Arte musiva
Per Federico II committente e promotore d'arte il mosaico ebbe un ruolo marginale. Parallelamente alla preferenza per le fabbriche civili e militari rispetto a quelle ecclesiastiche, piuttosto che alla figurazione pittorica monumentale e diffusa dei mosaici parietali la sua attenzione si sarebbe rivolta a quella scolpita, a quella circoscritta e funzionale dalla Bauplastik, a quella intima e preziosa delle miniature e dei cammei. Tuttavia, per il fervore che aveva conosciuto in Sicilia, l'arte musiva svolse comunque un ruolo non trascurabile per la produzione artistica nel Regno svevo, e l'età fridericiana fu decisiva per gli sviluppi della tecnica in Italia.
Quando Federico II fu incoronato re di Sicilia, il 17 maggio 1198 a soli tre anni, la capitale Palermo era una città cosmopolita, ricca e sfavillante di edifici ed immagini: di fronte ai palazzi dei re normanni "gli occhi restano abbagliati a tanto splendore" (Ibn Ǧubayr, 1906, pp. 231-233). Da poco era stato completato il rivestimento della cattedrale di S. Maria Nuova a Monreale, "l'ultimo dei grandi complessi dell'età normanna, epitome, o canto del cigno, della breve gloria di quell'epoca" (Kitzinger, 1960, p. 13). Nello spazio di circa mezzo secolo la promozione della tecnica da parte di quella giovane dinastia aveva favorito l'arrivo di molteplici maestranze bizantine e la costituzione di una rete di cantieri che allestì decorazioni sacre e profane degne delle chiese e del palazzo della capitale dell'Impero d'Oriente.
Appena incoronato, Ruggero II (1130-1154) fondò nel 1131 la cattedrale di Cefalù e iniziò la costruzione della Cappella Palatina a Palermo, che nel 1140 avrebbe provvisto a dotare. L'iscrizione alla base del tamburo della cupola reca la data 1143 e testimonia che allora erano già stati realizzati almeno il Pantocratore, gli angeli e gli altri personaggi sui quali si incentrava il programma iconografico, secondo la di-sposizione tradizionale mediobizantina. Negli anni seguenti si collocano anche la decorazione del resto del presbiterio, preso a modello per i mosaici di S. Maria dell'Ammiraglio, voluti da Giorgio d'Antiochia (m. 1151), e confrontabili con quelli di Cefalù, datati 1148. All'addensamento cronologico non corrispose omogeneità esecutiva: ognuno di questi cicli fu opera di ateliers distinti e anche Guglielmo I (1154-1166), al quale probabilmente si deve la conclusione della decorazione cefaludense, chiamò nuovi mosaicisti per figurare storie dell'Antico e del Nuovo Testamento sulle pareti della navata della Palatina. Sono sue commissioni anche il rivestimento della Sala di Ruggero nel Palazzo Reale (o dei Normanni) e i frammenti della Torre Pisana, mentre fu il figlio, Guglielmo II (1166-1189), a promuovere l'impresa monrealese, nella quale è manifesta l'intenzione di riassumere i temi veterotestamentari e apostolici dei monumenti più antichi e di superarli per gigantismo e magnificenza.
Accanto a queste emergenze tuttora conservate, dalla tradizione indiretta si ricava l'impressione di una più articolata diffusione della tecnica musiva, ad esempio in diverse cappelle dei palazzi o in S. Maria Maddalena a Palermo (cf. Demus, 1949, pp. 187-192), mentre non sono date notizie di mosaici di età sveva. Il problema storico che ciò configurava ha anche indotto a ipotizzare, con una certa fortuna, che l'esecuzione dei mosaici di Cefalù e di Monreale si fosse protratta fin entro il regno di Federico II (Lazarev, 1935, p. 222). Per assodare la consapevolezza che questi non avesse responsabilità dirette rispetto alla grande produzione musiva siciliana si sono dovuti attendere gli studi di Otto Demus e di Ernst Kitzinger, che hanno fissato la cultura figurativa dei cicli siciliani nell'alveo dell'arte comnena e tardocomnena e la cronologia entro i termini della dinastia normanna; ponendo, peraltro, le basi per evidenziarne la discontinuità culturale e cronologica con i mosaici di Messina o con l'Odigitria di Calatamauro, databili fra la fine del XIII e l'inizio del XIV sec. (Federico II e la Sicilia, 1995, pp. 507-518).
La chiusura del cantiere di Monreale, al più tardi negli anni di Tancredi (m. 1194), segnò infatti l'elisione dal panorama artistico siciliano di una produzione caratterizzante, che nel volgere di pochi decenni aveva prodotto una straordinaria concentrazione monumentale e che Federico II negli anni seguenti non poté o non volle riattivare. Con la committenza fridericiana si afferma una nuova concezione della decorazione monumentale che, rinunciando a una figuratività pervasiva, limita anche l'impiego del mosaico. Le uniche composizioni in tessere riferibili agli anni di Federico II sono la decorazione dei baldacchini delle tombe di Ruggero II e di Costanza d'Altavilla nella cattedrale di Palermo, databili in corrispondenza del trasferimento da Cefalù nel 1215. A queste si possono forse aggiungere, vista la connotazione imperiale dell'emblema dell'aquila, l'inserto nella Sala della Fontana nel Castello della Zisa e quello nella volta della Sala di Ruggero nel Palazzo dei Normanni, entrambi a Palermo, dei quali il primo mostra eloquenti analogie con il rapace araldico della spada del Kunsthistorisches Museum di Vienna, e il secondo replica un'iconografia altrimenti nota per la lepre carpita (ibid., pp. 12-15). Questi esempi mostrano come, anche quando la tecnica musiva non sia ridotta a meri fini ornamentali, i suoi valori figurativi sono limitati dall'impiego integrativo o accessorio.
In epoca sveva la valenza della tradizione musiva siculo-normanna è principalmente quella di modello per le altre produzioni artistiche locali e di riserva di sapere tecnico e risorse umane nella "dissemination of the Sicilian style" (Demus, 1949, pp. 443-457).
La purezza della cultura bizantina rappresentata dai mosaici non sarà più riscontrabile negli ateliers siciliani, mentre la sua influenza si riconosce già nel linguaggio figurativo del Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli o nelle tavolette di iconostasi dall'abbazia di S. Martino delle Scale di Palermo, nelle quali la matrice tardocomnena monrealese si esplica in puntuali desunzioni morfologiche e nell'adozione di analoghe soluzioni compositive (Federico II e la Sicilia, 1995, pp. 4-10 e 460-465). I monumenti normanni furono comunque tramite di quella cultura anche per contesti produttivi lontani, come negli affreschi della sala capitolare del monastero spagnolo di Sigena (Huesca), dove erano attivi miniatori inglesi che conoscevano le decorazioni siciliane (Pächt, 1961).
L'influenza più rilevante dei mosaici della Sicilia normanna fu l'esportazione della tecnica a seguito della dissoluzione dei cantieri. Databili entro il primo decennio del secolo, regnante Innocenzo III (1198-1216), a Grottaferrata e a Spoleto si conservano le più chiare testimonianze dell'approdo peninsulare di un linguaggio figurativo e di artisti di formazione siciliana. Al 1207 data la Deesis nella lunetta di facciata della cattedrale spoletina: "Hec est pictura quam fecit sat placitura, doctor Solsternus hac summus in arte modernus. Annis inventis cum septem mille ducentis, operarii Palmerius de Sanso Transericus Enrici Diutesalve Pincurinu". È ignoto se Solsterno fosse siciliano, né le indagini onomastiche risultano utili, ma è indubbia la matrice tardocomnena di origine monrealese della sua cultura figurativa. Le affinità sono per lo più tipologiche e si riconoscono, ad esempio, nei caratteri della Vergine e nella forma del trono, nella conduzione dei panneggi e nel modulo della cornice a racemo. La scelta della posizione in facciata e l'adozione del modello dell'acheropita lateranense per il Cristo testimoniano invece dell'avvenuta contaminazione con la cultura figurativa romano-laziale, a cui va ricondotta anche la rigidità di alcuni passaggi nella costruzione dei volti dei personaggi.
Genuina freschezza di modi e più intima affinità con i mosaici di Monreale si riconoscono invece nella Pentecoste che corona l'arco trionfale della badia greca di Grottaferrata, databile a ridosso del 1204, anno di consacrazione della chiesa. La corrispondenza, d'insieme e nei particolari, fra il mosaico criptense e l'analoga scena della testata del transetto nord di Monreale è tanto intensa che pochi hanno dubitato dello spostamento di maestranze dall'una all'altra: sono riconducibili alla stessa tradizione operativa la forma quadrangolare regolare delle tessere e il loro accostamento sprezzato e numerose soluzioni risultano sovrapponibili nella resa delle componenti dei volti.
Caratteri figurativi omogenei e abitudini esecutive comparabili si riscontrano anche nei frammenti superstiti del rifacimento dell'abside di S. Pietro in Vaticano, promosso da Innocenzo III negli anni successivi, fra il 1205 e il 1209-1212. Come la composizione della Maiestas Domini risultava un aggiornamento della Traditio legis paleocristiana, così l'effigie dell'Ecclesia romana e del papa mostrano di aver assorbito caratteri della tradizione pittorica locale. Nonostante le corrispondenze materiali e tecniche, nei frammenti vaticani traspare però una maggiore secchezza per la sottolineatura dei tratti, per la fissità dello sguardo, per gli irrigidimenti localizzati assenti nei mosaici di Monreale e, in gran parte, in quelli di Grottaferrata.
L'interazione di maestranze portatrici in mosaico della cultura bizantina tardocomnena con le istanze artistiche locali, ancora legate alla tradizione formale discendente dall'arte dell'età della riforma gregoriana, furono decisive per la figuratività del Patrimonium Petri nella prima metà del XIII sec.; insieme, d'altronde, alle novità veneziane portate dai maestri chiamati a lavorare ai mosaici dell'abside di S. Paolo fuori le Mura, avviati ancora da Innocenzo III e realizzati sotto Onorio III (1216-1227). Proprio insieme con il cantiere marciano, la committenza papale fu per gran parte degli anni del regno di Federico II l'unica a ricorrere all'arte musiva e, prima che il potere papale e la sua consapevolezza fossero diminuiti, affidò ad essa l'illustrazione della visione teocratica della sua auctoritas, mettendone a frutto le prerogative di tecnica aulica già di lunga tradizione imperiale.
Conclusa la decorazione ostiense, a partire dal 1230 ca. Gregorio IX (1227-1241) ordinò di sostituire l'antico mosaico della facciata della basilica vaticana per aggiornarne l'iconografia: l'agnello alla sommità fu sostituito da Cristo in trono ai cui piedi si trovava il papa committente, come già nell'abside. In essa però i caratteri derivati dalle imprese della prima metà del secolo sono ormai partecipi di una 'maniera nuova', nella quale scorgere il portato siculo-normanno è più difficile che, ad esempio, negli affreschi della cappella di S. Silvestro ai SS. Quattro Coronati, dedicata nel 1246 (Mitchell, 1980, pp. 30-32).
Per completare il panorama delle relazioni, sovente indirette, fra l'arte musiva e Federico II o la sua età, è da ricordare l'iscrizione dei mosaici della scarsella del battistero di Firenze, in cui ci si riferisce alle autorità universali con funzione datante: "Annus papa tibi nonus currebat Honori at Federice tuo quintus monarcha decori viginti quinque Xristi cum mille ducentis tempora currebant per secula cuncta manentis. Hoc opus incepit lux mai tunc duodena quod Domini nostri conservet gratia plena Sancti Francisci frater fuit hoc operatus Jacobus in tali pre cunctis arte probatus". Questa è l'unica indicazione esplicita che colleghi l'imperatore a un'opera musiva, ancorché la notizia non sia verificata, viste le incertezze e l'alta problematicità del contesto, denunciata dall'attribuzione del titolo di santo a Francesco vivente (m. 1226) e ancora da canonizzare (1228).
fonti e bibliografia
Sulla produzione siculo-normanna, opere citate e di riferimento:
Ibn Ǧubayr, Viaggio in Ispagna, Sicilia, Siria e Palestina, Mesopotamia, Arabia, Egitto, traduzione e note di C. Schiaparelli, Roma 1906.
V. Lazarev, The Mosaics of Cefalù, "The Art Bulletin", 17, 1935, pp. 184-232.
O. Demus, The Mosaics of Norman Sicily, New York 1949.
E. Kitzinger, I mosaici di Monreale, Palermo 1960; E. Borsook, Messages in Mosaic. The Royal Programmes of Norman Sicily (1130-1187), Oxford 1990.
E. Kitzinger, The Mosaics of St. Mary's of the Admiral in Palermo, Washington 1990.
Id., I mosaici del periodo normanno in Sicilia, I-VI, Palermo 1992-2000.
V. Pace, La pittura medievale in Sicilia, in La pittura in Italia. L'Altomedioevo, a cura di C. Bertelli, Milano 1994, pp. 304-320.
M. Andaloro, Mosaici di Venezia e mosaici della Sicilia normanna, in Storia dell'arte marciana: i mosaici. Atti del Convegno (Venezia, 11-14 ottobre 1994), a cura di R. Polacco, Venezia 1997, pp. 105-122.
W. Tronzo, The Cultures of His Kingdom. Roger II and the Cappella Palatina in Palermo, Princeton 1997.
M. Andaloro, Strutture, tecniche, materiali negli "ateliers" della Palermo normanna, in Federico II e la Sicilia, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1998, pp. 202-217.
H. Karge, Die geborgte Tradition. Zu den Mosaikbildnissen der normannischen Könige in der Martorana in Palermo und im Dom von Monreale, in Bildnis und Image. Das Portrait zwischen Intention und Rezeption, a cura di A. Köstler-E. Seidl, Köln-Weimar-Wien 1998, pp. 41-64.
Sulle opere di età fridericiana e la produzione seriore:
Federico II e la Sicilia: dalla terra alla corona. Arti figurative e arti suntuarie, catalogo della mostra, a cura di M. Andaloro, Palermo 1995, passim.
Circa le influenze e la diffusione esterna della tecnica cf. anche:
O. Pächt, A Cycle of English Frescoes in Spain, "The Burlington Magazine", 103, 1961, pp. 166-175.
J. Mitchell, St. Silvester and Costantine at the SS. Quattro Coronati, in Federico II e l'arte del Duecento Italiano. Atti del Convegno (Roma, 15-20 maggio 1978), a cura di A.M. Romanini, II, Galatina 1980, pp. 15-32.
V. Pace, La chiesa abbaziale di Grottaferrata e la sua decorazione nel medioevo, in Fatti, patrimoni e uomini intorno all'abbazia di S. Nilo nel Medioevo. Atti del Convegno (Grottaferrata, 26-28 aprile 1985), Grottaferrata 1988, pp. 47-80.
A. Iacobini, Il mosaico absidale di San Pietro in Vaticano, in Fragmenta Picta. Affreschi e mosaici staccati del Medioevo romano, catalogo della mostra (Roma, 1989-1990), a cura di M. Andaloro-A. Ghidoli-A. Iacobini-S. Romano-A. Tomei, Roma 1989, pp. 119-129.
A. Monciatti, "Pro musaico opere... faciendo": osservazioni sul comporre in tessere fra Roma e Firenze, dall'inizio a poco oltre la metà del XIII secolo, "Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia", ser. IV, 2, 1997, pp. 509-530.
M. Andaloro, Il mosaico di Solsterno, in La cattedrale di Spoleto. Storia, arte, conservazione, a cura G. Benazzi-G. Carbonara, Milano 2002, pp. 213-219.
Per la scarsella del battistero di Firenze:
O. Demus, The Tribuna Mosaic of the Florentine Baptistery, in Actes du VIe Congrès International des Études Byzantines(Paris, 1948), II, Paris 1951, pp. 101-110.
M. Boskovits, Florentine Mosaics and Panel Paintings: Problems of Chronology, in Italian Panel Painting of the Duecento and Trecento. Atti del Convegno (1998), a cura di V.M. Schmidt, Wash-ington 2002, pp. 486-498, con rinvii.