica: questi e alcune lamine d'oro da Mallia e un diadema da Lebena mostrano identità di stile. Un pendente con due api a sbalzo e granulazione, lo spillo con capocchia a fiore, ambedue da Chrysolakkos (v. mallia), furono trovati in un complesso che può essere contemporaneo del più brillante periodo della ceramica di Kamàres; mostrano abilità e gusto superiori a quelli della oreficeria nell'età dei primi palazzi. Un minuscolo pendente da Kumasa a forma di rana, anch'esso a granulazione, fu verosimilmente importato da un centro maggiore. Un recente tentativo di attribuire all'oreficeria medio-minoica il Tesoro di Egina del British Museum non convince. Il Tesoro è più evoluto e complesso, sicuramente molto più recente. La tecnica e i motivi dei pezzi che lo compongono ritornano altrove e specialmente nel I millennio a. C. La faïence, imitata da quella egiziana, fu usata nel Minoico Medio, specialmente a Cnosso, per lastrine e dischi, destinati a decorare mobili e scatole (rosette da Tylissos). La tavola da giuoco del Temple Repository (Cnosso), in faïence e incrostazioni di cristallo di rocca, lamina d'oro ed argento è di ottimo gusto, resti di incrostazioni simili furono trovati in altri centri. Una matrice in steatite per fabbricare oggetti di faïence, da Cnosso, mostra che la fabbricazione era locale. Collane in oro con vaghi a forma di argonauta o rosetta (Mavrospelio) o di gigli (affresco del Principe-Sacerdote) furono copiate in faïence, che era materiale meno costoso, e furono frequenti nel Minoico Tardo. Gli anelli d'oro a sigillo (M T I o II) non sono molto frequenti (v. sopra). Non furono trovati, a Creta i calici, rhytà, tazze d'oro e d'argento, lavorati a sbalzo, niello, ageminatura, simili a quelli delle "tombe reali" del Peloponneso. Vasi in materiale prezioso furon trovati in numero scarso e solo nelle necropoli del Minoico Tardo II di Cnosso: un calice d'argento senza alcuna decorazione viene dalla Tomba Reale di Isopata; una tazza d'oro pallido decorata a spirali, da una Tomba di Guerriero scavata nel 1953 a Haghios Ioannis; una simile di argento, da una tomba vicina alla precedente. Ma una tazza in bronzo da Mochlos (tomba XII: M M III), decorata a sbalzo con foglie d'edera, annunzia per forma e decorazione le tazze d'oro e d'argento del continente; i rhytà a rilievo di steatite, da Haghìa Triada (v.) e Cnosso (v.) (un frammento anche da Palekastro) sono forse una economica imitazione di quelli di argento e d'oro. È eccessiva e poco convincente l'affermazione dello Chapouthier che le tazze del tesoro di Tad siano state importate da Creta; è evidente però che imitano quelle di Creta o del continente.
Le belle spade di Mallia (v.), soprattutto quella con impugnatura a lamina d'oro circolare, decorata a sbalzo con figura umana, sono probabilmente importate da Cnosso. Furono datate al Minoico Medio II, ma recenti scavi permettono forse di attribuirle al secondo palazzo. Questa datazione più recente è preferibile. Per lo stile, l'abile disegno e tecnica si daterebbero al XV secolo, cioè sarebbero contemporanee a quelle con pomelli d'avorio. Il pugnale in bronzo, in collezione privata, che si vuole trovato a Psichrò, con caccia al cinghiale incisa su un lato della lama e due leoni sull'altro, è di autenticità sospetta.
b) Vasi di pietra. - Fu una industria molto diffusa, forse per l'influsso dell'Egitto, che ha certamente influito su alcune forme. Il periodo prepalaziale fu brillante. Nelle thòloi della Creta meridionale i vasi sono numerosi, ma la lavorazione è più trascurata, le forme poco variate; fu adoprata di preferenza la steatite perché facile a lavorare. Molto più belli ed eleganti per la tecnica, le forme, l'abilità con cui furono sfruttate le stratificazioni della pietra sono i vasi di Mochlos. Il più bello è un coperchio di steatite, decorato a incisione, che ha, come ansa di presa, un cane sdraiato, magro e rigido, impressionante. Si può confrontare con un coperchio di Tylissos. Può essere importato, forse dalle Cicladi, benché queste non abbiano niente di simile. L'ipotesi che sia importato dalla Siria, dove ne fu trovato uno con un toro, non convince. Forte influsso cicladico mostra una pyxis di schisto, decorata con spirale a rilievo, trovata nella grotta antico-minoica di Maronia. L'industria di Mochlos ebbe breve durata: già alla fine del periodo prepalaziale i vasi di pietra erano in decadenza. Vasi di pietra furono trovati anche a Trapeza, nei Lasithi; Cnosso e Mallia ne hanno restituiti pochi; a Mallia (v.) fu trovato un oggetto unico, l'ascia di parata decorata con spirali. Nel periodo dei primi palazzi troviamo soprattutto vasi di uso domestico: incominciò il cosiddetto blossom vase, modellato a petali. Alla fine dei periodo e nel Minoico Tardo si trovano le lampade in pietra: una bellissima, da Cnosso, ha l'alto piede simile alle colonne egiziane a fusto di papiro; un'altra è decorata a foglie di edera; altre hanno sul bordo spirali a rilievo. Del Minoico Tardo sono anche due brocche cnossie, una intagliata in modo da formare un intreccio, l'altra con intarsi. Alla fine dei secondi palazzi l'industria dei vasi di pietra ebbe una nuova fioritura a Cnosso: gli alàbastra della Sala del Trono hanno una delicatezza di intaglio unica. Il lapicida ricercò anche l'effetto coloristico dato dalle nervature della pietra, ma in generale il vaso è scuro, in steatite: le dimensioni notevoli e la semplicità della linea raggiungono la monumentalità (rhytà e alàbastra di Cnosso). Qualità artistica hanno i vasi di steatite decorati a rilievo, anche essi produzione cnossia. L'industria dei vasi di pietra continuò fino al termine della civiltà minoica. Un bel rhytòn in conglomerato fu trovato a Psira; vasi e lampade di Festo, Gurnià e Palekastro sono più provinciali come forme e decorazione; la sfinge e la conchiglia di Haghìa Triada meritano di essere ricordate.
c) Bronzi. - In quasi tutti i centri furono trovate matrici per la fusione degli utensili necessari alla vita: asce, doppie asce, coltelli, pinze, scalpelli, seghe, ecc. Gli utensili furono trovati in notevoli quantità nei palazzi e nelle case. Una sega da Cnosso lunga m 1,63 e una da una casa di Haghìa Triada, di lunghezza quasi uguale, servirono probabilmente per segare lastre, o blocchi, di calcare o di alabastro. Nell'età prepalaziale le tombe ci hanno dato quasi in tutta l'isola corti pugnali triangolari come hanno alla cintura le figurine maschili di Pétsofà; il pugnale lungo fu conosciuto solo più tardi. Pugnali medio-minoici furono importati a Cipro (a Sapithos è a Bellapais). Armi nelle tombe sono quasi sconosciute prima del Minoico Tardo II; allora si trovano unicamente in tombe di Cnosso e del suo porto Katsabà (Tombe di Guerrieri). Un gruppo di 4 tombe, scavate nel 1951 al Nuovo Ospedale, hanno data la più bella collezione di armi trovata nella Creta minoica. L'inumato della tomba a fossa II aveva sul petto una spada con impugnatura d'oro, che, probabilmente, aveva tenuta in mano. Nella tomba V era un elmo di bronzo, l'unico di questo tipo trovato nell'Egeo. I recipienti in lamina di bronzo, trovati avanti l'inizio del Minoico Tardo I, sono pochi. Con l'inizio dei secondi palazzi ne troviamo in quantità; alcuni di uso comune, come i tripodi a grande caldaia e zampe diritte (Cnosso, Haghìa Triada), o le grandi caldaie prive di piede con, o senza, anse (Haghìa Triada, Tylissos), o alcune tazze con ansa (Cnosso, Mochlos), o le brocche a orlo piano (Cnosso, Palekastro). Nella fase finale dei secondi palazzi, gli orli delle bacinelle e delle tazze ad ansa ebbero decorazione a sbalzo sull'orlo (foglie, gigli, spirale a rilievo), o sull'ansa (edera); la spalla dei boccali fu decorata a rilievo. Gruppi di vasi bronzei furon trovati a Tylissos; nella villa e in una casa di Haghìa Triada; vicino a Mallia; a Cnosso (v.) nella Casa del Tesoro di N-O (N-W Treasure House), in una casa vicino alla Casa S, in un vano vicino al Portico a gradini (Stepped Portico) e in tombe dei cimiteri cnossî (Tomba del Braciere a Tripode; Chieftain's Grave ecc.). Questi vasi sono eleganti di forma, ma quando i bronzisti dovettero unire insieme le lamine di bronzo, l'esecuzione non fu sempre esatta e accurata. Gli specchi di bronzo circolare cominciarono nel Minoico Tardo II, ma divennero frequenti solo nel Minoico Tardo III (Tomba Reale a Isopata; necropoli di Kalyvia presso Festo). I vasi di bronzo furono rari nel Minoico Tardo III e più semplici.
d) Avorî. - L'avorio giunse a Creta dall'Egitto o dalla Siria, e fu usato in quantità moderata dall'età prepalaziale alla fine dei palazzi (sigilli, idoletti, pomelli di puguale o di spade, braccialetti, ecc.). A Cnosso l'avorio fu usato per figurine: nel Deposito degli Avori entro una scatola di legno, furono trovati i resti di figurine di acrobati, una delle quali è giustamente famosa. Due statuette furono trovate recentemente vicino all'Arsenale, lungo la Royal Road, insieme a lastrine figurate, per rivestimento dì scatola (una rappresenta la facciata di una casa). Le due statuette sono le più grandi che abbiamo nella plastica sicuramente cretese (circa m 0,40 la più grande) e sono formate da varî pezzi riuniti. Lastrine di rivestimento per cofanetti (Tylissos, Cnosso, Palekastro) furono frequenti nel Minoico Tardo III.
III. - Arte micenea.
A) Architettura. - a) Gli edifici anteriori al 1400 a. C. sono rari e non autorizzano a generalizzarne i dati a tutta la Grecia. Case e palazzi sono più piccoli di quelli minoici. Conosciamo la pianta di tre palazzi principeschi (Tirinto, Pylos, Gla); gli altri (Micene, Tebe, Iolkos) sono conosciuti solo parzialmente. Elemento caratteristico dei palazzi e delle case è il mègaron (v.); solo i palazzi avevano i propilei (v.) e la cinta fortificata. Il mègaron si trova già nelle case dell'Elladico Antico; nei palazzi si ha solo nell'Elladico Tardo III b, probabilmente perché i palazzi più antichi sono completamente distrutti. Varî problemi, riguardanti il mègaron, non hanno ricevuto una soluzione. Si discute se il tetto del mègaron dei palazzi avesse una lanterna rialzata con aperture laterali per la fuoruscita del fumo; o se (Tsountas, Dörpfeld, Holland) il tetto aveva semplicemente un'apertura al disopra del focolare, soluzione che è sicura per Pylos e probabile per le case. È anche discusso se il mègaron avesse un secondo piano e se il suo tetto fosse piano o a due spioventi. Il mègaron, severo e imponente, centro della casa, della famiglia, luogo dove si ricevevano gli ospiti e si discutevano gli affari, è in contrasto con la sala minoica (v. sopra), graziosa, elegante, elaborata, isolata dal resto del palazzo, oasi di riposo e di calma. Del mègaron è discussa l'origine: se derivi dall'Asia Minore o dall'Europa centrale. Recentemente fu supposto che fosse stato introdotto da Creta, ma l'ipotesi è inverosimile, perché i tre mègara di Creta sono più recenti. L'altro elemento caratteristico, il propileo, esiste solo nei palazzi, dove è l'entrata monumentale di un recinto, o cortile. È una porta il cui muro ha su ambedue i lati un portico a due colonne fra ante (Tirinto), o a una colonna (Pylos), o anche a una colonna nel portico esterno e due in quello interno (Micene). Come per il mègaron (v.), è discussa anche l'origine del propileo: esisteva a Troia II e nei secondi palazzi di Creta (Festo, Cnosso), mentre sul continente lo conosciamo solo nel XIII sec. a. C. Il propileo miceneo ha uguale funzione di quelli troiani: è l'entrata monumentale di un recinto, o cortile. Differisce da quelli minoici, che sono entrata del palazzo (Festo) o di un quartiere dentro il palazzo (Cnosso) e sono sempre collegati a una scalinata.
Caratteristiche della civiltà micenea sono le cinte fortificate che, dal Tardo-Elladico I, sono sempre - eccetto a Tirinto e forse a Gla (v. arne) in Beozia, dove una parte dell'area fortificata accoglieva forse la popolazione in caso di attacco - costruite solo intorno all'acropoli e al palazzo. Nell'Elladico Antico (Lerna, Askitariò, Rafina) e Medio (Malthi) circondavano invece tutto l'abitato. Quelle di Lerna ricordano le mura delle Cicladi (Filakopì, Haghios Andreas, soprattutto Chalandrianì). Avevano basamento a blocchi di pietra nella parte inferiore, muro in mattoni crudi nella superiore; formavano doppio recinto, quello esterno era munito di torri. Fra i due recinti, distanti m 2,00 circa, erano magazzini. Ad Askitariò e a Rafina, nell'Attica, il muro di cinta (spessore m 2,50) era costruito in modo simile, mancavano le torri e lo spazio fra i due muri era riempito di terra. Nel Medio Elladico, Malthi aveva mura a blocchi di pietra. Le fortificazioni del Tardo-Elladico III (Micene, Tirinto, Atene, Pylos, Gla) sono sia a grandissimi blocchi (ciclopiche), talvolta a doppio paramento con lo spazio intermedio riempito di terra e sassi, sia - in speciali tratti, vicino alle porte - a pietre squadrate. Lo spessore era considerevole, da m 5,50 a 10,00, ma le mura di Tirinto raggiungono m 17,00 ed hanno, all'interno, corridoi, scale, magazzini. A Tirinto ed Atene la cinta murale aveva un perimetro di circa m 700; a Micene di circa m 900; a Gla raggiungeva circa km 3. In alcuni centri la cinta murale era solo parziale (Midea, Asine). A Gla le mura erano a denti distanti m 15-60 l'uno dall'altro. Un muro di età micenea attraversava l'istmo di Corinto, difendendo l'accesso al Peloponneso.
Nei palazzi o case il muro era in mattoni crudi, rafforzati da travi, su un basamento di pietre. Le colonne erano di legno e, come le minoiche, rastremate in basso. A Pylos le colonne avevano 44 scanalature nel mègaron, 6o nel propileo. La tomba di Atreo e le colonnette di avorio trovate a Micene, mostrano che potevano avere una decorazione ricchissima. I tetti degli edifici potevano essere piani o a doppio spiovente. Ad Asine, a Midea e a Tirinto si adoprarono tegole, il cui uso è attestato a Lerna fino dall'Elladico Antico (Casa delle Tegole).
La rete stradale dell'Argolide (strade, ponti, fortini) fu sviluppatissima, migliore di quella minoica. La canalizzazione costruita per impedire che le acque occupassero il fertile bacino, dove fu poi il lago Kopais in Beozia, è comparabile alle moderne bonifiche ed è una grandiosa opera di pace. L'abitato fortificato sulla cima di un colle a Turloiannis, presso Topolia, nel bacino del lago Kopais, era riunito alla pianura per mezzo di una strada sorretta da due muri di sostegno. La deviazione di un fiume a Tirinto, per evitare le inondazioni della città bassa, è un'opera di ingegneria che non esiste a Creta e che mostra lo spirito pratico e l'abilità dei Micenei. Nel costruire le fortificazioni si ebbe sempre presente la necessità di assicurare la provvista d'acqua per gli abitanti dell'acropoli. A Micene, per giungere dall'interno della cittadella ad un serbatoio sotterraneo di acqua, fuori delle mura, fu costruito un passaggio nascosto, con una ripida scaletta, coperta da falsa vòlta o da grandi lastroni. Il passaggio è sorprendente e impressionante. Ugualmente sorprendente e monumentale - se la ricostruzione del Broneer è esatta - è il passaggio, costruito nel Tardo-Minoico III dall'acropoli di Atene al pozzo sotto le mura (v. atene). Ma già nell'Antico-Elladico, a Emporio (Chio), l'abitato sull'acropoli aveva protetto con muri di pietre a secco (spessore m 1,50) la comunicazione con il pozzo, che era in basso alla collina. L'antico approvvigionamento di acqua dell'acropoli di Tebe, la Cadmeia, è di età micenea: vi sono i resti della canalizzazione sotterranea che portava l'acqua all'acropoli.
b) Città. - Conosciamo le cittadelle (Tirinto, Micene, Midea, Pylos, Gla, Thorikos, Tebe, Orchomenos, ecc.) ma assai poco le città che le circondavano. La cittadella era costruita sulla cima di un colle facile a difendersi ed era circondata da mura: vi abitavano il re, la sua corte e gli operai e mercanti che producevano quanto era necessario alla vita dei principi. La città, se vi era, si stendeva intorno alla cittadella, sia a gruppi di poche case isolate (Micene), sia unita più strettamente, a vera città (Tirinto); non era protetta da mura. Possiamo seguire la vita di questi centri a partire dal Tardo-Elladico III b, difficilmente avanti. Quasi dappertutto sorsero dove esistevano già rocche fortificate o piccoli insediamenti, che risalivano spesso all'inizio dell'Età del Bronzo, insediamenti i quali avevano generalmente una cinta murale di difesa. Come fosse un centro miceneo, insediatosi su un precedente abitato del Medio-Elladico, si può vedere a Malthi, nella Messenia occidentale. Colpisce qui il potente cerchio formato da due mura parallele, unite da tramezzi, che formavano vani per magazzini e provviste, mura rimaste in uso anche in età micenea. Le case, a camere irregolarmente rettangolari, erano appoggiate alle mura; un terzo del recinto non era abitato. Nel Medio-Elladico vi era in alto la cittadella, anch'essa fortificata. Al Tardo-Elladico appartengono in parte le costruzioni sul lato O della collina. Qui, appoggiata al muro della cittadella, era l'unica casa a mègaron della città (vano 268) con due focolari e quattro colonne a sostegno del tetto. Vicino, il minuscolo vano 251, preceduto da un cortile, servì forse al culto. Accanto alla porta S, la principale della città (98), erano un gruppo di tombe e vani, con indicazioni di un culto funerario (vani 184; 185; 186), i quali ricordano il culto del circolo A di Micene (v.). Le strade erano a gradini. Cisterne assicuravano la provvista dell'acqua, raccolta per mezzo di canali.
I centri più importanti sono quelli dell'Argolide, dove i più scavati e conosciuti sono Micene (v.) e Tirinto (v.). Quest'ultima, di poco sopraelevata al disopra della pianura, ebbe fortificazioni potenti. In un secondo tempo le mura furono estese, includendo un recinto verosimilmente destinato agli abitanti della città.
L'Argolide e il Peloponneso sembrano esser stati fittamente popolati, specialmente nel Tardo-Elladico: lo provano anche le numerose tombe e necropoli scavate. Argo aveva un abitato e fortificazioni sull'Aspis; un secondo abitato era al disopra dell'Heraion di Argo, sulla Larissa: ne rimangono i resti di una cinta poligonale e di una porta. Presso la sorgente di Lerna, vicino a Myli, furono trovati vari abitati successivi con case, strade e fortificazioni che cominciano nell'Antico-Elladico, ma l'età micenea è sparita ed è rappresentata solo da frammenti ceramici e da tombe, fra cui due grandi tombe a fossa. Midea (v.), Prosymna, Asine, Zyguries ebbero palazzi fortificati, o città; un insediamento era a Epidauro, dove, sotto al tempio di Apollo Maleatas, sono state trovate le prove di un culto miceneo. Nel Peloponneso si ebbero centri numerosi, ma più modesti: fra questi Pylos (v.), dove continua lo scavo del palazzo e delle necropoli. Kakovatos, Vafiò, Koryfasion, Maratona, Menidi, Analipsis hanno dato tombe a thòlos. Ad Atene la cittadella e il palazzo sull'Acropoli erano circondati da mura poderose (il Pelargikòn); la porta principale, a propileo, era dove furono poi i Propilei del V sec. a. C.; la necropoli era nell'area dell'Agorà. Corinto ha dato ritrovamenti micenei; Eleusi, Thorikos, Egina e piccoli porti (Haghios Kosmas, Rafina) erano abitati. A Tebe, sulla Kadmeia, furono scavati alcuni vani del palazzo di Cadmo ma non si conoscono nè le mura dell'acropoli, nè la città. Intorno al lago Kopais, in Beozia, il Lauffer ha notato numerose rocche sulla cima di alture: i centri più noti sono Orchomenos e la cinta fortificata di Gla. Recenti scavi (dal 1959) hanno modificato e completato la pianta finora conosciuta (v. arne) di quest'ultima cinta. Nelle Cicladi, Filakopì è la città meglio conosciuta.
Officine e laboratori sono stati trovati in varî centri. La più antica fonderia di bronzisti fu trovata in uno strato elladico antico, a Rafina (Attica): sono due grotte con scorie di bronzo e recipienti. Una casa vicina aveva un vaso in terracotta per la fusione, resti di scorie, frammenti di matrici di pietra. Sono le più antiche testimonianze di lavorazione del bronzo in Grecia. A Pylos, a Tebe e a Berbati furono trovati forni per ceramiche. Quello di Berbati faceva parte del quartiere ceramico. Era circolare, coperto da tegole che formavano cupola. Vi furono scoperti vasi di scarto, mucchi di argilla e i resti di tredici crateri con la scena di partenza del carro, i quali mostrano che questi vasi, attribuiti una volta a Cipro, erano fatti, almeno in parte, nell'Argolide. A Tebe, nel palazzo, era un laboratorio di gioielli: nell'angolo di un corridoio erano pietre dure in parte già lavorate, in parte grezze. A Zyguries, nel sottosuolo di una casa, era una bottega per la vendita della ceramica; vi erano ammucchiati più di 1300 vasi nuovi (L H III b).
c) Palazzi. - Una grande casa dell'Antico-Elladico, scavata a Lerna, è forse il più antico palazzo del continente. E la "Casa B G", che ha una serie di vani fra due corridoi. Un secondo palazzo fu costruito al disopra, alla fine dell'Antico-Elladico, la Casa delle Tegole (m 25 × 11,80), a due piani comunicanti fra loro per mezzo di una scala. Il piano superiore aveva anche una entrata indipendente; al terreno erano corridoi, un grande vano centrale e altri più piccoli. Non conosciamo altri palazzi fino al Tardo-Elladico III b. Quelli di Tirinto (v.), Micene (v.), Pylos (v.) ci appaiono soprattutto nella loro ultima fase. Furono preceduti da palazzi più antichi, anche essi fortificati, ma le tracce di costruzione dei precedenti periodi sono scarse (frammenti di affreschi e di ceramica, pochi resti di muri), anche perché per costruire i nuovi palazzi furono spesso livellati gli edifici precedenti (Micene, Tirinto). A Micene il palazzo che precedette l'attuale fu costruito su terrazze differenti, forse per l'influsso dei palazzi minoici. Il palazzo di Iolkos, a Volo, ci ha restituito solo tre grandi sale; quello di Tebe, distrutto, sembra, circa il 1400 a. C., sarebbe interessante, perché ci conserverebbe il più antico palazzo miceneo. Ma gli studiosi non si accordano sulla destinazione dei pochi vani scavati: per alcuni avremmo il mègaron e un pozzo di luce, l'unico conosciuto in Grecia. Ma per altri il pozzo di luce non esisterebbe; i vani scavati sarebbero magazzini; mègaron e stanze di parata o abitazione erano nell'ala non scavata. La nostra conoscenza dei palazzi costruiti nel Tardo-Elladico III b e distrutti circa il 1200 a. C., cioè nel periodo di transizione fra il Tardo-Elladico III b e il Tardo-Elladico III c, è limitata: finora era data soprattutto da Tirinto (v.), il solo palazzo sufficientemente bene conservato, e solo parzialmente da Micene (v.). A questi si aggiunge ora il palazzo di Pylos (v.), che ha conservato parte del palazzo più antico. In tutti si trova il mègaron, con portico e vestibolo, preceduti da una corte. I tre vani erano decorati con pitture; nel mègaron, a destra di chi entra, era il trono. Caratteristico del mègaron è il pavimento dipinto a riquadri. Al centro era il focolare. Vi erano bagni (Pylos, Micene, Tirinto), con pavimento stuccato e vasca - a Pylos la vasca era entro muratura -, appartamenti privati, magazzini, sale, scale che salivano al piano superiore, per il quale manca ogni elemento. A Pylos fu trovato l'Archivio con i documenti per l'amministrazione dello Stato e dei possessi. A Gla, gli scavi recenti (dal 1959) hanno mostrato che il palazzo era a due ali, percorse da un coridoio; una sala con vestibolo era all'estremità di ciascuna ala. Il cortile esterno era circondato da un muro. Era curato il sistema di fogne. Cisterne servivano per la provvista dell'acqua (Micene, Atene, Tirinto).
d) Case. Nell'Antico-Elladico vi sono alcune costruzioni circolari a Eutresis, Orchomenos, sotto il palazzo di Tirinto, non spiegate, per le quali è stato proposto un significato religioso. Ad Agrilia, in Tessaglia, fu trovata una casa ovale, del Medio Elladico. In generale le case sono rettangolari, semplici, di poche stanze come le ha il piccolo insediamento di Haghios Kosmas, in Attica (sei case medio-elladiche ciascuna con due vani rettangolari e la corte) oppure quello di Rafina con case simili. Ad Askitariò (Attica) alla fine dell'Antico-Elladico varie case, fra cui una più grande, la casa E, avevano la pianta a mègaron: tre vani su uno stesso asse, cioè un vano quadrato, il vestibolo, l'entrata preceduta da una corte. A Lerna, nell'Antico-Elladico, gli edifici erano più elaborati: non solo la Casa delle Tegole (v. sopra), che era forse il palazzo signorile, aveva due piani, ma li avevano anche le case più semplici. Nel Medio-Elladico si trova a Lerna anche la casa absidata (cioè a forma di rettangolo con un lato breve semicircolare) con focolare centrale. La casa ad abside, talvolta a forma di mégaron, si trova specialmente a Orchomenos, Thermos, Olimpia, Lerna; quella rettangolare, in Attica e nell'Argolide. A Malthi, si sono trovate case ad abside nell'Antico-Elladico, rettangolari nel Medio-Elladico e una casa a mégaron nel Tardo-Elladico III. Le case contemporanee ai palazzi non sono molto conosciute, fatta eccezione per quelle dentro il cerchio delle mura a Micene e alcune di Tirinto. Non è prudente generalizzare su dati così scarsi. Alcune hanno il mègaron, altre no; ve ne sono di semplici e di più complesse.
e) Tombe. - Il rito usuale fu l'inumazione; l'incinerazione di adulti e fanciulli fu eccezionale (Perati, in Attica). Il defunto era sepolto disteso o in posizione rannicchiata. Non sembra che si desse nessun significato a una posizione piuttosto che ad un'altra: a Haghios Kosmas (Attica), in una tomba dell'Antico-Elladico erano due scheletri, uno disteso, l'altro rannicchiato. Eccezionalmente furono usate casse di legno (Midea, Heraion di Argo). I fanciulli furono spesso sepolti in pìthoi entro le case e fra di esse, il seppellimento fra le case fu frequente anche per adulti a Lerna. L'uso cominciò nel Medio-Elladico, continuò nel Tardo-Elladico I e, meno frequentemente nel Tardo-Elladico III. La deposizione in làrnakes fu eccezionale sul continente (Micene, Heraion di Argo, Tebe, Farsalo). Nel Medio-Elladico a Malthi in Messenia, all'Heraion di Argo, nell'isola di Leucade e nel Tardo-Elladico III a Eleusi si trovano tombe a gruppi entro recinti circolari di pietre. Lo stesso si osserva a Micene (circoli A e B). Nel Medio-Elladico si ebbero tombe a pozzo; a cista (cioè piccole fosse con pareti formate da quattro lastre verticali); tombe a fossa (molto grandi, con ricchi corredi funebri, coperte da una o più lastre, con ciottoli sparsi sul fondo). La tomba a fossa è una derivazione di quella a cista. Nel corso del Medio-Elladico ebbero inizio le prime tombe a camera. Si usò anche il tumulo, con i defunti rannicchiati e coperti da ciottoli (Katarraktis di Farai). Nella Messenia occidentale si ebbe uno speciale tipo di tumulo: il defunto era in posizione rannicchiata, spesso entro grandi pìthoi (alcuni lunghi oltre m 2) o cista (Haghiu Ioannu Papulion). Un tumulo era circondato da un muro di pietre, interrotto da pìthoi orizzontali, aperti verso l'esterno, i quali contenevano uno o due scheletri. Entro il tumulo erano deposizioni in pìthos e anche ciste. Nel Tardo-Elladico si ebbero tombe a cista; a fossa; a fossa allungata, coperta da lastre e con un corridoio (Perati: Tardo-Elladico III c); a camera; a thòlos. Le grandi tombe a fossa, come le grandi thòloi, furono tombe reali. Le tombe a camera erano sotterranee, scavate nella roccia tenera: avevano un corridoio scoperto (dròmos), talvolta a gradini. Alcune, fra le più antiche, hanno il soffitto scavato a vòlta; a Diàsela (Olimpia) il soffitto imitava un tetto di legno; tre tombe di Dendra, una di Asine avevano il soffitto a doppio spiovente. La camera era completamente scavata nella roccia, oppure aveva la parte superiore costruita con pietre (Volimidia, presso Pylos; Cefalonia). La forma della camera era varia: circolare, ellittica, ovale, a semicerchio, pentagono, semiellisse, triangolo, ecc. Il dròmos variò di lunghezza a seconda della cronologia: era breve e largo in età più arcaica; lungo e proporzionalmente più stretto in epoca più recente. Le pareti del dròmos e della camera potevano avere nicchie: una tomba di Volimidia aveva l'aspetto di un colombario. Forma caratteristica aveva un gruppo di tombe di Egina con corridoio a Γ e porta laterale: le più antiche sono ancora del Medio-Elladico. A Nauplia tre corridoi non erano seguiti dalla camera. Ad Atene una camera aveva due corridoi. Alcune camere furono in uso per secoli: si faceva posto ai nuovi defunti trasportando le ossa e le offerte più antiche in fosse rettangolari o circolari o ellissoidali, o in pozzetti scavati nel suolo delle tombe, oppure nelle nicchie. È discussa l'origine della tomba a camera: per alcuni la tomba a camera imita quelle egiziane (Persson, Marinatos, Mylonas), per altri si sviluppa a Micene, dalle tombe a fossa (Karo); per altri derivò da Creta (Evans).
Caratteristici di Micene (v.) sono i due circoli A e B che racchiudono gruppi di tombe a fossa. Il circolo A aveva 6 tombe a fossa ricchissime, molto grandi (da m 3 ×; 3,50 a m 4,50 × 6,40) circondate da un doppio circolo di lastre di calcare, coperto da lastre orizzontali rette da travi: è posteriore alle tombe a fossa per la maggioranza degli studiosi (seconda metà XIV sec. a. C.), contemporaneo per il Marinatos. Le tombe facevano parte della necropoli preistorica, che risale all'inizio del Medio-Elladico e che rimase parzialmente racchiusa dentro il cerchio delle mura. Il circolo B, appartenente alla stessa necropoli, ma fuori delle mura, è più antico. Fu scavato nel 1951-54. Ha intorno un circolo (diametro m 28) costruito a grandi blocchi grezzi nella seconda metà del Medio-Elladico (XVII sec. a. C.). Delle numerose tombe che racchiude, solo 14 sono vere tombe a fossa: queste, come quelle del circolo A, erano indicate da una stele. Una tomba è unica, la tomba Rhô: è una tomba a fossa medio-elladica, che, nella seconda metà del XV sec. a. C., fu trasformata in tomba a falsa vòlta ogivale, costruita con blocchi accuratamente lavorati. Ha un corridoio (lunghezza m 2,65) che conduce a una camera (m 2,99 × 1,29 altezza 1,85) che è l'antica tomba a fossa, le cui pareti sono formate da sei filari di blocchi; i due superiori sporgono gradatamente, lasciando uno spazio che è stato coperto da lastre. Le tombe a fossa più recenti del circolo B sono contemporanee alle più antiche del circolo A (prima metà del XVI sec. a. C.).
Alla lista delle thòloi, data dal Karo, devono essere aggiunte molte altre: quelle di Micene (v.) rimangono le più belle e monumentali. La thòlos è a pianta circolare; è costruita a blocchi o lastre più o meno regolari, disposti a filari sovrapposti ad anello. A partire da una certa altezza i filari si restringono gradatamente, formando falsa cupola, chiusa da una lastra. La thòlos era costruita entro una fossa circolare, in modo che sporgeva dal terreno solo parzialmente; era coperta da un tumulo; talvolta sul tumulo era una stele o una pietra (Rodià di Farai, in Acaia). Il corridoio era scoperto. Le grandi thòloi la più grande, la tomba di Atreo, ha m 14,50 di diametro - furono sepoltura non di una famiglia durante secoli, come le tombe a camera, ma di pochi membri della famiglia reale. Altre thòloi, provinciali, di costruzione trascurata, con corredi modesti, spesso piccole, furono scavate nel Peloponneso (Acaia, Messenia, Trifilia, Elide, Laconia): servirono, forse, solo a piccoli signorotti locali. A Guvalari, 3 piccole thòloi (diametro inferiore a m 3), riunite sotto uno stesso tumulo, non avevano porta: evidentemente, i morti erano messi dall'alto.Una thòlos di Peristerià (presso Myros, Trifilia), scavata nel 1961, aveva inciso sullo stipite della porta due segni simili a quelli cretesi (la doppia ascia e il ramo). La più antica thòlos che conosciamo in Grecia è quella di Koryfasion in Messenia: aveva vasi dell'ultima fase del Medio-Elladico e mostra che le thòloi risalgono al XVII sec. a. c. È discussa l'origine della thòlos: si svilupperebbe dalle tombe a camera (Karo, Persson, Wace, Matz, Mylonas); o dall'Asia (Evans); o dalle thòloi della Creta meridionale (Evans, Hood, Platon). Mancano prove per ciascuna ipotesi.
Uno sviluppo locale sul continente è, forse, l'ipotesi più probabile, data la diffusione di questa forma di sepoltura in Grecia. È certo che solo in Grecia la thòlos ha avuto la monumentalità e perfezione che tutti ammiriamo.
f) Luoghi di culto. - Li conosciamo ancora meno di quelli minoici. In case e palazzi alcuni vani sono stati considerati adibiti al culto (Micene, Berbati, Delo, ecc.) per la presenza di figurine femminili e cavallini in terracotta, altari, supposte stipi votive. L'unico vano di culto sembra essere quello nel palazzo di Asine: la pianta ricorda quella da vani-santuario minoici a banco (v. § II A f). Di qui viene la conosciuta testa maschile in terracotta, detta il "Lord di Asine". Santuario con banco è anche quello del XII-XI sec. a. C. a Haghia Irini, a Cipro (v.). A Malthi (v. § III A a) 3 vani indipendenti presso a una delle porte erano, sembra, destinati al culto funerario. I grandi santuarî greci (Delfi, Olimpia, Eleusi, Delo, Heraion di Samo, Heraion di Argo, Amykleion, Apollo Maleata a Epidauro, ecc.) hanno negli strati inferiori resti micenei, ma raramente quanto è rimasto permette di riconoscere la pianta di età micenea. A Eleusi era un edificio rettangolare con 2 colonne all'interno, portico e scalinata di accesso; l'edificio era entro un peribolo chiuso da muro. A Delo, l'edificio Γ aveva cella rettangolare e peribolo. Entro recinto chiuso erano i 3 santuarî di età micenea di Cipro (Haghios Iakovos; Idalion; Haghia Irini).
B) Scultura. - Anche il continente è povero di sculture. Le numerosissime figurine femminili in terracotta, dette a ???SIM-45???, a ???SIM-42???, T a seconda della posizione delle braccia, hanno interesse antiquario e religioso, ma sono produzione di massa, di nessun valore artistico. Uno studio in corso di pubblicazione ne dà la successione cronologica (E. B. French). Anche la testa maschile in terracotta (femminile secondo l'Evans), trovata nel vano di culto di Asine ha solo interesse religioso. Una bella testa femminile in stucco (sfinge?), da Micene, è isolata e difficilmente databile. I lapicidi lavorarono la pietra con buona tecnica, ma non si elevarono al disopra di una produzione artigiana (fregi con mezze rosette e triglifi, da Micene; fregio in alabastro con applicazioni in faïence, da Tirinto; la facciata della thòlos di Atreo; ecc.). È improbabile che due fregi frammentarî di gesso alabastrino (Londra) con un toro infuriato e uno in riposo, simili per il motivo alle tazze di Vafiò e ad un cratere da Enkomi (Cipro), appartengano alla facciata della thòlos di Atreo. Il frammento con il toro infuriato ricorda motivi minoici, ma non si può affermare che fosse eseguito a Creta, o da un artista minoico (Evans). Il gesso alabastrino fu, è vero, molto usato in Creta, ma si trova anche in Grecia.
L'unica grande scultura, bellissima, è quella del triangolo sopra l'architrave della Porta dei Leoni. Le teste, lavorate a parte, mancano, ma anche così i due leoni in schema araldico ai lati di una colonna reggono il confronto con quelli greci del I millennio a. C. È, ingrandita, l'impronta di un sigillo, ma, anche se lo scultore si è ispirato alla glittica, ha trattato il soggetto in modo geniale.
Le stele a rilievo, poste sulle tombe a fossa dei circoli A e B di Micene - undici del circolo A, una del circolo B - mantengono un livello assai basso. La decorazione è divisa in pannelli, con spirali ricorrenti, cerchi e motivi figurati - caccia, o lotta, sul carro; per il Mylonas gare di corsa. La stele del circolo B avrebbe (Marinatos) la lotta di tre animali. Una stele è a decorazione incisa; le altre hanno la decorazione a rilievo, ottenuto scavando il fondo intorno ai motivi, come nell'intaglio in legno. Una delle migliori sculture è data da un gruppetto d'avorio, trovato a Micene, insieme a una bella testina di stucco (XIII sec. a. C.). È l'unico avorio miceneo che sorpassi la produzione artigiana. Motivo, composizione, tecnica ne fanno un pezzo di alta qualità artistica. È a tutto tondo: due donne sono sedute, la più anziana ha passato il braccio sinistro dietro la spalla della più giovane, acefala. Un fanciullo le si appoggia alla gamba, piegandosi verso la più giovane che ha teso il braccio verso di lui. Dietro, una sciarpa sulle spalle unisce le due figure femminili, che possono esser vedute da ogni lato.
C) Pittura. - I palazzi avevano affreschi dipinti (Micene, Pylos, Tirinto, Orchomenos, Gla, Tebe): ne rimangono solo scarsi e piccoli frammenti e dobbiamo giudicarli in base alle ricostruzioni. Appartengono in parte all'ultima fase dei palazzi (XIII sec. a. C.), in parte sono una delle rare testimonianze della esistenza di palazzi nel XV e XIV sec. a. C. La tecnica usata fu quella minoica; i motivi derivano spesso dalla pittura di Creta. Non furono trovati affreschi dell'indirizzo naturalistico, benché alcuni frammenti appartengano al periodo di massima influenza minoica sul continente. Troviamo invece gli affreschi a figure umane, il Toreador, le donne alla finestra che assistono ad uno spettacolo, le processioni, ecc. Nell'ultima fase dei palazzi (XIII sec.) furono dipinte processioni simili a quelle del corridoio N-O di Cnosso (Tirinto), ma anche scene sconosciute a Creta, come la caccia al cinghiale in un terreno paludoso (una scena simile in Egitto, su un frammento di pietra, è un modello di una bottega di pittore); carri con figure in lunga tunica; cavalli e uomini armati con elmo e lancia; cervi e lepri. I cervi ricordano quelli di un affresco del Tardo-Minoico III di Haghìa Triada (Creta), i quali non possono aver influito su Tirinto, perché già distrutti. Uno degli affreschi nel mègaron di Pylos, con grifi e leoni (?), ricorda i grifi della Sala del Trono a Cnosso. Forse la somiglianza dipende dal fatto che i rari frammenti dell'affresco di Pylos furono ricostruiti tenendo presente la pittura di Cnosso. A Pylos alcuni affreschi sono indipendenti dalla pittura minoica, per esempio, nel mègaron, l'uomo seduto che suona la lyra a cinque corde. Nella sala di S-O una lotta fra guerrieri, con uomini che precipitano dall'alto (?), ripete forse la scena di un rhytòn di Micene.
I palazzi del continente ebbero pavimenti in stucco dipinto, divisi in quadrati da linee incise (Pylos) o dipinte. Ciascun quadrato era decorato o con motivi puramente ornamentali e geometrici (Pylos, ma il quadrato davanti al trono aveva un polipo; vestibolo e corte di Micene e bordo del mègaron), o con motivi figurati (polipi e due delfini alternati, Tirinto). La ricerca di simmetria, evidente in questi pavimenti non esiste, o è molto attenuata, nell'unico pavimento dipinto trovato a Creta (Haghìa Triada).
D) Ceramica. - La ceramica cicladica - soprattutto quella dell'isola di Milo; in minor grado quella di Thera; le altre isole ebbero scarsi rapporti con Creta - sentì molto l'influenza minoica. Nel Cicladico Medio Milo ((Filakopì) importò ceramica di Kamàres, perciò non meraviglia che questa ceramica abbia influito sul contemporaneo "stile curvilineo", del secondo periodo di Filakopì. Benché derivati dal Kamàres, i vasi dello "stile curvilineo" hanno la decorazione dipinta in vernice opaca bruna sul fondo chiaro. Un gruppo di vasi fu detto "nero e rosso", dai campi circolari rossi limitati da un cerchio nero, uniti ad altri elementi e trasformati anche in motivi vegetali o animali. La dipendenza da Creta non implica la rinunzia alla libertà decorativa, anzi i motivi si stendono sul vaso nel modo più impensato, fantastico e piacevole. La fantasia e l'abilità con cui il ceramista ha trasformato un cerchio in un fiore, o in una testa demoniaca, o in un uccello, o ha steso sulla spalla del vaso un animale non classificabile, è sorprendente. Ceramica dello stile "nero e rosso" fu esportata a Cnosso, a Thera, a Micene. Nel Tardo-Cicladico I e II Filakopì dipese completamente dai modelli minoici, che influirono anche a Delo e Thera. Dopo il 1400 a. C. le Cicladi dipesero soprattutto dal continente greco.
La ceramica detta elladica (o micenea), cioè quella del continente greco, è ottima per tecnica. I vasi sono fatti alla ruota, proporzionati; l'argilla è giallo-grezza, la vernice è lucida e va dal rosso-arancio al nero-bruno. La decorazione mostra il graduale passaggio dai motivi naturalistici (L H I-L H II), ereditati dalla ceramica minoica, a quelli astratti del Tardo-Elladico III. La ceramica del Tardo-Elladico I e II ha evidenti rapporti con i contemporanei vasi minoici (M T I e II). Ne furono imitati i motivi (vegetali, a pietre variegate, linee ondulate verticali parallele, doppia ascia, ecc.) ma il repertorio elladico fu più limitato: si scelsero di preferenza i motivi più astratti, come la spirale e la doppia ascia. I motivi floreali, che ebbero tanta fortuna a Creta, sono rari; anche la doppia ascia fu trasformata secondo il gusto locale. I vasi del Tardo-Elladico I furono trovati insieme alla caratteristica ceramica locale medio-elladica, cioè ai vasi minî e quelli a decorazione opaca, in alcuni casi erano anche insieme a quelli del Tardo-Elladico II a. I motivi dei vasi del Tardo-Elladico II a derivano dai vasi minoici del Tardo-Minoico I b, ma alcuni motivi - papiro, edera, ogival canopy - hanno avuto maggior sviluppo sul continente che a Creta. Le fabbriche elladiche hanno imitato così bene i prodotti minoici che per molto tempo non si è saputo distinguere fra i prodotti importati e quelli imitati. L'Evans poté così supporre che i Minoici avessero conquistato il continente. In realtà il linguaggio stilistico è diverso (Furumark, Banti), e sono diverse le forme e le proporzioni dei vasi. Per quanto vicinissimi a quelli minoici, i vasi del Tardo-Elladico II non possono essere opera di un ceramista minoico. La brocca a falso collo di Egina, col polipo, ricorda i vasi di Gurnià e Palekastro, ma il polipo è rigido e le ventose non hanno il punto centrale. Un'anfora da Micene con foglie pendule e festoni; i vasi del continente con motivi marini hanno un rapporto fra i valori decorativi che non è più quello minoico. Nella ceramica della fine di questo periodo, contemporanea allo "stile del Palazzo", i motivi minoici furono maggiormente modificati e furono uniti secondo una nuova sintassi: manca la chiara percezione del valore di ciascun motivo. Alla ceramica del Tardo-Elladico II sono da ascriversi le brocche e i calici a piede, detti "efirei", trovati a Korakù presso Corinto, a Tirinto, Argo e Micene e imitati a Cnosso e altrove. Sono decorati con un unico grande motivo, isolato e molto caratteristico: giglio, argonauta a tre tentacoli, margherita, ecc. Il Blegen li crede fabbricati nelle vicinanze di Corinto, l'Evans a Cnosso. All'inizio del XIV sec. a. C. le fabbriche micenee ebbero forte sviluppo. Alcune nuove forme vennero importate da Creta (anfora a falso collo, fiasca globulare). La decorazione del Tardo-Elladico III a senti ancora l'influenza della ceramica del Tardo-Minoico III, ma i motivi decorativi, numerosi all'inizio del periodo, andarono man mano riducendosi a pochi motivi floreali, marini e ornamentali, i quali divennero sempre più lineari: il polipo, per esempio, ebbe minor numero di tentacoli e la conchiglia divenne equivalente ad un ornato floreale. La tecnica si perfezionò; le fabbriche elladiche esportarono i loro prodotti in tutto il Mediterraneo. Il Tardo-Elladico III a fu il periodo più brillante per l'espansione del commercio elladico, tanto verso oriente che verso occidente. E il periodo della koinè micenea quando le differenze regionali furono minori; questo mostra che i contatti fra i centri del Mediterraneo erano frequenti. Sul continente, Micene fu uno dei centri principali; le è stata attribuita la fabbrica di Berbati (v. sopra: Case). In Cipro, nella seconda metà del XIV sec., fu attiva secondo l'opinione di molti (il più recente assertore è lo Stubbings), una fabbrica che dipinse specialmente dei crateri, i quali furono trovati solo raramente altrove (in Grecia: a Berbati, Corinto, Argo, Micene, Atene; frammenti occasionali in Siria; a Taranto; alcuni esemplari a Rodi, uno dei quali è forse una imitazione). Altri studiosi invece pensano che la fabbrica abbia avuto inizio sul continente (Immerwahr), nelle vicinanze di Micene, nella fabbrica ceramica di Berbati dove - come mostrano gli scarti trovati - sono stati dipinti alcuni fra i vasi più antichi. A Cipro sarebbe stata una seconda fabbrica che imitò questi vasi e li continuò anche nel Tardo-Elladico III b. Fu notato che questi vasi, detti levanto-elladici, o levanto-micenei, dipendono nel periodo più antico dalla pittura parietale (carri con auriga e figure che precedono o seguono; gruppi affrontati, serie di uomini, di lottatori). Nel Tardo-Elladico III b fu usato di preferenza il cratere privo di collo e, come soggetti, bovi, uccelli, sfingi, cervi, pesci. Questi crateri sono gli unici che mostrano sufficiente individualità da permettere di attribuire alcuni vasi ad una stessa mano (Pittore A; Pittore B; Pittore della Protome A; Pittore della Protome B; e alcuni altri). Furono attribuiti a Cipro anche tardi vasi che per la rozzezza della lavorazione furono detti "stile rozzo" (Rude Style). Una delle forme preferite a Cipro fu la fiasca schiacciata (pilgrim flask). A Rodi, il numero e la distribuzione della ceramica del Tardo-Elladico III mostra che vi furono fabbriche locali, che decorarono di preferenza anfore a falso collo e köhkes a piede, due forme che continuarono a Rodi fino al XII sec. a. C. La ceramica rodia ha molto in comune con quella della Siria e della Palestina: la troviamo esportata a Tell el-῾Amārnah, in Egitto, nella prima metà del XIV sec., e in Italia allo Scoglio del Tonno (Taranto).
Nel Tardo-Elladico III b (sec. XIII a. C.) continuarono i vecchi motivi dell'età precedente, ma elaborati con l'aggiunta di nuovi particolari. Si ricercò la simmetria: nel polipo, per esempio, si sottolineò il corpo, considerato come una linea centrale verticale; i tentacoli stilizzati divennero un motivo di riempimento. Si sviluppò la composizione a metopa. A questo periodo appartiene la ceramica trovata nella "bottega di vasaio" a Zyguries. L' ultima fase della ceramica elladica, il Tardo-Elladico III c, è meno uniforme dei periodi precedenti. Vi sono due tendenze, la massima semplificazione e la massima astrazione. La semplificazione è evidente nello Stile del Granaio (Granary Style), il cui nome deriva da un edificio vicino alla Porta dei Leoni a Micene (v.), distrutto quando fiorivano i vasi di questo stile e quelli del cosiddetto Stile Serrato (Close Style). Nello Stile del Granaio furono pochi gli elementi decorativi usati, semplicissimi, separati da linee o liste orizzontali; uno dei più frequenti fu la linea ondulata. Non furon decorate anfore a falso collo, che furono invece il vaso preferito dello Stile Serrato. Questo spinse l'astrazione al limite estremo, ma seppe infondere vita in motivi moribondi, trasformandoli, anzi deformandoli, in formule decorative, intrecciandoli e avvolgendoli in modo da formare un tutto coerente. Un motivo preferito fu il polipo che non ha più niente di naturalistico, ma che dette origine a motivi spiraliformi, uniti da linee serrate che quasi non lasciano uno spazio privo di decorazione, oppure a eleganti festoni che si sviluppano ai due lati del corpo, dove gli occhi si sono trasformati in spirali. Due anfore a falso collo da Peratì (Attica) hanno motivi nuovi - un cavallo; un uomo (o scimmia?) che cammina a quattro zampe - molto diversi da quelli usuali stilizzati. Nel Tardo-Elladico III c furono dipinti crateri a fregio figurato, fra questi è il conosciutissimo Vaso dei Guerrieri, trovato dallo Schliemann in una casa di Micene. La ceramica del Tardo-Elladico III c segna la fine del mondo minoico-miceneo. Nelle isole si formarono stili ceramici locali che differivano tra loro in modo più pronunziato. La ceramica cipriota, detta "submicenea" da alcuni, è stata studiata dal Furumark, che le ha dato il nome "tardo Cipriota III decorato". In Palestina la ceramica "filistea" (v.) deriva da quella del Tardo-Elladico III c. In Siria e in Anatolia, a Cipro, Rodi, Creta, alcuni motivi del Tardo-Elladico III continuarono fino al I millennio a. C. e passarono di nuovo in Grecia nella seconda metà dell'VIlI sec. a. C.
D) Artigianato. - Vasi in lamina di bronzo - anfore, brocche, tazze - belli come linea, rivelano la difficoltà del bronzista nel riunire le lamine, necessitate dalle dimensioni del vaso. Ve ne sono alcuni, per esempio quelli della thòlos di Tragana (Messenia), che sono provinciali per forma e lavorazione.
L'avorio fu frequentemente usato per decorazione di pissidi, manici di specchio, pettini, oggetti da toletta, che sono frequenti nei ricchi corredi funebri, ma spesso molto rovinati. L'avorio usato in Grecia venne probabilmente dalla Siria. Oggetti in avorio, specialinente nel Tardo-Elladico III, hanno molta uniformità di tecnica e di motivi in tutto il Mediterraneo orientale. Però non è ammissibile che provengano da una stessa località: vi dovevano essere officine in Siria, Egitto, Cipro e anche in Grecia. I motivi decorativi ebbero carattere speciale: furono motivi di origine orientale - gruppi di animali, leoni, sfingi, grifi, fiori di loto, capre - o derivati dalla tradizione ceramica (nautili, delfini, edera, gigli, spirali, scudi a otto), o architettonici (triglifi, modellini di colonne); è frequente anche la figura umana.
Il maggior numero di avorî ed i più belli vengono da Micene e sono in parte, specialmente i più antichi, di tradizione minoica: è interessante una pisside d'avorio con due uomini, simili nel gesto e nella pesante corona di gigli al Principe-Sacerdote di Cnosso (v. § II, B), seguiti ciascuno da una sfinge. Molto belli due manici di specchio, prodotto di una stessa bottega, con geni seduti: sono gli avorî che più si avvicinano per qualità al bel gruppo ricordato sopra (§ III, B). Bella è una pisside di una tomba di Atene (circa 1350 a. C.) con leoni, grifi e cerbiatti. Molti avorî furono trovati a Delo.
L'industria dei vasi di pietra fu meno fiorente che a Creta. L'anatra di cristallo di rocca, dalla tomba Omicron del Circolo B a Micene, è probabilmente una importazione dall'Egitto, dove furono trovati vasetti simili.
Oreficeria. - Benché quasi sempre derubate, le tombe a fossa e le thòloi del XVI e XV sec. a. C. ci hanno restituito dei tesori di oreficeria, studiati dal Karo: maschere, diademi, collane, coppe e rhytà di varie forme, orecchini, braccialetti, foglie d'oro per ornamento delle vesti, pugnali, sigilli, recipienti, in varie tecniche (sbalzo, incisione, agemina, niello) e di materiale svariato (argento, oro, elettro, faïence, avorio). Gli studiosi sono divisi riguardo all'origine di questa oreficeria e al luogo di produzione. Alcuni hanno affermato che fu eseguita a Creta, perché i motivi decorativi sono minoici e solo i Minoici avevano la capacità tecnica necessaria. Altri invece fanno osservare che oreficerie simili non esistono a Creta, dove i corredi funebri sono più semplici, che alcuni motivi non sono minoici e che quelli minoici hanno subito una trasformazione. Così su una delle famose tazze d'oro di Vafiò, quella con i tori infuriati, si trova, è vero, il motivo del toro e degli acrobati conosciuto da affreschi di Cnosso, da rilievi, sigilli e cretule, ma vi è trattato in maniera diversa, perché il toro ha realisticamente infilato con le corna l'uomo che gli ha dato la caccia. L'assedio sul rhytòn di Micene è motivo sconosciuto a Creta, come lo è la fila di teste maschili barbate, eseguite ad agemina (Micene; una identica da Pylos), o le teste di tori frontali sulle tazze di Dendra e di Enkomi. Non è verosimile, anzi, che la tazza di Enkomi venga da Creta: a Cipro, l'importazione minoica era cessata nel XIV sec. a. C. e le si era sostituita quella del continente, perciò la coppa sarà arrivata dal continente. Una risposta sicura è, per ora, impossibile. Lasciano perplessi anche i pugnali e spade, decorati ad agemina e niello, delle fosse IV e V di Micene, di Vafiò, di Myrsinochorion presso Pylos, di Katarraktis (Laconia). Esistono spade e pugnali a Creta (v. sopra ) ma sono diversi, anche quando sono cronologicamente vicini a quelli greci. Pugnali simili sono stati trovati in Egitto, non a Creta, ed i motivi di alcuni pugnali micenei non sono minoici (cavallo, fiume, uccelli acquatici e gatto). Solo i pugnali con gigli (Micene), argonauti (Myrsinochorion), delfini (Katarraktis) potrebbero per il motivo essere cretesi. Alcuni motivi di questa oreficeria principesca, la cui datazione rimane incerta, si ritrovano su oreficerie delle tombe di Enkomi a Cipro: un diadema e una lamina aurea, trovati in una tomba ripetono il motivo delle teste maschili barbate, in profilo, della tazza di Dendra; un nastro aureo ha una serie di scudi, come una tazza d'argento di Katarraktis.
Dalle tombe reali vengono anelli-sigillo d'oro, forse i più belli che conosciamo. Hanno scene complesse di lotta, o di culto. Un anello dell'agorà di Atene è stato interpretato come raffigurazione di un mito greco (Minotauro e fanciulle ateniesi? Hermes psychopompòs?), ma l'interpretazione non convince. Gli anelli d'oro del cosiddetto Tesoro di Thisbe sono una grossolana falsificazione. Sigilli e pietre incise sono spesso eccellenti per tecnica e composizione: un cilindro di ametista da Guvalari (circa 1500 a. C.) col duello di due guerrieri, ognuno armato di due spade è notevole per come il motivo è stato adattato alla forma del sigillo. La thòlos di Myrsinochorion, dove erano i due pugnali ad agemina, ha dato bei sigilli in oro e pietre intagliate. Dalla thòlos di Tragara, in Messenia, viene un diaspro inciso con due capre araldiche ai lati di un elemento vegetale.
Pezzo unico, credo, è la ametista incisa (lunghezza m 0,009) con testa di uomo barbato, trovata nella tomba Gamma del Circolo B di Micene. Gli zigomi alti, l'occhio vivace, le labbra sporgenti, il ricciolo ribelle sulla fronte, i capelli lunghi, danno una impronta individuale così forte, che è naturale pensare ad un ritratto. Ma un ritratto nel XVII-XVI sec. a. C. sembra improbabile. Il confronto più immediato è con due cretule ed una pietra incisa del primo palazzo di Cnosso: anche per queste è stato parlato di ritratto.
Gli elmi fatti con denti di cinghiale, conosciuti a Creta e sul continente da rilievi, avorî, sigilli e cretule, e da laminette di denti di cinghiale nelle tombe, sono produzione della Grecia continentale, non di Creta.
E) Diffusione della civiltà minoico-micenea. - Rapporti commerciali nel Mediterraneo all'inizio dell'Età del Bronzo non sono accettati da tutti gli studiosi. Quelli con la Spagna (Blance) non convincono. All'inizio dell'età prepalaziale Creta era in stretti rapporti con le Cicladi. L'ipotesi dell'Åberg, che vi fossero colonie cicladiche a Creta (Pyrgos, Krasi) non è sostenibile (Pendlebury, Levi). La Creta meridionale derivò dalle Cicladi idoletti, vasi di steatite incisi, forme ceramiche; la Creta orientale ne prese la decorazione a spirale. I rapporti con l'Egitto in età prepalaziale (imitazioni di vasi di pietra, di tavolette in pietra nella Messarà, sigilli, forse le figurine delle thòloi) si limitarono, o quasi, alla regione dominata da Cnosso e da Festo. I rapporti con l'Anatolia furono sottolineati da Evans, Pendlebury, Levi: l'Evans vide in Anatolia l'origine di culti minoici, delle tauromachie, e pensò a possibili emigrazioni. Gli scavi recenti di Beycesultan (v.), nella valle del Meandro, sembrano confermare i rapporti di culto. Quelli architettonici (Lawrence) sono meno convincenti. I rapporti con la Siria furono studiati dall'Evans, dal Frankfort, dallo Schaeffer. Nell'età dei primi palazzi (MM), ebbero inizio l'esportazione di prodotti minoici e le varie imitazioni locali. Gli scambî con l'isola di Milo furono frequenti, ma forse limitati a Cnosso: a Filakopì (Milo) furon trovati vasi di Kamàres e loro imitazioni; vasi cicladici erano forse nella Casa del Toro Sacrificato e sicuramente nei Temple Repositories di Cnosso. Influsso minoico si deve riconoscere nella pittura murale della seconda città di Filakopì. È probabile che Creta importasse da Milo l'ossidiana. A Rodi è stata supposta l'esistenza di una colonia minoica a Trianda, nel M M III; di uguale età sarebbe la ceramica medio-minoica di Mileto. Cipro ha dato due vasi medio-minoici; scarsa ceramica di Kamàres fu trovata in Egitto e oggetti egiziani a Cnosso. In Siria, la ceramica di Tell Açana e Nuzi non è minoica; frammenti minoici sarebbero stati trovati a Rās Shamrah, Biblo, Qaṭna. È stato ripetutamente sottolineato che i rapporti fra Creta e il continente greco furono rari nell'età dei primi palazzi: un frammento di ceramica minia fu trovato a Cnosso; rari vasi medio-minoici, o imitazioni, a Asine, Egina, Citera, e, alla fine di questo periodo, forse a Tirinto; un frammento à la barbotine è stato riconosciuto a Haghios Stefanos (Laconia). Il continente ha conosciuto e imitato i prodotti minoici, ma nella maggior parte dei casi è incerto se l'imitazione sia diretta, o attraverso le Cicladi, che avevano rapporti commerciali frequenti con Creta, con il continente (Tessaglia, Beozia, Peloponneso, Attica) e con il Mediterraneo orientale (Cipro, Rodi, Mileto). Non sembra che Creta si sia interessata molto del Mediterraneo occidentale: in Italia rari frammenti di ceramica minoica (del Tardo-Minoico I) furono trovati alle Isole Lipari, ciò che spiega l'uso che a Creta si fece della liparite. Nel Tardo-Minoico, all'epoca dei secondi palazzi, Creta fu in rapporti con l'Egitto (vasi di pietra a Cnosso; sigilli; pitture egiziane con i Keftiu?) ma la ceramica di questa epoca, trovata in Egitto, non è minoica (Evans, Pendlebury) ma elladica (Wace, Blegen). In Siria fu attribuita all'influsso di Creta l'architettura di alcune tombe; un vaso d'argento con iscrizione in lineare B sarebbe una importazione minoica (Schaeffer); ambedue possono attribuirsi anche alla Grecia continentale. Ma Creta nel XVI e XV secolo fu soprattutto in rapporto con il continente, dove ceramica, oreficerie, architettura, pittura furono influenzate dall'arte minoica al punto che alcuni pensarono a una conquista minoica della Grecia (Evans, Pendlebury, Platon, Alexiou) ed altri, invece (Blegen, Wace, Kantor, Stubbings) a una conquista greca di Creta. Questo periodo di influenza cretese si rispecchia nelle ricchissime tombe dei Circoli A e B di Micene e nelle thòloi.
Gli studiosi si sono posti un problema: come mai la Grecia continentale, dopo la povertà delle tombe medio-elladiche, abbia, a partire dal XVI sec. a. C., i favolosi tesori trovati dallo Schliemann a Micene, dal Persson a Dendra, tesori che devono esser supposti per numerose altre tombe depredate, a fossa e a thòlos. Le spiegazioni date sono due: le oreficerie trovate sarebbero minoiche e i Micenei le avrebbero rubate; oppure i Micenei avrebbero ricevuto l'oro dagli Egiziani - ricchezze come quelle del continente si trovano solo nelle tombe reali di Egitto - in compenso dell'aiuto dato contro gli Hyksos (Persson, Marinatos, Mylonas). Nessuna delle due ipotesi è dimostrabile. I Minoici erano ricchi, ma non avevano le ricchezze sterminate degli Egiziani e dei Micenei.
Con la caduta di Cnosso, intorno al 1400 a. C. (per Palmer e Blegen circa il 1200 a. C.) il continente - soprattutto Micene - sostituì la propria egemonia a quella minoica. Nel Mediterraneo centrale, alle Isole Lipari, i rapporti con i Micenei erano cominciati alla fine del Medio-Elladico; furono frequenti nel Tardo-Elladico I e II, scarsi nel Tardo-Elladico III. La spiegazione, per il Taylour, sarebbe che, distrutta la supremazia di Creta a Milo, dove i Minoici si rifornivano di ossidiana, i Micenei non ebbero più bisogno di andar a cercare l'ossidiana in Italia. Nei centri della Sicilia e dell'Italia meridionale, dove fu trovata ceramica elladica - Ischia è il più settentrionale - i rapporti cominciarono nel Tardo-Elladico III a, cioè quando incominciarono in tutto il Mediterraneo. Non sembra che i Micenei siano arrivati oltre Malta e Ischia. L'ambra baltica delle tombe elladiche e i vaghi micenei di faïence dell'Europa centrale saranno dovuti a scambî commerciali.
L'espansione micenea nel Mediterraneo orientale, a partire dal 1400 a. C., è provata soprattutto dalla ceramica. Altri oggetti sono rari, o perché deperibili - oggetti in legno, stoffe - o perché non sappiamo ancora riconoscere quanto è importato. Nell'isola di Milo, la seconda città di Filakopî era sotto l'influsso, forse la dominazione, di Creta; la terza città, costruita nel XIV sec. sulle rovine della precedente ha il mègaron di tipo continentale e ceramica elladica. A Rodi, il piccolo centro di Trianda nacque come emporio minoico e con ceramica di uso domestico o dipinta del Tardo-Minoico I. In un secondo momento, accanto ai vasi minoici, apparvero vasi micenei (Tardo-Elladico III a), fabbricati a Rodi stessa. Poi, probabilmente dopo la caduta di Cnosso, la ceramica minoica cessò, Trianda fu abbandonata. Ma tutta l'isola passò sotto l'influsso culturale, artistico, forse politico del continente greco. La ceramica fu prodotta localmente fino dal Tardo-Elladico III a ed ebbe forme e motivi locali, che si inquadrano in quelli della koinè micenea. Le tombe a camera furono simili a quelle della Grecia continentale. Il centro allo Scoglio del Tonno, presso Taranto (Italia), fu, per alcuni, un insediamento rodio. A Cipro l'influenza micenea sembra più recente e meno profonda: nella decorazione dei vasi la corrente decorativa locale e gli influssi della costa asiatica controbilanciarono quelli della ceramica del Tardo-Elladico III; l'architettura delle tombe rimase indipendente da quella elladica. A giudicare dalla facies archeologica non sembrerebbe che l'isola abbia avuto vere colonie greche. Enkomi e Kurion, dove fu trovata ceramica del Tardo-Elladico III in maggiore quantità, furono forse sede di emporî commerciali, nei quali si scambiavano i prodotti locali con la merce portata dai Micenei. A Mileto, sulla costa dell'Asia Minore, gradatamente la ceramica elladica sembra essersi sostituita a quella minoica; nel XIV sec. vi troviamo un centro fortificato con ceramica micenea. Rimane incerto se, come alcuni affermano sulla base di Eforo (Fr. Hist. Gr., 70 F 127), Mileto sia stata un centro prima minoico, poi miceneo, o se la ceramica sia dovuta a importazione. Uguale dubbio rimane per i numerosi centri dell'Anatolia, Siria, Palestina, sulla costa e nell'interno, in cui fu trovata ceramica micenea. Tutta questa zona costiera risentì l'influsso miceneo, non direttamente, ma soprattutto attraverso Rodi e Cipro. In Siria e in Palestina i vasi micenei arrivarono solo nel Tardo-Elladico III b, ma assai prima la Siria inviò - forse non direttamente - l'avorio grezzo o intagliato in Grecia, Rodi e Cipro. Anche alcuni bronzetti (Tirinto, Micene) e cilindri (Micene, Argo) arrivarono dalla Siria. Dalla Palestina e Siria vennero alcune anfore ad Atene, Micene, Menidi. In Egitto, la ceramica elladica, limitata nel Tardo-Elladico II a pochi esemplari, fu numerosa a Tell el-῾Amārnah (1370-1350 a. C.); la ceramica di questo centro, così importante per la cronologia minoico-micenea, è della fine del Tardo-Elladico III a e fu importata da Rodi e, in parte, da Cipro (Petrie, Stubbings). Poche altre località egiziane hanno dato vasi micenei.
Durante il XIII sec. (Tardo Elladico III b) si preparò la caduta del mondo miceneo. È uno dei periodi più oscuri della storia del Mediterraneo, reso ancora più oscuro dalle notizie storiche o leggendarie sulle migrazioni di popoli in Asia e nel mondo egeo. Cessarono probabilinente i frequenti contatti dell'Asia e delle isole con il continente greco: le varie regioni, non più strettamente unite ai grandi centri artistici micenei, iniziarono verso la fine del XIII sec. numerosi stili locali e reagirono contro la uniformità stilistica. Fu la fine dell'arte micenea e l'inizio di quel regionalismo artistico che fu caratteristico della Grecia.
Bibl.: Il numero delle pubblicazioni è notevole, perciò non sono elencate qui le più antiche, menzionate nei libri e articoli più recenti. - Repertorî bibliografici: abbondante bibliografia in Mau-Mercklin, Katalog d. Bibl. d. K. deutschen arch. Instituts in Rom, Roma 1914, e Supplement (1911-1925), Berlino 1930. Dal 1925 si consulti la Archäologische Bibliographie, pubblicata annualmente nello Jahrbuch. Per gli scavi si vedano i rendiconti annuali in Arch. Anz.; Bull. Corr. Hell.; Journ. Hell. Stud.; Am. Journ. Arch.; Κρθτικα Χρονικα (quasi completamente dedicato alla antica Creta); Fasti Arch. (riassunto di scavi, studî e articoli); Anatolian studies; Syria; Το Ερηον τθς Αρχαιολ. Εταιρειας. Il periodico Archaeology ha dedicato il primo fascicolo dell'annata XIII, 1960, alla civiltà micenea. Nel i° Congresso Internazionale Cretologico a Iraklion (Creta), 22-28 sett. 1961, furono trattati unicamente temi riguardanti il mondo minoico-miceneo. Numerosi studî, che non sono elencati singolarmente, sono pubblicati in Minoica, Festschrift Sundwall, Berlino 1958 e in The Aegean and the Near East. Studies presented to Hetty Goldman, New York 1956. - Raccolte di riproduzioni: O. Montelius, La Grèce préclassique2, 2 voll., Stoccolma 1928; Th. Bossert, Altkreta3, Berlino 1937; Ch. Zervos, l'Art de la Crète néolithique et minoenne, Parigi 1956; id., L'Art des Cyclades, Parigi 1957; Sp. Marinatos, Kreta und das mykenische Hellas, Monaco 1959. - Cronologia: A. J. Evans, Essai de classification des époques de la civilisation minoenne, Londra 1906; R. W. Hutchinson, Notes on Minoan Chronology, in Antiquity, XXII, 1948, p. 61 ss.; id., Minoan Chronology Reviewed, in Antiquity, XXVIII, 1954, p. 155 ss.; Cl. Schaeffer, Stratigraphie comparée et chronologie de l'Asie occidentale, Londra 1948; F. Matz, Zur aegaeischen Chronol. d. frühen Bronzezeit, in Historia, I, 1950, p. 173 ss.; J. Bérard, Recherches sur la chronologie de l'époque mycénienne, Mém. Acad. inscript. Belles-Lettres, 15, 1950; St. Alexiou, Νεα στοιχεια δια τθν υστεραν αιηαιλκθ χρονολοηιαν και ιστοριαν, in Κρθτικα Χροινικα, VI, 1952, p. 9 ss.; A. J. B. Wace, in Gnomon, XXVI, 1955, p. 525 ss.; id., The Chronology of LH III B, in Ann. Br. Sch. Athens, LII, 1957, p. 220 ss.; J. Mellaart, Anatolian Chronology in the Early and Middle bronze Age, in Anatolian studies, VII, 1957, p. 55 ss.; D. Levi, Classificazione della civiltà minoica, in La Parola del Passato, 1960, p. 81 ss.; P. E. Pecorella, Sulla data della distruzione di Alalakh, in Atti Accad. Colombaria, 1960. È in pubblicazione uno studio di P. Åström, Remarks on Middle Chronology. Per la datazione delle tavolette iscritte di Cnosso: Antiquity, XXXV, 1961, p. 4 ss.; 135 ss.; 233 ss.; 308 ss. (S. Hood; L. R. Palmer; J. Boardman).
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(L. Banti)
Le scritture cretesi-micenee. - La fondamentale importanza che va assumendo il deciframento di alcune scritture cretesi-micenee, rende necessaria una sommaria esposizione dei dati sino ad ora conseguiti, quale base storica, per i problemi delle arti figurative.
1. - Nello studio della civiltà "minoica" e della "micenea" si è compiuto un decisivo progresso nel 1953, con la decifrazione della scrittura "Lineare B", nota da numerose iscrizioni incise su tabelle d'argilla (archivî palatini di Cnosso e di Pilo messenica, archivî privati di Micene) o dipinte su grandi anfore "a falso collo" (Orchomenos, Tebe, Eleusi, Tirinto, Micene).
Nelle due scritture affini "Lineare A" (rappresentata solo a Creta) e "Lineare B" era stato riconosciuto da tempo, accanto ad una serie di ideogrammi, un sistema sillabico analogo a quello della scrittura epicoria di Cipro (anch'essa di origine minoica); un sistema cioè, nel quale ciascun segno indica una sillaba "aperta": o una vocale isolata, o un suono consonantico seguito da uno vocalico. Ma i più degli studiosi consideravano i due tipi di scrittura come due varianti di un medesimo sistema grafico, e ritenevano redatti nella medesima lingua - la "minoica" - i testi cretesi e quelli del continente greco. Questa opinione si accordava con una tesi a cui l'autorità dello Evans aveva dato largo credito: che Creta "minoica" avesse esercitato una profonda influenza culturale, se non anche una egemonia politica, sul mondo egeo e in particolare sulla penisola greca, fino all'invasione achea di Creta; al quale evento veniva attribuita la distruzione del Palazzo di Cnosso, datata intorno al 1400 a. C. Tuttavia le ricerche di Alice Kober e dell'editore delle tabelle di Pilo, E. L. Bennett, dal quale era stato anche composto un prezioso Index dei gruppi di segni (parole) delle epigrafi in Lineare B, avevano messo in luce differenze non puramente grafiche tra la lineare B e la A; e l'archeologo A. J. B. Wace, presto seguito da W. Blegen, aveva vigorosamente reagito all'opinione dominante, sostenendo che l'ultima fase del Palazzo di Cnosso attestava piuttosto un'intensa influenza del continente "miceneo" - e dunque della cultura achea - su Creta. Inoltre, con la pubblicazione delle epigrafi, per la massima parte inedite, di Pilo (1951) e di Cnosso (1952) si offriva una più ricca materia d'esperimento ai decifratori.
2. - Lo "Champollion di Creta" è stato un geniale architetto londinese, Michael Ventris, che dopo varî infruttuosi tentativi di decifrazione pervenne nel 1952 alla conclusione che le iscrizioni in Lineare B erano redatte in greco: conclusione inattesa, che a lui stesso parve poco valida, ma che divenne sempre più evidente e sicura. Così nel 1953 il Ventris, con la collaborazione del filologo classico John Chadwick di Cambridge, pubblicò nel Journal of Hellenic Studies una nitida e suggestiva memoria dal titolo: Evidence for Greek Dialect in Mycenaean Archives. Poco dopo il Blegen rese nota una tabella di Pilo con un inventano di vasi di varia forma, ove le indicazioni in Lineare B che precedono gli ideogrammi, lette secondo i valori del sillabario ricostruito dal Ventris, coincidono con le figure a cui si riferiscono: per esempio, a ti-ri-po-de τρίποδε (duale) corrisponde l'ideogramma di un tripode seguito dalla cifra "2"; a di-pa qe-to-ro-we δέπας τετρῶ???SIM-30???ες "a quattro orecchie" corrisponde l'ideogramma di un vaso a quattro anse; a di-pa ti-ri-jo-we δ. τριῶ???SIM-30???ες un vaso a tre anse; a d. a-nowe ἀνῶες un vaso senza anse. Questo documento (a cui si sono aggiunti altri analoghi, come la tabella cnossia elencante i-qo ἵπποι, o-no ὄνοι, po-ro πῶλοι, con i rispettivi ideogrannni di cavallo, asino, puledro) ha dissipato le incertezze di molti circa la validità della decifrazione del Ventris; ma è giusto rilevare che essa risultava evidente fin dalla pubblicazione della citata memoria, per l'ovvia impossibilità di attribuire al caso la presenza di tanti termini e nomi tipicamente greci, chiaramente riconoscibili pur attraverso l'imprecisa ed approssimativa grafia sillabica: valga l'esempio di un nome personale come a-re-ku-tu-ru-wo e-te-wo-ke-re-we-jo ᾿Αλεκτρύ???SIM-30???ων ᾿Ετε???SIM-30???οκλε???SIM-30???ήιος (cfr. l'hittita Ta-wa-ga-la-wa ᾿Ετε???SIM-30???οκλέ???SIM-30???ης), di appellativi e verbi ricorrenti in varie forme della loro flessione: di-pte-ra-po-ro διϕϑεραϕόρος (forse designazione di scriba), wa-na-ka ???SIM-30???άναξ, wa-na-ka-to ???SIM-30???άνακτος, wa-na-ka-te ???SIM-30???ανάκτει, qa-si-re-u βασιλεύς, qa-si-re-we βασιλῆ???SIM-30???ες, ka-ke-u χαλκεύς, ka-ke-we χαλκῆ???SIM-30???ες, ka-ke-u-si χαλκεῦσι, wo-ze ???SIM-30???όρζει (= ῥέζει), wo-ze-e ???SIM-30???όρζεεν (inf.), wo-zo ???SIM-30???όρζων, wo-zo-te ???SIM-30???όρζοντες, wo-zo-me-na ???SIM-30???ορζόμενα; di frasi come ke-ro-wo po-me a-si-ja-ti-ja o-pi ta-ra-ma-ta-o qe-to-ro-po-pi 0-rome-no K. (nome pers.) ποιμὴν ᾿Ασιατίας (un distretto del regno di Pilo) ὀπὶ Θαλαμάταο τετρόπο(δ)ϕι ὀρόμενος e do-e-ro pa-te ma-te-de di-wi-ja do-e-ra δόελος (= δοῦλος) πατήρ, μάτηρ δὲ Δι???SIM-30???ίας δοέλα; di toponimi, infine come ko-no-so Κνωσσός, pa-i-to Φαιστός, di-ka-ta Δίκτα, a-mi-ni-so ᾿Αμνισός nelle tabelle cnossie, e pu-ro Πύλος, ku-pa-ri-si-jo Κυπαρίσσιοι, ka-ra-do-ro e me-ta-pa (cf. Χαλάδριοι e Μετάπιοι demi dell'Elide) nelle tabelle pilie.
3. - La Lineare B è un adattamento della Lineare A cretese alla lingua degli Achei: vi si trova pertanto qualche segno estraneo al sillabario di A, e alcuni segni di questo non sono adoperati in B. Formato, per una lingua diversa dalla greca, di segni indicanti solo sillabe aperte, il sistema grafico AB non si presta bene a rendere la varietà di suoni del greco e le loro combinazioni: sicché nei testi micenei riesce talvolta difficile e controversa l'identificazione di termini greci, alcuni dei quali son caduti in desuetudine o non sono rappresentati nella superstite tradizione letteraria e documentaria classica. Di pochi segni non è ancora definito sicuramente il valore.
La posizione del "miceneo" tra i dialetti greci è tuttora oggetto di discussione: esso appare specialmente affine all'arcado-cipriota ed al gruppo dei dialetti eolici.
4. - Molta nuova luce su aspetti politici e culturali del mondo miceneo viene dai testi ora leggibili: ma indirettamente, nei più dei casi, perché le tabelle di Cnosso e Pilo sono documenti della ragioneria dei palazzi: inventari di persone e di oggetti e registrazioni di "introiti" ed "esiti", in massima parte; e concernono quindi una limitata sfera della vita degli stati micenei, quella a cui il principe era più direttamente interessato sotto il profilo amministrativo. Sommariamente classificati, i testi comprendono: registrazioni di persone addette ai servizi del palazzo o tenute a prestar lavori, raggruppate per categorie professionali e per località d'origine o di residenza, oppure per famiglie; liste di armati e marinai, censimenti di ovini, bovini, equini, suini e cervi con l'indicazione dei luoghi e dei proprietari (o, per gli allevamenti di proprietà regia, dei pastori); inventari di prodotti dell'agricoltura, di quantità di cereali consegnate come tributo al palazzo o assegnate da questo a dipendenti, di spezie destinate specialmente alla preparazione di olio aromatico per riti sacri; registrazioni di assegnatari di terre amministrate dal palazzo o comunque soggette al controllo regio; registrazioni di tributi di vario genere versati dai singoli distretti del regno; elenchi di offerte rituali a santuari; inventari di tessuti, di vasi, di mobili, di carri e di armi; registri dei bronzieri del regno e delle loro contribuzioni al palazzo.
L'incendio dei palazzi micenei, che ha reso durature le tabelle di creta con le registrazioni amministrative e contabili, ha distrutto i documenti della vita politica e delle relazioni internazionali, scritti probabilmente su materia più preziosa, ma più deperibile, papiro o membrane (διϕϑέραι). Per il loro carattere di notazioni momentanee i testi delle tabelle risalgono a data di poco anteriore a quella della distruzione dei rispettivi palazzi. I testi di Cnosso vanno dunque assegnati agli ultimi mesi di vita del palazzo, verso la fine del sec. XV a. C.; quelle di Pilo sono invece databili alla fine del sec. XIII. Tuttavia i documenti micenei forniscono dati preziosi per la ricerca storica, che doveva finora valersi di dati puramente monumentali e di rari ed imprecisi accenni di fonti orientali coeve. Gli elementi nuovi più importanti concernono l'organizzazione politica e sociale, la vita religiosa ed economica. È superfluo avvertire che, in conseguenza della difficoltà di interpretazione e delle lacune dell'informazione su vari particolari, le opinioni degli studiosi divergono.
5. - Le tabelle di Cnosso dimostrano - confermando la citata tesi del Wace - che nell'ultima parte del sec. XV s'era costituito a Creta un regno acheo che includeva probabilmente tutta l'isola. La conquista achea di Creta deve dunque risalire almeno alla metà del secolo: e questa data viene difatti indicata dalla tomba tebana del visir Rekhimere, della XVIII dinastia, dove le pitture parietali raffiguranti "tributari" egei sono state ritoccate tra il 1470 e il 1450, e i costumi minoici dei Keftiu sono stati sostituiti con costumi micenei.
Le tabelle di Pilo documentano l'esistenza di un regno la cui estensione è tuttora discussa; ma certo esso non includeva più della costa occidentale del Peloponneso, dalla Messenia all'Elide, forse con qualche zona dell'Arcadia occidentale e - sottoposta alla sua egemonia piuttosto che ad un diretto dominio - una parte della costa dell'Acaia. È in ogni caso esclusa l'esistenza di uno stato unitario degli Achei, postulata da alcuni studiosi che vedono in Micene il centro di un vasto impero estendentesi dal Peloponneso alle Sporadi meridionali (il regno di Akhkhiyawā ricordato dai documenti hittiti).
Gli scavi di Micene, Tirinto e Tebe non hanno finora fornito documenti degli archivi palatini, che pure indubbiamente esistevano; e dalle tabelle di archivi privati a Micene non si ottengono dati circa l'estensione di quel regno.
6. - L'organizzazione politica micenea risulta assai diversa da quella che veniva abitualmente delineata in base ai poemi omerici, nei quali si riteneva fosse conservato il ricordo di istituti e situazioni dell'età micenea. Al vertice dello stato era non già un βασιλεύς, ma un ???SIM-30???άναξ; accanto a lui un ra-wa-ke-ta λα???SIM-30???αγέτας condottiero degli armati, capo della nobiltà guerriera (λα???SIM-30???οί). All'uno e all'altro è riservato un te-me-no τέμενος, cioè una porzione di terreno. Il territorio dello stato era diviso in da-mo δᾶμοι; presso ogni damos il wanax era rappresentato da un ko-re-te, κοιρητήρ un governatore militare, coadiuvato da un po-ro-ko-re-te (προκοιρητήρ); incerta è la funzione del da-mo-ko-ro. Non è chiaro se si identifichi con i λαοί il ceto dei possessori di terre, ko-to-no-o-ko κτοινοόχοι (κτοινοῦχοι): il termine ko-to-na (ko-to-i-na nei testi cnossii) κτοίνα "appezzamento di terra" non sopravvive in età classica se non in zona rodia, ove designa circoscrizioni legate a centri di culto gentilicio. Tra i κτοινοόχοι vengono distinti i te-re-ta τελεσταί, che sembrano tenuti a contribuire alle spese per il culto. Nelle tabelle pilie sono citate due specie di ktoinai: ki-ti-me-na κτίμεναι intestate a singoli ktoinoochoi, e ke-ke-me-na (probabilmente κεχησμέναι "rimaste vuote"), amministrate dal damos. Un altro tipo di fondo rustico è indicato col termine ka-ma καμά, e ka-ma-e-u καμαεύς è la designazione del suo possessore o coltivatore. Numerose sono le designazioni di attività artigiane, alcune esercitate anche da donne, e rurali: ceramisti, fulloni, sarti e sarte, tessitrici, cardatrici, muratori, falegnami, carpentieri, unguentarî, pastori, bovari, boscaioli.
Per esigenze militari lavoravano numerosissimi bronzieri, ka-ke-we χαλκῆ???SIM-30???ες, i quali sembrano aver avuto una posizione privilegiata, quale si conosce per altri paesi dell'Oriente classico, per esempio nel regno hittita, ed è giustificata dall'importanza dell'industria metallurgica. Una tabella pilia elenca le quantità di bronzo che i singoli distretti (i damoi) devono fornire già lavorato in forma di cuspidi di frecce e di lance: a questo fine viene adoperato bronzo dei depositi templari, e ciò indica un'eccezionale esigenza di difesa, forse contro l'attacco che segnò poco dopo la fine del regno di Pilo (v. pilo).
A questo attacco - un episodio dell'invasione dorica - sembra anche riferirsi una serie di tabelle pilie ove sono indicati, con le loro dislocazioni, varî contingenti militari imbarcati su navi, per la sorveglianza delle coste; un'altra tabella, scritta dal medesimo scriba, elenca i rematori (e-re-ta ἐρέται) inviati da alcuni luoghi del regno pilio a Pleuron in Etolia, uno dei punti chiave per la difesa della prospiciente costa del Peloponneso e dell'accesso al golfo Criseo.
7. - Cospicua ed importante, anche se limitata nei più dei casi ai soli nomi di dèi e di feste, è la documentazione dei culti. Dato il carattere dei testi, essa è costituita principalmente da registrazioni di offerte ordinarie e straordinarie di prodotti dell'agricoltura (cereali, formaggi, miele) e - ma soltanto a Pilo - di animali. Una serie di tabelle cnossie elenca offerte mensili di olio a varî santuarî, ed attesta l'esistenza di un calendario lunare, dei cui mesi sono in gran parte conservati i nomi (uno, ra-pa-to- Λάπατος, si ritrova nel Calendario d'Orchomenos d'Arcadia). Una analoga serie di tabelle pilie registra offerte di olio aromatizzato. Altre tabelle pilie ricordano offerte (do-so-mo δοσμοί) ai principali dèi e santuari del regno; ed una registra un'offerta di vasi d'oro e di vittime umane: una singolare offerta, fatta forse alla vigilia del decisivo scontro con gli invasori. A Creta si incontrano, accanto a divinità del pantheon acheo, divinità indigene, in parte assimilate a quelle: Zeus Diktaios, Athana Potnia (po-ti-ni-ja), Poseidaon ed Enesidaon (cf. ᾿Εννοσίδας di Pindaro), Erinys, Enyalios (e-nu-wa-ri-jo, poi epiteto di Ares), Paiaon (pa-ja-wo, poi epiteto di Apollo), gli Anemoi, Eleuthia (e-re-u-ti-ja) ad Amnisos (l'Εἰλειϑυίη dell'Odissea, xix, 188-190), e - tra altre divinità dal nome oscuro - una pi-pi-tu-na la cui uscita è la stessa che nel nome della dea del monte Dikte, la Δίκτυννα; inoltre è ricordato un Daidaleion (da-da-re-jo), e alcune offerte sono fatte a tutti gli dèi (pa-si-te-o-i πάνσι ϑεοῖhι).
A Pilo i principali dèi sono Posidone (come già suggeriva la tradizione circa i Nelidi) e la Potnia, che va probabilmente identificata con Athana, la protettrice della sede regia così in Creta minoica come nella Grecia micenea; poi due triadi: Persa (pe-re-sa2: ma la lettura dell'ultima sillaba è controversa), Iphimedeia (i-pe-me-de-ja) e la Divia (di-u-ja); e Zeus (nella forma del genitivo di-wo Δι???SIM-30???ός e del dativo di-we Δι???SIM-30???εί), Hera e forse, con l'epiclesi "figlio di Zeus", Dioniso (il cui nome si legge in un'altra tabella: di-wo-nu-so-jo). Son citati inoltre una Posidaeja, Artemide, Hermes (e-ma-a2 ῾Ερμαίας), un Triseros, un Dospotas (do-po-ta = δεσπότας). Sono ancora incerti gli indizî di un culto di dèi affini ai Dioscuri (῎Ανακες) e di una festa in loro onore (wa-na-sa da * ???SIM-30???ανάκjα ?). Indirettamente attestati sono Themis (nel toponimo ti-mi-to a-ke-e Θέμιστος αγέει "nel temènos di Th.") e Ares (nel nome a-re-i-jo). L'assenza di Apollo e Afrodite convalida la tesi di una loro introduzione dall'Anatolia in età postmicenea.
La copia di documenti relativi al culto negli archivi palatini sottolinea l'importanza delle funzioni religiose nell'attività del monarca miceneo, la cui autorità procedeva probabilmente da una consacrazione sacerdotale (una tabella pilia sembra accennare alla cerimonia di una unzione). Ciò spiega anche come l'elemento sacerdotale figuri con una parte così rilevante nei documenti micenei: un buon numero di tabelle concerne infatti assegnazioni di terre o di prodotti a persone addette al culto con funzioni di vario grado: sacerdoti (i-je-re-we, ἱερῆ???SIM-30???ες) e sacerdotesse (i-je-re-ja ἱερέιαι) ka-ra-wi-po-ro κλα???SIM-30???ιϕόροι (ka-ra-wi-po-ro, "clavigere" di templi), e-qe-ta ἑπέται(?) che accompagnano alcuni dei contingenti della guardia costiera, "servi" di divinità o di sacerdoti. Le più alte dignità sacerdotali erano probabilmente appannaggio dei "grandi" del regno (come, a Pilo, un me-nu-wa Μενύ???SIM-30???ας, cfr. Μινύας, o un a-pi-me-de ᾿Αμϕιμήδης, che potrebbe anche essere un titolo); i sacerdoti e i loro dipendenti attendevano al regolare servizio templare. Tra i santuari di cui è memoria nelle tabelle pilie, specialmente importante appare quello della Potnia nel distretto di pa-ki-ja-ne (la cui ubicazione è tuttora incerta): una serie di documenti registra, in duplice forma rispondente ad esigenze di classificazione degli uffici palatini, appezzamenti di ktoinai ktimenai e kekeimenai dati in temporaneo godimento (o-na-to ὀνατόν "beneficio") a persone addette al santuario e qualificate come o-na-te-re ὀνατῆρες. Dall'onaton è distinto l'e-to-ni-jo, una forma di possesso privilegiato, forse immune dall'obbligo di prestazioni: in un documento la sacerdotessa della Potnia dichiara - in contrasto con l'asserzione del damos - di aver l'etonijo in nome della dea, e non il semplice onaton della ktoina in questione. È evidente che il re esercitava un controllo su quelle ktoinai e che i dati forniti dai documenti di pa-ki-ja-ne circa i rapporti dei detentori di onaton e di e-toni-jo col damos e col palazzo non possono considerarsi validi per tutto il regno, ma riflettono una particolare situazione locale dipendente dai vincoli che univano i re di Pilo col santuario della Potnia protettrice della dinastia: non può difatti essere un caso che la duplice serie dei testi relativi a pa-ki-ja-ne sia pervenuta praticamente integra, e che per nessun altro dei distretti si sia conservato qualche documento analogo.
8. - Va ricordato da ultimo che nelle tabelle micenee son citati qa-si-re-we βασιλῆ???SIM-30???εs: ma questi sembrano estranei all'organizzazione politica, e la loro sfera d'attività appare limitata a comunità di carattere verosimilmente gentilicio. La dignità sacerdotale perennemente congiunta alla figura del basilèus in età storica induce a ritenere che anche i basilewes micenei, i quali erano coadiuvati da un consiglio degli anziani (ke-ro-si-ja γερουσία), abbiano esercitato funzioni direttive in veste di sacerdoti del culto avito, che costituiva il nucleo di ogni gruppo gentilicio. La loro estraneità alle strutture politiche micenee spiega come, dopo il crollo di queste per effetto dell'invasione dorica, essi si siano trovati a capo dei nuovi stati, quali esponenti di un'organizzazione comune a tutte le genti greche e indipendente da particolari situazioni politiche.
9. - La decifrazione della Lineare B ha contribuito anche ad avviare a soluzione il problema della lingua "minoica". L'adozione del sistema grafico cretese da parte degli Achei non avrebbe avuto senso se i segni non avessero conservato i fondamentali valori fonetici ch'essi avevano nella Lineare A; questa ovvia considerazione è stata d'altronde confermata dall'analisi dei gruppi di segni in tutto o in parte comuni a testi in Lineare A e in Lineare B, e rappresentanti nomi propri anellenici trasmessi, con adattamento dell'uscita alla morfologia greca, nell'onomastica achea.
I testi minoici - i più dei quali provengono dall'archivio di Haghìa Triada, nel territorio festio - sono in numero molto inferiore a quello dei micenei; ma presentano in compenso una maggiore varietà. Infatti, accanto alle tabelle, documenti dell'amministrazione di sedi regie o di privati, vi sono iscrizioni su oggetti destinati al culto: tavole di libazione, arule, tazze, ex voto. Si sono finora identificati, oltre ad antroponimi, alcuni toponimi - tra i quali pa-i-to (Φαιστός) - e nomi di derrate. Su un'arula di Palekastro si legge il nome del monte sacro a Zeus, di-ka-ta (Δίκτα); in altre dediche un nome di divinità (j) a-sa-sa-ra, che è stato accostato dal Palmer alla designazione luvia della grande dea della natura khassussara "la Signora"; su bipenni votive trovate nella grotta sacra di Arkalochori v'è l'iscrizione i-da-ma-te, la cui probabile interpretazione è "dell'Ida madre", la montagna divinizzata che è poi divenuta, nel processo di antropomorfizzazione delle divinità, la Meter Idaia. Una dedica simile si riconosce all'inizio di un'epigrafe "geroglifica" del medesimo santuario; che con l'epigrafe del blocco di Mallia e probabilmente anche col disco di Festo (ritenuto da alcuni un importazione dall'Anatolia) documenta la persistenza della fase "ieroglifica" del sistema sillabico in àmbito sacrale.
I più recenti studî sulla lingua, resi difficili dall'esiguo numero dei testi superstiti, orientano verso il riconoscimento del carattere indoeuropeo della lingua "minoica", che mostrerebbe - come indica anche la rinnovata analisi di toponimi "egeo-anatolici" - particolari affinità con alcune lingue indoeuropee dell'Anatolia, soprattutto col luvio dei testi cuneiformi e geroglifici. Nello stesso senso orienta la ricerca archeologica, che va mettendo in rilievo le affinità di concetti ispiratori nelle culture luvia e nella minoica, quali si rivelano specialmente nelle forme cultuali e nell'impianto del primo palazzo di Beycesultan (nell'alta valle del Meandro), distrutto nel sec. XVIII, e dei palazzi minoici. La costruzione di questi va ora collocata tra il sec. XIX e il XVIII, in base ai risultati degli scavi della Scuola Archeologica Italiana, diretti da D. Levi (v. sotto) a Festo; i quali scavi hanno mostrato che il più antico palazzo festio sorse in ambiente subneolitico, e hanno quindi rimesso in discussione l'esistenza di quella fase intermedia tra periodo neolitico e periodo dei "primi palazzi" che nello schema cronologico costruito dall'Evans viene designata come "Minoico Antico" (Early Minoan).
Dal rinvenimento di tabelle e cretule con iscrizioni in Lineare A in un vano del più antico palazzo di Festo, insieme con tabelle in scrittura geroglifica, si desume che il sistema lineare era già in uso, almeno a Festo, nel secolo XVIII; e, contro la tesi dominante che assegna a Cnosso la preminenza culturale nell'isola fin dal principio dell'età minoica, si pone il problema di un iniziale primato di Festo e della zona centro-meridionale, più direttamente accessibile a correnti colonizzatrici e ad influssi culturali provenienti dall'Asia Anteriore.
I nuovi scavi cretesi hanno accelerato il processo di revisione di tutto il quadro della civiltà egea delineato sotto l'influenza della forte personalità dell'Evans, e in particolare il riesame del sistema cronologico evansiano, che è stato indubbiamente un utile strumento di classificazione nella fase iniziale degli studi sulla civiltà minoica, ma è poi divenuto un "letto di Procruste" per l'archeologia, sempre più ricca di dati e di problemi, del mondo egeo.
Bibl.: Fondamentale il libro di M. Ventris e J. Chadwick, Documents in Mycenean Greek, Cambridge 1956, ov'è anche indicata la bibliografia anteriore. Per la storia della decifrazione, J. Chadwick, The Decipherment of Linear B, Cambridge 1958, versione italiana, Lineare B, L'enigma della scrittura micenea, Torino 1959. Le principali edizioni di testi micenei sono: A. J. Evans, Scripta Minoa, II. The Archives of Knossos, Oxford 1952, a cura di J. L. Myres, da consultare sempre con il sussidio di E. L. Bennet, J. Chadwick, M. Ventris, The Knossos Tablets, A Transliteration, 2a edizione, Londra 1959; E. L. Bennett, The Pylos Tablets, Texts of the Inscriptions Found 1939-54, Princeton 1955; E. L. Bennett, The Olive Oil Tablets of Pylos, Texts of the Inscriptions Found 1955, Salamanca 1958; M. Lang, in Amer. Journ. Arch., LXII, 1958, pp. 181-91; LXIII, 1959, pp. 129-37; LXIV, 1960, pp. 160-64 (tabelle trovate a Pilo dal 1957 al 1959); E. L. Bennett, The Mycenae Tablets II (Transactions of the American Philosophical Society, N. S., XLVIII, i, 1958); S. Marinatos, in Πρακτικα τθς Ακαδθμιας Αυθνων, XXXIII, 1958, pp. 161-73 (tabella di Micene); G. Pugliese Carratelli, in Monumenti Antichi, XL, 1945, c. 603-610 (epigrafi dipinte su anfore). Una cronaca bibliografica delle ricerche sui testi in Lineare A ed in Lineare B viene pubblicata in ciascun fascicolo di Minos, Revista de Filología Egea, Salamanca, dal 1954; l'Institute of Classical Studies dell'Università di Londra pubblica dal 1956 un utilissimo repertorio annuale, curato da J. Chadwick, L. R. Palmer e L. J. D. Richardson, Studies in Mycenean Inscriptions and Dialect (finora 5 volumi). Circa la lingua "minoica" si veda ora E. Peruzzi, Le Iscrizioni minoiche, in Atti dell'Accademia Toscana di Scienze e Lettere "La Colombaria", XXIV, 1959-60, pp. 29-128, con copiose indicazioni bibliografiche; W. F. Wyatt, The Ma Tablets from Pylos, in Am. Journ. Arch., LXVI, 1962, p. 21 ss.; M. Doria, Le nuove iscrizioni di Pilo 1960, in La Parola del Passato, LXXXI, 1961, p. 401 ss.
(G. Pugliese Carratelli)
I risultati dei recenti scavi di Festo. - La nuova serie di campagne di scavo condotte dalla Scuola Archeologica Italiana di Atene a Festo (v.) a cominciare dal 1950 fino ad oggi, da un lato ha modificato il quadro di evoluzione finora tracciato per il Palazzo minoico festio e ampliato la visione di tutta la storia della località, a cominciare dall'età finora chiamata neolitica fino all'avanzata età ellenistica (e precisamente al momento in cui secondo Strabone, verso la metà del II sec. a. C., la città è stata distrutta dai Gortinî); dall'altro lato, grazie a un'incomparabile dovizia di suppellettili, rinvenute in una stratigrafia particolarmente ben definita, impone una sostanziale modificazione di tutti i concetti finora imperanti per l'intera storia dell'arte come per la cronologia della civiltà minoica nel suo complesso.
Gli scavi suddetti hanno rivelato che, sotto ai ruderi della definitiva costruzione del Palazzo minoico di Festo non esistevano solamente quelli di uno, bensì di tre sovrapposti edifici precedenti. Questi sono nettamente separati e distinti, e si possono anzi cogliere tuttora in un singolo sguardo d'insieme, grazie alla tecnica di riedificazione adottata dagli architetti cretesi dopo ognuna delle catastrofi causate dai frequentissimi terremoti dell'isola. Una gettata di una specie di solido calcestruzzo - consistente di malta, cocciopisto, di piccoli vasi e di frammenti di vasi più grossi, assieme a schegge come anche talora a grossi blocchi di pietra - era usata per coprire le macerie degli edifici preesistenti, rasandone i muri fino all'altezza del piano stabilito per i pavimenti dell'edificio nuovo. I tronconi di muri antichi erano adoperati quali fondamenta su cui venivano sovrapposti i muri nuovi (talora però aumentando lo spessore di questi nella speranza di ottenere così una maggiore stabilità contro i pericoli sismici), mentre direttamente sul piano di calcestruzzo erano stesi i pavimenti medesimi sia a semplice battuto di terra, sia in stucco, sia già a lussuoso lastricato di lastre rettangolari alabastrine. Al Palazzo più recente possiamo conservare il nome finora attribuitogli di II Palazzo, benché in realtà sia il quarto, perch'esso rappresenta, più che un rifacimento, com'era il caso delle precedenti ricostruzioni, una completa trasformazione di concezioni architettoniche e di pianta, incluso il cambiamento di asse dei suoi quartieri principali, estesi ora attorno al Piazzale centrale. Di contro al sistema degli ambienti risalenti a gradini lungo il declivio del colle, con muri dapprima privi di sostruzioni e poi posanti sui ruderi precedenti, nel II Palazzo si procede a un colossale livellamento del colle, con un ardito taglio di masse di terra e rottami a monte e un altrettanto grande riempimento a valle, la stesura di una poderosa terrazza orizzontale di massiccio calcestruzzo, interrotta solamente da profonde e robuste sostruzioni dei muri, che permettevano al palazzo nuovo - il quale si ergeva probabilinente su uno spazio ridotto rispetto all'estensione dei predecessori - l'elevazione di un numero di piani assai maggiore. Nelle tre costruzioni precedenti, alle quali dunque possiamo riserbare la qualifica di tre successive fasi del I Palazzo, malgrado la persistenza delle linee generali della pianta possiamo tuttavia notare varianti nella disposizione dei singoli ambienti, rifacimenti di pavimenti, innalzamenti di livelli, una graduale retrocessione della facciata, l'introduzione di nuovi esperimenti tecnici e anti-sismici, e di modificazioni nella qualità dei materiali usati, del calcestruzzo, degli intonaci e degli stucchi. Va notato che già nella seconda fase il calcestruzzo è usato anche per la cementazione dei muri, precorrendo di secoli una tecnica che - abbandonata dall'architettura greca - ritornerà in uso nell'architettura romana. Sino dal primo progetto dei palazzi, le facciate, sorgenti davanti a piazzali lastricati, presentano uno zoccolo di begli ortostati, sopra ai quali posavano sul davanti dei lastroni di alabastro collocati per ritto, che nascondevano sottili muri di blocchetti posanti sulla parte posteriore degli ortostati stessi; e subito furono largamente usati simili lastroni di gesso alabastrino - dalle cave, rinvenute presso alla "Villa reale" di Haghìa Triada, con blocchi di scarto abbandonati vicino a resti di ceramiche minoiche - per pavimenti, banchine, come per rivestimento dello zoccolo delle pareti. Contrariamente all'opinione finora prevalente s'è assodato che dei bastioni si ergevano a protezione degli ingressi principali dei palazzi, lungo i quali bastioni ascendevano larghe strade lastricate o rampe simili a quelle scoperte a Troia. A Cnosso si sono recentemente messi in luce pure notevoli tratti di una vera e propria cinta muraria, mentre attorno a tutti i grandi palazzi s'è palesata l'esistenza di vasti quartieri delle rispettive città.
Il sistema degli architetti festî di seppellire dopo ogni catastrofe i ruderi di edifici e le abbondanti suppellettili palaziali sotto un durissimo, impermeabile e indistruttibile strato di calcestruzzo, come pure l'abbondanza di tali suppellettili rinvenute accatastate negli ambienti da noi scoperti, alcuni dei quali rappresentano probabilmente i magazzini raccoglienti gli arredi e gli utensili dei palazzi, ci hanno messo in una posizione specialmente felice per tracciare, assai più che non la storia della primitiva architettura minoica, un quadro dell'evoluzione delle sue ceramiche e degli altri prodotti artistici, quadro della storia dell'arte e della civiltà minoica che già, abbiamo detto, risulta notevolmente diverso da quello finora prevalente. Così fin d'ora siamo in grado di cogliere i caratteri distintivi delle ceramiche nelle tre fasi del I Palazzo - attraverso tutte le quali perdura lo stile di decorazione policroma chiamato di Kamàres -, caratteri che potranno essere anche meglio delineati dopo uno studio esauriente di tutte le loro forme e decorazioni. Non assistiamo a un processo dal semplice al più complesso, o dal grossolano al più fine; al contrario, fino dall'alba dell'età palaziale ci troviamo di fronte all'improvviso, quasi miracoloso sboccio dell'arte più fantasiosa, esuberante, sbrigliata, di tutta l'antichità, a cui piuttosto fa seguito una lenta sistemazione, una graduale eliminazione di forme e di motivi, un sempre più sensibile irrigidimento stilistico. Così fresca e così ricca ci si presenta a Festo la linfa creativa delle prime fasi che - ove non ci traggano in inganno condizioni specialmente favorevoli dello scavo - verrebbe fatto di concludere che il centro della primitiva arte minoica sia da collocarsi in Messarà, e solo più tardi si sia spostato verso Cnosso e la costa settentrionale dell'isola. Più ancora che la linea evolutiva di quest'arte, risulta forse modificato il concetto corrente riguardante i suoi caratteri generali: non si tratta di una decorazione che getta a caso, sregolatamente, i suoi elementi sulla superficie del vaso, cercando di distruggerne o farne obliare la struttura architettonica. È uno sbizzarrirsi della fantasia, ma preceduto da una ben ponderata distribuzione dello spazio per gli elementi decorativi che deve accogliere, una suddivisione del vaso stesso in parti bilanciate, del giro della sua superficie in porzioni ciascuna dedicata a uno degli elementi decorativi, eseguiti poi a mano libera (cfr. per esempio il sostegno d'incensiere, fig. 71).
Le tre fasi protopalaziali palesano a loro volta ciascuna dei momenti diversi, distinguibili da parziali rifacimenti o modificazioni delle strutture architettoniche. Per quel che riguarda lo sviluppo della ceramica e delle altre suppellettili possiamo ricordare il caso fortunato presentatosi nel vano lxv del primitivo palazzo, nel quale in un secondo momento della prima fase si è sovrapposto, a un livello notevolmente più alto, un pavimento in stucco che ha ricoperto un ricco deposito di fittili posante sul pavimento lastricato del momento iniziale della fase medesima. Le ceramiche provenienti dallo strato fra i due pavimenti, infatti, rappresentano una categoria tutta speciale a questo momento iniziale della prima fase, alla quale abbiamo dato il nome di "ceramica di Haghìa Fotinì" dalla chiesetta sulle pendici orientali del colle dove per la prima volta ne abbiamo trovato dei magnifici esemplari nelle case di un quartiere della città di Festo. Questa ceramica è caratterizzata da una vivace e lussuosa decorazione insieme eseguita a rilievo e dipinta in policromia, vale a dire con motivi a zone di dentini in rilievo, a globetti o incavature, a costolature e scanalature, internamente riempiti di zone di colore, o viceversa a motivi tracciati a colore e racchiudenti zone di dentini in rilievo. Sono rosette di bottoncini in rilievo entro una rete dipinta in rosso, elementi geometrici o ampi fiori di giglio rossi entro sottili costolature, ovuli di dentini tra strisce colorate, molteplici scodelle scavate a forma d'occhi disposte obliquamente sul vaso, tutte riempite di colore arancio, in mezzo a molteplici ansette pure oblique, e via dicendo. Nel secondo momento di questa fase poco rimane di tutta questa decorazione a rilievi e a scanalature, come per esempio una classe di oinochòai panciute col corpo tutto decorato à la barbotine e serie di dentini lungo l'orlo del becco rialzato; pur tuttavia la ceramica presenta sempre una varietà di forme, di motivi, di disposizioni degli ornamenti, forse mai più raggiunta poi durante tutto il suo secolare sviluppo. Troviamo fin d'ora le finissime ceramiche dette "a scorza d'uovo", imitanti originali metallici, che ci hanno per la prima volta restituito interi esemplari soprattutto di eleganti tazze, e altri vasi quasi completi. Assieme alle ceramiche multicolori è stata scoperta una finora ignota categoria ceramica a superficie tutta ricoperta di una spessa vernice bianco-crema lucida, che quand'è monocroma richiama alla mente certe porcellane cinesi, ma che spesso ha dei motivi sovradipinti in rosso: a questa classe, oltre a teiere, tazzine, imbuti, appartengono dei rhytà modellati a testa di toro o di altri animali. Non possiamo qui descrivere l'inesauribile repertorio di motivi e variazioni che la fantasia decorativa dei ceramisti si sbizzarrisce a profondere sulla superficie dei vasi; sembra che gli artisti non debbano mai ripetersi, oppure che moltiplichino, con tocchi individuali, i medesimi schemi nei diversi esemplari o diversi temi su un medesimo oggetto: per esempio ben quattro motivi ornamentali diversi sono giustapposti su una sola minuscola tazzina, dalla superficie interna, come quella esterna, divise trasversalmente in due parti. Di fronte a un qualsiasi complesso di trovamenti, notiamo singoli motivi floreali dominare su tutto un lato del vaso, o simili motivi dominanti in forma di rami o spirali, oppure motivi diversi distribuiti in zone divise da croci o da bande trasversali, o rosette distribuite negli spazi formati da nastri ondulati, e così via. Alcuni disegni ornamentali sembrano ravvivarsi in un ricordo generico di forme animali, come quelle di grandi farfalle, mentre assai spesso la struttura medesima del vaso nell'insieme o in certe sue parti è modellata a ricordo di piccole oche o altri animali, talvolta persino con l'introduzione di alucce laterali. Altre volte notiamo al contrario rappresentazioni dipinte di animali, per esempio di polipi, coi loro tentacoli piegati in simmetria ornamentale, ma in un caso con una assai suggestiva collocazione degli occhi guatanti ai lati del beccuccio di un'olletta. Già in questi suoi inizi l'arte minoica affronta l'esperienza della figura umana, come ci è rivelato da tre vasi di Festo con soggetti di vita o di culto: la dea dei gigli fra le sue ancelle sulla coppa (v. vol. iii, fig. 769) di nn'alta fruttiera a piedistallo, le adoranti che si prostrano lungo l'orlo della medesima coppa e le donne danzanti, ciascuna con un fiore in mano, sulla faccia superiore del piede a disco della fruttiera, come la Dea dei serpenti, in aspetto per metà aniconico, fra due adoranti dipinte su una bassa tazza, e gli uomini incedenti fra immensi fiori di croco dipinti attorno alle pareti di un'anforetta, presentano tutti uno stile primitivo della forma umana, a tratti accentuati, quasi grotteschi, ma insieme una spigliatezza di movimenti e un'intensità di vita del tutto peculiari all'arte cretese.
Simili forme umane, e soprattutto la medesima inesauribile vena inventiva, ritroviamo, per questa medesima età, anche nel campo della glittica. Per quest'arte un materiale eccezionalmente ricco è stato recuperato in uno dei saggi condotti a Festo - parallelamente agli scavi della nuova area dei palazzi primitivi - sotto ai pavimenti del palazzo più tardo, e precisamente sotto al grandioso ambiente colonnato (vano 25), chiamato dagli scavatori "il mègaron degli uomini". È venuto qui in luce un ricchissimo archivio di cretule, che probabilmente avevano sigillato boccali e altri vasi di profumi, vini pregiati, liquori, unguenti e prodotti diversi - boccali dei quali si sono pure trovati moltissimi esemplari nel medesimo strato - che affluivano da palazzi lontani o venivano offerti dai claroti dei principi di Festo. Il repertorio delle cretule comprende ogni sorta di elementi decorativi, semplici motivi geometrici, lineari o a cerchi, reticolati, spirali, stelle, intrecci, forme vegetali o animali, rappresentazioni statiche o movimentate, perfino nel "galoppo volante" caratteristico dell'arte minoica, e mostri come la sfinge e il grifo e il dèmone leonino, oltre alle già citate rappresentazioni umane. Assieme alle cretule sono state trovate alcune modeste tavolette incise con le prime testimonianze della scrittura Lineare A, ancora associata a segni di scrittura geroglifica, o di transizione fra l'una e l'altra.
La ceramica della seconda fase protopalaziale (v. anche s. v. Esplorazione Archeologica, fig. 544) sembra restringere il repertorio delle forme in un numero di tipi più o meno canonici, abbandonando cioè la maggior parte delle iniziali esperienze peregrine e incontrollate, accentuando d'altro canto la stabilità tettonica del vaso, e apportando maggiore disciplina nella decorazione e più rigoroso adattamento di questa alla struttura del vaso. Contemporaneamente una maggiore varietà e precisione disegnativa avvia la rappresentazione di forme animali verso un più sicuro naturalismo, per esempio nel bel pithos dei pesci (v. festo, p. 630), dove la fantasia e la tendenza decorativa permangono solo negli strani disegni uscenti dalle bocche dei pesci. Ma per cogliere gli ultimi risultati di questo processo evolutivo osserviamo un complesso di ceramiche della terza fase protopalaziale (fig. 130). Questa è rappresentata scarsamente, e in strati non sempre sicuramente definiti, nel Palazzo stesso di Festo; il quadro è stato però immensamente ampliato e completato dai rinvenimenti ceramici entro una ricca tomba a thòlos scoperta nel territorio festio presso il villaggio di Kamilari, tomba che ha avuto vicende diverse e un'assai lunga durata. Fra l'altro, questa tomba, che era preceduta da una serie di annessi e stanze per le cerimonie funebri, può troncare per sempre l'interminabile polemica sulla struttura architettonica delle primitive thòloi minoiche, avendo i suoi ruderi palesato con tutta sicurezza l'originale copertura a intera vòlta di massi aggettanti. La ceramica di questa fase dunque palesa l'estremo impoverimento di forme e di decorazioni dall'originario ed esuberante stile policromo di Kamàres. Sono ormai poche forme irrigidite di vasi, come le anfore e le brocche ovoidali, e ollette con beccuccio a ponte, boccali imitanti miniaturistici pìthoi, tazzine troncoconiche, oltre ad altre poche forme più rare. Il repertorio decorativo si è ridotto a scarsi elementi monotonamente ricorrenti, come le spirali sempre più sciatte, la picchiettatura di puntini su tutto il corpo del vaso, i festoni, oltre ai motivi più banali delle fasce ondulate o dritte e simili. I colori della policromia, ormai assai più opaca e sulla superficie meno brillante che non nelle fasi precedenti, sono ridotti al bianco, rosso-vino, violetto e mattone sul fondo nero, oppure al bianco-crema sul fondo rosso vivo o rosso opaco. Ma in pochi vasi eccezionali, in contrasto con questo impoverimento decorativo si palesa un ormai squisito, un po' acerbo, sapore naturalistico, come nella rappresentazione dei rami di foglie dipinte su un'anfora della nostra tomba, o nella rappresentazione di una testa plastica di cerbiatto su un vaso configurato.
L'anfora con decorazione a foglie trova una quasi esatta corrispondenza in un'anfora dalle "stipi del tempio" di Cnosso; ancora più questo fresco e acerbo naturalismo si può riscontrare nei famosi "vasi dei gigli" di un altro dei "magazzini reali" di Cnosso, anche questi decorati con l'antica tecnica del color bianco sul fondo rossiccio. Ora tutti questi vasi, e le associate suppellettili di questi magazzini - comprendenti tra l'altro le figurine delle "dee dei serpenti", le delicatissime rappresentazioni naturalistiche delle capre allattanti i piccoli, e gli altri oggetti in faïence delle "stipi del tempio" - sono considerati come appartenenti alla prima fase della più radicale riedificazione del palazzo cnossio, che darebbe inizio alla vita del II Palazzo; dopo questa fase (MM III) un nuovo disastro tellurico avrebbe causato una successiva sostanziale ricostruzione del palazzo stesso. Data la scarsa documentazione stratigrafica che ci è pervenuta per gli scavi di Cnosso, non è escluso supporre che forse questa seconda riedificazione, piuttosto che non la prima, corrisponda al totale cambiamento di pianta e di tecnica costruttiva che caratterizza l'inizio del II Palazzo di Festo. Comunque, poiché solo dopo questa fase notiamo anche la completa trasformazione della tecnica e dell'ornamentazione nella ceramica, con decorazione monocroma a vernice nera lucente sul fondo dell'argilla levigata di color camoscio, viene naturale il far coincidere la fine dell'età della ceramica di Kamàres con l'inizio del più tardo periodo della civiltà palaziale cretese.
Per questo periodo tardo-palaziale, di durata dunque assai ridotta, non si sono eseguiti scavi recenti che ci permettano di tracciarne con sicurezza tutta l'evoluzione. Certo senza fatica si può cogliere la trasformazione stilistica dalle splendide decorazioni naturalistiche - che si possono riallacciare direttamente alle anteriori manifestazioni di più timido naturalismo sopra menzionate - a polipi liberamente snodanti in tutte le direzioni i loro tentacoli su uno sfondo marino di rocce ed alghe, a nautili e tritoni, a fili di erba accostati in decorazione continua su un vaso di Festo (v. festo, fig. 768), alle decorazioni nel cosiddetto "stile del Palazzo", in cui gli elementi naturalistici sono invece ormai irrigiditi in una disposizione simmetrica che ritorna al predominio degli antichi effetti ornamentali. Nei vasi più decadenti all'estremo limite di questa evoluzione troviamo una ripetizione a sazietà di pochi motivi, quali i rametti sorgenti dal terreno, per lo più disposti obliquamente, o le longeve spirali correnti. Un buon numero di simili vasi - di fronte ai pochi trovamenti ceramici del II Palazzo di Festo - ci è stato restituito da una bella casa privata testè scoperta nel quartiere S-E della città di Festo, in località Chalara. Un importante repertorio ceramico per questo estremo momento dell'età palaziale, e forse anche per il passaggio da essa all'età postpalaziale (alla quale si puà riserbare il nome di età micenea), è stato offerto dallo scavo di un'ampia villa rurale nel territorio di Gortina, in località detta Kannià. In questa, in mezzo agli ampi magazzini in cui erano ammassati - e sono stati restaurati e protetti - numerosissimi pithoi per derrate alimentari, sorgevano vari più piccoli ambienti adibiti a santuarî. Dai santuari provengono, oltre a diverse suppellettili rituali, degli idoli in terracotta, alcuni probabilmente idoli di culto e di dimensioni ormai notevoli, che per grandezza e per caratteri stilistici precedono in via diretta gli idoli tardo-minoici e sub-minoici di Gazi e di Karfì; la divinità rappresentata in uno dei nuovi esemplari è identificata come la Dea dei serpenti e insieme degli uccelli, con serpenti sulla tiara e snodati lungo le braccia, e con una colomba posante sulla guancia. Simile struttura plastica e simile fisionomia presentano alcuni idoletti provenienti dagli ultimi momenti di uso della sopranominata tomba di Kamilari; ma questa ci ha inoltre procurato per la prima volta dei modelli fittili rappresentanti scene religiose o rituali, fra le quali di massimo interesse quella che ci fa assistere a una cerimonia sacra, con due offerenti che fanno libagioni davanti a due coppie di personaggi seduti ciascuno davanti a un altarino su cui posano offerte, probabilmente due coppie di defunti divinizzati, scena collocata entro un sacello preceduto da due colonne, che pare un'abbreviata rappresentazione di un vero precursore del tempio ellenico in antis (v. p. 93).
Sotto al lastricato del piazzale occidentale del primitivo palazzo di Festo si sono esplorati ruderi di case precedenti alla sua fondazione. Sui loro pavimenti erano ancora in posto resti di ceramiche delle categorie dette di Pyrgos e di Haghios Onufrios, classificate finora nell'Antico-Minoico I e II, delle quali si sono trovati molti frammenti anche nei saggi sotto ai pavimenti di diversi vani del palazzo stesso. Oltre ai numerosi frammenti ceramici decorati a incisione di una categoria del tutto affine a quella delle ceramiche cicladiche, un frammento di vasetto in pietra decorato a spirali pare essere un'indubbia importazione dalle Cicladi. La contemporaneità delle ceramiche di Pyrgos e Haghios Onufrios è provata senza possibilità di contestazione da alcuni vasi provenienti dalle ricche tombe a thòlos recentemente scavate a Lebena, sulla costa libica di Creta, vasi che appunto presentano forme caratteristiche alla categoria di Haghios Onufrios, ma con una decorazione - a strisce di vernice grigia metallica su fondo grigio opaco - peculiare invece alla ceramica di Pyrgos. Queste tombe di Lebena sono ricchissime di materiali di aspetto cicladico, confermando anche per questa antica data l'uniformità della civiltà in tutta l'isola, negando cioè l'asserzione di influenze delle Cicladi e di Troia, o addirittura di una colonizzazione cicladica, limitata alle coste settentrionali di Creta. Negli strati di riempimento tra le case prepalaziali di Festo testé nominate e il lastricato del palazzo sovrastante si sono rinvenuti frammenti ceramici in cui fa la sua prima apparizione la policromia, con prevalenza di decorazione in solo color bianco sul fondo nero: vasi dipinti in bicromia che, assieme a quelli con parca policromia, e anche a quelli con resti della decorazione "chiazzata" (mottled ware) di diretta derivazione dalla ceramica neolitica - tutti datati finora nella fase Antico-Minoico III - sono stati da noi rinvenuti ormai anche entro al Palazzo di Festo.
Altri saggi condotti fino alla roccia sotto ai pavimenti del palazzo più antico, e soprattutto quelli condotti, entro alle strutture palaziali come fuori dal loro limite, nel Piazzale centrale del più tardo palazzo festio, ci hanno restituito abbondanti testimonianze per la prima apparizione di vita a Creta, per l'età chiamata finora "neolitica", testimonianze classificabili nell'area del Piazzale centrale di Festo in due periodi nettamente distinti da un solido pavimento battuto intermedio. La presenza, se non altro a Festo, di qualche oggetto metallico nega l'appartenenza alla pura età della pietra almeno di quello superiore dei due strati "neolitici"; ma inoltre, tra le ceramiche di entrambi gli strati, fino ai relitti incontrati proprio sulla roccia, si nota la presenza di categorie che si riallacciano direttamente a quelle dei successivi periodi transizionale e protopalaziale: ceramica neolitica grigiastra opaca con decorazione a linee grigio-scure lucenti, apparentata alla categoria di Pyrgos, simile ceramica a superficie crema lustra precedente la maniera di Haghios Onufrios ceramica "chiazzata" precedente la mottled ware catalogata nell'Antico-Minoico II-III, ceramica d'impasto giallino con grumi o spruzzature superficiali d'argilla, che anticipa la decorazione medio-minoica à la barbotine, e soprattutto ceramica levigata alla stecca ma con una decorazione sovrapposta in ocra rossa - che al lavaggio si distacca dalla superficie resinosa senza lasciar traccia, e pertanto non era mai stata osservata precedentemente dagli scavatori - che per forme di vasi e motivi decorativi, a strisce, croci, elementi angolari, nodi, dischi o cerchi attorno alle ansette, preannunzia assai da vicino la maniera della ceramica di Kamàres. Qualche frammento con l'aggiunta di elementi in color bianco a quelli in ocra rossa raggiunge la tricromia. Proprio sulla roccia si sono trovati i tre vasi meglio conservati, cioè una boccia con altissimo collo cilindrico slargato sul labbro, d'impasto bruno-caffè lucidato, e due altri vasi invece decorati con disegni in ocra rossa, uno di questi a forma di teiera con vaschetta superiore forata a colatoio, di una forma riscontrata pure nella ceramica di Kamàres. Molte delle tazzine di quest'ultima categoria, internamente tutte dipinte in rosso vivo e con parca decorazione esterna in rosso sul nero lucido, sono di una finezza che sembra attestare l'uso della ruota del vasaio, come pure altri frammenti in cui l'impasto è ormai sostituito dall'argilla depurata. Né è da pensare che il Neolitico di Festo rappresenti solo una tarda fase rispetto a quello del resto dell'isola, perché moltissimi suoi frammenti palesano stretti rapporti col Neolitico di Cnosso; e proprio sulla roccia stessa, nello strato neolitico più profondo sotto al Piazzale centrale di Cnosso, precisamente a 7 m di profondità dal piano del cortile, s'è rinvenuta una figurina virile in pietra bianca levigata, con le mani portate al petto, di una squisita modellatura, e con una guaina a protezione dei genitali, che, come i vasi di Festo per la ceramica, sembra preannunziare direttamente quella che sarà la plastica dell'età medio-minoica.
Solo ammettendo la rapida evoluzione della civiltà "neolitica" - che sarà meglio ormai denominare almeno neo-eneolitica -, separata dalla civiltà dei palazzi dal breve periodo di transizione rappresentato dalle case prepalaziali, si riesce a spiegare le più volte notate somiglianze di decorazione e di gusto stilistico fra i prodotti di quella primordiale civiltà e i prodotti dell'età detta medio-minoica, senza dover ricorrere all'assurda ipotesi della sopravvivenza per quasi un millennio di forme e di repertorio decorativo della prima in oggetti creati in materiale deperibile, e perciò irrimediabilmente perduti per noi. Così possiamo considerare una ben nota pisside d'impasto decorata a incisione rinvenuta nel "Vat Room Deposit" di Cnosso, quasi indistinguibile da simlli prodotti della civiltà cicladica e di quella subneolitica o prepalaziale cretese - piuttosto che non un oggetto della precedente fase conservato come cimelio o ricordo fino all'inizio dell'età palaziale - un oggetto appartenente proprio a uno strato prepalaziale e inavvertitamente estratto da questo assieme alle suppellettili del "Vat Room Deposit" medesimo.
Una ben sensibile contrazione va dunque indubbiamente applicata alla cronologia della civiltà minoica, tanto per l'età prepalaziale come per quella palaziale. La quasi millenaria età detta Antico-Minoico è stata suddivisa in tre fasi, stabilite in definitiva sulle risultanze di scavi così saltuari e affrettati come quelli di Vasilikì, fasi che si rivelano più come aspetti diversi di fabbriche specializzate in certi prodotti, e inoltre prevalenti solo in ambienti provinciali della Creta orientale, che non come successione di periodi di civiltà ben differenziati e distinguibili l'uno dall'altro. Tale età va ridotta a un rapido periodo di trapasso fra la civiltà neo-eneolitica e quella protopalaziale. I tipi di impronte del ricchissimo repertorio nell'archivio di cretule a Festo - archivio che può estendersi al massimo per pochi decenni verso la fine della prima fase protopalaziale - secondo la tradizionale classificazione si estenderebbe attraverso lunghi secoli dall'inizio dell'età antico-minoica sino all'avanzato stile di Kamàres. In questo repertorio compaiono dei motivi derivanti da simboli e segni geroglifici egiziani, come il motivo del waz, cioè lo stelo del papiro sacro, dell'ankh, simbolo della vita e dell'eternità, il segno talismanico del nefer, ed elementi ornamentali da essi derivati o ad essi associati, motivi frequenti precisamente su sigilli egiziani della XII dinastia (1991-1778 a. C., secondo la più recente datazione) come anche degli inizi della XIII. I medesimi motivi compaiono anche su sigilli, rinvenuti a Festo in strati della medesima fase palaziale, del tipo "a bottone", di forme svariate ma che pure trovano i più stretti raffronti nella detta età in Egitto, sia da ricercarsi qui sia nell'Oriente asiatico la loro origine. Su tali sigilli egiziani come anche sui sigilli in forma di scarabeo compare un immensa abbondanza di motivi a spirale e a meandro, motivi ch'è dunque presumibile che dall'Egitto siano stati introdotti nella glittica cretese, assieme pure alla forma dello scarabeo stesso.
Le cretule dell'archivio di Festo sono in parte contemporanee, in parte forse un po' più progredite dei sigilli di alcune fra le più avanzate tombe a thòlos della Messarà; il complesso dei sigilli dalle tombe della Messarà, come quelli di un laboratorio d'incisore di gemme recentemente rinvenuto in una delle case della città di Mallia, ci mettono di fronte a una fase di arte glittica che risale più addietro di quella delle cretule, mentre proprio verso gli inizi della glittica minoica vanno posti i sigilli provenienti dalle tombe di Lebena, contenenti, sotto allo strato superiore di suppellettili ormai di età palaziale, una quantità di altre suppellettili di tipo cicladico contemporanee alle case prepalaziali di Festo. Nella thòlos B di Platanos sono stati rinvenuti tre scarabei, anche questi attribuiti alla XII o agli inizî della XIII dinastia, nonché un cilindro babilonese importato, che non può essere stato creato molto prima del regno di Hammurapi: che quindi, anche accettando la cronologia più alta fra quelle proposte per tale regno, cioè fra il 1792 e il 1750, non può risalire al di là della fine del XIX sec. a. C. In questa tomba, assieme a un gran numero di pugnaletti, di cuspidi di lancia, frecce e altri oggetti in rame, a ornamenti d'oro e vasi in pietra, si sono trovate varie suppellettili ceramiche, di cui le più antiche palesano ancora l'appartenenza alle ultime produzioni prepalaziali, ma altre - piccole teiere a becco rialzato, tazzine, vasi in forma di quadrupede e askòi a forma di uccelli - sono decorate a parca policromia e trovano stretta affinità coi prodotti della prima fase palaziale. Dunque anche considerando il cilindro-sigillo babilonese rinvenuto nella thòlos B di Platanos come importato a Creta subito dopo la sua creazione e depositato nella tomba proprio all'ultimo momento dell'uso di questa, non potremmo risalire per la fondazione dei palazzi più in su dell'inizio del sec. XIX. Una conferma a queste date e a queste relazioni con l'Egitto ci è offerta dal rinvenimento in Egitto di ceramiche minoiche del fiorente stile di Kamàres associate a prodotti della XII e forse degli inizî della XIII dinastia; tutte le datazioni che farebbero risalire più in su le più antiche categorie della ceramica di Kamàres ivi rinvenute non sono dovute ad altro che a una precedente e inesatta classificazione di queste ceramiche applicata per i soli rinvenimenti di Cnosso. E nessuna obbiezione alla datazione sopra stabilita viene opposta da parte dei trovamenti di provenienza egizia nel Palazzo di Cnosso. Prima delle associazioni sicure, che cominciano solo per l'età dei tardi palazzi, non si può ricordare altro che la famosa statuetta di diorite conservante la parte inferiore di un uomo seduto che, sia per la scrittura incisa sul sedile che per l'aspetto della scultura, è databile tra la fine della XII e l'inizio della XIII dinastia, ed è stata trovata in associazione di materiali dello sviluppato stile di Kamàres. Un altro ben noto oggetto, cioè il coperchio discoidale in alabastro con la cartouche del re hyksos Khyan, databile attorno alla metà del sec. XVII, è stata rinvenuta ormai in un deposito di ceramiche del Medio-Minoico III, ceramiche che - quale che sia stata la più radicale ricostruzione del Palazzo cnossio - secondo noi va classificata, in seguito alla sicura stratificazione festia, come la terza fase protopalaziale.
Ma un'altra e più significativa conferma alle date sopra proposte per l'inizio della civiltà minoica sembra essere stata testè offerta dal rinvenimento, negli scavi di Karahöyük presso a Konya condotti da Sedat Alp, di un ricco archivio di cretule anatoliche, con motivi geometrici strettamente affini e in indubbia relazione con quelli di Festo e di Lerna, in uno strato databile appunto nel XIX-XVIII sec. a. C.
Dai recenti scavi a Creta, in conclusione, si è ottenuto un assai chiaro quadro dell'evoluzione della civiltà minoica, notevolmente diverso da quello corrente, e per il quale conviene suggerire una nuova distribuzione delle successive fasi e della loro cronologia. È ovvio e inevitabile che la nuova cronologia determinata dai risultati degli scavi di Festo obbligherà a riprendere in considerazione tutte le datazioni delle confinanti civiltà, del Peloponneso, delle Cicladi e di tutto l'Egeo, e perfino di alcune civiltà sulle coste dell'Asia Minore, datazioni più o meno fondate sulle relazioni con Creta; ma limitandoci qui alla civiltà cretese, punti relativamente fissi per la sua cronologia si possono additare per l'inizio, come per le varie fasi dell'età protopalaziale. Non si sono eseguiti recentemente scavi e saggi stratigrafici di ampia portata per chiarire l'evoluzione artistica dell'età dei più tardi palazzi, per i quali pertanto conviene conservare ancora il corrente schema cronologico, che per altro potrà variare, e probabilmente venire a sua volta ribassato, in seguito a prossime approfondite ricerche. Non siamo in grado di stabilire, senza l'aiuto di nuovi elementi, la durata dell'età neo-eneolitica, né quella dell'età delle case prepalaziali; ma la constatazione dell'esistenza nella prima di tanti elementi direttamente legati coi caratteri dello stile di Kamàres induce a sospettare una durata piuttosto corta per il periodo prepalaziale, e probabilmente anche per l'età neo-eneolitica stessa. Provvisoriamente possiamo pertanto suggerire la seguente tabella cronologica, compilata accettando - come abbiamo detto sopra - le date più alte possibili per le correlazioni orientali, suscettibile quindi di ulteriori variazioni, e che comunque va intesa con larga approssimazione, finché nuovi studi e nuovi dati ci permettano di stringere ogni successiva fase entro più rigorosi limiti:
Tabella
Bibl.: Per la ceramica dai recenti scavi di Festo v. bibliografia s. v. festo e inoltre: Ill. London News, nov. 24, 1956, tav. a colori II-III; D. Levi, Gli scavi italiani a Creta, in Nuova Antologia, n. 1866, giugno 1956, p. 221 ss.; La Tholos di Kamilari presso Festòs, in Annuario Atene, XXXIX-XL, 1961-62 (in corso di stampa): in particolare ceramica della terza fase del I Palazzo. Per la cronologia minoica: D. Levi, in Annuario Atene, XXXV-XXXVI, 1957-58, p. 187 ss.; id., Per la nuova classificazione della civiltà minoica, in La Parola del Passato, LXXI, 1960, p. 81 ss. Per la villa rurale di Kannia: D. Levi, La villa rurale minoica di Gortina, in Boll. d'Arte, 1959, p. 237 ss.; id., Immagini di culto minoiche, in La Parola del Passato, LXVIII, 1959, p. 377 ss. Per i recenti restauri degli affreschi minoici: D. Levi, The Sarcophagus of Haghia Triada Restored, in Archaeology, IX, 1956, p. 192 ss.
(D. Levi)