NEOCLASSICA, ARTE
NEOCLASSICA, ARTE - Già durante il sec. XVIII, mentre l'arte non mirava per lo più che al leggiadro e al grazioso, apparve e si affermò la reazione che doveva portare, al cadere del secolo, alle rigide forme classicheggianti, che a tutto il periodo diedero appunto il nome di neoclassico. Quest'arte nacque e si sviluppò in Italia e specialmente a Roma, dove si educarono e crearono le loro opere quegli stessi che dovevano esserne i ferventi banditori. Difatti fu a Roma sotto il pontificato di Benedetto XIV, che attendeva a scavare monumenti classici, a restaurare il Colosseo, ad accrescere le collezioni capitoline, che il veneziano Piranesi riprodusse o inventò quella serie di vasi, di candelabri, di camini, che tanta parte ebbe nella formazione dello stile neoclassico; che i tedeschi Winckelmann e Mengs e il pugliese Milizia scrissero e pubblicarono le loro opere, che diedero forma concreta e organico sviluppo alle nuove idee. Queste si fecero presto sentire nell'architettura, trasformandola sull'esempio degli edifici antichi; ma nell'architettura predominarono principî teorici, nella scultura e nella pittura invece il classicismo accanto alla freddezza accademica di molti ebbe l'impronta geniale di alcuni maestri creatori.
Nell'arte, fu come nella vita, un desiderio di tornare all'antico: così, mentre da una parte si volevano rimettere in vigore le istituzioni di Grecia e di Roma, e si copiavano i costumi degli antichi, dall'altra s'innalzavano archi di trionfo e colonne onorarie, si prendevano a modello le statue classiche, si decoravano le pareti coi motivi che tornavano alla luce dalle dissepolte case di Ercolano e Pompei; ma in arte la reazione all'estenuato mondo settecentesco sorse assai prima che avvenisse il rivolgimento della vita politica e sociale segnato dalla rivoluzione francese. La sollecitarono nell'arte, in particolare tra noi, lo studio sempre costante dell'antichità in Roma, gli scavi intrapresi dai Borboni di Vapoli, e le pubblicazioni che li illustravano; le teorie estetiche raccolte e sviluppate in pieno mondo romano dal Mengs, dal Winckelmann, dal Milizia, e più tardi altrove da altri, dal Webb e dal Lessing al Reynolds, al Passeri, all'Arteaga. Il diffondersi delle nuove idee avvenne rapidamente per mezzo delle incisioni, della Storia dell'arte nell'antichità del Winckelmann, degli scritti degli altri teorici, più volte tradotti e ristampati, di giornali romani e di corrispondenze da Roma a giornali stranieri, infine per il crescente affluire in Roma di artisti d'ogni parte, così che nell'ultimo trentennio del secolo si può dire che non vi fosse pittore o scultore che non avesse formato la propria educazione nella città eterna.
Scultura. - La statuaria è la migliore esponente dei precetti del neoclassicismo. Il Winckelmann aveva scritto che la bellezza ideale consisteva "in una perfetta armonia delle forme e in una espressione sublime", e che "era regola fondamentale... di effigiare sì nel volto che nell'atteggiamento gli dei e gli eroi scevri di tutto ciò che dipendeva dai sensi, liberi dagl'interni tumulti delle passioni, in un perfetto equilibrio di sensibilità". La greca euritmia, dunque, e l'olimpica serenità dovevano essere i criterî informatori di ogni opera d'arte, e gli scultori neoclassici ebbero sempre di mira la statua come espressione di plastica bellezza, poco curanti di rendere l'intimo dei personaggi, ond'è che ritrassero immagini ferme, tranquille, in atteggiamento solenne, vestite all'antica, o più spesso nude, come gli antichi eroi.
Antonio Canova (v.) fu l'iniziatore della scultura neoclassica non soltanto in Italia ma anche fuori. Nella sua giovinezza a Venezia, lo studio dall'antico è in sott'ordine, predomina la sensibilità dell'artista nel cogliere dal vero. Venuto a Roma nel 1779, dopo una rapida corsa a Napoli e Venezia, vi tornò definitivamente e nel medesimo anno 1781 scolpì il Teseo sul Minotauro (coll. di lord Londonderry a Londra) da cui ebbe principio la sua fortuna. Da allora l'artista guardò sempre al mondo greco-romano: o modellasse il Perseo, o effigiasse Napoleone nudo, o ritraesse la bella Paolina in aspetto di Venere vincitrice, o scolpisse la regale figura di Madama Letizia, o disegnasse e plasmasse stele funerarie, Venere, le Grazie. Tutta questa folla di statue esercitò un'influenza grandissima sui contemporanei scultori, accresciuta dalle lodi dei critici, dai viaggi e dalle numerose esposizioni, che furon sempre trionfi per l'artista. Ma guardare alle sue opere non bastava per creare altrettanti capolavori. Il Canova era artista altamente geniale, e quelle statue improntava di solenne nobiltà o di raffinata eleganza, quando non le animava di un'intima commozione, epurata attraverso una forma che rifletteva quella classica antica ma che era pur sempre studiata sul modello dal vero.
Lasciando i collaboratori del maestro, come Antonio d'Este, tra i suoi seguaci italiani ricordiamo: Adamo Tadolini (tomba del card. Lante a Bologna); Giovanni Ceccarini (enorme statua del Canova che abbraccia un busto di Giove), Rinaldo Rinaldi (statua di Gregorio XIV e un S. Stefano nella Basilica ostiense), Carlo Finelli (fregio col Trionfo di Traiano in una sala del Quirinale), Carlo Albacini (Achille morente nella coll. del duca di Devonshire a Chatsworth), F.-M. Laboureur (busti varî nella Protomoteca capitolina, S. Francesco Caracciolo in S. Pietro), Giuseppe de Fabris (monumento a Leone XII nella Basilica Vaticana, statua di S. Pietro a destra della scalinata, all'esterno, tomba del Tasso in S. Onofrio), Achille Stocchi (statua dell'Autunno all'ingresso del Pincio e fregio del loggiato). Seguirono altri, che continuarono la tradizione canoviana dopo la morte del maestro cadendo quasi sempre in semplici opere di accademia, come Luigi Amici col monumento a Gregorio XVI in S. Pietro, Filippo Gnaccarini coi sepolcri Mencacci a S. Carlo al Corso, o più tardi Ignazio Jacometti col Bacio di Giuda alla Scala Santa.
A Milano si può considerare iniziatore del neoclassicismo, sebbene in qualche modo legato alla tradizione settecentesca, Giuseppe Franchi (due statue di ninfe nella fontana della piazza omonima) e a lui seguirono i canoviani Camillo Pacetti (decorazione dell'Arco della Pace) e Luigi Acquisti (Marte e Venere nella villa Carlotta a Cadenabbia), Angelo Pizzi (due apostoli sulla facciata del duomo di Milano), Grazioso Rusca, Donato Carabelli, Giuseppe Buzzi, Giuseppe Monti, Pompeo Marchesi (statua di A. Volta a Como, i due gruppi della Pietà e di S. Carlo nella chiesa di S. Carlo a Milano, monumento a Em. Filiberto nella cappella del Sudario a Torino), Benedetto Cacciatori (statue del Ticino e del Po per l'Arco della Pace), G. B. Perabò, Abbondio Sangiorgio (sestiga sull'Arco della Pace), e altri minori. Nel Veneto si fece presto sentire l'azione del Canova. Oltre i due artisti già ricordati, il Rinaldi e il De Fabris, che lavorarono molto a Roma, abbiamo Domenico Cardelli (tomba della contessa Spinucci per la cattedrale di Fermo), che fu pure a Roma, rivale dello stesso Canova, Luigi Zandomeneghi (tombe varie a Venezia), e collaboratori alla tomba del Canova: Bartolommeo Ferrari, Antonio Bosa, Domenico Fadiga, Iacopo de Martini. A Genova introdusse il neoclassicismo Nicola Traverso (Madonna col Bambino in S. Ambrogio), che ebbe per scolari: Bartolomeo Carrea, G. B. Garaventa, Michele Canzio, Giuseppe Gaggini (tombe nel cimitero di Staglieno). A Torino son tutti piccoli artisti: Giacomo Spalla (Imene al Palazzo di Compiègne, l'Imperatrice Maria Luisa al Museo di Versailles), Vittorio Amedeo e Luigi Bernero, Angelo Bruneri, Giovanni Albertoni, Carlo Canigia, Giuseppe Bini, Stefano Butti. Per l'Emilia si possono ricordare Gaetano Callari di Parma, e i bolognesi Giacomo de Maria (tomba Caprara a Bologna), Giovanni Putti, Alessandro Franceschi, Innocenzo Giungi, Ignazio Sarti, Cincinnato Baruzzi. Anche Firenze ebbe una parte secondaria, ed è mediocremente rappresentata da Innocenzo Spinazzi (statua della Fede in S. Maria Maddalena dei Pazzi, monumento al Machiavelli in S. Croce), da Francesco Carradori succeduto allo Spinazzi nell'insegnamento all'Accademia, da Stefano Ricci (monumento a Dante in S. Croce). Venne poi Lorenzo Bartolini che rinnovando il classicismo con lo studio della natura e delle opere del Rinascimento italiano si può considerare artista di transizione. Nell'Italia meridionale nella decorazione di chiese e in monumenti la scultura si spiegò in varî aspetti ma in dipendenza della scuola romana. Abbiamo Angelo Solari a capo del neoclassicismo a Napoli, seguito da Luigi Persico (decorazione nel Campidoglio di Washington), da Antonio e Gennaro Calì col nipote Ernesto, che lavorò molto in Inghilterra, da Fedele Caggiano, che copiò le opere del Tenerani.
In Francia il neoclassicismo fu favorito anche dagli avvenimenti politici: la Repubblica prima, il Consolato e l'Impero poi, ne segnano un ascendere continuo, poi seguito da un periodo di fredda e leziosa accademia. Ma occorre notare che in Francia trovava terreno favorevole. Una corrente classica si può rintracciare fin nel Seicento anche nell'architettura e nella pittura; nel Settecento vi sono artisti che sembrano precorrere l'arte che doveva fiorire alla fine del secolo: Bouchardon, su tutti, col suo allievo Guiard.
L'influenza del Canova servì a dare aspetto definitivo alla nuova corrente che si era andata formando da tempo in Francia, dove l'opera del maestro italiano era ben conosciuta anche per mezzo dei pensionati dell'Accademia romana, e dove essa fu studiata e presa a modello da molti, sì che il neoclassicismo ebbe presto largo sviluppo. Pure è da avvertire che continuarono a operare artisti che appartengono in tutto alla tradizione, e che dimostrarono influenze varie del nuovo stile solo in alcune sculture. Per es. il Julien (terracotta di Poussin al Louvre); il Pajou, coi suoi busti di Cesare (Tuileries) e Demostene (Senato); il Clodion in una Scena di diluvio e in un Catone il Vecchio; J.-A. Houdon, che a Roma, studioso dell'antico, scolpì la severa figura di S. Bruno a S. Maria degli Angeli, e più tardi eseguì secondo il nuovo stile una serie di busti (il più bello quello di Napoleone I nel Museo di Digione); il Boizot, con la fontana dello Chatelet; lo Chinard, pur raffinato rappresentante della grazia settecentesca; il Roland (Omero, al Louvre); Gaetano Merchi, italiano vissuto in Francia, e altri ancora. Lo stile che in Francia fu detto "empire" ebbe nella scultura francese il suo maggiore rappresentante nello Chaudet (molto noto l'Amore che giuoca con una farfalla, al Louvre) con una raffinatezza di visione plastica che dimostra la sua derivazione dell'arte canoviana, conosciuta durante il suo pensionato a Roma, e con lui il Marin (busto di Luciano Bonaparte, al Museo Napoleonico di Roma), il Lemot (Minerva che invita le Muse a rendere omaggio al sovrano, nel frontone del colonnato del Louvre), il Cartellier (quadriga del colonnato del Louvre), e parecchi altri, non tutti di ugual fama. Ricordiamo così il Bosio, di origine italiana, che in Italia ebbe per maestro il Canova (Giacinto, al Louvre); P.-N. Beauvallet (la Libertà, sulla Bastiglia); il Michallon (monumento Drouais, a S. Maria in Via a Roma); il Dupaty (Aiace, al museo di Bordeaux); il Ramey fils (statua del card. Richelieu, a Versailles); il Milhomme (Psiche, al Louvre); lo Chardignv (Raccolta delle olive, nel museo di Marsiglia); il Gaulle (statua di Luigi XVI per la cripta di Saint-Denis); il Callamard (l'Innocenza che riscalda un serpe nel suo seno, al museo di Avignone); F. Giraud (monumento funebre per una donna e due bambini, al Louvre); il Cortot (Dafni e Cloe); Pietro Petitot (statua di Maria Antonietta, a Saint-Denis); il Roman (S. Vittore, nella chiesa di Saint-Sulpice a Parigi). Come in Italia, così anche in Francia la tradizione classica fu continuata da una schiera di artisti della nuova generazione, che si trovò in pieno contrasto con l'ormai trionfante romanticismo. I principali rappresentanti di questa sopravvivenza classicheggiante furono: J. Pradier, che ebbe fortuna specialmente per le sue figurine tolte dal mondo greco e immaginate con grazia leziosa nella correttezza del disegno e della plastica (Psiche, al Louvre; Venere, al museo d'Orléans), mentre seppe dare aspetto semplice e severo alle Vittorie della tomba di Napoleone agl'Invalidi; D. Foyatier, L.-M. Petitot, S.-L.-N. Jaley, P. C. Simart, A.-A. Dumont, J.-J. Perraud, F.-J. Duret, F. Jouffray, ecc.
La Germania ehbe una parte meno importante, e non senza influenza francese. Due gli artisti maggiori, il Dannecker e lo Schadow. Si possono anche ricordare lo stesso figlio dello Schadow, Carlo Zedo Rodolfo, che nacque a Roma e del mondo romano lasciò un vivo riflesso nelle sue prime opere, l'Olnnacht, lo Zauner, lo Schwanthaler.
In Inghilterra come in Francia vi furono artisti nella seconda metà del secolo, che pur legati alla tradizione risentirono in vario grado del nuovo stile che si andava formando. Così il Wilton, il Banks (v.), il Nallekens, il Bacon padre (v.), L'esponente maggiore del neoclassicismo inglese fu il Flaxman (v.). A Roma, dove si trattenne a lungo, conobbe l'arte del Canova e i modelli degli antichi che cercò d'imitare. Tornato in patria diffuse il nuovo stile con la sua opera di scultore e d'illustratore, con l'insegnamento, con gli scritti. Fu suo scolaro il mediocre Edoardo Baily, autore della grande statua di Nelson sulla colonna di Trafalgar Square a Londra. Nello stesso tempo lavoravano artisti che erano usciti dallo studio romano del Canova: il Westmacott (tombe a Westminster Abbey, rilievi del Marble Arch); il Wyatt (statua equestre di Giorgio III a Londra); il Gibson (Psiche portata dagli Zefiri, nella Galleria Corsini di Roma). Grande rinomanza ebbe lo Chantrey, autore di una bella serie di busti e di parecchi monumenti funebri a Westminster.
Dei Paesi del Nord ha particolare importanza la Danimarca per l'opera vasta e ammirata del Thorvaldsen (v.). Allievo del Wiedewelt, che era stato a Roma, il Thorvaldsen giunse nella città eterna quando il Canova aveva già scolpito i monumenti dei papi Ganganelli e Rezzonico. Protetto dal Canova, ne divenne presto un vero concorrente, ma nella lunga permanenza a Roma studiò come nessuno l'antico e si chiuse in un rigido formalismo classico, così da potere esser detto il rappresentante massimo dello studio accademico. Egli ebbe un largo seguito a differenza di altri maestri del tempo, e furono - tra gli altri - suoi allievi: gl'italiani Pietro Tenerani, Luigi Bienaimé, Pietro Galli, i danesi Bissen e Jerichau, lo svedese Giovanni Byström, il tedesco Emilio Wolff, l'inglese Alfredo Stevens. La Svezia ebbe il suo maggiore rappresentante nel Sergel, che precedette il Thorvaldsen di trent'anni, e dopo di lui il Goethe, il Byström già ricordato, e il Fogelberg. La Norvegia conta il Michelsen, il Middelthun, il Bergslien, tutti artisti di second'ordine. A completare il quadro della scultura neoclassica europea ricorderemo ancora: l'irlandese Cristoforo Heweston, il fiammingo Matteo Kessels, lo spagnolo Giuseppe Alvarez, il lettone Edoardo Launitz, il russo Ivan Petrovič Martos. Ma i paesi slavi furono poveri di scultori locali, e per l'erezione dei loro monumenti ricorsero il più delle volte ad artisti stranieri.
Pittura. - Anche in pittura si volle tutto informare all'antico. La prima reazione al manierismo settecentesco, si vede nell'opera varia e vasta di artisti che potremo considerare di transizione. L'Italia non ebbe in questo movimento l'artista rappresentativo che bandisse il nuovo verbo come nella scultura col Canova, ed è vanto della Francia aver dato un David, che impersona, per così dire, la nuova epoca della pittura; ma non per questo il movimento fu francese, e neppure germanico, secondo quanto altri affermò ricollegandosi al Winckelmann e al Mengs: come già abbiamo constatato per la scultura, il movimento si operò essenzialmente e prima a Roma. La pittura romana nel sec. XVIII segnò una reazione contro il manierismo per opera di artisti che cercarono di staccarsene guardando soprattutto a Raffaello e all'antico. Si formò così una scuola eclettica, in cui sono i primi sintomi del movimento neoclassico. I principali rappresentanti sono: P. Batoni (v.), che, legato alla tradizione specialmente nei ritratti, studiò il Correggio e Raffaello per un verso, l'antico per l'altro; lo scozzese Gavino Hamilton, che fece scavi, raccolse marmi antichi, e suscitò l'ammirazione del Winckelmann rievocando scene dell'Iliade con uno stile ancora ampio e adorno ma con correttezza di disegno e semplicità di visione; il Mengs, più decisamente orientato verso il classicismo e di più vasta influenza, né solo coi dipinti ma e più con gli scritti. Attorno al Mengs si raggruppano varî artisti che rientrano nella scuola romana, come il Maron che fu suo allievo, o il Corvi, l'Unterberger, Antonio Cavallucci, che s'ispirarono a lui o comunque risentirono della sua maniera. Altri pittori dell'eclettica scuola romana possono esser ricordati: il Caccianiga, il Cades allievo del Corvi, Domenico De Angelis allievo del Benefiale, il Landi allievo del Batoni, Tommaso Conca, nipote di Sebastiano, tutti pittori che nell'imitazione di maniere diverse oscillavano tra il gusto del tempo e la visione di forme classicheggianti. Decisivi per l'arte di Jacques-Louis David furono i cinque anni passati a Roma nell'Accademia di Francia. L'artista, uscito dalla scuola di Boucher, venne a Roma col proposito di non lasciarsi sedurre dall'antichità, ma tornato a Parigi dipingeva nel 1783 Andromaca piangente sul corpo di Ettore (École des beaux-arts), e l'anno seguente Belisario riconosciuto da un soldato mentre riceve l'elemosina da una donna (Louvre). La trasformazione era avvenuta: non era più la mitologia in apparato fastoso, la storia in aspetto leggiadro, piacevole, il tutto con una ricerca di ornati, di fronzoli, di drappi mossi dal vento; ma la storia solenne di Grecia e di Roma, gravemente rappresentata mediante un disegno fermo, una modellazione consistente, e con chiari intenti di ricostruzione archeologica. Nel 1784, incaricato da Luigi XVI di dipingere il Giuramento degli Orazî, il David torna a Roma come alla sola città in cui si potesse realizzare un soggetto così romano, e a Roma eseguisce il quadro, che segnò un vero trionfo per l'artista ed è veramente l'espressione figurativa completa delle teorie che ormai si ventilavano o si proclamavano da un trentennio. Mossa da uno spirito di emulazione e guidata da criterî storico-archeologici per riprodurre il tipo greco del bello ideale nella sua interezza e nel suo isolamento, la pittura nell'età neoclassica cercò soprattutto di rappresentare scene e personaggi con scrupolosa esattezza storica. I mezzi per raggiungere questi intenti furono necessariamente di convenzione. Presa a modello l'arte antica, molte volte si trattò di una vera trasposizione in pittura di statue e bassorilievi, onde si perdette il senso del colore per il trionfo completo del contorno, cioè del disegno. Ne seguì che ogni palpito di vita si spengesse in una gelida atmosfera di ricostruzione storica, in cui solo aveva risalto la forma in sé e per sé, veduta in una luce piena, aperta, senza giuochi di chiaroscuro. Per questa via il neoclassicismo cadde presto in un rigido accademismo, che si protrasse nell'800, coi tristi segni della più lamentevole decadenza, in Italia e fuori. Ma per fortuna, e assai prima e mentre si sviluppavano altre correnti d'arte, la pittura neoclassica derogando dai suoi rigidi principî seppe anche dare opere importanti per mano di artisti geniali.
In Italia i varî centri della pittura neoclassica non annoverano grandi nomi di artisti come in Francia. A Roma caposcuola può considerarsi Vincenzo Camuccini (v.), arbitro per quarant'anni della pittura. Nello stesso tempo operavano Filippo Agricola, Francesco Podesti, Francesco Loghetti. Dopo di loro altri, tutti artisti mediocrissimi, continuarono il triste accademismo romano. Primo a reagire, ma con tentativi timidi, fu Tommaso Minardi, che rappresentò anche scene di sapore romantico. A Firenze primeggiarono Pietro Benvenuti e, seguace del David, Luigi Sabatelli. Artista di transizione Luigi Mussini, che con gli scritti più che con le pitture cercò di allontanarsi dalle formule d'accademia per guardare piuttosto agli antichi maestri. Centro assai più importante fu Milano, dove la pittura neoclassica ebbe a capo Andrea Appiani (v.) che fu pittore di corte di Napoleone, ma, allievo del Traballesi e studioso del Correggio, conservò una certa grazia settecentesca nelle opere giovanili. Dalla scuola del Traballesi e dell'Appiani uscì il Bossi, artista neoclassico più per dottrina che per convincimento. Dopo di lui si possono rammentare Carlo Bellosio e Vitale Sala, allievi entrambi del bolognese Palagi. A Bergamo ebbe rinomanza Giuseppe Diotti, greve e solenne pittore. In Liguria operò specialmente Girolamo Bruschi (sue opere a Savona). Nel Veneto più che neoclassica l'arte fu accademica, e i principali rappresentanti sono: Francesco Maggiotto, Lodovico Lipparini, D'Andrea, Natale Schiavon, Michelangelo Grigoletti, Giovanni Demin, Pietro Paoletti, Placido Fabris, e più tardi Pompeo Molmenti, Ghedina, Antonio Zona. Non mancarono quelli che s'ispirarono all'arte straniera, specialmente francese e inglese nel ritratto (Teodoro Matteini, Domenico Pellegrini), mentre altri, come il vedutista Michele Caffi e Lattanzio Querena e Odorico Politi, autori di fresche e squisite immagini, continuarono la tradizione veneta settecentesca. Per l'Emilia possiamo ricordare Pelagio Pelagi, Biagio Martini, pittore della corte di Parma, G.B. Borghesi. A Napoli tenne il campo del neoclassicismo Costanzo Angelini, seguace fervente di David, e dopo di lui i suoi allievi Camillo Guerra e Giuseppe Mancinelli, ma quest'ultimo già rivolto in alcune sue opere verso la nuova corrente romantica.
Il neoclassicismo si sviluppò con grande fortuna in Francia per opera soprattutto del David. Esso vi aveva precedenti fin dal sec. XVII anche nella pittura con i soggetti sacri e le allegorie di Simon Vouet, con le scene mitologiche e storiche di Nicolas Poussin, poi con i paesaggi del Lorenese e i quadri solenni e severi del dogmatico Charles Le Brun, per ricordare solo i nomi più grandi. Prima del David altri vi erano stati in Francia che si erano volti all'antico. Fra questi lo stesso Vien, il secondo maestro del David, che aveva copiato monumenti greco-romani, aveva eseguito pitture all'encausto su indicazioni di Caylus, ed era stato proclamato il restauratore dell'antichità. Ma la pittura neoclassica francese ebbe la sua culla nell'Accademia di Roma. In Francia il David ebbe un larghissimo seguito e la sua inlluenza si fece sentire anche nella scultura e nelle arti minori, nel mobilio particolarmente. I principali suoi allievi o seguaci furono: J.-G. Drouais, nato nel 1763, morto nel 1788 a Roma; J.-B. Regnault, ancora però legato alla tradizione nel suo capolavoro (Le tre Grazie, al Louvre); A.-I. Guillon, che a sua volta ebbe numerosi scolari; P.-N. Guérin, il Girodet, F. Gérard, raffinato ritrattista; A.-J. Gros, che aprì la porta al romanticismo (Gli appestati di Jaffa e Napoleone che visita il campo della battaglia di Eylau, al Louvre). Poi altri pittori di storia come J.-A. Pajou, A.-E. Fragonard, C. Gautherot, il De Puiol; ritrattisti come il Gauffier, il Wicar, il Fabre, il Lefèvre, H.-F. Riesener, G. Rouget, la Chaudet, la Romany, la Capet, la Benoit; maestri di costumi e d'interni, che pur appartenendo alla cerchia davidiana presero a modello gli olandesi e i fiamminghi, e tra i primi sono il Debucourt, il Mollet, Marguerite Gérard, L.-L. Boilly - il maggiore di tutti -, e tra i secondi, il Drölling, il Granet, il Cochereau; infine il famoso miniaturista Isabey, pittore di corte e autore di numerosi ritratti. L'elenco degli artisti che uscirono dallo studio di David, o che altrimenti ne dipendono, potrebbe essere continuato per parecchio, ma uno almeno fra essi merita di essere ricordato: J.-A.-D. Ingres, che occupa un posto a parte. Nel periodo della giovinezza trascorso a Roma e a Firenze amò e studiò gli antichi maestri italiani, poi divenne adoratore di Raffello e tornato in Francia fu a capo dei classicisti, rimasti senza una guida con l'esilio di David. Ma l'Ingres non fu un accademico nel senso scolastico della parola: dotato di una squisita sensibilità, egli seppe infondere in quasi tutte le sue immagini un senso raffinato di vita, uno spirito di commossa poesia (Madame Lenormes, a Nantes; la Stratonice, a Chantilly; la Sorgente, al Louvre). Due altri grandi artisti vissero nell'epoca davidiana, lontani entrambi dal neoclassicismo, e completamente diversi tra loro: il Prud'hon, che si annoda in maniera diretta alla tradizione del'700 francese, ma con una purezza di forme e una delicatezza d'animo tutta sua (la Vendetta e la Giustizia divina che inseguono il Delitto, Psiche rapita dagli Zeffiri, l'Imperatrice Giuseppina nel Parco della Malmaison, al Louvre); e il Géricault, che rivelò subito la sua natura impetuosa e passionale creando innanzi tempo le più audaci espressioni realistiche (Corsa dei berberi, e la Zattera della Medusa).
In Germania lo sviluppo della cultura favorì l'affermarsi del neoclassicismo e gli scritti del Mengs, del Winckelmann, del Lessing lo confermarono anche nella pittura; ma questa, oltre il Mengs, non ebbe che pochi artisti e non grandi. Fra gli altri il Tischbein, che riprodusse affreschi di Ercolano e molti vasi della collezione Hamilton, e scelse per i suoi dipinti temi greci e romani, ma non rinunciò mai del tutto all'espressione del carattere. Di maggiore importanza, più per la parte che sostenne nel movimento teorico che per la sua opera di pittore, fu il danese Carstens, che divenne capo del neoclassicismo in Germania. Egli affermava che l'artista doveva sì studiare le opere del Rinascimento e dell'antichità ma non imitarle come facevano i davidiani, dopo aver appreso bisognava pensare, riflettere, e allora senza più la preoccupazione di un modello si arrivava a una composizione meditata in cui i personaggi avevano ciascuno un'espressione loro, ch'era da raggiungere soprattutto col disegno. Suscitò molto rumore un'esposizione di disegni e tempere che il Carstens fece nel 1795 a Berlino. Il movimento capeggiato dal Carstens (di lui basta ricordare i disegni degli Argonauti, o i cartoni della Gall. Nazionale di Berlino) ebbe seguito: contò fra gli altri il Fernow, che ne diffuse le idee con le lezioni impartite a Villa Malta a Roma, il Wachter, il Koch, il Genelli (dipinti nella Galleria Schack a Monaco, disegni per la Divina Commedia), e fu in opposizione al movimento dei Nazareni, che nell'accademismo della forma ricercavano l'ideale cristiano del Medioevo.
In Inghilterra la pittura neoclassica non ebbe fortuna. Si continuo per il ritrattu la tradizione settecentesca, mentre si ebbero scene di genere ispirate agli olandesi ma animate di uno spirito romantico, e graziose interpretazioni mitologiche, quadri storici pervasi di un vago sentimentalismo, e soprattutto mirabili paesaggi ispirati anch'essi dai pittori d'Olanda, ma distinti per un'interpretazione personale che sa rendere le più diverse luci del giorno, le più impalpabili atmosfere (si pensi ai tre grandi maestri: Turner, Constable, Bonington).
Per gli altri stati d'Europa basterà un cenno. La Danimarca, oltre il Carstens che appartiene - s'è visto - alla scuola tedesca, ebbe l'Eckersberg, che fu allo studio di David e divenne a Copenaghen il vero caposcuola del neoclassicismo (ritratto del Thorvaldsen nella Gliptoteca di Ny Carlsberg). Suoi allievi furono il Köbke e l'Aumont. La Norvegia non ebbe pittori neoclassici, orientata verso l'Accademia tedesca di Düsseldorf. La Svezia conta Per Kraft, allievo di David, ed è sotto l'influenza speciale della scuola francese. In Fiandra sono i davidiani Navez, Paelinck, Odevaere; in Olanda, fra gli altri, il Pieneman. Nella seconda metà del sec. XVIII ha importanza nella pittura svizzera la Kaufmann, ma ella fu essenzialmente eclettica e si riannoda col neoclassicismo solo quando per consiglio del Winckelmann studia l'antico e sceglie soggetti omerici e romani. Altro svizzero il Saint-Ours, che conobbe il David, copiò a Roma statue e ornamenti classici, ammirò Raffello e Poussin, e trattò temi greci dimostrandosi stretto seguace del suo illustre amico. In Spagna è da ricordare sopra tutti José de Madrazo y Agudo, che usò come tanti altri dello studio di David e fu a capo della scuola spagnola. I paesi slavi non diedero pittori neoclassici veri e proprî, neppure la Russia, che ebbe artisti che soggiornarono a lungo a Roma: può fare eccezione il ritrattista Kiprenskij che dopo aver studiato i grandi maestri fiamminghi nella Galleria dell'Ermitage subì a Roma l'influenza del Canova e del Thorvaldsen. Ma il Brjullov nel suo famoso quadro L'ultimo giorno di Pompei (Museo russo a Leningrado) più che un neoclassico è un accademico, e l'Ivanov con la grande tela dell'Apparizione di Cristo al popolo (Museo Rumjancev a Mosca), cui attese per vent'anni, dimostra di aver subito l'influsso dei Nazareni.
Arti minori. - Anche le arti minori parteciparono della generale tendenza di un ritorno all'antico. Perfino nei minimi oggetti e nelle minime opere di decorazione, oltre che nei mobili, si possono scorgere tutte le caratteristiche dell'arte classica: purezza di linee e di contorni, snellezza di figure, elementi mitologici e foglie di acanto o di vite, decorazioni rosse e nere su fondo bianco, con disegni di uccelli, fiori e figure stilizzate, che non solo rammentano, ma riproducono anche con molta precisione gli esempî più noti di decorazione pompeiana (frequenti pure gli ornati in stile egizio). Ma nello stesso tempo freddezza e mancanza di libera ispirazione.
Negl'interni dei palazzi neoclassici la severa compostezza dell'antichità si tempera tuttavia un poco, grazie al gusto per la ricchezza e per l'ornamento. Le sale vengono arricchite di suppellettili svariate, preziose nel materiale e raffinate nell'esecuzione: abbondano i bronzi come statuette isolate e molto come decorazioni applicate ai mobili; numerosi sono anche i vasi marmorei, che adesso servono per semplice ornamento o come portafiori, ma che ritraggono per lo più integralmente ora anfore e vasi etruschi, ora le antiche urne funerarie greche e romane. Le stanze sono tutte adorne di marmi policromi e di stucchi. Il gusto per la grandezza fa sì che ogni suppellettile abbia in sé qualche cosa di monumentale. Simmetria, compostezza, elementi geometrici, si ritrovano in tutti gli oggetti, in tutte le decorazioni.
I mobili di quest'epoca sono i veri mobili a segreto, o meglio a sorpresa, perché la semplicità vuole che si dissimulino il più possibile i cassetti, gli sportelli, le maniglie. Così quelle che talora sembrano suppellettili o anche oggetti artistici sono invece mobili veri e propri. Frequentissime le colonne sormontate da una vittoria alata. I tripodi pompeiani fanno l'ufficio di mobili da toilette o di tavoli da giuoco. Un semplice piano di legno intagliato, riposante su due monopodi, o due sfingi, o due grifi, con l'aggiunta di uno specchio diventa un mobile. Le sedie sono vaste, senza più cuscini, in maniera che la persona anziché sdraiarvisi vi rimanga bene eretta: vere riproduzioni della classica sedia curule. È vero che molto spesso quello che sembra marmo, mogano, bronzo, non è che imitazione, ma nella maggior parte dei casi ci compensa l'eccellenza del lavoro, e la rigidezza talora eccessiva, la freddezza dello stile, l'artificio della decorazione, riescono a passare quasi inosservati, mercé la cura raffinata con cui è condotto il disegno d'insieme, compiuto ogni particolare.
Il lusso che vi fu nell'età napoleonica favorì molto anche l'oreficeria. I gioielli rimettono in onore, come ogni cosa che ornava le sale dei palazzi, motivi egiziani, greci o romani, e il più delle volte hanno forme semplici o pesanti, strane o uniformi, e il loro valore sta soprattutto nella preziosità della materia. Sono in gran voga diademi e pettini tempestati di diamanti, collane di perle e di gemme, orecchini di brillanti, anelli massicci d'oro opaco, catene fatte di piccoli anelli di filo sottile, bracciali in forma di serpente, ornamenti varî di corallo o altrimenti di granato, di giavazzo, di ambra grigia. Molto ricercati anche i cammei e le pietre incise. Il più celebre incisore di pietre verso la fine del '700 è Johan Pichler, nato a Napoli e scolaro del Corvi a Roma. Coi gioielli e le gemme notevoli gli argenti, e si hanno vasi, zuppiere, centri da tavola, che rievocano le più eleganti forme greco-romane e si fanno ammirare per la leggiadria degli ornati, per la finezza del lavoro di cesello (una bella raccolta nel Museo delle arti decorative a Parigi). Importanza ebbe pure la ceramica, specialmente per la grande fabbrica inglese di Josiah Wedgwood. Questi trovò i modelli per i suoi vasi nella ricca collezione Hamilton, che da Napoli era passata in Inghilterra, e ripeté forme di idrie, copiò palmette, foglie di loto, motivi geometrici disposti a zone. Solo i suoi ornamenti non erano dipinti ma a rilievo, e le figure bianche spiccavano nel fondo azzurro a imitazione di cammei antichi. Per lui lavorò molto il Flaxman nel fornirgli modelli, e l'Angelini, l'uno e l'altro sotto l'influenza del Piranesi. In Italia abbiamo soprattutto la fabbrica di Capodimonte a Napoli affidata a Marcello Venuti, e quella a Roma diretta dal Volpato.
Non vi è dubbio che fattore decisivo del diffondersi dei modi classici nelle arti minori sia stata la conoscenza diretta dell'antichità. L'esempio ora ricordato di Wedgwood ne è una prova. Gli scavi di Ercolano e di Pompei avevano portato alla luce una quantità di oggetti e decorazioni di stucco o dipinte di vòlte o pareti, e le pubblicazioni che via via uscivano servivano alla loro maggior diffusione. A questo si aggiungano i musei - il Pio-Clementino specialmente - sempre più frequentati e studiati, dove erano adunati tanti esemplari della suppellettile romana. Ma insieme con gli scavi e i musei ebbe una notevole influenza in questa azione l'opera del Piranesi, che fu ben presto conosciuta in Italia e fuori. Particolare importanza hanno per le arti minori le 69 tavole sulle Diverse Maniere d'Adornare i Cammini ed ogni altra parte degli edifizi (1769), e le altre 112 tavole riproducenti Vasi, Candelabri, Cippi, Sarcofagi, Tripodi, Lucerne ed ornamenti Antichi (1778), che sappiamo quanto fossero studiate dai Francesi e da altri. Uno sguardo a queste incisioni ci convince facilmente come nell'opera del Piranesi sia una delle fonti principali del neoclassicismo applicato all'industria, e certi confronti ci portano addirittura a concludere che molte volte si tratta di una vera derivazione. I grandi vasi marmorei con bassorilievi che il Piranesi riproduce più volte, li rivediamo, per esempio, in una sala della Galleria Borghese per opera del Laboureur. Un tripode pure inciso nella raccolta del 1778 torna in una tavola di Percier e Fontaine come in un'elegante profumiera di Palazzo Pitti e in tanti altri oggetti simili del tempo. Il tavolo che era nell'appartamento di S. E. Monsignor Rezzonico, è nelle linee generali il tipico tavolo stile impero, e uno in tutto simile - anche per i festoncini che corrono all'intorno - si ritrova in una tavola delle Works in Architecture di Robert e James Adam. E la serie degli esempî potrebbe continuare. Questa funzione dell'opera piranesiana era già stata indicata da varî studiosi italiani e stranieri, ma di recente è stata efficacemente confermata da D. Angeli col confronto immediato fra il tripode che il Piranesi dedica al signor Macdowell e un calamaio di Paolina Borghese (Museo Napoleonico di Roma). Il Piranesi mentre contribuì a diffondere la conoscenza delle forme decorative antiche, le interpretò a suo modo e molte volte addirittura le ricostruì inventando, come è il caso dei camini egizî, greci e romani. L'influenza del grande incisore si fece sentire soprattutto in Francia e in Inghilterra. In Francia fu l'opera soprattutto di due architetti, Percier e Fontaine, che dominò nel campo della decorazione, e fu l'opera di puri neoclassici. Essi erano stati entrambi a Roma, dove avevano cominciato a lavorare insieme, e a Roma avevano potuto non solo studiar direttamente l'antichità, ma conoscere le incisioni del Piranesi, che in seguito mostrarono di ricordare più di una volta per l'esecuzione dei loro progetti. Essi infatti durante la loro carriera, oltre che attendere all'architettura, prepararono modelli a una quantità di artigiani, a mobilieri e orafi soprattutto, e pubblicarono anche un Recueil des décorations intérieures (Parigi 1812), col quale si può dire che fissassero definitivamente lo stile di questo periodo. Sia nella decorazione dei loro interni, sia nelle suppellettili ideate da loro, sia nelle tavole che ci hanno lasciato, sono le qualità di un gusto squisito nella composizione bene ordinata dell'insieme nella stilizzata eleganza di ogni particolare, e ci appaiono esse veramente come la manifestazione più significativa di quell'arte che fu a servizio della corte napoleonica. Giova ricordare che in Francia lo stile neoclassico si distingue in stile impero e in stile Luigi XVI secondo criterî cronologici che prendono a base gli avvenimenti politici. In realtà il fenomeno artistico è assolutamente continuativo, le forme che troviamo al tempo del re Borbone proseguono sotto l'impero di Napoleone, ne preparano i caratteri essenziali e appartengono senz'altro al periodo che vien designato col nome di neoclassicismo. Naturalmente nell'età napoleonica esse raggiungono il loro massimo sviluppo, l'espressione più alta e più completa. In Inghilterra il primo a portare nell'arte industriale l'elemento classico fu Thomas Chippendale, celebre ornatista che diede il suo nome a tutto uno stile. Egli pubblicò nel 1754 una serie d'incisioni col titolo The Gentleman and Cabinet-maker's Director, cui faceva seguire la spiegazione che si trattava di "Household Furniture in the Gotic, Chinese and Moderne Taste". Questo gusto moderno non era altro che il classico, e interessanti esempî classici egli ci offre tra la folla di quelli gotici, rococò e cinesi. Non è facile stabilire sicuramente come il Chippendale conoscesse l'antico, si può pensare tuttavia che a lui fossero note le pubblicazioni che si facevano degli scavi e le stesse incisioni del Piranesi: non erano ancora apparse le Diverse maniere d'adornare né i Vasi, ma nelle Antichità romane del 1748 o nelle Opere varie di architettura del 1750 tornavano sempre capitelli, basi, decorazioni varie che poterono offrire al Chippendale buoni modelli, senza dire che egli poté avere disegni del Piranesi dagli stessi viaggiatori inglesi di ritorno da Roma. Del resto nella terza edizione del Director (1762) appare come elemento decorativo la testa di ariete, che il Chippendale derivò dal Piranesi attraverso Robert Adam che era stato in Italia, e per i fratelli Adam il Chippendale eseguì in seguito mobili che ripetono modelli piranesiani. L'arte del Piranesi non fu dunque sconosciuta al decoratore inglese, ma essa tuttavia esercitò una più decisiva influenza su Robert Adam. Costui, assistito dal fratello James, non solo fu grande architetto ma creò tutto un nuovo stile decorativo. I suoi rapporti col Piranesi sono bene accertati. Lo conobbe tra il 1754 e il 1757 durante il suo soggiorno romano, come ci attesta egli stesso. Qualche anno dopo il Piranesi gli dedica il suo Campo Marzio (1762), e più tardi esegui per lui quattro tavole inserite nel secondo volume delle Works in Architecture che uscì nel 1778. Insieme con le incisioni del Piranesi si ripercosse nell'opera dei due Adam l'azione dello studio diretto dell'antichità: nel 1757 Robert accompagnato da diversi artisti era stato a Spalato a studiarvi le rovine del palazzo imperiale, che qualche anno dopo (1764) pubblicava a Londra in una bella serie di tavole. I fratelli Adam (v.) hanno avuto un'importanza enorme, forse anche maggiore di quella di Percier e Fontaine in Francia, perché oltre ad aver fornito come loro modelli per ebanisti e per orafi seppero dare un carattere tutto proprio allo stile "impero" inglese, che ha preso appunto il nome di "stile Adam". Ed è il senso finissimo di un'arte che riuscì a distribuire e a far vivere gli elementi classici in una preziosa decorazione di sapiente eleganza.
Pittori, scultori e architetti celebri non disdegnarono di occuparsi in questo periodo anche delle arti minori. Abbiamo veduto ora l'importanza che hanno avuto in Francia e in Inghilterra gli architetti, che davano disegni non solo agli ebanisti ma anche agli argentieri, agli orefici. Con gli architetti sono pittori e scultori. Il David fornì disegni per mobili, e il suo studio era arredato dei mobili che metteva a sfondo dei suoi quadri. Moreau seguì l'esempio del maestro. Il Prud'hon diede il modello per la famosa monumentale culla del Re di Roma, arieggiante a un sarcofago antico, e ideò classicheggianti figurine a ornamento di mobili, come nello stipo che George Jacob, noto come Jacob Desmalter, lavorò per Maria Luisa (Palazzo di Fontainebleau). Altri poi, come il pittore Felice Giani lasciò addirittura la sua professione per darsi ai mobili. Ricordiamo ancora il Delaroche, che fu scultore e cesellatore; e per l'Italia G. Albertolli.
Fra i più begli esempî di decorazioni d'interni possiamo ricordare fra i tanti: per l'Italia, il Salone delle cariatidi e la Sala del trono nel Palazzo reale a Milano, il Gabinetto rotondo e la Saletta da bagno di Palazzo Pitti, il Salone d'ingresso e la Sala dei busti nel Casino di Villa Borghese; per la Francia, la Camera oggi scomparsa di Madame Recamier, lo studio e la Sala del trono di Napoleone a Fontainebleau, la camera da letto di Napoleone, e la sala da toilette di Maria Luisa a Compiègne; per l'Inghilterra le sale della Syon House (Brentford) e della Lansdowne House (Londra, opera di Robert Adam). Dei grandi decoratori e degli ebanisti pure citeremo qualche nome: per la Francia dopo Percier e Fontaine sono degni di memoria Hurtault ed Espercieux, e fra gli ebanisti il Riesener, il Weisweiler, il Beneman, lo Schwerdfeger, il Lignereux, e i fratelli Jacob, esecutori costanti dei modelli di David e di Percier e Fontaine; per l'Inghilterra, dopo il Chippendale e i due Adam, lo Sheraton, Hepplewite e Thomas Hope; in Germania, dove si imita male il genere francese, eccelle su tutti l'ebanista David Roentgen, che fu celebre maestro d'intarsio e lavorò molto in Francia. Per l'Italia ricordiamo i Maggiolini, milanesi, che eseguirono fini mobili con tarsie. Anche nel campo dell'oreficeria gli artisti più celebri sono francesi: Martincourt, Duplessis, Prieur, Delafontaine, Charité, Vinsac, Ravrio, Viennais, Thomire.
Bibl.: Oltre alla bibliografia nel Künstler-Lexikon del Thieme-Becker sotto le voci dei singoli artisti, si vedano le seguenti opere di carattere generale: per la formazione del periodo neoclassico: L. Hautecoeur, Rome et la renaissance de l'antiquité à la fin du XVIIIe siècle, Parigi 1912 (con bibl.); A. Samuel, Piranesi, Londra 1912, pp. 45-78; D. Angeli, Storia romana di trent'anni. 1770-1800, Milano 1931, pp. 154-203 (con tav. fuori testo). Per la storia generale delle arti: U. Fleres, P. Molmenti, U. Ojetti e G. Menasci, Il Secolo XIX. La scultura. La pittura. Le arti applicate, Milano s. a.; H. Hildebrandt, Die Kunst des 19. und 20. Jahrhunderts, Potsdam 1924; A. Michel, Histoire de l'art, VII, ii e VIII, i, Parigi 1924-25 (con bibl.); K. Woermann, Geschichte der Kunst, Lipsia 1924, VI; G. Pauli, Die Kunst des Klassizismus und der Romantik, Berlino 1925. Per la pittura: L. Bénédite, Storia della pittura del secolo XIX, trad. ital. di G. Fogolari, Milano s. a.; Exposition. David et ses élèves, Parigi 1913 (con bibl.); G. Nicodemi, La pittura milanese nell'età neoclassica, Milano 1915; E. Somaré, Storia dei pittori italiani dell'Ottocento, Milano 1928, voll. 2 (con bibl.); U. Ojetti, La pittura italiana dell'Ottocento, Milano 1929 (con bibl.). Per le arti minori: E. Bayard, Le style empire, Parigi s. a.; R. S. Couston, English furniture and furniture makers of the 18th century, Londra 1906; J. Folnesics, Innenräume und Hausrat d. Empire, Vienna 1922.
Architettura.
Con l'inizio del 1700 gli architetti, abbandonandosi alle frivole forme del Rococò, si erano allontanati in un certo senso dalla tradizione classica rimasta vitale fino a tutto il Barocco, palesemente derivato dai monumenti romani della decadenza. Ma presto, come già durante il Rinascimento gli studî sull'antichità classica avevano condotto al classicismo, così, verso la metà del sec. XVIII, l'arte in genere e l'architettura in specie ritornando, attraverso la mediazione dell'arte del Rinascimento, nell'ambito della tradizione dànno origine al movimento detto appunto neoclassicismo. In un secondo tempo, dagli ultimi decennî del 1700 fino alla prima metà dell'Ottocento, intervenendo cause esteriori, che più oltre esamineremo, a turbare il naturale processo evolutivo dell'architettura, questa si volge direttamente allo studio dell'antichità greca e romana e quindi si ha il neoclassico propriamente detto. Comunque neoclassicismo e neoclassico, tendenze ambedue strettamente normative, rappresentano una reazione nei confronti del Barocco e del Rococò, giacché questi con la loro mancanza di schemi definiti e per il loro liberismo, che non escludeva d'altra parte un'imitazione formale si erano troppo allontanati dal classico. Ciò appare evidente analizzando anche i soli edifici più caratteristici del periodo di formazione; fra gli altri il prospetto di San Giovanni in Laterano del Galilei, Superga di Torino dello Juvara, il prospetto di S. M. Maggiore ed il Palazzo della Consulta del Fuga, la villa e il Palazzo reale di Caserta del Vanvitelli e, di poco più tarde, la sistemazione della Villa dei Cavalieri di Malta sull'Aventino, del Piranesi, e il Palazzo Braschi di Cosimo Morelli, ambedue a Roma. Queste opere palesano una tendenza comune verso forme più equilibrate e più costruttive.
Si accentua intanto lo studio dei monumenti del Rinascimento in genere ed in particolare di quelli della scuola veneta iniziata dal Sansovino e continuata dallo Scamozzi, dal Sanmicheli e dal Palladio. È quest'ultimo soprattutto che ha suscitato con la sua arte e con i suoi scritti, in specie I quattro libri sull'architettura una vasta corrente artistica che mantenendosi, se pur affievolita, senza soluzione di continuità nell'Italia settentrionale, passò di lì in Francia e attraverso la Francia in Inghilterra.
In Francia le forme palladiane ebbero vita fin dal sec. XVII specialmente attraverso le opere di François Blondel (1618-1686) e del Perrault (1613-1688), del quale è da rammentare il prospetto orientale del Louvre (1674). In Inghilterra la tradizione palladiana fu direttamente continuata da Inigo Jones (1572-1651), il Palladio Britannico, quindi da Christopher Wren (1632-1723), il quale, dopo l'incendio di Londra del 1666, costruì un notevole numero di opere derivanti tutte dall'associazione delle forme palladiane con quelle seicentesche; fra le altre notevole San Paolo. In Italia, per un curioso fenomeno, il Palladio ha seguaci fuori del Veneto solamente in Lombardia anzi solamente a Milano. Rammenteremo ivi Giuseppe Piermarini (1734-1808) con il Teatro della Scala, il Palazzo reale e il Palazzo Belgioioso; Leopold Pollak (1750-1805) con la Villa reale, e, assai più tardo, ma fedele alla medesima tendenza, Giovanni Perego con il Palazzo Rocca-Saporiti.
Noi vediamo dunque come gli architetti non cerchino originariamente nei modelli classici fonte d'ispirazione ma come invece l'architettura, pentita quasi delle leggerezze cui si era abbandonata sullo scorcio del sec. XVII e nei primi decennî del XVIII, riprenda la sua lenta e naturale evoluzione nella quale un substrato di classicità può dirsi permanente. Nel periodo successivo lo studio mediato dei modelli classici viene ad essere quasi universalmente abbandonato. Una scienza nuova sorge: l'archeologia, la quale acquista rapidamente un'enorme importanza. In Inghilterra aveva già dato le mosse Jacques Spon (1647-85) definendo l'originaria posizione dell'acropoli di Atene; erano seguiti in Francia Jean Mabillon (1632-1717), Bernard Montfaucon (1655-1741) e il gesuita Marc-Antoine Laugière (1713-69). Riprende quindi nuova importanza la scuola inglese per opera in specie di James Stuart (1713-88) di Nicola Revett (1721-1804) ma soprattutto di James Adam (1728-1792) e del fratello suo Robert.
In Italia il movimento culturale ha origine con Carlo Lodoli (1690-1761), il quale tenta di riportare l'architettura al più stretto razionalismo. Segue, ed è assai più importante, F. Milizia il quale, in una gran copia di scritti, taluni anche a carattere ferocemente polemico, si fa il paladino del più assoluto classicismo. Citeremo qui le due leggi cui, secondo lui, l'architettura deve essere soggetta: 1. la simmetria, la quale è un grato rapporto delle parti col tutto, e fa il complesso delle proporzioni; 2. l'euritmia, ch'è l'uniforme corrispondenza delle parti simili, le quali sieno tali e tante da un lato come dall'altro, e similmente disposte, affinché tutto renda un'apparenza facile e bella. All'euritmia e alla simmetria si riferiscono l'unità, la varietà, l'ordine, la semplicità, i contrasti, la progressione dal più semplice al più ornato. Queste leggi del Milizia può dirsi contengano il programma di tutto il movimento neoclassico.
In Germania dominano Johann Joachim Winckelmann (1717-1768) e Raphael Mengs (1728-1774). Sulle cose dell'architettura comincia così il dominio degli archeologi: lo studio dell'antichità classica diviene in breve una mania, le spedizioni archeologiche si moltiplicano; in Italia s'iniziano gli scavi di Ercolano (1711), quelli del Palatino per opera del Bianchini (1720-27), quelli di Villa Adriana (1724-1742), mentre nel 1748 avviene la scoperta di Pompei; inoltre in tutte le nazioni civili si raccolgono collezioni e si fondano musei.
In Francia l'animatore è Jacques-Louis David (1748-1825), il quale, per quanto possa ritenersi un elemento rivoluzionario, pure si servì dell'Accademia per l'affermazione della sua tendenza, della quale del resto si deve trovare la prima origine nelle opere dei grandi tragici nazionali e, nel campo della pittura, in quelle del Poussin. In Francia un'atmosfera culturale con tendenze classiciste si era formata già da tempo sicché essa aveva dato origine a uno stato d'animo largamente diffuso, dal fratello della Pompadour, Marquis de Vaudrières, che si recò in Italia per darsi alle ricerche archeologiche, agli architetti Nicolas Cochin (1715-90) e Jacques-Germain Soufflot (1714-81), che diedero alle stampe due opere rispettivamente su Ercolano e su Pesto.
A questo movimento culturale si aggiunge anche la politica con l'epopea e l'impero napoleonico sicché appare evidente come una quantità di cause esteriori abbiano in un determinato momento contribuito a originare quella corrente artistica che per la diretta ispirazione greco-romana, fu appunto definita neoclassica.
Di fronte a questo fenomeno artistico gli architetti dei varî popoli si comportano in maniera diversa; infatti mentre in origine il movimento ha un unico punto di partenza, si può in seguito notare come i popoli neolatini subiscano prevalentemente l'influenza dei monumenti romani e come gli anglosassoni invece si sentano maggiormente attratti dalle più rigide forme elleniche. Sono comunque alcuni caratteri di questa architettura comuni a tutti e fra questi soprattutto quei caratteri che derivano dalle mutate condizioni sociali dei popoli all'inizio del sec. XIX; il grande fenomeno dell'urbanesimo si definisce in quegli anni e da esso deriva come immediata conseguenza una scienza nuova; l'urbanistica. Sorge la necessità dei primi alloggi a carattere collettivo, le prime case d'affitto; nuovi materiali quali il ferro cominciano ad entrare nell'uso comune dando nuove possibilità agli architetti; la stessa archeologia dominante si serve degli architetti per porre i monumenti dell'antichità, riportati alla luce, in condizioni di resistere nuovamente alle ingiurie del tempo: ed ecco il restauro dei monumenti.
Tutte queste necessità nuove concorrono alla formazione della nuova figura dell'architetto, figura unitaria e poliedrica al tempo stesso e rispondente alle mutate necessità dei tempi.
I più notevoli caratteri architettonici di questo stile furono: l'unicità dell'ordine, in contrasto con il doppio ordine sovrapposto del barocco, unicità che si riscontra frequentemente tanto da giustificare la definizione di stile colossale data al neoclassico e alla quale del resto erano già ritornati Nicola Salvi nel 1732 con la fontana di Trevi e il Galilei nel 1736 con il prospetto di S. Giovanni in Laterano. Altri caratteri notevoli sono l'ordine che s'innalza da uno stilobate per lo più bugnato occupando in altezza due o tre piani, il bugnato a bugne generalmente lisce e in lieve aggetto, la divisione degli edifici più importanti in tre parti, di cui la centrale con il colonnato per lo più ionico sormontato dal timpano e le laterali in tono minore e leggermente arretrate, oppure la zona centrale notevolmente più lunga delle laterali, talvolta traforata da un loggiato, e le testate delle ali in aggetto e sormontate dal timpano.
La decorazione è limitata ad alcune zone degli edifici: così al triangolo del timpano, a qualche targa che trova posto tra le file delle finestre; talvolta una lunga fascia orizzontale occupa tutta la larghezza dell'edificio; comunque il bassorilievo presenta sempre un aggetto lievissimo sicché talvolta lo diresti un graffito e la decorazione in genere risulta sempre asservita all'architettura.
Altra caratteristica dell'epoca è la costruzione di una quantità di edifici caratteristici, p. es. i musei, che per le ragioni già esposte fioriscono in quell'epoca, i teatri giacché tra il Sette e l'Ottocento la musica, specie quella italiana, raggiunge le sue più alte espressioni, e gli archi di trionfo di cui alcuni palesemente derivati da quelli romani. Rammenteremo fra gli archi quello del Carrousel a Parigi (derivato dall'arco di Costantino), l'Arco dell'Étoile pure a Parigi, l'arco della Pace a Milano, ecc.
Considerando più particolarmente il movimento, sono da ricordarsi, per la Francia: Anges Gabriel (1710-1782), che costruisce quel miracolo di eleganza che è il piccolo Trianon e la Scuola militare (1751); è questo il periodo in cui in Francia il "Grand Goût" si è definitivamente affermato, in cui le forme più severe e più rigide della classicità hanno il sopravvento sulla frivolezza del Rococò, il periodo in cui sembra che la Francia, preparandosi all'immane cataclisma che incombe, si ammanti di una veste più seria e crei scenarî più degni della figura di Voltaire.
In questo periodo a Bordeaux si procede a molti lavori di carattere urbanistico monumentale a immagine della Piazza della Concordia parigina; Louis-Nicolas Victor (1731-1800) costruisce il teatro; Jacques-Germain Soufflot (1713-1780) a Lione l'Hôtel Dieu, opera che gli valse di essere chiamato a Parigi per la costruzione di quella che avrebbe dovuto essere la chiesa di Sainte-Geneviève (1757) e che divenne di fatto il Pantheon. In quest'occasione egli crea un insieme monumentale e una sistemazione urbanistica, con la piazza che fronteggia la chiesa e con la Rue Soufflot che vi conduce, di grandissimo effetto.
Seguono Pierre Constant-d'Ivry (1698-1777), Jacques-Denis Antoine (1733-1801), Jacques Gondoin (1737-1818), A. Th. Brongniart (1739-1813), Jean-François Chalgrin (1739-1810), Pierre Rousseau e Jean David le Roi (1736-1803), J. F. Neufforge (nato nel 17i4), Pierre-Joseph Mansart (nato nel 1764), che furono i teorici di questo periodo, di cui la figura dominante è però senza dubbio alcuno lo Chalgrin, il quale dà maggiore importanza allo studio dei volumi e delle masse, piuttosto che a quello della decorazione, e che subisce forse maggiormente nelle sue fabbriche le tendenze ellenizzanti.
Sopravviene intanto Napoleone I, il quale ha quali architetti aulici Pierre-François Fontaine (1762-1853) e Charles Percier (1764-1838): essi vedono pienamente i problemi che s'impongono agli architetti del secolo XIX ma cercano ciò non pertanto di risolverli adattando ad essi le forme classiche. Il loro operare coincide più propriamente con il periodo detto l'Empire. Gli altri architetti più notevoli del primo '800 sono Jean-Baptiste Lepère (1761-1844) e Bernard Boiet (1794-1824), che di quelli chiude la serie.
Il Belgio segue il movimento francese e manifesta una grande attività in questo periodo soprattutto in conseguenza alla sistemazione urbanistica di Bruxelles.
Il Guymard costruisce la Place Royal e il Palais du Conseil de Brabant (1778). Van der Straeten costruisce nel 1820 il Palazzo reale; L. J. Montoyer e A. M. Payen il castello reale nel parco di Laeken nelle vicinanze di Bruxelles (1782). La figura di primo piano dell'architettura belga di quel periodo è però Lodewijk Roelandt (n. nel 1786), il quale subisce piuttosto l'influenza del Rinascimento italiano che non quella delle forme classiche. Altro architetto belga notevole in quel tempo è T. F. Suys (nato nel 1783) il quale era anche lui un allievo del Percier. Anche egli subì il fascino della terra italiana e fu a Roma.
I monumenti più notevoli della sua varia attività sono la sua chiesa di Anversa, ma soprattutto la Serra di Bruxelles, la quale per le sue strutture di ferro e per lo stretto utilitarismo, non disgiunto da una certa ben intesa monumentalità, induce a ritenere il suo architetto un precursore.
Fra gli Olandesi sono degni di memoria Jacob Husly (morto nel 1795) con il municipio di Weepes e la casa della "Felix Meritis" di Amsterdam e Jean David Zocher (1790), che in pretto dorico costruì la Borsa di Amsterdam e che si affermò nell'architettura dei giardini tra l'altro a Haarlem, Soestdyck e Utrecht.
In Germania è il Winckelmann che seguendo l'evoluzione naturale della scuola, detta ugonotta, del Longuelune dà origine alla scuola più rigidamente classica la quale trae prevalentemente la sua ispirazione non da Roma ma dalla Grecia stessa. Di questa scuola, il cui centro geografico era Dresda, i maggiori esponenti furono: Knöffel (1686-1752), Schwartze (1706-75); Ch. F. Exner (1718-98), Weinlig (1739-99). J. G. Schmidt (1774-1810) e F. A. Krubsacius (1718-90), il quale più degli altri seguì le direttive del Winchelmann come quello che più degli altri aveva approfondito i suoi studî sulla classicità. In altre regioni acquista intanto ben meritata fama Karl Gotthard Langhans (1733-1808), il quale deve soprattutto la sua notorietà al Belvedere di Charlottenburg, al Palazzo di marmo di Potsdam, al Palazzo del governo di Breslavia, all'Opera di Knobeldorff e alla Porta del Brandeburgo di Berlino.
Nella Germania settentrionale la figura di primo piano è quella di Carlo Federico Schinkel (1781-1841), il quale inizia la sua attività nel campo della pittura per poi volgersi all'architettura. Nella sua prima maniera le sue forme architettoniche sono di diretta ispirazione greca, quindi la sua tendenza classica declina ed egli comincia a sentire l'attrattiva delle forme medievali giungendo su questa via fin sull'orlo del Romanticismo. È così che nel 1824 egli traccia un primo progetto ellenistico per la Werder Kirche di Berlino, progetto cui nel limite di un anno ne segue un altro nel quale la fonte d'ispirazione gotica è innegabile se pure qua e là anche in quello riappaia talvolta l'orizzontalismo dell'architettura classica. Dello Schinkel si potrebbe dire che egli sia stato un romantico dapprima ellenizzante e che poi il suo romanticismo sia stato deviato verso il Medioevo.
Le opere pubblicate dai molti archeologi inglesi in missione di scavo nella Grecia e soprattutto quelle dei fratelli Adam, di Stuart e di Revett influiscono intanto potentemente in Inghilterra, durante questo periodo che fu detto ivi della Reggenza. Guidati dall'archeologia alcuni architetti finiscono col trarre fonte d'ispirazione per le loro opere anche dall'Egitto; così Giorgio Dance (1695-1786) nella sua Mansion House di Londra, troverà il modo d'inserire una sala prettamente egiziana.
Altri architetti, invece, dello stesso periodo, come il Gorden e il Wipart (1748-1813), si dànno piuttosto a risolvere i problemi della vita pratica, problemi che con il trasformarsi della vita sociale bisognava che alla fine fossero affrontati anche dai tecnici. L'opera di questi due benemeriti non ha però successori e con John Soane (1750-1837) l'architettura inglese si orienta decisamente verso la Grecia.
L'altro architetto di quegli anni è John Nash (1752-1835), il quale è d'ispirazione più incerta e ondeggia tra le reminiscenze barocche nel campanile della chiesa di Ognissanti, al classicismo dell'arco di Green Park. Sue oppure su suoi disegni sono, per la massima parte, le case di Regent Street e quelle di Regent Park. Della sua vasta attività ciò che in modo particolare lo avvicina ai romantici sono i restauri di edifici specialmente ogivali nonché alcune sue costruzioni sacre di diretta derivazione da quelli.
Assolutamente ellenistico è invece William Wilkins (1778-1839), il quale, impressionato dagli edifici studiati nel corso dei suoi viaggi, giunse a costruire anche le case di abitazione a immagine dei templi greci senza peraltro troppo preoccuparsi dell'inevitabile non rispondenza allo scopo delle sue fabbriche.
È in questo periodo che si affermano inoltre i Wyatt, componenti di un'intera famiglia di architetti, di cui i membri più importanti sono i due fratelli Beniamino e Filippo. Della stessa tendenza, per il classicismo a oltranza, sono ancora William (1771-1843) e Henry Inwood (1794-1843) padre e figlio, i quali composero la chiesa di San Panteas a Londra servendosi dell'Eretteo come modello e coronando l'edificio con una copia della Torre dei venti. Seguono Robert (1780-1867) architetto del British Museum (1823-47) e Sidney Smirke (1799-1877), che nello stesso British Museum costruì la sala di lettura coperta con una cupola di ferro di 23 metri di diametro.
Fu in questo lasso di tempo che si addivenne alla sistemazione urbanistica di Edimburgo specialmente per opera di William Henry Playfair (1780-1857), al quale si debbono George Street, Green Street e Princes Street e i maggiori parchi pubblici della città, strade e parchi tracciati secondo concetti urbanistici ancora oggi notevoli.
Con il Playfair anche la scuola neoclassica inglese declina mentre si afferma il Pugin, capo di una scuola di architetti goticizzanti.
In Russia può dirsi che durante questo periodo l'architettura sia stata importata dagl'Italiani e dai Francesi, ma soprattutto da Giacomo Quarenghi (1744-1817), il quale aveva iniziato la sua carriera a Roma come pittore nella scuola del Mengs e che poi Caterina II aveva chiamato alla sua corte.
Francesi sono Thomas de Thomon (1743-1808) e Richard de Montferrand. Fra i Russi è notevole A. N. Voronichin con la Madonna di Kazan′ (1802-11).
In Italia l'attività architettonica in questo periodo è vastissima se pure spesso diretta dagli archeologi, i quali si dànno anche all'arte del costruire. Così a Roma il Canina, a Palermo il Serradifalco, a Possagno lo stesso Canova.
A Genova il maggiore edificio neoclassico è il Teatro Carlo Felice costruito da Carlo Barabino, cui si deve anche il Camposanto monumentale (1830).
A Milano Luigi Cagnola (1762-1853) è il successore del Piermarini. Egli aveva condotto i suoi studî a Roma sui classici ma una lunga permanenza a Venezia e l'acquisita dimestichezza con le opere del Sansovino e del Palladio lo avevano condotto a una certa duttilità nelle sue realizzazioni.
Notevoli ancora in Lombardia i suoi due allievi: il duca di Serradifalco che si dedicherà, alla sua morte, particolarmente allo studio dei monumenti greci in Sicilia, e il Bianchi che andrà a Napoli per la costruzione della chiesa di S. Francesco di Paola e inoltre l'Amati e il Vantini. In Piemonte rammentiamo il Bonsignore con la Chiesa della Gran Madre di Dio a Torino.
A Roma Raffaele Stern (morto nel 1820) completò il braccio nuovo del Museo Pio-Clementino già iniziato sotto Pio VI dal Simonetti. Allo Stern succede, a distanza di pochi anni, Giuseppe Valadier (1762-1839).
Questi è una delle figure che caratterizza il periodo, la prima figura di architetto moderno che Roma abbia avuto; giacché la sua attività non si fermò al progetto e alla direzione delle fabbriche, ma si volse anche al restauro dei monumenti, alla teoria dell'architettura pratica, alla decorazione, ma soprattutto all'urbanistica nella quale eccelse.
La sua attività non si limitò a Roma soltanto ma si estese a tutto il territorio pontificio sicché egli lasciò fabbriche da Rimini (Palazzo Valloni ora distrutto) a Terracina (casa di abitazione e casali nella Palude Pontina). Altra dominante figura di architetto a Roma in quel tempo fu Pietro Camporesi (1792-1873) di cui resta, fra l'altro, notevole il teatro Argentina.
Seguono Luigi Poletti da Modena (1792-1869), Antonio Sarti da Budrio (1797-1881) e Virginio Vespignani (1818-1899), il quale palesa nelle sue opere la stanchezza di un'arte ormai in disfacimento; egli con la chiesa del Sacro Cuore in Via Marsala (1887) inizia una nuova fase dell'architettura, con tendenze prevalenti verso le forme del Rinascimento, fase nella quale sugli altri si distingueranno in seguito a Roma Ausonio Cipolla e Luca Carimini.
A Venezia la scuola neoclassica è rappresentata da Giuseppe Soli da Vignola (1745-1823), da G. Antonio Selva e dal Santi. A Trieste si distinguono Antonio Mallari (nato nel 1768), ma più ancora forse Pietro Nobile (1774-1854).
A Firenze è degno di memoria Pasquale Poccianti da Bibbiena (1774-1858) e ancora il Baccanti, Giuseppe Valentini e Gaetano Boccarini (1792-1867), allievo del Poletti.
A Napoli notevoli Antonio Niccolini, toscano (1772-1850) e Pietro Bianchi da Lugano (1787-1840), il quale mostra troppo apertamente nel suo San Francesco di Paola lo studio del porticato di San Pietro e del Pantheon; è questa chiesa che con la Gran Madre di Dio di Torino (1818-1831) di Ferdinando Bonsignore, il San Carlo di Milano, il tempio di Possagno del Canova e il Sant'Antonio di Trieste chiude in Italia il ciclo delle chiese derivate dal Pantheon.
A Palermo il Serradifalco, già rammentato con il Bianchi tra gli allievi del Cagnola, costruisce la loggia del Foro Umberto e ivi nell'anno 1825 G. Filippo Basile inizia la costruzione del Teatro Massimo che è l'ultimo edificio monumentale di questo periodo in Sicilia.
Questo in grandi linee il ciclo dell'architettura neoclassica, dal periodo settecentesco di preparazione alla decadenza che coincide con la metà del sec. XIX. La storia di questo periodo non è però ancora stata scritta, di troppi architetti manca ancora oggi la biografia e l'elenco delle opere; torniamo però ad affermare come nel neoclassico la fonte d'inspirazione non è stata unitaria, come troppi hanno finora creduto, ma come le opere di quel tempo si debbano scindere in almeno tre categorie che potrebbero dirsi del classicismo ellenico, del classicismo romano e del classicismo del Rinascimento. Se aggiungiamo come fonte d'ispirazione in questo periodo per alcuni architetti sia stato anche l'Egitto, apparirà evidente come la vena artistica originale dell'architettura sia stata spezzata col morire del Rococò e come con il periodo neoclassico possa dirsi cominci l'eclettismo. Il fenomeno è stato grandioso ed ha lasciato tracce durevoli specialmente nel Nord europeo e in Inghilterra, nella penisola Scandinava e in Danimarca in specie, in cui quello spirito informa talvolta ancora oggi l'architettura.
V. tavv. XCIX-CVIII.
Bibl.: Klepfer, Von Palladio bis Schinkel, Esslingen 1911; S. Giedion, Spätbarocker und romantischer Klassizismus, Monaco 1922; Pauli, Die Kunst des Klassizismus und der Romantik, Berlino 1925; U. Ojetti e L. Dami, Testo atlante di storia: Storia dell'arte, Milano 1934. Cfr. inoltre la rivista Architettura ed arti decorative, anni 1922 e 1927.