Vedi NABATEA, Arte dell'anno: 1963 - 1995
NABATEA, Arte (v. vol. V, p. 319)
Con arte n. si intende la produzione artistica del regno costituito nel II sec. a.C. e annesso da Roma nel 106 d.C., comprendente una parte della Transgiordania con la capitale Petra e vaste estensioni desertiche del Negev, del Sinai e del Hiğāz. Dopo l'annessione, la provincia di Arabia, ingrandita rispetto all'antico regno con l'aggiunta di territori già in precedenza romani, perse progressivamente i caratteri originari della sua cultura.
I Nabatei erano una tribù araba che occupò, nel periodo achemenide, il paese di Edom. Sono ricordati per la prima volta nel 312 a.C. per aver respinto due tentativi di Antigono Monoftalmo di impadronirsi della Rupe (Petra), rifugio di questo popolo ancora nomade ma già arricchito dal commercio carovaniero (Diod. Sic., XIX, 94 s.). Essi seppero conservare la propria indipendenza ai margini del mondo ellenistico, sia nei confronti dei Tolemei che dei Seleucidi. A partire dal 168 a.C. è attestata in modo certo una monarchia, con il re Areta (Ḥaretat). Ben presto i Nabatei si ritrovarono vicini del regno ebraico dei Maccabei, con cui si disputarono il possesso della riva È del Giordano. Nell'85 a.C. il re seleucide Antioco XII trovò la morte in uno scontro con le truppe del re nabateo Oboda, poi divinizzato, il cui figlio Areta III Filelleno giunse a controllare per diversi anni la città di Damasco.
Al momento della creazione della provincia di Siria, nel 64/63 a.C., il regno divenne vassallo di Roma. Ricacciati definitivamente dal Giordano e dalla piana del Ḥawrān verso la zona desertica, i Nabatei vi svilupparono delle straordinarie tecniche di creazione di riserve d'acqua mediante dighe, cisterne, terrazze di trattenimento, ecc., che permisero una prosperità agricola senza precedenti nella regione. D'altra parte, federati alla tribù degli Šalamu, essi controllavano le piste carovaniere del deserto che conducevano attraverso lo wādī Sirḥān verso la città di Gerrha sul golfo di Bahrain e attraverso il Ḥiğāz verso lo Yemen. Petra era la piattaforma girevole di questo commercio che raggiungeva il Mediterraneo nei porti di Gaza e di Rhinocolura (el-Ariš), da dove l'incenso, le spezie e altri prodotti di lusso di origine orientale si diffondevano sull'enorme mercato aperto dalla pax romana. Per Strabone (XVI, 4, 18), i Nabatei del I sec. a.C. sono già divenuti sedentari. I siti principali in effetti risalgono proprio al I sec. a.C.-I sec. d.C. e traducono così la prosperità commerciale, il cui apogeo sembra essere stato raggiunto sotto Areta IV, re dal 9 a.C. al 40 d.C. (cfr. Ep. Cor., II, 11, 32, dove l'«etnarca del re Areta» è il rappresentante della colonia di mercanti nabatei a Damasco).
Le iscrizioni nabatee, databili dal I sec. a.C. al III sec. d.C., sono redatte in una scrittura particolare che rappresenta una variante corsiva nata dalla grafia della cancelleria achemenide e conserva questo carattere anche nell'incisione su pietra. Conosciamo soprattutto le iscrizioni monumentali e i graffiti di Petra e Ḥegra, ma anche quelli dispersi su tutto il territorio del regno e anche al di là, come nel Ḥawrān, così come diverse centinaia di graffiti dal Sinai, piuttosto tardi; i manoscritti sono invece estremamente rari. La lingua delle iscrizioni è sempre l'aramaico, anche se alcune particolarità del vocabolario e il repertorio onomastico permettono di ritenere che l'idioma parlato dai Nabatei fosse un dialetto arabo.
Anche i culti dei Nabatei erano arabi. Il loro dio principale era Dūšarā, divinità dinastica e garante del diritto consuetudinario. Il «Signore di Šarā», cioè del massiccio roccioso di Petra, era probabilmente identico al dio arabo Ruḍā, Arṣū a Palmira, Orotal per Erodoto (III, 8) che lo presenta come il dio supremo degli Arabi nel V secolo. Venerato a Petra sotto forma di un cubo di pietra nera, e a Bostra, con l'epiteto di A‛arra, sotto quella di un betilo, come mostrato dalle monete, egli era assimilato a Dioniso, ma a volte a Zeus e, più tardi, ad Ares. Oltre a lui, spiccano soprattutto tre divinità femminili: al-‛Uzzā, che a Petra corrisponde ad Afrodite, Allat (nel Ḥawrān Atena) e Manawāt, la dea del destino; ancora il Corano le ricorda come «figlie di Allah», naturalmente per condannare il loro culto.
Idoli aniconici spesso rettangolari, o talvolta caratterizzati da sommari tratti fisiognomici, erano venerati nei templi e scolpiti in bassorilievo su pareti rocciose. Il trono (motab) delle divinità era esso stesso oggetto di culto; si trattava di un sedile o semplicemente di uno zoccolo di betilo. Ugualmente aniconici sono spesso i monumenti funerarî, che rappresentano l'anima del defunto (la sua nefeš) sotto forma di un obelisco o pyramìdion. Non sono tuttavia assenti le divinità antropomorfe, come il siriano Hadad (il cui attributo è il fulmine) e la sua paredra Atargatis nel santuario di Khirbet et-Tannūr, Iside e alcune divinità elleniche a Petra.
Un elemento costante del culto, al di là dei sacrifici cruenti e dell'incenso, era il banchetto cultuale, nel corso del quale i convitati entravano in comunione con i loro dèi; triclinia scavati nella viva roccia abbondano soprattutto a Petra.
L'arte n. è essenzialmente un'arte ellenistica. Quella della capitale, Petra, ci conserva un riflesso, abbastanza fedele anche se parziale, dell'arte alessandrina, mentre altri siti ne presentano una versione locale e più o meno rozza. Si intravedono anche tracce delle tradizioni anteriori, di origine siriana o araba. Al contrario, l'apporto dell'ellenismo orientale, così importante p.es. a Palmira, è assente, malgrado i contatti commerciali dei Nabatei con i paesi del Golfo.
Si associa spesso all'orizzonte artistico nabateo la regione del Ḥawrān: essa tuttavia, con l'eccezione della città di Bostra (v.), non apparteneva al regno, a prescindere da un periodo effimero e incerto tra il 30 e il 23 a.C.; la produzione caratteristica della regione del Ḥawrān, che si distingue anche per l'uso del basalto locale, è collegabile con certe opere nabatee solo per la componente ellenistica, di cui rappresenta una versione rustica. Il principale monumento del Ḥawrān prima dell'annessione romana è il santuario di Sī‛ (Seia), costruito dal 33/32 al 2/1 a.C. Esso non ha nulla di specificamente nabateo, anche se delle iscrizioni onorifiche per Erode il Grande e suo figlio Filippo vi sono incise in una grafia simile anche se non identica a quella di Petra. Malgrado lo spirito comune evidente nelle manifestazioni artistiche di tutta la regione, l'attributo nabateo è appropriato solo all'arte del regno, da Bostra a Ḥegra.
La collocazione cronologica dell'arte n. è ancora controversa. In assenza di qualsiasi data certa, la disputa ruota attorno allo stile di alcuni monumenti di Petra, in particolare della tomba detta el-Khazne («il Tesoro») e del tempio chiamato Qaṣr Bint Fira‛un («Castello della Figlia del Faraone»), che sono verisimilmente contemporanei. Mentre la decorazione architettonica di questi monumenti sembrava per alcuni risalire all'epoca di Augusto (Th. Wiegand, C. Watzinger, J. Starcky), per altri si confaceva meglio all'età antonina (A. von Domaszewski, D. S. Robertson, G. R. H. Wright). In seguito, gli scavi di P. Parr hanno provato che il tempio di Qaṣr el-Bint non poteva essere posteriore all'inizio del regno di Areta IV (9 a.C.-40 d.C.); di conseguenza el-Khazne potrebbe essere stato scavato per questo re o per il suo predecessore Oboda II (30-9 a.C.). Anche se i confronti più diretti a noi noti per entrambi i monumenti sono a Roma e a Pompei, l'arte di Petra imitava in realtà quella di Alessandria.
La manifestazione più nota dell'arte n. è costituita dalla ricca serie di facciate di tombe scavate nella roccia (quasi seicento). Questi monumenti, che si trovano quasi tutti a Petra e a Ḥegra, possono essere visti come opere sia di architettura sia di scultura, per la tecnica utilizzata e per i modelli imitati. Mentre le tombe di Petra sono sempre anonime e senza data, a causa di qualche proibizione religiosa, quelle di Ḥegra sono spesso accompagnate da iscrizioni che forniscono, per una trentina di esse, delle date comprese tra l'1 e il 76 d.C. Conosciamo ugualmente i nomi di alcuni scultori, tutti attivi nella prima metà del I sec. d.C.; alla stessa famiglia appartengono tre fratelli, ‛Abdḥaretat, Aftaḥ e Wahballahi, e il figlio di quest'ultimo ‛Abd‛obodat.
Le tombe rupestri consistono in camere funerarie il cui ingresso è incorniciato e sormontato da una facciata di enormi dimensioni, di forma leggermente trapezoidale. Intagliati nella roccia viva, questi ingressi monumentali imitano monumenti liberi a pianta quadrata come se ne trovano in Siria e, come monoliti isolati, nella stessa Petra. Le facciate più antiche, attribuibili al II e I sec. a.C., sono coronate da un cavetto egizio e da una fila di merli, a volte due file sovrapposte. Questa decorazione si ritrova sui monumenti funerarî di età persiana ad Amrit, e il motivo stesso risale all'arte assira.
Un tipo più sviluppato («tomba a scale») presenta solo due mezzi merli più grandi, corrispondenti ai merli angolari nei monumenti liberi, quali gli «altari a corna» frequenti in Oriente in quest'epoca. Con due lesene d'anta che incorniciano la facciata al di sotto della trabeazione, si ottiene il tipo «proto-Ḥegra», mentre il tipo «Ḥegra» è caratterizzato dalla trabeazione sdoppiata, con un attico intermedio che può ricevere delle lesene corte. Vi compaiono spesso un portale a frontone e a volte delle semicolonne tra le ante.
Uno sviluppo particolare è il capitello detto nabateo, che troviamo anche sulle facciate «Ḥegra» e «proto-Ḥegra», come in templi e monumenti diversi fino alla fine del I sec. d.C. Si tratta di una trasformazione del capitello corinzio non-vitruviano (privo di croci mediane), semplificato al punto da presentare larghe facce unite prive di qualsiasi elemento vegetale.
La tipologia delle facciate nabatee, dovuta ad A. von Domaszewski e O. Puchstein, esprime il grado di ellenizzazione di un tipo di monumento che risale ai modelli del periodo persiano. Tuttavia ogni variante era già presente a cavallo tra le due ère e utilizzata parallelamente nel corso del I secolo. La serie ristretta delle facciate ellenistiche è all'incirca contemporanea; limitati a Petra, questi monumenti sembrano corrispondere alle tombe reali. Quella di el-Khazne, ravvivata da rilievi figurati, presenta due piani: una facciata esastila a frontone iscritto su un attico e, al centro di questo, una thòlos inglobata in un colonnato a rilievo che la circonda su tre lati, sormontato in facciata da un frontone spezzato; i capitelli sono corinzi pre-vitruviani. Questa tomba, ormai datata concordemente al I sec. a.C., trova i confronti più puntuali nella pittura campana (Casa del Labirinto, Villa di Boscoreale). A Petra esiste una facciata affine, quella della tomba definita «corinzia», e un'altra più semplice (ed-Deir) senza dubbio della fine del I sec. d.C. Tra le altre tombe ellenistiche ricorderemo ancora la «Palace Tomb», una larga facciata a quattro porte e due piani di portici a semicolonne, che ricorda senza dubbio l'aspetto dei palazzi ellenistici. L'unico monumento datato a Petra è la tomba di Sesto Fiorentino, governatore prima del 130, la cui decorazione ridondante ben si colloca al termine dell'evoluzione.
Il tempio principale di Petra è il Qasr Bint Fira‛un, dedicato probabilmente a Dūṣarā. La cella si alza in un témenos irregolare che comprende un grande altare sacrificale di fronte al tempio e che è accessibile tramite un arco monumentale a tre fornici, di incerta datazione. Il tempio è quadrato, con un pronao a quattro colonne e una trabeazione dorica a rosoni e medaglioni con busti nelle metope. All'interno, un àdyton quadrato di fronte alla porta contiene una piattaforma per l'idolo ed è fiancheggiato da locali ausiliarî a due piani. La caratteristica di maggior interesse del monumento è data dalla decorazione in stucco, interna ed esterna, molto vicina alle pitture pompeiane del primo e secondo stile; quest'architettura illusionistica comprende lesene, edicole, frontoni spezzati, e insieme girali e medaglioni figurati. Ora che la datazione al I sec. a.C. è confermata, anche tutto l'impianto urbano di Petra, con la grande via a colonnati, il teatro e senza dubbio altri monumenti non ancora scavati, può essere ricondotto insieme allo stesso periodo, conformemente a quanto avviene in Palestina sotto Erode il Grande.
Un altro tempio più recente è stato da poco portato alla luce a Petra da Ph. Hammond, sul versante N, al di sopra della via principale; denominato «Tempio dei Leoni Alati», era verisímilmente dedicato alla dea al-‛Uzzā. È costituito da una cella quadrata circondata da colonne e con una piattaforma al centro (motab). Una piattaforma simile è stata recentemente rinvenuta da F. Villeneuve a Khirbet edh-Dherlh, nell’àdyton del tempio.
Il Tempio di Allat a Iram (Ğebel Ramm) sembra essere assai tardo (fine del I sec. d.C.). La cella, sempre quadrata, è qui circondata da un peristilio, poi murato. Purtroppo questo monumento è documentato in modo incompleto, come anche il complesso sacro di Khirbet et-Tannūr, in cui un'edicola quadrata era collocata al centro di un recinto isolato verso il fondo di un'area libera limitata da sale da banchetto e da altri locali. Il cubo in muratura dell'edicola fu per due volte rivestito da muri con decorazione via via più elaborata, che risparmiavano una nicchia sulla fronte del monumento originale; la sua ultima fase risale all'inizio del I sec. d.C.
Aggiungeremo a questa serie di templi cubici una piccola cappella recentemente scavata da P. Naster a Lehūn.
Si tratta di un tipo caratteristico dell'architettura religiosa della Siria meridionale in genere, presente p.es. a Sīe. Tale tradizione, la cui testimonianza più celebre è rappresentata dalla Ka‛aba della Mecca, sembra specificamente araba. Nulla deve, per quanto se ne possa dire, all'architettura iranica e rappresenta il prototipo dell’àdyton siriaco, cappella sopraelevata e approssimativamente quadrata al fondo di una cella; questo sviluppo è già realizzato nei templi nabatei, come il Qaṣr el-Bint, e quelli di Qaṣr Rabba e Khirbet edh-Dherīḥ, come anche a Palmira nel tempio di Bel, ma i suoi esempî in Siria si fanno ancora più numerosi a partire dal II secolo.
Un'altra sopravvivenza è rappresentata dai betili aniconici, quali la pietra nera di Dūšarā descritta dal lessico Suida o la stele rettangolare fornita di schematici tratti fisiognomici e limitata da una cornice a forma di edicola, proveniente dal «Tempio dei Leoni Alati». Diverse stele dello stesso tipo o ancora più rozze sono scolpite sulle pareti di roccia a Petra; i confronti più vicini si ritrovano in Arabia (oasi di Taymā, Hağar bin Ḥumayd nello Yemen). Esse riflettono la tradizione ancestrale dei Nabatei, similmente agli obelischi a rilievo che rappresentano l'abitacolo delle anime (nefeš). In entrambi i casi, la familiarità con il mondo delle forme ellenistico è rivelata dall'inquadratura architettonica delle stele e dal profilo a piramide su zoccolo adottati dai monumenti funerarî.
Sulla base della documentazione esistente, l'ellenismo penetra in Nabatene nel I sec. a.C. È opportuno distinguervi due correnti: una versione indigena, rappresentata per noi dalle sculture del santuario di Khirbet et-Tannūr, e l'arte di corte che è manifestamente opera di artisti greci di provenienza alessandrina. La prima corrente trova dei confronti nella scultura in basalto del Ḥawrān e presenta la stessa composizione frontale, la stessa espressione fissa e semplice, lo stesso modellato sommario e le proporzioni soggettive, soprattutto negli occhi enormi. A Khirbet et-Tannūr, il dio con il fulmine, in trono tra due tori, ha tutte le caratteristiche del Hadad siriano, anche se rappresenta senza dubbio il dio edomita Qos. Questo bassorilievo abbelliva forse la nicchia del naìskos cubico, mentre la facciata del recinto interno del santuario era incorniciata dai busti di divinità, tra le quali la dea dei pesci, Atargatis-Derceto, la cui importanza nell'ambito del culto di questo santuario è stata alquanto esagerata. Un altro personaggio femminile occupa il frontone di questa facciata, nel mezzo di un girale fronzuto. Ricorderemo ancora una Nike portatrice di un circolo dello zodiaco che racchiude un busto di Tyche; tale motivo puramente ellenistico è questa volta trattato da una mano locale. L'insieme della decorazione figurata di questo tempio sembra appartenere all'ultima fase costruttiva, intorno al I sec. d.C.
Per quanto riguarda l'arte della capitale, la scultura vi è rappresentata principalmente da una serie di pannelli con busti di divinità, accatastati come chiusura davanti all'ingresso del témenos del Qaṣr el-Bint. Queste sculture, che avevano abbellito un monumento non individuato, risalgono senza dubbio al I sec. a.C.; dipendono da un gusto ellenistico, anche se l'uso di allineare verticalmente tali pannelli su pilastri è tipicamente nabateo. I fregi con girali animati, eroti, leoni affrontati, quali sono stati ritrovati a Petra e nel tempio di Qaṣr Rabba, sembrano in compenso delle repliche dirette di modelli ellenistici.
La decorazione figurata di el-Khazne dipende dalla stessa vena d'ispirazione, così come le pitture murali. I frammenti dipinti trovati da Ph. Hammond nel teatro e nel «Tempio dei Leoni Alati» sono insignificanti, al pari dei frammenti di stucco dalle tombe, ma vi si riconoscono elementi del primo stile pompeiano e motivi floreali. L'unico importante esempio di pittura è la decorazione di un triclinium nel sito chiamato Sīq el-Bāred, in cui un groviglio di tralci popolati di uccelli e di personaggi mitologici occupa il soffitto, mentre le pareti presentano architetture illusionistiche. Questi affreschi sono stati recentemente restaurati.
Ricordiamo infine la pittura vascolare, un genere in cui i Nabatei elaborarono uno stile loro proprio. Sottili coppe e ciotole con una delicata decorazione vegetale, facilmente riconoscibile, in rosso o bruno su fondo rosa, si ritrovano in tutta la zona meridionale del territorio nabateo, in primo luogo a Petra. Questa produzione copre tutto il I sec. a.C. e il I sec. d.C. e sopravvive nel II-III sec. d.C., anche se con un modellato più sommario e con colori più tenui.
L'arte di Petra sembra pertanto una delle rare testimonianze dell'arte di Alessandria. Bisogna tuttavia tener conto di una ricomposizione di elementi propri della capitale nabatea. L'ellenismo s'impose senza dubbio ad alcuni degli artisti locali, che lo interpretarono a modo loro, mentre altri restarono fedeli alla spoglia tradizione nomadica.
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(M. Gawlikowski)
Iconografia religiosa. - Il pantheon nabateo è il risultato di un lungo processo di sovrapposizioni etniche e culturali. Accanto a divinità di origine nord-arabica (Allah, Hubal, Manawät, Šaī' al-Qawm e, in posizione privilegiata, Allat e al-̔Uzzā), ve ne sono altre provenienti dalla Siria (Atargatis, Ba'alšamῑn), dall'Egitto (Iside) e dalla Grecia (Afrodite, Dioniso, Zeus).
I Nabatei generalmente rappresentavano i loro dèi come betili. L'identità di tali simulacri, si tratti di idoli, bassorilievi o incisioni rupestri (da Petra, wādῑ Rūm, Ḥegra), è raramente precisabile, se non si dispone di elementi contestuali di natura monumentale o epigrafica. Le immagini sono infatti di estrema semplicità: un rettangolo o un parallelepipedo la cui superficie anteriore è liscia o arricchita da un accenno di occhi, talvolta del naso, rarainente della bocca; tali elementi potevano essere resi in tutto o in parte con materiali diversi come legno e pietre preziose, di cui spesso restano tracce o almeno i fori dei supporti metallici; la superficie della stele era talvolta rivestita di stucco dipinto.
L'introduzione di modelli iconografici ellenistici è un fenomeno relativamente recente, che tocca soprattutto i centri urbani e le stazioni commerciali: non interessò che marginalmente, invece, la cultura figurativa dei gruppi nomadi o seminomadi che gravitarono intorno e all'interno del regno nabateo. Le immagini delle divinità greche potevano riflettere il carattere degli dèi locali: è il caso di Dioniso, Atena e Afrodite, ai quali erano assimilati Dūšarā, Allat e al-'Uzzā.
Dūšarā. - Le caratteristiche del dio principale dei Nabatei (nabateo dwšr', greco Δουσάρης, latino Dusares) non sono del tutto chiare, sebbene ne sia ammesso il legame con la vegetazione e un ruolo di divinità solare e di demiurgo.
Nessun tipo iconografico è stato ancora riconosciuto come caratteristico del dio; l'identificazione di molti soggetti anepigrafi come «blocchi di Düsarä» è meramente convenzionale. Discordi sono le interpretazioni delle fonti (Massimo di Tiro, la Suida) in cui si descrive il simulacro di Dūšarā a Petra come di forma quadrangolare.
Interessante è però la tarda documentazione delle monete (II-III sec.), in cui appaiono betili e stele di Dūšarā quali erano esposti in templi locali. Le raffigurazioni più antiche sono sulle monete di Adraa con un tipo di betilo-omphalòs noto anche da bassorilievi rupestri dello wādῑ Rūm, Ḥegra e, soprattutto, da un esemplare scolpito nel Sῑq di Petra accompagnato dalla dedica di un panegiarca di Adraa. L'iconografia di tali monete, con il betilo raffigurato sulla sua base, talvolta munita di scalini, fu in uso da Antonino Pio proseguendo, con minime varianti, sulle monete di Marco Aurelio, Caracalla, Eliogabalo e Gallieno. Il betilo semisferico sembra riservato ad Adraa, poiché sulle monete delle altre città risulta un tipo squadrato o una vera e propria stele. A Madaba, nelle monete di Geta ed Eliogabalo, il betilo è all'interno di un tempio tetrastilo. Una struttura diversa appare nei tipi di Eliogabalo a Kerak, nei quali una base con scalini e tre betili è di fronte a un personaggio su un trono; sulla serie di Bostra l'immagine aniconica di Düsarä è sulla base insieme a due betili.
L'iconografia antropomorfica di Dūšarā suscita notevoli difficoltà; il dato delle fonti antiche, che identificano il dio con Dioniso (Erodoto, Arriano, Origene, Esichio), è da accostare a raffigurazioni eterogenee, spesso vicine a Dioniso, ma anche a Zeus o a Helios, sia in forma di fanciullo che di giovane o adulto barbuto. Fra le numerose identificazioni, in maggior parte del tutto congetturali, punto di riferimento sono ancora le monete, in particolare di Bostra. Tralasciando alcune dubbie raffigurazioni di genio o divinità su dromedario, variamente interpretabili, l'immagine del dio è sicura nelle emissioni di Commodo sulle quali appare il profilo del giovane Dioniso con l'iscrizione ΒΟΣΤΡΗΝΩΝ ΔΟΥΣΑΡΗΣ, «Dūsarā degli abitanti di Bostra»; di Caracalla, in cui il medesimo soggetto ha corona d'alloro, paludamentum e corazza di Ares; di Filippo senior, con la ripetizione del tipo precedente. L'identificazione di Dūsarā in alcuni architravi del Ḥawrān a soggetto mitologico classico è solo ipotetica, come quelle di alcuni rilievi del tempio di Sῑ‛.
Controverso è anche un bassorilievo rupestre di Petra, considerato non anteriore alla fine del I sec., in cui appare una stele sormontata da un medaglione con busto di divinità, interpretata come Dioniso.
Simulacri di questo dio sono stati rinvenuti in tutta l'area di influenza nabatea e particolarmente a Petra, ove un altare con busto dionisiaco presenta una dedica greca al «dio santo Dusares». Presso il principale tempio della città, il c.d. Qaṣr el-Bint, è stato scoperto un frammento della mano destra di una statua di divinità, forse Dioniso-Dūsarā, la cui altezza è stata ipotizzata di c.a 7 m. Solo un'altra raffigurazione di grandi dimensioni è stata attribuita al dio nabateo: un busto colossale di divinità barbuta rinvenuto presso Pozzuoli, ove i Nabatei avevano un tempio e un'importante stazione commerciale; il busto, oggi nei Musei Vaticani, è stato considerato raffigurazione di un Oceano o di Hadad, ma i motivi iconografici che vi appaiono sembrano pienamente comprensibili se legati ai Nabatei e al loro dio nazionale.
Allat. - Principale divinità femminile del mondo nord-e centro-arabico, Allat (nabateo e palmireno 'lt, 'Itw, greco Άλλάθ) è la dea araba di cui si hanno le più antiche menzioni storiche: in Erodoto, il quale la chiama Urania, e nelle iscrizioni votive del V sec. a.C. da Tell el-Maškuta, nel Delta egiziano orientale. Benché da molti considerata, come indica il nome, «la dea» per eccellenza, i Nabatei non le riservarono un culto paragonabile a quello di al-'Uzzā, e comunque di esso a Petra non è stata ancora trovata sicura memoria. Nondimeno, Allat ebbe numerosi templi e luoghi di culto, specialmente nel Ḥawrān (Raḥā, Salkhad), e le era dedicato l'importante santuario dello wādī Rūm, non lontano da 'Aqaba. In Arabia, ove era venerata anche a Ḥegra e a Dedan, Allat ebbe un santuario a Taῑf, e alla Mecca il Corano la pone fra le «figlie di Allah», con al-'Uzzā e Manawāt. Le fonti (Damascio, Ibn Kalbῑ) attribuiscono alla dea betili tondeggianti o quadrangolari ma, come per Dūšarā, nessun idolo è stato riconosciuto con precisione. Si è ipotizzato che possa appartenere ad Allat l'antica stele (fine II sec. a.C.) con incisione «a croce di Lorena» scolpita presso la fonte di Qaṭṭar ed-Deir, a Petra, definita da una vicina iscrizione «maṣṣebā (stele) di Bostra». Per molti anni sono state considerate raffigurazioni aniconiche della dea due bassorilievi rupestri, in pessimo stato di conservazione, di cui si è recentemente sostenuto un contenuto antropomorfico. Il primo, presso la fonte di Šellala al Ğebel Rūm, con una dedica nabatea di I sec. ad Allat «di Bostra», rappresenterebbe un betilo con sommità a forma di testa umana, posto su una base munita di due corna o sormontata da una mezzaluna; si tratterebbe, invece, di un'immagine interamente antropomorfica, in cui la divinità apparirebbe assisa su un trono a braccia levate, con la testa (il presunto betilo) coperta da un pòlos o un kàlathos. L'altro rilievo, anepigrafe, è su una roccia di Ḥegra, presso il c.d. Diwān; si avrebbe qui un betilo rettangolare antropomorfizzato, con braccia levate e l'aggiunta di una testa tondeggiante, ai cui lati si troverebbero due corna o una mezzaluna a estremità ripiegate.
Il repertorio antropomorfico di Allat presenta caratteri incerti; generalmente raffigurata come Atargatis o altre divinità elleniche (Artemide, Afrodite), l'immagine consueta di Allat è fra due leoni, in piedi o su un trono, tratta dall'iconografia di Atargatis; in armatura e atteggiamento guerresco è del tutto simile ad Atena, e solo raramente i due tipi sono associati. Ad Allat come dea fra i leoni apparterrebbero due altorilievi mutili in basalto del Ḥawrān (Museo di Suwayda'); nel primo frammento, da Raḥa, più cospicuo e datato al II-III sec., è verosimile prevalessero i tratti di Atargatis; del secondo, coevo e di provenienza ignota, resta la sola base con iscrizione greca e due leoni con un animale fra le zampe; particolare che si ritrova in forma monumentale in una scultura del tempio di Allat a Palmira. Un'immagine di Allat in trono, senza i leoni e con uno scettro, è forse da riconoscere anche in un'iscrizione su pietra rinvenuta al Ğebel Ghunaym (presso Taymāä, Arabia settentrionale). Per quanto riguarda l'identificazione con Atena, attestata anche epigraficamente (dedica greca da Cordova), nella scultura prevalgono i tipi di Allat-Atena Parthènos o Pròmachos, soggetto comune nell'arte palmirena. Fra le raffigurazioni in bassorilievo, molte delle quali inedite, si ricordano quella sui quattro lati di un altare di basalto da Sī’ datato al II-III sec. (Museo di Suwayda') e una stele del Louvre di provenienza ignota con iscrizione votiva nabatea; fra i soggetti a tutto tondo, dei quali si conoscono numerosi frammenti, restano a Damasco una statua in basalto con dedica in greco sul tipo dell'Atena Pròmachos e una statua, senza testa e braccia, al Museo di Suwayda'. Dubbia è l'identificazione della dea in molti altri monumenti.
Al-'Uzzā. - «La possente» (nabateo ̔l 'z‛ ) fu identificata in età ellenistica con Afrodite Celeste e forse affiancata a Dūṣarā. Del betilo di al-'Uzzā si conoscono due immagini datate all'epoca di Rabbel II (75-106 d.C.) scolpite presso la fonte di Sellala, al Ğebel Rūm, identificate da vicine iscrizioni nabatee; in entrambi i casi si tratta di una stele rettangolare, antropomorfizzata con occhi quadrangolari e naso schematico, confrontabile con varî rilievi e idoli di Petra e Ḥegra.
Ad al-'Uzzā è stato inoltre attribuito l'idolo in calcare rinvenuto nel «Tempio dei Leoni Alati»; una raffigurazione composita (40 x 20 x 13 cm) in cui il betilo, sormontato da una corona, è posto all'interno di un'edicola su un piccolo podio; i tratti somatici che presenta sono particolarmente realistici, con bocca e sopracciglia ('Ammān, Museo Archeologico).
L'identificazione di al-‛Uzzā con Afrodite, dichiarata in una bilingue greco-nabatea di Coo (9 d.C.), fece sí che il suo tempio di Petra fosse indicato come Aphrodisèion (papiri di Babatha). Sono pertanto state attribuite ad al-'Uzzā molte delle raffigurazioni di Afrodite rinvenute presso i più importanti siti di frequentazione nabatea: a Petra, un busto velato in altorilievo dal témenos del Qaṣr el-Bint (da cui proviene anche una dedica in greco ad Afrodite), una statua mutila dal teatro, un busto a rilievo sotto un arco fra due genî o eroti alati (museo di Petra); da Gerasa, una figurina in terracotta di Afrodite fra due delfini, sotto un velo che ne ricorda il carattere astrale ('Amman, Museo Archeologico); il tempio di Khirbet et-Tannūr ha restituito un rilievo del tempo di Areta IV (9 a.C.-40 d.C.), in cattive condizioni, in cui la dea davanti a un arco mostra nella sinistra un oggetto non identificato ('Ammān, Museo Archeologico).
Al-Kutbā. - Divinità poco nota, il cui nome (nabateo, 'Iktb‛, kwtb', lihyanitico hn'ktb, hktby) dalla radice ktb «scrivere», ne suggerisce la sfera di influenza nell'ambito della scrittura e forse della divinazione; si è pertanto pensato a una sua derivazione dal dio babilonese Nabū. Considerata da alcuni studiosi un'ipostasi di Dūšarā e poco documentata epigraficamente, la divinità sembra invece aver avuto presso i Nabatei un ruolo non di secondo piano, specialmente presso le loro colonie in Sinai e in Egitto, ove ne sono stati identificati templi a Qaṣrawet (con betili della divinità all'interno di nicchie) e a Tell Šuqafīya. Di al-Kutbā è noto l'idolo rupestre a destra della stele di al-‛Uzzā a Šellala (Ğebel Rūm) di cui un'iscrizione nabatea precisa l'identità come «al-Kutbā che è in Gayā», dalla sua sede cultuale nella valle di el-Ğī, presso Petra.
Iside. - A Petra è emersa recentemente l'importanza del culto della dea egiziana, raffigurata in forma sia antropomorfa sia aniconica. Sull'altura di ez-Zantur è stata trovata una stele con naso e occhi «a stella» in cui erano probabilmente incastonate due pietre preziose; al centro della corona è il simbolo isiaco del sole affiancato da corna, emblema che riappare sul timpano del Khazne, nella cui thòlos è visibile un'immagine di Iside con il corno dell'abbondanza nella sinistra e una patera nella destra; quest'immagine rimanda a un tipo di Iside-Tyche alessandrina, ben noto anche in Asia Minore. Nei dintorni di Petra sono stati identificati almeno due santuarî rupestri della dea, caratterizzati entrambi da nicchie cultuali e iscrizioni votive. Il primo, nello wādī Sīyagh, presenta un altorilievo di Iside in trono, forse con la corona isiaca, nella cui destra sollevata all'altezza del petto è sostenuto un lembo della tunica; il rilievo è molto simile, eccetto che per l'incisione meno accurata, a quello dell'altro santuario, presso il Ğebel Ma'iz. La ripetizione del soggetto, comune a una statuetta in calcare del «Tempio dei Leoni Alati» e a quella frammentaria in alabastro dall'area cittadina, suggerisce che il modello sia da ricercare nella statua di culto del tempio urbano.
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(G. Lacerenza)