Anglonormanna, Arte. Pittura
La piccola chiesa di Coombes (Sussex), che sorge isolata sul fianco di una collina non lontano dal canale della Manica, riassume nelle sue pitture murali, eseguite verso il 1100, tanto il senso di scoraggiamento quanto le aspettative legate allo studio della pittura romanica in Inghilterra.
Scoperta solo nel 1949, con ampi brani perduti o tuttora nascosti da strati più tardi, la decorazione originaria si presenta ancora vivida, con la sua ricca tavolozza di terre e la sua biacca corposa, come quando fu dipinta circa quaranta anni dopo la conquista normanna dell'Inghilterra. In questa appartata chiesa parrocchiale la qualità dell'esecuzione raggiunge i livelli di quella di ogni altra coeva opera pittorica superstite in Inghilterra o in Normandia. Vi sono difatti nell'arte romanica ben poche immagini più espressive del telamone rappresentato curvo e con il volto contratto in una smorfia sotto il peso dell'arco del presbiterio.
Tuttavia, proprio perché le pitture murali sono per lo più in cattivo stato di conservazione, poco accessibili e spesso di recente scoperta, esse sono state assai meno studiate e pubblicate rispetto alle miniature e, di conseguenza, la loro importanza nello sviluppo della pittura medievale in Inghilterra è stata notevolmente sottovalutata. Inoltre, nel ribadire il loro ruolo primario, si è obbligati a fare riferimento a riflessi relativamente provinciali di complessi figurativi una volta esistenti, ma di cui solo un esiguo numero è giunto ai nostri giorni. Sono infatti cicli di pitture murali come quello di Coombes a costituire la parte più rilevante del corpus dell'arte figurativa inglese dei primi cinquanta anni dopo la conquista normanna, epoca in cui la scultura appare confinata al ruolo di elemento architettonico di secondo piano e la miniatura limitata all'esecuzione di iniziali decorate o istoriate di piccole dimensioni. Il periodo immediatamente successivo alla conquista è stato difatti definito addirittura 'iconofobo', dato l'apparire di estesi cicli narrativi solo a partire dal 1120 ca. in manoscritti come il Salterio di St Albans (Hildesheim, St. Godeshardskirche). Questa opinione non tiene però conto del nutrito gruppo di pitture murali della fine del sec. 11° e dell'inizio del 12° superstiti nel Sussex, non solo a Coombes, ma anche in cicli a quello strettamente correlati, a Clayton, Hardham, Plumpton e altrove, come nel Surrey a Witley e nel Berkshire a East Shefford.
I cicli del Sussex - chiamati comunemente 'gruppo di Lewes', dato che due delle chiese in questione, quando furono intraprese le decorazioni, appartenevano forse alla prioria cluniacense di Lewes - sono i più significativi e possono essere ascritti a un'unica maestranza itinerante. I loro programmi iconografici spaziano dal solenne Giudizio universale che occupa buona parte della parete della navata a Clayton alla complessa decorazione della chiesa di Hardham, che comprende le Storie di Adamo ed Eva, la Leggenda di s. Giorgio, un Giudizio universale, scene apocalittiche e un esteso ciclo cristologico. Qui appaiono già pienamente formulati alcuni principi che sono alla base dei cicli pittorici romanici: sistemazione delle scene su due registri orizzontali, notevole lunghezza dei cicli (dovuta probabilmente anche allo sviluppo delle superfici murarie raramente interrotte da aperture), inserimento di tituli, prevalenza di tre tematiche iconografiche - cicli cristologici (soprattutto Infanzia e Passione), agiografici e apocalittici - in contrasto con il proliferare, in epoca gotica, di soggetti moraleggianti e di singole immagini a carattere devozionale.
Alcune particolarità iconografiche del Giudizio universale di Clayton possono derivare direttamente da prototipi anglosassoni, come la rappresentazione poligonale del paradiso in veduta prospettica 'a volo d'uccello', assai simile a quella presente nel Liber Vitae del New Minster (Londra, BL, Stowe 944). Nel ciclo cristologico di Hardham sono invece rintracciabili marcate influenze ottoniane. Qui, per es., nella scena dell'Ultima Cena sono visibili un tavolo lungo, la figura di Giuda isolata dal lato dello spettatore e s. Giovanni con il capo adagiato sul petto di Cristo, tutti elementi già comparsi nelle rappresentazioni ottoniane.
Se l'iconografia ottoniana era già presente addirittura nei cicli di pitture murali di chiese parrocchiali di scarso rilievo intorno al 1100, questo può indurre a rivedere l'ipotesi di influenze dirette sui manoscritti più tardi, come il Salterio di St Albans, in cui pure sono ravvisabili forti influssi ottoniani.
Sia nell'iconografia, sia da un punto di vista stilistico, i cicli del 'gruppo di Lewes' conservano altresì reminiscenze della pittura anglosassone, come nelle figure sensibilmente allungate, dalle pose manierate e dai gesti espressivi, dai lunghi panneggi ondeggianti ricadenti dai polsi o dalle spalle. Un confronto diretto con le tarde pitture murali anglosassoni di Nether Wallop (Hampshire) rivela, comunque, la natura compiutamente romanica dello stile del 'gruppo di Lewes', in cui contorni netti e decisi e una solida monumentalità pittorica hanno sostituito lo stile nervoso ed essenzialmente lineare delle opere precedenti la conquista.
Nel periodo tra il 1070 e il 1100 la pittura in Inghilterra e in Normandia da un punto di vista stilistico è quasi identica e i più significativi confronti con il 'gruppo di Lewes' sono di fatto forniti da manoscritti normanni come un evangeliario da Les Préaux (Londra, BL, Add. Ms 11850), dove pure compaiono volti piccoli e squadrati, panneggi a vivaci striature con bordure ornate da pietre preziose e con forti lumeggiature. Se si fossero conservate pitture murali della stessa epoca in Normandia, esse sarebbero state, con ogni probabilità, stilisticamente assai vicine a questo ciclo.Il ricamo di Bayeux (Bayeux, Tapisserie de Bayeux), eseguito nell'Inghilterra meridionale intorno al 1080, è un'altra delle opere emblematiche di questo stile, ma, nonostante la sua elegante vivacità narrativa, è solo in opere come i dipinti murali di Clayton che la potenza e la monumentalità dell'architettura protoromanica inglese trovano un corrispettivo nelle arti figurative.
Un chiaro progresso stilistico è riscontrabile nei cicli delle due importanti chiese parrocchiali di Ickleton (Cambridgeshire) e Kempley (Gloucestershire), risalenti agli anni 1120-1140. Essi possono essere messi in rapporto, sotto differenti punti di vista, con la generazione di manoscritti facente capo al Salterio di St Albans e comprendente opere più tarde come l'Evangeliario di Bury (Cambridge, Pembroke College, 120) e il Salterio di Shaftesbury (Londra, BL, Lansdowne 383), entrambi forse del quarto decennio del 12° secolo.
Le pitture della parete nord della navata maggiore della chiesa di Ickleton, scoperte nel 1979, comprendono scene della Passione e, in un sottostante registro tra le arcature, tre scene che costituiscono il più antico esempio conservatosi di rappresentazione del martirio degli apostoli nell'arte inglese. Qui i panneggi delle alte, emaciate figure non sono più a larghe bande ma presentano sottili pieghe parallele strettamente aderenti al busto e mostrano una netta somiglianza con quelli, per es., delle miniature dell'Evangeliario di Bury; allo stesso modo, gli sfondi a contrasto, utilizzati per mettere in risalto le parti narrative, sono assai più raffinati dei fondali puramente decorativi del 'gruppo di Lewes'.
A Ickleton l'ultima delle scene della Passione sulla parete settentrionale, la Salita al Calvario, è immediatamente adiacente all'arcata occidentale dell'incrocio e appare chiaro che la Crocifissione dovette essere presente sotto forma di gruppo scultoreo a costituire il punto focale dell'intero programma iconografico.
In Inghilterra si conservano solo i frammenti di un'isolata croce lignea di età romanica - quella del 1130 ca. da South Cerney nel Gloucestershire - sebbene anche un altro ciclo pittorico, quello di Kempley, nella stessa contea, costituisca un ulteriore esempio di complesso decorativo originariamente culminante in una Crocifissione scolpita. Qui il crocifisso era posto contro un fondale dipinto a scacchi sulla parete orientale, con le figure della Vergine e di S. Giovanni dipinte ai lati entro finte nicchie, mentre un registro di figurazioni iconograficamente coerenti completava in alto la decorazione della parete. Il principale motivo d'interesse a Kempley è, a ogni modo, il presbiterio, forse l'esempio meglio conservato di interno di età romanica in Inghilterra. Qui, in prosecuzione del ciclo della navata, le pitture comprendono sulle pareti laterali teorie di apostoli seduti, come testimoni della visione apocalittica presente sulla volta. Le pieghe del loro panneggio, simili a fasce, sono state avvicinate a quelle degli smalti bizantini cloisonnés, ma confronti più significativi sono possibili con le miniature del Salterio di Shaftesbury, opera, come le pitture di Kempley, di un artista dell'Inghilterra occidentale.
Una delle più dolorose perdite della pittura romanica inglese è quella del ciclo del Glorious Choir della cattedrale di Canterbury, completato sotto il priore Conrad (1109-1126) e distrutto da un incendio nel 1174. Secondo la famosa descrizione di quel coro lasciata da Guglielmo di Malmesbury, "nulla di simile si era mai visto in Inghilterra, sia per la luminosità delle finestre vitree e il rifulgere dei pavimenti marmorei, sia per le pitture variopinte che guidavano gli sguardi estasiati fin sul soffitto a cassettoni". Alcuni riflessi stilistici di queste 'pitture variopinte' sono forse da riconoscere, comunque, nelle superstiti pitture murali dell'abside della cappella sotterranea dedicata all'arcangelo Gabriele e nella cappella di St Anselm, lungo il lato meridionale del coro. Nella cappella di St Gabriel, scene apocalittiche coprono la volta e la volticina della nicchia dell'altare, mentre sulle pareti laterali si trovano, ordinate su due registri, le scene dell'Infanzia di s. Giovanni Battista sulla parete nord e quelle dell'Infanzia di Cristo sulla parete sud. Questo elaborato programma iconografico è incentrato attorno all'arcangelo dedicatario della cappella, che figura tra gli angeli inquadranti Cristo in maestà sulla volta e che riappare all'inizio dei due cicli, annunciando la nascita del Battista e di Cristo. La ricca gamma di colori, comprendente estese campiture di costoso blu oltremare, certamente fa risaltare questo ciclo tra quelli, ben più dimessi, delle chiese parrocchiali. Per ciò che riguarda lo stile, questo appare più naturalistico rispetto alle pitture precedenti, con volti accuratamente modellati e panneggio 'bagnato' a pieghe triangolari, caratteristiche stilistiche ambedue, in definitiva, di derivazione bizantina.
Questi sviluppi stilistici appaiono condotti a un ulteriore stadio nella decorazione della cappella di St Anselm, dove una scena isolata con S. Paolo e la vipera, posta in alto sulla parete nord dell'abside, è quanto rimane di ciò che deve essere stato un esteso ciclo. In questa pittura murale di altissimo livello qualitativo sono evidenti un più maturo naturalismo e una maggiore attenzione al modellato del volto; il panneggio 'bagnato' è del tipo a pieghe aderenti e curvilinee, decorato con delicati arabeschi bianchi.
La datazione di queste importantissime pitture è problematica. La cappella di St Anselm è situata direttamente al di sopra di quella dell'arcangelo Gabriele ed entrambe sono coeve al Glorious Choir. Successivamente, l'edificio fu rinforzato con nuovi sostegni agli arconi delle due absidi: nella cripta le pitture coprono anche queste parti inserite. Basandosi essenzialmente su numerosi capitelli rozzamente intagliati presenti nella cappella di St Anselm, questi lavori sono stati situati sotto il priorato di Wibert (1152/1153-1167), mentre la scena con S. Paolo e la vipera è stata messa in relazione con una presunta successiva decorazione della cappella, in occasione della traslazione delle spoglie di s. Anselmo nel 1163 (per quanto anche questa data sia controversa). D'altra parte, una datazione al sesto o settimo decennio del sec. 12° può sembrare eccessivamente tarda per le pitture della cappella di St Gabriel, che sembrerebbero stilisticamente dipendenti dall'arte delle Fiandre o della Germania settentrionale del 1100 ca. e che hanno stringenti analogie con manoscritti eseguiti a Canterbury nel terzo decennio del secolo. Anche per quanto riguarda la scena con S. Paolo e la vipera, la datazione proposta (sotto Wibert) sembrerebbe troppo avanzata, date le evidenti relazioni stilistiche, soprattutto per il panneggio, con la Bibbia di Bury (Cambridge, C.C.C., 2), ora sicuramente datata ante 1136. Resta da domandarsi, pertanto, se i dipinti possano essere più antichi, o forse anche parte della decorazione condotta al tempo del priore Conrad. Il S. Paolo appare però, per il suo accentuato naturalismo, stilisticamente più avanzato rispetto alla Bibbia di Bury, mentre le pitture murali della cappella di St Gabriel sono anche molto simili ad alcune pitture già nella cappella dell'infermeria della prioria della cattedrale, ugualmente datate, dal contesto architettonico, al periodo di Wibert. Mentre queste ultime possono essere considerate rappresentative di una corrente stilistica tradizionale e antiquata, tale non sembra essere il caso della pittura con S. Paolo, data la sua superba qualità.
Non soltanto manoscritti ma anche altre pitture murali nel Kent dimostrano che diversi aspetti stilistici della pittura della cappella di St Gabriel sono apparsi certamente prima della più tarda datazione proposta: per es. il Caino e Abele sugli sguanci di una finestra a West Kingsdown e un frammento recentemente scoperto nella cattedrale di Rochester che potrebbe risalire al 1100 circa. Non molto distante, il complesso ciclo di Copford (Essex), dipinto intorno al quarto decennio del secolo, mostra anch'esso chiare somiglianze con i dipinti murali della cappella di St Gabriel. Questi problemi di datazione sollevano ancora una volta la questione delle relazioni tra pittura murale e miniatura e delle influenze di un genere sull'altro.
Le più importanti pitture superstiti del periodo tardoromanico in Inghilterra sono quelle ritrovate negli anni Sessanta nella cappella del Santo Sepolcro della cattedrale di Winchester. I brani più estesi si trovano sulla parete orientale e consistono in una Deposizione dalla croce nel registro superiore e al di sotto in una Deposizione nel sepolcro, fiancheggiata dalla scena con le Marie al sepolcro e dalla Discesa agli inferi. Queste pitture dell'ottavo decennio ca. del sec. 12° furono ridipinte verso il 1220, dopo essere state danneggiate nella ristrutturazione della cappella che comportò la sostituzione con una volta a crociera costolonata della copertura originaria, probabilmente lignea. Dopo la loro scoperta, i dipinti più tardi sulla parete orientale sono stati staccati e collocati sulla parete occidentale.
La scelta tematica fu condizionata dalle funzioni originarie della cappella, essa stessa unico caso superstite in Inghilterra di tale tipo di struttura, peraltro meno raro nell'Europa continentale, soprattutto in Germania. La cappella sembra essere stata infatti utilizzata per i riti della settimana santa, nei quali Cristo sarebbe stato simbolicamente sepolto il venerdì e rappresentato risorto la domenica di Pasqua attraverso la rievocazione, messa in atto dal clero, della visita delle Marie al sepolcro e del loro colloquio con l'angelo. La disposizione delle scene dipinte riflette quanto più fedelmente possibile le cerimonie della Depositio, Elevatio e Visitatio Sepulchri, con la Deposizione dalla croce e la Deposizione nel sepolcro rappresentate a grandi dimensioni direttamente al di sopra dell'altare, cosa che, data la esiguità della superficie muraria disponibile, ha provocato l'infelice combinazione dell'ultima scena con la Visita delle Marie, in cui l'angelo indica direttamente il corpo di Cristo deposto nel sepolcro.
L'iconografia è fortemente bizantineggiante: l'elegante torsione dell'angelo volto a parlare con le Marie trova un preciso parallelo nei mosaici di Monreale (1183-1189), mentre la Deposizione nel sepolcro, con la Vergine al centro che bacia la mano di Cristo, deriva da rappresentazioni bizantine del Compianto sul Cristo morto. È interessante notare come il pittore, che in un primo tempo ha seguito qui un modello iconografico occidentale, con una figura maschile al centro che unge il busto di Cristo (tracce di essa sono tuttora visibili a sinistra della Vergine), abbia poi preferito rifarsi a un modello bizantino mettendo al posto di questo personaggio la Vergine. Il pittore non ha tuttavia rinunciato ad apportare le proprie personali modifiche, dato che nelle rappresentazioni orientali di questo soggetto la Vergine abbraccia il corpo di Cristo e s. Giovanni ne bacia invece la mano sollevandola.
Anche dal punto di vista stilistico le pitture murali devono molto all'arte bizantina, essendo inoltre prossime alla fase coeva delle miniature della Bibbia di Winchester (Winchester, Cathedral Lib.) e, in particolare, all'opera del c.d. Maestro del foglio Morgan. In ogni caso, i mosaici della Sicilia normanna sembrano avere avuto una particolare influenza che ha dato vita a uno stile classicheggiante e relativamente naturalistico, particolarità, queste, tipiche della pittura tardoromanica. I panneggi ricadono ora in modo più naturale (in contrasto con lo stilizzante panneggio 'bagnato' delle pitture della cattedrale di Canterbury), mentre i volti e gli incarnati sono resi accuratamente e con un caratteristico uso del verde. Particolari della Deposizione dalla croce, come il curioso ondeggiamento del terreno, richiamano da vicino le miniature della Bibbia e del foglio Morgan (New York, Pierp. Morgan Lib., M. 619), mentre quest'ultimo presenta anche lo stesso fondale a riquadri rossi e blu.Il ciclo della cappella del Santo Sepolcro non era la sola decorazione dipinta eseguita nel tardo sec. 12° nella cattedrale di Winchester, dal momento che nel transetto settentrionale, esattamente di fronte a essa, si trovavano due profeti, citati nel sec. 18°, con ogni probabilità risalenti all'epoca in questione e presumibilmente parte di un più vasto programma iconografico.
Posture molto simili a quelle di questi profeti e in generale notevole vicinanza stilistica con le pitture di Winchester presentano le figure di S. Cutberto e di S. Osvaldo ancora visibili sugli stipiti della nicchia dell'altare nella galilea della cattedrale di Durham, fatta costruire dal vescovo Hugh du Puiset (1153-1195), importante committente di opere architettoniche e di libri miniati. Per quanto queste pitture possano essere datate al 1175 ca., cioè al tempo del probabile completamento dei lavori murari della cappella, il loro stile presenta ben poche affinità con le figure generalmente di fattura piuttosto grossolana e provinciale dei manoscritti miniati a Durham intorno all'ottavo decennio del sec. 12°, mentre appare più ragionevole avvicinarle alla monumentalità della Vita di s. Cutberto (Londra, BL, Yates Thompson 26), miniata a Durham verso il 1200.
Nella cattedrale di Norwich, su un arco della volta della navatella meridionale, compaiono le immagini relative a un personaggio venerato localmente, pitture di altissima qualità probabilmente risalenti al nono decennio del 12° secolo. Si tratta di un unico ciclo pittorico che rappresenta, entro tre medaglioni formati da motivi fitomorfi intrecciati, la Vita di Herbert Losinga, primo vescovo di Norwich, che entrò in possesso della carica con un atto simoniaco, di cui successivamente si pentì. Il ciclo prosegue sulla volta adiacente, ma non è possibile identificare il soggetto dei lacerti superstiti.
Lo strutturarsi dei cicli dipinti sulle volte in medaglioni contornati da elementi fitomorfi, ideale per riempire le irregolari superfici delle volte a crociera semplice o costolonata, è tipico della pittura tardoromanica e protogotica inglese. Forse il primo esempio di questo schema è stato il ciclo delle volte della sala capitolare della prioria della cattedrale di Worcester, la cui costruzione fu terminata intorno al 1125. Sebbene queste pitture siano andate perdute, le loro didascalie sono state copiate e alcune di esse appaiono ripetute nei cicli - che forse ne riflettono anche i modi stilistici - presenti in un gruppo di pissidi con smalti, risalenti al terzo quarto del sec. 12°, nelle quali le figurazioni sono racchiuse entro medaglioni separati da complessi motivi floreali, come, per es., nella pisside di Warwick conservata a Londra (Vict. and Alb. Mus.).
Uno dei più raffinati cicli di pitture murali di questo genere, oggi purtroppo in cattivo stato di conservazione, si trova in una campata della navata meridionale della cattedrale di Ely (1160-1170 ca.) con scene della vita di una santa (forse s. Eteldreda). Come sulle pissidi, gli elementi vegetali sono 'a fiore bizantino', tipologia derivata, come suggerisce il termine, da fonti orientali, ma che nell'arte romanica inglese appare elaborata in forme particolarmente ricche.
Un altro splendido esempio di questo tipo è costituito dalla decorazione pittorica della cappella di Petit-Quevilly, la residenza fondata presso Rouen nel 1160 da Enrico II, databile al 1170 ca., prima cioè che l'edificio fosse adibito a lebbrosario (1183). Per le affinità con la pittura inglese, questi dipinti murali sono stati attribuiti a un artista inglese ma, per quanto ciò possa anche essere possibile, la tipologia degli elementi vegetali e altri aspetti stilistici rimandano a un altro schema decorativo su volta, ora perduta, della Francia settentrionale, a Provins (Seine-et-Marne): decorazione peraltro che a sua volta era da porre in rapporto, per alcune delle sue cornici fitomorfe, con il dipinto con i Ss. Cutberto e Osvaldo nella nicchia di altare a Durham.
Questi paragoni bene illustrano gli strettissimi legami tra la pittura inglese e quella della Francia settentrionale nel periodo in questione, per il quale è stato coniato il termine di Channel style e che per la miniatura è rappresentato dall'opera del Maestro Simone.
Il riferimento alla galilea di Durham e alla sala capitolare di Worcester consente di ricordare che l'effetto coloristico dell'architettura romanica non si esauriva in alcun modo con la sola pittura. A Worcester la caratteristica bicromia a fasce orizzontali è realizzata con corsi alternati di conci di pietra bianca e verde, mentre la galilea è frutto del gusto tipicamente tardoromanico per lo scuro e lucido marmo di Purbeck.
Talvolta questa policromia architettonica veniva simulata con una stesura pittorica; certamente, anche in età romanica, come in ogni altra epoca, la pittura murale era usata in sostituzione di materiali più costosi. Nel basamento delle pareti di Coombes, uno strato di colore blu fu usato per imitare un rivestimento di marmo venato, seguendo così una tradizione decorativa risalente alla Tarda Antichità, sebbene a livello basamentale apparissero più comunemente finti velari, sulla falsariga di una tradizione antichissima.
L'esempio qualitativamente più elevato di questo tipo di decorazione sono i finti vela del presbiterio di Corhampton (Hampshire) del 1200 ca., decorati con un leone e uccelli, che occupano i due terzi dell'altezza della parete.
Esistono anche pitture imitanti rilievi scolpiti, come, per es., gli elementi vegetali stilizzati, simili a un intaglio policromo, dipinti su un capitello protoromanico a Blyth (Nottinghamshire); in questa austera chiesa della fine del sec. 11° sopravvive parte della originaria pittura decorativa che imitava la struttura muraria. Una delle forme più comuni di pittura imitante l'architettura era la parete a finti corsi sovrapposti di conci, di solito delineati in rosso, mentre il rigido Ordine cistercense ne utilizzò solo una variante in bianco - ancora visibile nell'abbazia di Fountains - a causa della proibizione da parte della regola dell'Ordine dell'uso di decorazioni colorate.
Praticamente non restano testimonianze di pitture fuori dal contesto ecclesiastico nell'Inghilterra romanica; una rarissima eccezione è costituita dalla menzione, nella contabilità della corte negli anni 1181-1182, delle pitture della camera del re nel castello di Winchester, opera sulla quale più specifici dettagli sono forniti dall'ecclesiastico e letterato gallese Giraldo di Cambray. Questi racconta che Enrico II "ordinò che fosse dipinta un'aquila, con quattro aquilotti appollaiati su di essa, due sulle ali, il terzo sul petto, intenti a colpire il genitore con gli artigli e il becco, e un quarto aquilotto, della stessa grandezza, poggiato sul suo collo, intento a cogliere l'occasione per strappargli gli occhi. Essendogli stato chiesto [...] quale fosse il significato della pittura, egli disse: ''I quattro aquilotti sono i miei quattro figli, che non esiteranno a tormentarmi fino alla morte. Il più giovane, che ora io abbraccio con immenso affetto, alla fine mi attaccherà più gravemente e pericolosamente di tutti gli altri''". Quasi sicuramente ricavata da un'illustrazione di bestiario, come quella dell'upupa, in cui la prole appare nell'atto di lisciare le penne del genitore e di lambirne gli occhi, questa immagine testimonia graficamente le ansie di un re medievale quasi allo stesso modo della scena che, nel Duecento, Enrico III, nipote del precedente, fece dipingere nella sua anticamera e cioè la Storia del re dei Garamanti, sottratto dai propri cani ai sudditi in rivolta.
Legami dinastici possono offrire una spiegazione al fatto che, stranamente, uno dei cicli pittorici romanici più complessi e, per certi versi, qualitativamente più validi tra quelli dovuti a pittori inglesi si trovi nella Spagna settentrionale. Si tratta del ciclo della sala capitolare dell'isolato monastero di Sigena, in Aragona, distrutto da un incendio nel 1936, i cui brani superstiti resi pressoché monocromi dal calore sono adesso conservati al Mus. d'Art de Catalunya di Barcellona; fortunatamente poco tempo prima dell'incendio gli affreschi erano stati accuratamente fotografati. Essi comprendevano un ciclo cristologico sulle pareti della sala rettangolare, scene dell'Antico Testamento sui pennacchi degli arconi trasversi e una lunga serie di immagini a mezzo busto degli Antenati di Cristo negli intradossi degli archi.
Sono riscontrabili strette analogie stilistiche e iconografiche con la pittura inglese persino in dettagli come il medaglione meandriforme della cornice al di sopra della scena della Natività, il cui unico parallelo conosciuto si trova nel foglio Morgan (New York, Pierp. Morgan Lib., M. 619), mentre un confronto tecnico è fornito dai fori per le applicazioni in legno o metallo nelle aureole di alcune delle figure, che sono esattamente dello stesso tipo di quelli presenti nei dipinti murali con S. Paolo a Canterbury.
Sebbene lo stile delle pitture sia stato paragonato a quello del ciclo della cappella del Santo Sepolcro a Winchester e alle miniature del Maestro del foglio Morgan, esso sembrerebbe piuttosto un esempio della fase ancora più classicheggiante e monumentale degli anni intorno al 1200, che trova i più probanti paralleli in opere come il Salterio di Westminster (Londra, BL, Royal 2.A.XXII).
Benché il ciclo pittorico di Sigena sia adesso universalmente riconosciuto come opera di maestranze inglesi, non va dimenticato che il periodo in questione è esattamente quello dello 'stile di transizione' o 'stile del 1200', come talvolta è chiamato, quando cioè, come risultato di rinnovati influssi bizantini, vi fu una vasta convergenza stilistica tra opere prodotte in centri distinti e talvolta lontani. È possibile anzi dimostrare che alcuni dei punti di contatto con l'Inghilterra che sono stati proposti, come per es. la rappresentazione dell'albero da cui si generano oche su uno degli arconi, possono avere avuto fonti alternative. Se, come sembra ancora probabile, furono attivi a Sigena uno o più pittori inglesi, sono comunque i legami tra i sovrani dei due paesi che valgono a spiegare la circostanza, dato che il monastero fu fondato da donna Sancia, moglie di Alfonso II re di Aragona, del quale Enrico II d'Inghilterra era stato tutore.
È probabile che la maggioranza delle pitture murali di età romanica sia stata eseguita da artisti laici professionisti; alcuni aspetti del loro modo di operare vengono chiariti dal trattato Pictor in carmine (1200 ca.), il cui autore fornisce un'ampia gamma di soggetti tipologici con versi esplicativi a uso dei pittori, lamentandosi: "che cosa è più decoroso, che cosa più proficuo, vedere intorno all'altare di Dio delle aquile con due teste [...] o [...] contemplare le gesta dei Patriarchi [...] è la criminale presunzione dei pittori che ha gradualmente introdotto questi esercizi della fantasia". È esattamente il tipo di figure fantastiche che a questo autore tanto dispiacevano a comparire sugli arconi di Sigena, quasi allo spigolo con le pareti della sala: un centauro in lotta con un drago e un asino suonante un'arpa, mentre in precedenza un altro esempio simile, un demone con un cappuccio, aveva trovato posto nel basamento della cappella del Santo Sepolcro nella cattedrale di Winchester. Per quanto sia stato suggerito di attribuire al Maestro del foglio Morgan i dipinti della parete occidentale di quest'ultima cappella e forse anche alcune delle scene del ciclo di Sigena, rimangono scarse le possibilità di provare che pitture murali e miniature possano essere in età romanica opera di uno stesso artista, trattandosi naturalmente di due media molto differenti.
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v. anche Anglonormanna, Arte. Parte introduttiva