Vedi ROMANA, Arte dell'anno: 1965 - 1997
ROMANA, Arte (v. vol. VI, p. 939)
dalle ORIGINI fino all'età medio-repubblicana. - Appare problematica, fino al momento della riorganizzazione socio-economica successiva alle guerre annibaliche, la distinzione di un'arte romana. La produzione artigianale risulta infatti strettamente correlata con quella degli altri centri laziali, mentre le espressioni figurative, a Roma come nel Lazio, si inseriscono nelle contemporanee vicende storico-artistiche dell'area medio-tirrenica, etrusca e magnogreca. Non è forse un caso, allora, che la tradizione ricordi le grandi opere figurative per precise commissioni affidate ad artisti stranieri (Vulca, maestri veienti, Damofilo e Gorgaso). Raro è infatti, nella cultura artistica di Roma, un artigianato che aggiunga alla funzionalità dell'oggetto un impegno figurativo cosciente: i motivi possono essere ricercati in iniziali tabù per la rappresentazione della figura umana (di cui si ha traccia in Varrone, Ant., 1, frg. 18 Cardauns), in divieti per il lusso privato (vigenti a partire dalla fine del VII sec. a.C. per lo meno per gli apprestamenti funerari), ma anche negli apparenti limitati investimenti nella sfera votiva (la cui eccezionalità è documentata nella tradizione dal donario di Spurio Cassio del 484 a.C.: Plin., Nat. hist., XXXIV, 15). Ne deriva, pertanto, l'impossibilità di costruire quei percorsi «secondari» che costituiscono invece per l'Etruria il tessuto connettivo in cui collocare le più compiute espressioni dell'arte figurativa pervenute (v. etrusca, arte).
Le origini. - La specificità della cultura laziale (v. laziale, civiltà) emerge a partire dal X sec. a.C. (fase I), quando nasce una produzione ceramica e bronzistica finalizzata al rito funerario. Riproduzioni della capanna di abitazione, vasi e ornamenti in miniatura, statuette schematiche che reintegrano simbolicamente la fisicità del defunto incinerato, rappresentano l'impegno maggiore di un artigianato attivo presso le singole comunità di villaggio, stanziale per le attività ceramiche, itinerante per quelle bronzistiche. La crescita di questi villaggi nel corso del IX sec. (fase II A), correlata forse al primo sviluppo delle grandi comunità villanoviane transtiberine, soprattutto di Veio, provoca l'assunzione nella ceramica di tecniche decorative a incisione che immettono nell'ordito geometrico di tradizione villanoviana rare scene di compianto (urne a capanna di Osteria dell'Osa, Camporeatino, Castelgandolfo), cui si affiancano ornati plastici anch'essi geometrizzanti, tipici della «Fossakultur» meridionale. Solo nell'VIII sec. a.C. (fasi IIB e III), con il consolidamento delle comunità già esistenti e con la formazione di nuovi centri posti lungo le valli del Tevere, dell'Amene e del Sacco, si assiste a un salto qualitativo nella produzione ceramica, eseguita ormai al tornio lento, lucidata a stecca e sottoposta a processi di cottura controllati. Alla metà del secolo l'introduzione del tornio veloce e della depurazione dell'argilla è dovuta a maestranze provenienti dall'ambiente euboico-cicladico, in transito per l'Etruria, ben accolte all'interno di strutture sostanzialmente «aperte» a nuovi processi tecnologici. Decorazioni semplificate a fasce e cerchi concentrici interessano così forme locali (anforette, sostegni, orcioli, askòi tubolari). Nello stesso torno di tempo nella produzione di bronzi, precedentemente legata a tipi dell'area della «Fossakultur», si nota una netta dipendenza, negli oggetti di prestigio, dall'area etrusca, in particolare veiente, cui si connette la decorazione a sbalzo di armi da parata e di vasellame. Le esigenze cerimoniali di una committenza aristocratica emergono con evidenza nel VII sec. a.C. (fase IV A e B), anche se molto limitato appare l'apporto creativo locale nella produzione di oggetti decorati. Si distingue in particolare l'attività di ceramisti che lavorano l'impasto, dove si impongono grandi sostegni che sorreggono crateri forniti di protomi di grifo derivate dai calderoni orientali o, nei vasi potorî, decorazioni incise di tipo standard con catene di palmette o aironi; originalità si riscontra soprattutto nella morfologia vascolare, forse legata a precise esigenze cultuali (tomba 128 dell'Esquilino). Anche nella produzione in argilla depurata i motivi si limitano a fasce, bande serpeggianti, spine di pesce, gruppi di gocce; in quella più recente, in bucchero, dominano vasi inornati. Nella lavorazione di metalli preziosi, imitata da tecniche e prototipi orientali o etruschi, il livello locale non attinge quello degli oggetti di pregio che vengono reperiti nei circuiti dei doni «principeschi», accumulati soprattutto fra i ceti dominanti dei centri di transito (Satricum, Vivaro-Rocca di Papa, Castel di Decima, Palestrina): prodotti di artefici operanti nel Lazio possono considerarsi soprattutto le oreficerie (fibule, fermatrecce, pettorali in lamina sbalzata con inserti d'ambra) piuttosto che ambre o avori figurati, attribuibili invece a maestranze etrusco- settentrionali, o le decorazioni plastiche presenti nelle bardature di cavalli (Castel di Decima, Rocca di Papa).
L'arcaismo. - A partire dall'ultimo quarto del VII sec. a.C. si diffonde nelle città del Lazio un'attività che prevede forme di edilizia non precaria, con tetti coperti da tegole e coprigiunti semicircolari. Il sistema, che si perfeziona nella generazione successiva, assume veste decorativa con elementi realizzati a rilievo tramite matrici e poi dipinti a partire dal secondo quarto del VI sec. a.C., stando almeno alle evidenze fornite dalla «terza» Regia e dal livello compreso fra il secondo e il terzo pavimento del Comizio. Se la cronologia coincide con il contemporaneo sviluppo della decorazione architettonica in siti dell'Etruria (Veio, Cerveteri, Roselle, Murlo), sistemi e tipi decorativi attestati a Roma (ma anche nel Lazio: santuario orientale di Gabî) rappresentano una tradizione autonoma che doveva comprendere, stando ai lacerti recuperati: acroterî a disco (Regia, area del Tempio dei Castori); sime con cornice baccellata e fascia dipinta a treccia (Regia, Tempio dei Castori); lastre di rivestimento con cornici a listello (dipinto con ovuli ed elementi di meandro) e includenti nella fascia, a rilievo, felini passanti (Campidoglio, Regia, Tempio dei Castori, Arco di Augusto, Lacus Iuturnae, Equus Domitiani, pendici settentrionali del Palatino) intervallati da struzzi o gru (Regia, Cloaca Maxima) o da una figura di uomo con testa di toro (Regia: ma l'esemplare ha cornice baccellata), oppure da una teoria di cavalieri armati (deposito del Lapis Niger); sime laterali (Tempio dei Castori) e testate di coppi con gorgòneion (Regia, Lapis Niger, Tempio dei Castori). Le coperture risultano pertanto destinate sia a sacelli di culto (Campidoglio: Tempio di Giove Feretrio?; Foro: Doliola?), sia a edifici con prevalente funzione politica (Curia Hostilia, Regia). Lo stile, uniformemente «xilografico» (Andrén), di tipo arcaizzante, riprende motivi decorativi di un repertorio iconografico riconducibile alle prime esperienze ioniche introdotte in Italia (p.es. l’hydrìa della Polledrara di Vulci). Intorno al 540-530 a.C. ha inizio una nuova fase decorativa che, al contrario della precedente, appare direttamente collegata con l'attività dei coroplasti di Caere, di Veii e di alcune città latine. Si distinguono, contemporaneamente, tipologie architettoniche riservate a edifici templari (Roma, Sant'Omobono), ad altari (Lavinio), o alla casa patrizia (che alla fine del VI sec. a.C. si organizza estesamente attorno a un atrio, come appare ora nelle abitazioni signorili alle pendici settentrionali del Palatino), mentre l'assetto della Regia rimane ancorato al modello più antico di ambienti modesti compresi entro un cortile porticato. Il tempio, isolato su un podio modanato, sembra inizialmente quadrato, di tipo in antis, forse con tre celle nella pars postica; così ci appare nell'edificio sottostante all'area sacra di Sant'Omobono. Qui le colonne lignee, rivestite di terracotta, appaiono di tipo dorico-etrusco, con capitello fornito di collarino, e risulterebbero alte un terzo della larghezza dell'edificio, secondo le vitruviane tuscanicae dispositiones. La decorazione del tetto, assai complessa e non ricostruibile nei dettagli, sembra appartenere a due diversi cicli decorativi (quindi pertinenti ai templi di Mater Matuta e Fortuna), che potrebbero anche essere contemporanei. Le rare placche con felini e gorgòneion (?), che dovrebbero formare sistema con le lastre di rivestimento dei rampanti con teoria di leoni, rinviano stilisticamente ai prodotti della toreutica forse ceretana rinvenuti nelle tombe «principesche» dell'area medio-tiberina (Castel S. Mariano, Marsciano). Il secondo ciclo, conservato più integralmente, che comprende volute di coronamento, lastre di rivestimento con processioni, sime laterali con gocciolatoi a protome leonina e antefisse a testa femminile, dipende invece dalla tradizione nota come Veio-Velletri, nella quale sono state enucleate almeno tre officine. La più attiva, che decora due templi veienti e quello di Velletri, opera anche a Roma: sul Campidoglio, nel Comizio, sul Palatino e in un santuario extraurbano dell'Esquilino. Mentre nel caso degli elementi a rilievo appare ancora valido il confronto con la metallotecnica, le sculture a tutto tondo, in particolare i gruppi di Sant'Omobono con Ercole e Atena e forse Leukothea e Palaimon (votivi piuttosto che acroteriali, come, più tardi, il gruppo di Ercole e Atena da Veio o la Minerva Tritonia di Lavinio), conservano un'impronta di tipo samio rilevabile anche nella contemporanea e più raffinata effigie della Menerva di Veio. Di tradizione ceretana risulta invece la decorazione della «quarta» Regia, cui si collegano antefìsse di eguale ascendenza dall'Arce capitolina e dal Palatino. Da botteghe presumibilmente romane partono esperienze nella decorazione architettonica, in particolare nelle antefisse, che si diffondono nelle città del Lazio (Praeneste, Tivoli), per giungere fino alla valle interna del Sacco (Frosinone). Non può essere taciuta la più limitata influenza della tradizione magnogreca, probabilmente cumana, trasmessa per via marittima, ben documentata dal secondo tempio di Satricum, rintracciabile in alcune antefisse dai pressi del Tevere. Nel settore dell'arte devozionale va inclusa, in questo periodo, una produzione di bronzetti fusi, eseguiti a matrice, che si affianca a quella precedente, di schematiche figure ritagliate da lamina: rinvenuti a Lavinio, Satricum, Segni, Sezze, Priverno, Gabî e Roma (dalla Via Portuense, dal Colle Oppio, dall'Esquilino e dal Lapis Niger) rappresentano, secondo moduli stilistici vagamente samî, kouroi e korai stanti o riprendono iconografie locali di figure femminili con un disco sul capo (Mater Matuta?). Non mancano statuette di importazione greca (kore bronzea con specchio da Lavinio, kore fittile frammentaria dal Lapis Niger).
Alla fine di questo periodo si colloca la fabbrica del Tempio di Giove Capitolino, santuario «dinastico» dei Tarquinì, di grandi dimensioni (Dion. Hal., IV, 61,3): la ricostruzione elaborata da Gjerstad e Blomé non è esente da dubbi che investono la monumentalità della sua stessa struttura (secondo alcuni le fondazioni conservate avrebbero costituito la platea dell'intera area sacra). È probabile che in quest'edificio si riassumesse tutta l'esperienza architettonica arcaica nella quale intervengono influenze sia della tradizione ellenizzante (la peristasi, che avvolge il tempio solo da tre lati, si inserisce nella tradizione da cui generano peripteri come i templi di Apollo a Pompei, di Satricum II fase, di Pyrgi B), sia di quella etrusca, espressamente ricordata dall'antiquaria romana: si è anche presunto che l'attività di Vulca, autore della statua di culto (Plin., Nat. hist., XXXV, 137) sia più antica e comunque da scindere rispetto a quella dei coroplasti veienti che eseguirono la quadriga acroteriale (Plut., Publ, 13; Fest., 342 L; Serv., Aen., VII, 188).
L'avvento della repubblica non comporta, a Roma, la cessazione dell'attività edilizia, quanto una diversa collocazione dei santuari entro lo spazio «politico» piuttosto che in quello sacrale delle vette dei colli: il Foro da un lato (templi di Saturno e dei Castori), la valle Murcia dall'altro (templi di Mercurio e di Cerere) rappresentano infatti nuovi poli di aggregazione della vita civile, ma esistono anche altre costruzioni anonime, documentate solo archeologicamente, sulla Velia e sull'Esquilino. L'intervento di artisti greci nella decorazione del Tempio di Cerere, Libero e Libera (494 a.C.: Plin., Nat. hist., XXXV, 194), autori di crustae (lastre parietali dipinte), indica nuovi orientamenti nella committenza, di cui si possono cogliere i riflessi nel torso di guerriero cadente dall'Esquilino, tecnicamente eseguito alla greca, forse appartenente a un gruppo votivo, e nei più tardi resti acroteriali e frontonali del III tempio di Satricum (circa 480 a.C.), di minore qualità, come forse in qualche scultura di importazione (la testa marmorea del Palladio dal Palatino). La tradizione locale risulta però ormai consolidata: lo confermano le planimetrie di tipo «tuscanico» attestate nei templi di Lanuvio e Segni, o, a Roma, nel Tempio dei Castori (484 a.C.) decorato con antefisse con testa di satiro e di Giunone Sospita, diffuse nel Lazio e nell'agro falisco, e con figure intere di satiro e menade, la cui distribuzione include anche l'area veiente. La diffusione ormai generalizzata dei sistemi di copertura di origine campana trasferisce le scene narrative nelle placche frontonali, scegliendo temi eroici o bellici (Segni, Lucus Ferentinae, Satricum, Veroli) non facilmente identificabili nel soggetto per lo stesso stato frammentario dei resti: i modelli sembrano ancora derivare dalle esperienze tardoarcaiche ionizzanti. L'impegno per sculture votive offerte da personaggi in vista, documentato dalla base inscritta che doveva sorreggere, a Satricum, un donario dei sodali di Valerio Publicóla e da quello di Spurio Cassio nel Tempio di Cerere (485 a.C.: Plin., Nat. hist., XXXV, 15; Liv., II, 41, 10), trova conferme archeologiche nella testa bronzea (forse di kouros o addirittura di Diana) da Ariccia e poi nello stesso simulacro duella Lupa capitolina.
L'età alto- e medio-repubblicana. - Alla concentrazione di evidenze del primo venticinquennio del V sec. a.C. segue un periodo di scarsi investimenti nell'edilizia sacra, interrotto, quasi di necessità, a Roma, dalla costruzione extrapomeriale del Tempio di Apollo Medico, tra il Circo Flaminio e il Foro Olitorio (431 a.C.: Liv., IV, 29, 7). La scarsa documentazione viene compensata dalla grande scultura in terracotta, che si affianca a quella in bronzo, nota soprattutto nel santuario orientale di Lavinio. Il nucleo di statue che include la Minerva Tritonia e l'altra evocante forse il suo simulacro xoanico lavinate (inv. 77.43), nonché alcune figure di offerenti (77.123, 130, 164, 167), rappresenta l'esito monumentale di tendenze stilistiche di tipo «severo» che emergono anche nella plastica bronzea dell'Italia centrale nella seconda metà del V sec. a.C. Solo intorno al 400 a.C., in concordanza con l'esperienza classica di area tiberina (Chiusi, Volsinii, Veio), si creano a Lavinio tipi nuovi, di grande finezza (inv. 77.104.28.07.33), fra i quali va inclusa anche la testa femminile dall'Ara Coeli. Il miglioramento degli standards espressivi può essere imputato all'arrivo di artisti attici, soprattutto ceramografi, i quali, pur se stanziati a Falerii, immettono dal 380 a.C. circa i loro prodotti nel mercato di Roma (si ricordino anche i rinvenimenti di Ostia). Apparentemente non interessata dalla produzione suntuaria, l'Urbe si segnala per la copiosa produzione di ex voto (teste e statue) dedicati in specie a divinità risanatrici (depositi del Celio, di Minerva Medica e del Tevere), espressione di una larga committenza media, la stessa che ritroviamo nelle colonie. Collegata con le botteghe di Falerii e di Caere, la realizzazione in serie di questi ex voto, esemplata su modelli tardoclassici, appare più precoce a Lavinio (santuario orientale) o ad Ariccia che a Roma, dove si intensifica a partire dal 330 a.C., interessando anche le nuove colonie latine (evidenze da Cales, Fregellae, Lucera e Carseoli): la successiva affermazione di standards ellenistici rimane prerogativa delle officine romane, mentre in ambito coloniale si affermano tendenze riconducibili a espressioni proprie dell'arte «italica». Analogo è il processo che interessa la piccola plastica fittile di eguale destinazione (a Roma, oltre ai depositi già rammentati si vedano i rinvenimenti dal Campidoglio, dal Foro, dal Verano) e le arnie con motivi decorativi impressi a matrice, di derivazione tarantina: d'importazione da Taranto se non di imitazione sono i gruppi fittili con carri guidati da nìkai o eroti (tombe di Corso d'Italia e S. Stefano Rotondo), noti anche a Palestrina e a Caere. La svolta ellenistica nel linguaggio figurativo si avverte anche nei pochi resti di decorazioni templari: di altissima qualità risultano le teste frontonali dal Palatino, inserite nella scia del primo ellenismo dell'area tiberina (Antemnae, Falerii-Scasato), mentre troppo frammentari sono gli elementi pertinenti forse al tempio C di Largo Argentina (dedicato a Feronia?).
L'esistenza di botteghe dedite a una produzione di lusso è tuttavia attestata dalla firma del maestro della Cista Ficoroni (Novios Plautios, di provenienza campana) il quale opera certamente a Roma (med Romai fecit), su committenza di un'aristocrazia prenestina, che affida a un artigiano romano l'esecuzione di un oggetto diffuso localmente: la matrice stilistica del manico fuso rinvia a prodotti dell'area interna, sia etrusca, sia laziale (c.d. Andromeda da S. Casciano, offerente femminile dal santuario di Norba), mentre per la raffigurazione incisa sono stati postulati modelli magnogreci. Non è impossibile che altri «capolavori» della serie siano stati del pari realizzati a Roma, stando anche alle scelte iconografiche.
Praticamente ignota rimane tutta la nuova sistemazione del Foro nella seconda metà del IV sec. a.C., riqualificata dalla costruzione delle tabernae argentariae. Come luogo di esibizione pubblica esso accoglie progressivamente, presso il Comizio, statue commemorative legate alla storia della città ma anche ai valori etici espressi dalla classe dirigente formatasi dopo le leggi Licinie-Sestie: il versante ellenistico di tale produzione viene ben rappresentato dalla Testa Fortnum, dalla necropoli dell'Esquilino, mentre il Bruto Capitolino potrebbe esprimere le aspirazioni verso una rappresentazione «biografica» degli individui che emergono fra la nuova nobilitas. Aspetto di questa tendenza sono anche le narrazioni di tipo storico di cui rimane, come documento, il noto affresco da una tomba dell'Esquilino: disposte su più registri, con la probabile ripetizione del protagonista (un Fabio o piuttosto un Fannio), le scene raccontano, con un linguaggio decisamente corsivo, elaborato agli inizi del III sec. a.C., gli episodi di una carriera militare contrassegnata dai valori guerrieri ed etici della res publica. Alle espressioni dell'arte votiva, sempre più massificata, si affiancano ormai quelle dell'arte «di rappresentazione» legate al sistema concettuale elaborato dalla nobilitas: nascono in tal modo quei «generi» che caratterizzeranno le successive manifestazioni figurative dell'arte romana.
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Le origini: In generale: G. Colonna, La produzione artigianale, in Storia di Roma, I, Torino 1988, pp. 291-311. - Urne a capanna: G. Bartoloni e altri, Le urne a capanna rinvenute in Italia, Roma 1987. - Ceramica di tipo geometrico: G. Colonna, Un tripode fittile geometrico del Foro Romano, in MEFRA, LXXXIX, 1977, pp. 471-491; id., Parergon. A proposito del frammento geometrico dal Foro, ibid., XCII, 1980, pp. 591-605; E. La Rocca, Ceramica d'importazione greca dell'VIII secolo a. C. a Sant'Omobono, in La céramique grecque ou de tradition grecque au Ville siècle en Italie centrale et méridionale, Napoli 1982, pp. 45-54. - Tombe principesche del Lazio: I. Strøm, Problems Concerning the Origin and Early Development of the Etruscan Orientalizing Style, 2 voll., Odense 1971; F. Zevi, Alcuni aspetti della necropoli di Castel di Decima, in PP, XXXII, 1977, p. 241 ss.; A. Bedini, L'ottavo secolo nel Lazio e l'inizio dell'orientalizzante antico, ibid., p. 275 ss.; F. Canciani, F. von Hase, La tomba Bernardini di Palestrina, Roma 1979; M. Cristofani, M. Martelli, L'oro degli Etruschi, Novara 1983, passim; R. De Puma, Orientalizing Jewellery from the Tomba Galeassi at Palestrina, in J. Swaddling (ed.), Italian Iron Age Artefacts in the British Museum, Londra 1986, p. 383 ss.; AA.VV., Recupero di una tomba orientalizzante presso Rocca di Papa, in Archeologia Laziale VIII (QuadAEI, 14), Roma 1987, p. 208 ss.
L'arcaismo: In generale: M. Cristofani, Über die Anfänge der 'römischen Kunst'. Die Zeit der Tarquinier, in RM, XCIX, 1992, pp. 123-138. - Sullo sviluppo urbanistico di Roma, in particolare dell'area del Foro: F. Coarelli, Il Foro Romano, I, Roma 1983; id., Il Foro Boario, Roma 1988. - Pianta e alzato dei templi arcaici: G. Colonna, Tarquinio Prisco e il tempio di Giove Capitolino, in PP, XXXVI, 1981, p. 41 ss.; P. M. Martin, Le tempie de Jupiter Capitolin, in Caesarodunum, XVIII bis, 1983, p. 9 ss.; G. Colonna, I templi del Lazio fino al V secolo compreso, in Archeologia Laziale VI (QuadAEI, 8), Roma 1984, p. 396 ss.; I. Nielsen e altri, The Tempie of Castor and Pollux on the Forum Romanum, in ActaArch, LVI, 1985, pp. 1-29; F. Castagnoli, Testudo, tegula deliciaris e il tempio di Giove Capitolino, in MEFRA, XCVIII, 1986, p. 37 ss.; F. Prayon, Zur Baupolitik im archaischen Rom, in Bathron. Festschrift H. Drerup, Saarbrücken 1988, pp. 331-342; M. Rendeli, «Muratori ho fretta di eseguire questa casa», in RIA, s. III, XII, 1989, pp. 49-68; I. Nielsen, Β. Poulsen, The Temple of Castor and Pollux, I, Roma 1992, pp. 61-79. - Decorazione architettonica: A. Andrén, Osservazioni sulle terrecotte etrusco-italiche, in OpRom, VIII, 1971, pp. 1-16; T. Gontz, Terracotta Figured Friezes from the Workshop of Vulca, ibid., X, 1974, p. 1 ss.; A. Sommella Mura, L'area sacra di S. Omobono, in PP, XXXII, 1977, p. 71 ss.; M. Cristofani, Artisti etruschi a Roma, in Prospettiva, 9,1977, p. 3 ss.; P. J. Riis, Etruscan Types of Heads. A Revised Chronology of the Archaic and Classical Terracottas of Etruscan Campania and Central Italy, Copenaghen 1981; F. R. Fortunati, Ipotesi ricostruttive della decorazione del tempio di Velletri, in Prospettiva, 47, 1986 (1988), p. 3 ss.; M. Cristofani, I santuari: tradizioni decorative, in Etruria e Lazio arcaico..., cit., p. 95 ss.; R. R. Knoop, Antefixa satricana, Assen 1987; M. Cristofani, Un'antefissa tardo arcaica da Frosinone, in Archeologia Laziale VIII, cit., pp. 294-298; C. Gronne, Fragments of Architectural Terracottas from the First Temple of Castor and Pollux on the Forum Romanum, in ARID, XIX, 1990, pp. 105-117; M. Cristofani, Osservazioni sulle decorazioni fittili arcaiche di S. Omobono, in Archeologia Laziale X (QuadAEI, 19), Roma 1990, pp. 31-37; P. S. Lulof, Un gruppo di statue fittili tardoarcaiche da Satricum, in MededRom, L, 1990, pp. 87-101; ead., Monumental Terracotta Statues from Satricum. A Late Archaic Group of Gods and Giants (diss.), Amsterdam 1991; C. Gronne, in I. Nielsen, B. Poulsen, The Temple of Castor and Pollux, cit., pp. 157-176; M. Torelli, I fregi figurati delle regiae etrusche. Immaginario del potere arcaico, in Ostraka, I, 1992, 2, pp. 249-274; M. Cristofani, La «terza Regia»: problemi decorativi, in Archeologia Laziale XII (QuadAEI, 23), Roma 1995, pp. 63-66; P. S. Lulof, R. R. Knoop, A Dead Negro or a Decapited Medusa?, in MededRom, LIV, 1995, pp. 39-51. - Scultura votiva: E. Richardson, Etruscan Votive Bronzes. Geometric, Orientalizing, Archaic, 2 voll., Magonza 1983, pp. 126-128 e 266-299; M. Cristofani, I bronzi degli Etruschi, Novara 1985, pp. 246-247 e 290-292; G. Bartoloni, I depositi votivi di Roma arcaica, in SciAnt, III-IV, 1989-1990, pp. 747-759. - Scultura d'importazione: E. Paribeni, Considerazioni sulle sculture originali greche di Roma, in La Magna Grecia e Roma nell'età arcaica. Atti dell'VIII Convegno di studi sulla Magna Grecia, Taranto 1968, Napoli 1969, pp. 83-89.
L'età alto- e medio-repubblicana: In generale: F. Coarelli, Cultura artistica e società, in Storia di Roma, II, I, Torino 1990, pp. 151-185; E. La Rocca, Linguaggio artistico e ideologia politica a Roma in età repubblicana, in AA.VV., Roma e l'Italia. Radices imperii, Milano 1990, pp. 299-357. - Sullo sviluppo urbanistico di Roma e sui relativi santuarî: F. Coarelli e altri, L'area sacra di Largo Argentina, I, Roma 1981; F. Coarelli, Il Foro Romano, II, Roma 1985. - Decorazione architettonica: M. J. Strazzulla, Le terrecotte architettoniche nell'Italia centrale, in Caratteri dell'ellenismo nelle urne etrusche, Firenze 1977, pp. 41-49; M. A. De Lucia, Una testa fittile arcaica dall'Aracoeli, in BullCom, LXXXVI, 1978-79, p. 7 ss.; M. R. Di Mino, Terrecotte architettoniche dalla zona del monumento a Vittorio Emanuele, in Archeologia Laziale IV (QuadAEI, 5), Roma 1981, p. 119 ss.; P. Pensabene, M. R. Sanzi Di Mino, Museo Nazionale Romano. Le terrecotte, III, I. Antefisse, Roma 1983; P. Pensabene, Fregio fittile da Palestrina con grifomachia, in Prospettiva, 52, 1988, pp. 36-40. - Arte votiva: AA.VV., Lavinium, II. Le tredici are, Roma 1975, pp. 181-251; L. Gatti Lo Guzzo, Il deposito votivo dell'Esquilino detto di Minerva Medica, Firenze 1978; D. Ricciotti, Terrecotte votive dell'Antiquarium Comunale di Roma, Roma 1978 (arule); M. Roghi, Terrecotte votive dal Lazio meridionale, in Archeologia Laziale II (QuadAEI, 3), Roma 1979, pp. 226-229; P. Pensabene e altri, Terrecotte votive dal Tevere, Roma 1980; P. Sommella, M. Fenelli, in Enea nel Lazio, cit., p. 187 ss.; R. M. Hofter, Untersuchungen zu Stil und Chronologie der mittelitalischen Terrakotta-Votivköpfe (diss.), Bonn 1985; M. Cristofani, I bronzi degli Etruschi, cit., pp. 34 s., 273, nn. 67-68 (bronzetti); F. Coarelli (ed.), Fregellae, 2. Il Santuario di Esculapio, Roma 1986, pp. 89-144 (terrecotte figurate); M. C. D'Ercole, La stipe votiva del Belvedere a Lucera, Roma 1990. - Sugli inizî dell'arte di rappresentazione: T. Hölscher, Die Anfänge römischer Repräsentationskunst, in RM, LXXXV, 1978, p. 315 ss.; id., Die Geschichtsauffassung in der römischen Repräsentationskunst, in Jdl, VC, 1980, pp. 265-321; R. Brilliant, Narrare per immagini. Racconti di storie nell'arte etrusca e romana, Firenze 1987, pp. 17-49; M. Cristofani, Arte ufficiale e arte privata nell'Etruria del primo ellenismo, in Akten des XIII. Internationalen Kongresses für klassische Archäologie, Berlin 1988, Magonza 1990, pp. 67-72; T. Hölscher, Römische Nobiles und hellenistische Herrscher, ibid., pp. 73-84. - Statue onorarie: G. Lahusen, Untersuchungen zur Ehrenstatue in Rom, Roma 1983; J. De Rose Evans, Statues of the Kings and Brutus on the Capitoline, in OpRom, XVIII, 1990, pp. 99-105. - Pitture: F. Coarelli, Affreschi romani delle raccolte dell'Antiquarium Comunale, Roma 1976; G. A. Mansuelli, Γραφαι και σχηματα των γεγονοτων (App. Punic. 66), in RdA, III, 1979, pp. 45-58; E. La Rocca, Fabio o Fannio, in DArch, s. III, II, 1984, p. 31 ss. - Arte suntuaria: T. Dohrn, Die Ficoronische Ciste, Berlino 1972; G. Foerst, Die Gravierung der pränestinischen Cisten, Roma 1978; G. Bordenache Battaglia, A. Emiliozzi, Le ciste prenestine, I. Corpus, I.A, 1-2, Roma 1979; R. Adam, Recherches sur les miroirs prénestins, Parigi 1980; G. Bordenache Battaglia, A. Emiliozzi, Le ciste prenestine, I, Corpus, 2, Roma 1990; M. Bonamici, Contributo alla bronzistica etrusca tardo-classica, in Prospettiva, 62, 1991, pp. 2-14. - Importazioni da Taranto a Roma e Palestrina: D. Kent Hill, Terracotta Reliefs from Praeneste, in StEtr, XLV, 1977, p. 169 ss.; C. Cerchiai, Alcune osservazioni su due bronzi prenestini, in BdA, LXIX, 1984, p. 53 ss.; M. Borda, Problemi della toreutica bronzea tarantina dell'età ellenistica, in N. Bonacasa (ed.), Alessandria e il mondo ellenistico-romano. Studi in onore di A. Adriani, III, Roma 1984, pp. 713-720. - Ceramica: J.-P. Morel, Céramique campanienne. Les formes, Roma 1981, passim·, V. Jolivet, La céramique étrusque des IVe-IIIe s. à Rome, in Contributi alla ceramica etrusca tardo-classica (QuadAEI, 10), Roma 1985, pp. 55-66; Β. Adembri, La più antica ceramica figurata di Ostia, in «Roman Ostia» Revisited (Suppl. a BSR), in corso di stampa.
(M. Cristofani)
età tardo-repubblicana e imperiale fino alla tetrarchia. - tendenze generali. - Negli ultimi venticinque anni sono stati pubblicati numerosissimi studi sull'a. r., e ciò è stato determinato non soltanto dalla quantità di scavi eseguiti nel bacino del Mediterraneo e da scoperte di grande risonanza come le sculture di Sperlonga, ma anche dalla pubblicazione di vecchi rinvenimenti e di prodotti della cultura materiale raccolti in cataloghi e corpora. In alcune delle pubblicazioni di materiali si riflettono anche nuovi interessi e problematiche che rendono necessario un esame per quanto possibile completo di gruppi di monumenti, dei quali in passato erano stati pubblicati solo singoli esemplari.
L'ampliamento della documentazione figurativa non di rado è stato accompagnato da una migliore definizione della cronologia e dell'ordinamento tipologico e regionale. Per la cronologia delle sculture ha svolto un ruolo-guida soprattutto lo studio dei ritratti. Grazie all'impiego del metodo tipologico e della critica delle copie nell'ambito dei ritratti imperiali è stato possibile recuperare una quantità di elementi di datazione relativamente sicuri anche per quanto riguarda l'ordinamento cronologico e stilistico dei sarcofagi e della c.d. scultura ideale. Interessanti informazioni si sono potute ricavare, p.es., dalla pubblicazione degli antichi calchi di gesso di Baia (v. copie e copisti). La conoscenza del significato delle copie e della produzione in serie offre l'opportunità di far luce anche sui collegamenti tra le officine e sulle loro forme di organizzazione, in quanto la scultura in marmo svolgeva un ruolo essenziale nelle forme di rappresentazione fortemente standardizzate della società imperiale. Il bisogno generalizzato di arte destinata all'arredo e alla rappresentanza, unito alla sicurezza delle vie di comunicazione, favorì la produzione artistica a livello sopraregionale e ampliò l'area del mercato delle opere d'arte. Ciò era possibile in quanto si erano diffusi nell'impero romano un linguaggio figurativo unitario e una scala di valori altamente standardizzata.
L'identificazione di serie di capitelli o dei programmi intesi a organizzare la scultura ideale e quella ritrattistica ha permesso di evidenziare la diversificata suddivisione del lavoro all'interno delle officine e le rilevanti differenze di qualità e anche di stile presenti tra opere contemporanee di una stessa officina. Ne consegue che, sulla base di criteri soltanto stilistici, singoli esemplari di media qualità potrebbero essere datati in archi cronologici piuttosto ampi. Lo stesso vale per altre classi di monumenti: la pubblicazione dei mosaici secondo un criterio topografico ha permesso di esaminare come veniva utilizzato il modello iconografico e la diffusione in tutto l'impero dei motivi figurativi.
Gli studi più recenti si indirizzano soprattutto verso problemi riguardanti il contesto storico e funzionale, il linguaggio specifico e le modalità di recezione dell'opera d'arte, in quanto la ricostruzione del contesto non può essere limitata al ristretto raggio d'azione nel quale si trovava l'oggetto artistico. Bisogna considerare l'importanza del luogo in cui esso era collocato nella vita quotidiana, le intenzioni dei committenti, la posizione dell'osservatore, il suo «orizzonte di aspettativa». Considerate in questo modo, le opere d'arte non solo riflettono interazioni sociali, ma diventano comprensibili quali elementi indipendenti della vita e della comunicazione.
Queste tendenze generali della ricerca più recente hanno determinato nello studio dell'a. r. un allontanamento dalle problematiche finora così preminenti come l'originalità creativa romana nei confronti dell'arte greca, i suoi inizi e le sue più importanti realizzazioni. Pertanto sempre più come a. r. viene definita la produzione artistica nell'impero romano, in senso spaziale e temporale. Nel corso degli ultimi due decenni sono crollate anche le teorie basate su una successione stilistica coerente e omogenea che, con una logica interna, avrebbe condotto dalla repubblica, all'età imperiale, al tardoantico, senza che tuttavia finora sia stato sostituito a tali scansioni un nuovo concetto unitario. Scrivere oggi una storia dell'a. r. significa elaborare una storia del «linguaggio figurativo» nel quadro di una storia generale della cultura dell'impero romano, impiantata su una solida ricostruzione delle strutture e della dinamica della società.
Per trovare una chiave d'interpretazione funzionale in senso generale dell'a. r., si deve considerare che ai momenti di trasformazione strutturale del sistema sociale e culturale corrispondono momenti di svolta nella forma e nel contenuto del linguaggio figurativo. Poiché se la concretizzazione della forma artistica, dipende in ultima analisi dalla funzione dell'opera d'arte, anche lo «stile» cambia con la destinazione dell'opera. Ciò è determinante per una periodizzazione dell'arte dell'impero romano: invece di illustrare un cambiamento di stile che avviene in modo più o meno logico e regolare, una descrizione deve procedere secondo le strutture fondamentali dei periodi che si susseguono, conformemente ai mutamenti dei sistemi sociali e culturali generali.
Si hanno così sostanziali rivolgimenti sia per quanto riguarda l'ingresso di Roma nel mondo della cultura ellenistica nel corso del II sec. a.C., sia sul passaggio dalla repubblica al principato in età augustea, sia sulla fine del principato attraverso la forma tardoantica della monarchia. Nel quadro globale della storia della cultura si potrebbe sicuramente considerare la storia dell'arte dell'impero romano come un processo graduale di ellenizzazione, considerando d'altra parte che il modello greco stesso non rimane costante. Per la società di Roma e per le città italiche il modello è fornito dalla cultura greca contemporanea del tardo ellenismo; ma più tardi a Roma stessa furono create nuove forme figurative elaborate con elementi dell'arte greca, che funsero a loro volta da modello per tutto l'impero.
L'età tardo-repubblicana. - Questo periodo è caratterizzato dalla crisi della forma di governo tradizionale della città-stato di Roma in seguito alla conquista di tutto il mondo mediterraneo, e dai repentini cambiamenti determinati da una forte concentrazione di ricchezza e di potere politico, dalla crisi di potere del Senato, dall'emergere degli interessi privati, dalla rivalità tra i grandi generali, ma anche tra le classi emergenti, soprattutto i liberti.
La rapida diffusione della cultura ellenistica negli strati più alti della società romana aveva determinato una profonda trasformazione della scala di valori tradizionale, e aveva condotto a un sistema culturale di tipo nuovo in cui anche all'arte spettavano nuove funzioni specifiche. Decisivo per gli sviluppi futuri era che l'orizzonte di vita, fino ad allora unitario, si suddividesse in ambito pubblico e privato, in otium e in negotium. In entrambi gli ambiti, nel corso del II e del I sec. a.C. si definiscono e si delimitano le funzioni dell'arte e un universo figurativo a esse corrispondente, che ancora durante la prima età imperiale si rafforzano in un sistema coerente.
Con il «classicismo» l'assimilazione dell'arte greca assume un'importanza primaria. La classe dirigente romana adottò la cultura greca, nel quadro di un singolare processo di acculturazione, nella sua totalità, così come essa si manifestava nelle città ellenistiche e nelle corti reali del II sec. a.C. Nello stesso periodo, soprattutto nelle antiche città della Grecia, già si andavano diffondendo tendenze retrospettive, che guardavano all'età d'oro di Atene come a un modello insuperabile da imitare.
Giacché la cultura greca contemporanea aveva un'impronta fortemente classicistica, anche l'arte imperiale divenne, nell'insieme, tale: il nuovo linguaggio figurativo era costituito in larga misura dalle forme figurative fortemente caratterizzate e dalle potenzialità stilistiche dell'arte greca, già selezionata all'interno del percorso di tutta la storia dell'arte greca, dall'età arcaica all'ellenistica. Il criterio di scelta e la composizione dipendevano dalla funzione, sia pubblica che privata, che la produzione artistica era chiamata a svolgere. Le copie, le derivazioni, le citazioni dalle più famose opere dell'arte greca rappresentano soltanto una delle possibilità della sua utilizzazione. Anche i temi figurativi nuovi derivati dalla realtà venivano adattati a modelli greci e avevano un livello stilistico adeguato alla funzione che dovevano svolgere. Appare sempre più evidente che non c'è stato alcun dualismo strutturale tra la tradizione italica e romana e quella greca, come un tempo si riteneva.
L'arte nella sfera privata della casa: la nuova cultura del «vivere in villa». - A partire dal II sec. a.C. il ricco repertorio dell'arte figurativa ellenistica venne inizialmente recepito dalla classe dirigente di Roma e delle città italiche soprattutto nell'ambito della vita privata. Le tensioni e i conflitti, determinati dalla diffusione della cultura greca, tra la scala di valori tradizionale romana e la cultura ellenistica, definita con disprezzo luxuria (e quindi nello stesso tempo recepita come desiderabile), potevano essere superati da un punto di vista politico, ma anche psicologico, soltanto tramite una separazione spaziale tra antichi e nuovi ideali. Per la prima volta nella cultura europea si creò una netta separazione tra pubblico e privato. A Roma, l'aristocrazia senatoria tentava di restare fedele alle tradizioni dei frugali usi contadini, ma gli stessi personaggi nelle loro ville private si concedevano tutti i piaceri della nuova cultura greca. Da questo derivavano importanti conseguenze: le ville - e in seguito anche i palazzi cittadini della nobiltà e dei possidenti - diventarono un amalgama di cultura greca. Alle statue, originali o copie di capolavori greci, alle pitture parietali, alle argenterie da mensa, ai preziosi mobili e oggetti ellenistici, che erano collocati in ambienti arredati in stile greco, dai nomi greci, o nei relativi lussuosi giardini alla greca, furono attribuite nuove funzioni: le opere d'arte dovevano da una parte mettere in mostra il valore rappresentativo della cultura greca, per mezzo del quale costituivano un richiamo atto ad abbracciare ambiti il più possibile ampi, dall'altro stimolare il proprietario e il visitatore ad associazioni ed esperienze colte, predisponendo la cultura greca a divenire componente essenziale di un nuovo raffinato modus vivendi.
A questo corrispondeva l'esposizione delle opere d'arte nelle case, come beni culturali e «incitamenta animi» (Sen., Ep., 64, 9-10). I ritratti dei greci famosi, p.es., dovevano stimolare conversazioni letterarie o filosofiche, o richiamare alla memoria fatti storici. Per questo delle antiche statue onorarie era sufficiente copiare i ritratti senza i relativi corpi e creare delle erme; in questo modo si recepivano i volti, a prescindere dallo stile dell'epoca della creazione dell'originale, come se fossero state le fisionomie autentiche dei personaggi famosi. Le statue greche di atleti dovevano evocare il ginnasio e la palestra come luoghi centrali della paidèia greca. Gruppi dionisiaci ed erotici illustravano temi centrali dei piaceri della vita e li sublimavano con l'aura del mito e dell'arte. Nelle ville più grandi, determinati spazi venivano destinati a una specifica tematica figurativa cui corrispondevano architettonicamente luoghi come gymnasium, palaestra, bibliotheca, pinacotheca; l'abitazione privata appariva pertanto spesso come una piccola Grecia artificiale, un mondo in cui il proprietario poteva ritirarsi ed elevarsi nel godimento della cultura greca, tanto più che non di rado i grandi aristocratici potevano effettivamente vivere insieme con intellettuali e artisti greci.
È degno di nota come, in maniera consequenziale, fossero evitati in questo universo figurativo domestico i temi contemporanei romani, tratti dal mondo urbano, dalla politica, dall'amministrazione della campagna di cui si occupava il proprietario della villa e simili. Nulla in questo mondo lussuoso destinato al riposo doveva rievocare la sfera del negotium. È il caso, particolarmente evidente, della pittura del «Secondo Stile». Le grandi prospettive architettoniche, l'immagine di santuari e giardini sontuosi, di principi ellenistici e di figure mitologiche dovevano introdurre, analogamente alle sculture greche della villa, a un mondo superiore di vita elevata e di piacere. L'inesauribile ricchezza di questa decorazione parietale doveva creare degli stimoli per la fantasia e aiutare a demolire i limiti della realtà. Anche se per la maggior parte degli elementi figurativi devono essere stati utilizzati modelli greci, queste pitture, nella loro funzione di decorazione parietale che doveva soddisfare ben precisi desideri, costituiscono un'espressione caratteristica della società tardorepubblicana. Finora la ricerca si è concentrata sulla discussione della cronologia e sull'origine dei singoli elementi figurativi invece di considerare l'insieme di questi elementi come testimonianza di una precisa mentalità. Anche qui emerge chiaramente come i mutamenti stilistici non si producano in maniera continuativa e regolare. Solo intorno al 40 a.C. ha inizio una fase dinamica, a cui segue il manierismo del tardo «Secondo Stile», mentre la successiva diffusione del nuovo sistema decorativo del «Terzo Stile», intorno al 10 a.C., dovrebbe essere interpretata in relazione alla generale trasformazione dei valori.
Il mondo figurativo della villa e della casa si compone di diversi tipi di opere d'arte. Queste presentano le più diverse forme stilistiche: p.es. una statuetta arcaistica di divinità può essere accostata a una statua di atleta del primo periodo classico, a un ritratto greco tardoclassico o a un gruppo ellenistico. D'altro canto è possibile definire uno stile «d'epoca» comune a tutti i generi sulla base del sistema delle immagini. Anche all'interno dei singoli generi si possono difficilmente osservare mutamenti di stile uniformi. Determinati temi figurativi od oggetti hanno da ora in poi ognuno il proprio stile individuale; datazioni si possono perciò soltanto ricavare, in singoli ambiti, sulla base di determinate forme caratteristiche, di cambiamenti di peculiarità di officina, o di determinati aspetti dell'eclettismo.
L'arte nella sfera pubblica. - In ambito pubblico i processi dinamici di differenziazione della società, l'accumulo di grandi ricchezze nelle mani di pochi, la concorrenza per l'influsso politico tra i grandi di Roma, la pressione per la partecipazione al potere esercitata dalla classe dirigente delle città italiche sono fattori determinanti per definire la funzione delle opere d'arte e dei monumenti architettonici. Dalla seconda metà del II sec. a.C. rappresentazione politica e propaganda assumono un ruolo di primo piano.
A Roma i committenti di edifici sono soprattutto i trionfatori, al di fuori della capitale le grandi città laziali intorno a Roma, per le cui aristocrazie svolgono un ruolo di primaria importanza le questioni legate al prestigio e alla partecipazione al potere. Costo e struttura degli edifici di rappresentanza, dei santuari e dei monumenti del Campo Marzio, dei grandi santuari a terrazze delle città del Lazio debbono essere di volta in volta posti in relazione con le intenzioni dei committenti e anche con i destinatari primari. I templi e i portici greci del Campo Marzio progettati da artisti greci di primo piano dovevano soprattutto corrispondere alle pretese della colta classe dirigente di Roma. Soltanto questa era in grado di comprendere le complicate allegorie mitologiche e le qualità estetiche che i committenti pretendevano anche per i propri monumenti onorari (p.es. il thìasos marino con nozze mitiche per il monumento di un censore, la c.d. Ara di Domizio Enobarbo). L'arte rappresentativa politica della tarda repubblica forzò determinate tendenze dell'arte ellenistica come l'uso astratto e simbolico delle immagini e sviluppò, soprattutto nelle coniazioni monetali, un vero e proprio sistema di immagini simboliche e di segni convenzionali, con i quali le famiglie del monetiere di turno si gloriavano dei meriti dei loro antenati.
Solo dall'epoca del primo triumvirato l'arte rappresentativa romana si rivolge direttamente al popolo e assume un ruolo significativo nella propaganda politica. Questo vale per edifici provvisori come il teatro ligneo di Scauro, ma anche per i grandi, spettacolari edifici di Pompeo o Cesare. Vengono elaborati modelli che saranno poi utilizzati nell'arte e nell'architettura di rappresentanza imperiale. L'allestimento della scaenae frons del teatro di Scauro con preziose colonne di marmo greco e opere d'arte che venivano offerte in gran copia al popolo di Roma quale bottino di guerra serviva innanzitutto a soddisfare il desiderio di esporre alla vista del popolo la ricchezza e lo splendore del potere universale; più tardi queste scenografie fastose servirono anche al culto imperiale.
Il Forum Iulium eretto da Cesare era concepito, al pari delle basiliche del Foro Romano, sia come abbellimento dello spazio pubblico, sia come dono al popolo. La bella piazza decorata con fontane, sotto i portici della quale trovavano posto le botteghe di oggetti di lusso, era al tempo stesso uno spazio propagandistico di nuovo tipo per il dittatore: davanti al tempio sorgeva un imponente monumento equestre, che ricordava le imprese del condottiero Cesare. L'uso scenografico dell'architettura e dell'arredo anticipava i successivi impianti del culto imperiale.
L'immagine della città e la società. - Mentre le manifestazioni dell'arte rappresentativa a Roma hanno assunto forme sempre più sontuose e ricche soltanto negli ultimi decenni dell'età repubblicana, il monumentale santuario di Palestrina sorse, contrariamente a quanto si ipotizzava in precedenza, già nell'ultimo quarto del II sec. a.C. Lì, come in altre importanti città dell'Italia centrale e della Campania, le famiglie dei notabili locali si adoperarono per abbellire la città con opere di uso pubblico, seguendo il modello delle città ellenistiche d'Oriente, e cercando di enfatizzare rango e aspirazioni della loro città per mezzo degli spettacolari edifici monumentali dei santuari in onore delle divinità principali. Questa attività edilizia va intesa come espressione della concorrenza tra le città, prima e dopo le guerre sociali. È questa l'epoca in cui le aristocrazie locali si sforzano di ottenere una partecipazione attiva nel Senato romano e, dopo l’89 a.C., si vantano della propria appartenenza a due patriae.
Nei grandi santuarî a terrazze di Palestrina, Tivoli, Terracina e ancora in altre città, ha un ruolo fondamentale l'impatto che tali architetture dovevano produrre sull'osservatore. Già in lontananza questi edifici dovevano colpire per l'effetto prospettico, ma il visitatore del santuario doveva essere colto di sorpresa e restare attonito. L'organizzazione dello spazio e il linguaggio figurativo dell'architettura ellenistica (Coo, Lindos) venivano qui posti al servizio di una funzione specifica, e, non ultimo grazie anche alle nuove tecniche costruttive, soprattutto all'uso dell’opus caementicium, potevano raggiungere effetti del tutto nuovi: come quando la più importante strada per Tivoli passava direttamente attraverso le sostruzioni del nuovo Santuario di Ercole o il visitatore del Santuario della Fortuna di Palestrina, tramite un raffinato sistema di ingressi e di scale, poteva alternare la vista del paesaggio a quella dell'architettura.
L'immagine urbana delle più importanti città della Campania e del Lazio non di rado deve aver superato per modernità e grado di ellenizzazione Roma stessa, nella quale, mentre andavano sorgendo edifici di rappresentanza estremamente sontuosi, a partire dalla seconda metà del II sec. a.C. non vennero quasi più costruiti edifici funzionali strettamente necessari, come acquedotti, bagni pubblici, ponti e strade, nonostante la sovrappopolazione della città. A differenza delle città di provincia, nella Roma tardorepubblicana concorrenza e lotte di potere impedivano la realizzazione di grandi opere di pubblica utilità, poiché queste venivano sospettate di avere una funzione di propaganda populistica.
Il ritratto. - La ritrattistica viene da tempo e a ragione considerata come uno degli aspetti maggiormente rappresentativi dell'arte tardo-repubblicana (v. anche ritratto: Roma). R. Bianchi Bandinelli ha sottolineato il legame stilistico con la ritrattistica tardoellenistica ma, nello stesso tempo, ha pensato di dover riconoscere in un particolare verismo del ritratto l'espressione dei valori tradizionali dell'aristocrazia nuovamente rafforzata con Siila. Ma al proposito sono sorti nel frattempo forti dubbi, giacché proprio i ritratti più significativi di quest'arte «romana antica» non rappresentano senatori romani ma notabili delle città italiche o addirittura liberti. In primo luogo c'è da osservare che i ritratti romani si ispirano a svariati modi di rappresentazione dell'arte ellenistica: accanto ai ritratti veristici fin nei minimi particolari, percepiti dal moderno osservatore come tipicamente «romani», nei ritratti degli uomini politici si evidenziano quanto meno due tendenze, una volta all'idealizzazione, l'altra all'espressività carica di pàthos. Evidentemente si sceglieva, a seconda del proprio gusto, un linguaggio formale che esprimesse qualità «civiche», tradizione greca o energia e passione.
Purtroppo non ci sono pervenute le statue bronzee che invasero il Foro Romano già prima della metà del II sec. a.C., per cui si può seguire l'evoluzione dell'arte ritrattistica solo a partire circa dall'80 a.C. A differenza dei ritratti tardoellenistici di Delo, dell'Asia Minore e di Atene, nei ritratti dell'ultimo secolo della repubblica di alto livello qualitativo sorprende soprattutto la resa estremamente differenziata dei tratti fisionomici. Mai in precedenza, e solo raramente in seguito, artisti e committenti furono così interessati alla resa dei lineamenti, accidentali e inconfondibili, del singolo. Questo fenomeno, tipicamente tardorepubblicano, richiede una spiegazione appropriata: presumibilmente esso è strettamente collegato con l'accresciuto clima di concorrenza, in una situazione di mancanza di modelli figurativi universalmente vincolanti in una società in stato di rapida trasformazione. In seguito aumentarono significativamente le tendenze normative, allorquando tale funzione di riferimento ideale fu assunta dai ritratti della famiglia imperiale.
Posto che si possa parlare per l'arte ritrattistica di un cambiamento uniforme di stile nel corso del I sec. a.C., esso consiste in un generale rilassamento delle forme (attenuazione del pàthos), che potrebbe dipendere dalla tradizionale comprensione che di sé avevano i Romani, estranea allo stile patetico dell'arte aulica ellenistica, ma che si deve probabilmente considerare anche determinato dal classicismo che sempre più si insinuava nell'arte rappresentativa pubblica e che con Augusto sarebbe divenuto lo stile ufficiale dell'arte di Stato.
Lo stile di un ritratto di regola non dipendeva da quello del tipo statuario utilizzato, fenomeno riscontrabile già nelle statue dei dinasti ellenistici. Il ritratto di Cesare, p.es., con la sua «borghese» mancanza di pàthos, deve essere messo in collegamento con tipi statuari marcatamente enfatici.
L'utilizzazione di statue-ritratto rappresentative si estese durante gli ultimi decenni della repubblica in modo fino ad allora inconsueto. Non solo i notabili delle città italiche si fecero dedicare statue onorarie in gran numero, ma anche semplici cittadini, soprattutto i liberti in ascesa sociale, assunsero massicciamente questo tipo di rappresentazione per i loro monumenti sepolcrali, soprattutto sotto forma di rilievi con il ritratto dei defunti e dei loro congiunti a grandezza naturale. Per lo più la raffigurazione è limitata a parte del busto. I liberti adottarono quasi esclusivamente la tendenza «veristica» del ritratto aristocratico, in armonia con il loro atteggiamento fondamentalmente conservatore. Anche nella resa dei ritratti dei notabili delle città italiche sembra rispecchiarsi una specifica immagine di sé.
Autorappresentazione del cittadino o «arte plebea·». - Il dinamismo e la relativa apertura della società tardo-repubblicana a Roma e nelle città italiche d'Occidente determina anche nelle classi medie della popolazione un bisogno di autorappresentazione, corrispondente ai modelli delle classi alte. Soprattutto il monumento funerario, che, a imitazione delle tombe della classe dirigente, assumeva spesso forme architettoniche dispendiose e variate, fungeva di frequente da supporto a rilievi in cui il proprietario della tomba faceva riferimento alle proprie realizzazioni e ai propri titoli di merito: rappresentazioni di giochi circensi e gladiatori, di alimenta pubblici che il defunto aveva offerto, raffigurazioni del suo mestiere o dei suoi beni o delle onorificenze pubbliche dovevano corrispondere ai desideri del committente. Per questo le officine locali, non avendo a disposizione precedenti nell'ambito dei modelli forniti dall'arte greca, spesso dovevano «inventare» nuove soluzioni. Questo tipo di monumento è stato definito, come è noto, «arte popolare» (Rodenwaldt) o «arte plebea» (Bianchi Bandinelli). Si tratta invece semplicemente della realizzazione di specifiche necessità di autorappresentazione da parte di determinati gruppi della popolazione in una situazione sociale ben determinata, definibile in un breve arco di tempo (all'incirca dal 50 a.C. al 50 d.C.).
Considerata da questo punto di vista, l'arte tardo-repubblicana non si presenta come un'unità stilistica, né può essere interpretata secondo un'evoluzione storica preordinata. Soltanto grazie a una sistemazione delle singole opere d'arte in base alla loro funzione, ai committenti e ai destinatari, ogni forma assume il suo significato concreto e diviene comprensibile anche nelle sue contraddizioni formali e nel suo eclettismo. Appare dunque chiara l'inutilità di ricercare periodizzazioni e caratterizzazioni formali estese e valide per tutta la produzione artistica dell'epoca. Si è rivelata p.es. errata, in seguito ai risultati di nuove ricerche quali la datazione alta di Palestrina, l'importanza attribuita da Bianchi Bandinelli all'età sillana. Una vera e propria cesura, almeno per tutta l'arte di destinazione pubblica, non si ha prima dell'età augustea.
Da Augusto al iii sec. d.C. - La precedente ricerca storico-artistica non ha chiaramente riconosciuto il significato dell'età augustea come epoca di fondamentali nuovi orientamenti. R. Bianchi Bandinelli ha visto nel classicismo augusteo una tendenza retrospettiva, non considerando sufficientemente l'importanza dei mutamenti strutturali. Gli effetti della nuova forma di potere non si limitarono esclusivamente all'arte ufficiale, in quanto il rafforzamento di un ordinamento sociale gerarchico ebbe notevolissime conseguenze anche sull'arte di ambito privato.
I modi di autorappresentazione del primo princeps costituirono un modello per i suoi successori insieme con le nuove forme dell'adorazione e del culto imperiali. Si creò un linguaggio figurativo politico peculiare e un rigido rituale per i rapporti tra principe, senato e popolo.
La politica edilizia programmatica di Augusto a Roma diviene modello-guida per le altre città e fissa le regole per il futuro. Così il modello degli aurea templa di Roma, costruiti in marmo, che univa elementi greci e italici con la valenza simbolica della ricca decorazione architettonica, diventa vincolante per il futuro. La promozione della publica magnificentia, soprattutto l'erezione di edifici di divertimento e svago destinati alla popolazione, come teatri, portici, fontane, anfiteatri, circhi e terme, diventa per il principe un dovere. La chiara differenziazione di questi edifici a seconda del lusso del loro arredo crea per il futuro una gerarchia dei tipi edilizî e di tutto il linguaggio architettonico, con cui viene stabilito, p.es., per gli edifici templari lo stile classicistico, mentre le innovazioni formali vengono concentrate nell'ambito degli edifici pubblici utilitari.
L'abbellimento sistematico di Roma con edifici marmorei faceva assurgere l'immagine esteticamente pretenziosa della città a simbolo della nuova epoca. Questo determinò un vero boom edilizio nelle città dell'Italia e delle Provincie occidentali: il modello era rappresentato evidentemente dalle città ellenistiche con i loro fastosi edifici marmorei. D'ora in avanti edifici pubblici di rappresentanza, come foro, tempio per il culto imperiale, teatro e, con lieve ritardo, anche terme, divennero anche per le città romane elementi irrinunciabili dell'identità urbana.
L'arte greca classica divenne elemento costitutivo essenziale dell'arte statale e quindi della nuova cultura imperiale. L'arte greca, nella maniera in cui essa venne interpretata da Augusto nei grandi edifici templari da lui stesso fatti costruire e in quelli per il divertimento del popolo, e nel modo in cui il linguaggio formale classico venne esemplarmente inserito nell'arte ufficiale, conservò, al di là delle specifiche funzioni concrete, un carattere di contrassegno e divenne una formula per l'elevata esigenza culturale e morale della nuova epoca. L'incessante riproduzione e la sistemazione di opere d'arte classica nello spazio pubblico e in quello privato si andò trasformando a poco a poco in un rituale culturale, in una sorta di «formula magica» per la conservazione dell'alto livello culturale raggiunto dall'aurea aetas fondata da Augusto.
Nonostante i provvedimenti legislativi di Augusto contro il lusso, anche nella sfera figurativa si conservò una netta distinzione tra pubblico e privato. La casa come centro della cultura greca, dell'arredo di lusso, di raffinati piaceri, quale già definita nella cultura della villa tardorepubblicana, divenne elemento fondamentale, presto positivamente considerato, della cultura dell'età imperiale. Neanche gli imperatori vi si sottrassero. La Domus Aurea di Nerone e Villa Adriana dimostrano come gli imperatori fungessero ora da modello anche nell'ambito della vita privata.
A partire dall'età augustea si rallentarono i processi di trasformazione che negli ultimi decenni della repubblica avevano portato a una ricchezza di forme fino ad allora ignota sia in ambito pubblico, sia in ambito privato. Il rafforzamento degli apparati del potere e dell'ordine sociale indebolì la generale concorrenza. Questo influì direttamente sulle più diverse forme dell'autorappresentazione sociale, almeno in Italia e nelle Provincie occidentali, e determinò una vasta standardizzazione del relativo linguaggio figurativo. Si formarono presto solide strutture, che rimasero pressoché invariate fino al III sec. d.C.
Il concetto dell'arte imperiale e della sua funzione può essere articolato in tre categorie fondamentali: la ricostruzione dei contesti originari e delle relazioni funzionali, la rappresentazione del potere politico e l'autorappresentazione dei cittadini, l'analisi della costituzione del linguaggio figurativo e dei processi di comunicazione. Una volta che il problema sia stato impostato in questi termini, non ha più senso la tradizionale divisione tra architettura e arti figurative, dal momento che le unità funzionali si costituiscono in spazi figurativi, la cui cornice è fornita dall'architettura.
Ricostruzione di contesti e di unità funzionali. - In ambito pubblico l'interesse verso la ricostruzione dei maggiori programmi figurativi fu stimolata nella ricerca archeologica da problematiche riguardanti l'autorappresentazione politica o la propaganda imperiale. Tramite la combinazione delle fonti letterarie, dell'evidenza topografica e dell'analisi iconografica delle opere edilizie e figurative conservate, si è cercato, p.es. nel caso dei Fori Imperiali a Roma, di ricostruire programmi completi e di comprenderli storicamente nel quadro delle altre autorappresentazioni di ciascun principe.
Piazze. - Naturalmente molto più complesse si presentano la ricostruzione e la comprensione di complessi figurativi che hanno subito una lenta trasformazione. Ma anche qui si possono raggiungere risultati puntuali, come per le statue dei fori di Pompei, Timgad e Ğemila, dove si conservano in situ le basi della maggior parte delle statue, in parte con le loro iscrizioni. Le iscrizioni di Tarragona costituiscono una buona esemplificazione del programma statuario eretto nel foro di un concilium provinciale e di un santuario imperiale. L'erezione di statue nelle piazze pubbliche sottostava al controllo politico da parte del relativo ordo e cioè del consiglio provinciale. I monumenti più sontuosi e i siti più prestigiosi venivano ovviamente riservati alla famiglia imperiale. Soltanto determinati gruppi della cittadinanza potevano avere il privilegio di una statua onoraria. Si creava una evidente gerarchia determinata dalla collocazione e dal tipo di monumento, che rispecchiava le relazioni di potere nell'impero, nella provincia o nella città. Le piazze, per lo più in età imperiale escluse dal traffico stradale e dal commercio e riservate ai rituali religiosi e politici, divennero sempre più unicamente il centro della propaganda statale. Dalla cornice architettonica, dall'insieme delle facciate dei templi, dei portici, degli altari e degli archi di trionfo aveva origine un'immagine globale fastosa, che creava i presupposti ideali per la sistemazione delle opere d'arte, diversa da quella delle terme o di altri spazi pubblici.
Teatri. - Anche nei teatri il quadro è dominato dalle statue dei membri della famiglia imperiale collocate prevalentemente nelle facciate scenografiche della scaenae frons, accanto alle quali si potevano ammirare anche le statue dei notabili della città, soprattutto di donatori, e singole divinità replicanti tipi statuari greci, che spesso esprimevano le speranze riposte nella famiglia imperiale. L'aspetto artistico e dionisiaco del teatro retrocedeva invece di gran lunga in secondo piano.
Nell'età imperiale il teatro venne ancora a essere inteso, nella tradizione greca, come luogo di incontro della popolazione. L'aspetto politico ebbe dunque inequivocabilmente· un posto preminente rispetto alla tematica culturale. Le statue erette tra le colonne delle scaenae frontes a due o a tre piani apparivano a chi frequentava il teatro come elementi fondamentali di una scenografia composta con precise relazioni di contenuto, nella quale era dato un accento particolarmente importante alla simmetria, sottolineando l'asse centrale. Chi frequentava il teatro, in ogni parte dell'impero, si vedeva per ore e ore di fronte alla organizzazione di un'identica visione d'insieme: per ottenere questo effetto grandioso e lussuoso, la costosa decorazione architettonica non aveva un ruolo inferiore a quello delle statue che la ornavano. Lo stesso vale per gli splendidi ninfei eretti di frequente sull'asse visivo di un allineamento stradale, uno dei quali è stato ricostruito quasi completamente a Olimpia.
Terme. - Diversamente dai teatri, nella distribuzione delle statue e nella disposizione degli altri elementi decorativi figurati delle terme, si doveva tener presente un osservatore che si spostava, secondo le esigenze del rituale termale, da un ambiente all'altro e che si tratteneva più a lungo negli ambienti più propriamente termali. La decorazione figurata risultava perciò più concentrata negli ambienti principali. I soggetti qui corrispondevano a quelli che si incontrano nelle ricche dimore: Dioniso, Venere e il suo corteggio erano i personaggi maggiormente raffigurati in veste statuaria. Le terme rappresentavano per il popolo, che qui si doveva sentire circondato dalle divinità e dall'arte, una sorta di tempio del tempo libero. Divinità salutari e dell'acqua decantavano l'effetto terapeutico del bagno, statue nude di Venere e di ninfe richiamavano il piacere dei sensi, gruppi mitologici e statue classiche evocavano la cultura greca e il gusto per l'arte. Statue classiche di atleti mettevano in collegamento le attività sportive con il mondo del ginnasio greco. In questo mondo figurativo incentrato sull'intrattenimento e sul piacere, le statue-ritratto pubbliche degli imperatori e dei donatori assumevano un'importanza minore che nei teatri; la funzione delle opere d'arte era in parte simile a quella che esse svolgevano nelle ville e nelle case private.
Significato delle copie e «citazioni» di capolavori greci nello spazio pubblico. - Da quando Agrippa aveva eletto a programma, nella cornice di un discorso populistico, la sistemazione pubblica di statue e di quadri greci, l'aspetto della «fruizione dell'arte da parte del popolo» aveva assunto un ruolo importante nell'arredo degli edifici pubblici. Ciò è vero innanzitutto per Roma stessa, dove già dalla tarda età repubblicana famosi capolavori greci erano stati collocati nei templi e nei portici o erano stati temporaneamente esposti dagli edili in occasione delle feste di divinità. Se si ammette che in tali circostanze, come in occasione dell'esposizione di bottini di guerra o della «pubblicazione» delle opere d'arte di Nerone nei portici del Tempio della Pace, l'aspetto «arte per il popolo» potrebbe aver stabilito il proprio programma, allora le copie di opere d'arte classica servivano, nell'allestimento di edifici pubblici (analogamente alla loro utilizzazione come statue onorarie), anche alla trasmissione di determinati messaggi.
La particolare «autorità» delle forme classiche nobilitava i relativi messaggi, la cui natura poteva variare fortemente a seconda del contesto. Lo stesso tipo di una statua di Venere classica poteva rappresentare, in un foro, in relazione a una dedica onoraria all'imperatore, l'antenata della famiglia giulio-claudia, nella scaenae frons di un teatro la divinità tutelare della città, nelle terme il simbolo dei piaceri dei sensi. Da questo deriva l'importanza da attribuirsi non solo alla ricostruzione del contesto, ma anche già solo alla conoscenza del luogo di ritrovamento di un'opera d'arte. I tipi figurativi classici, citati nel loro complesso, ma anche soltanto settorialmente, costituivano un insieme di simboli, comprensibile a un livello generale, valido per la totalità degli ideali della società. Ma connotazioni specifiche dipendono spesso solo dal contesto concreto. La recente ricerca ha dimostrato che programmi differenziati erano rari negli edifici pubblici. Innanzitutto bisogna aspettarseli laddove un monumento di carattere politico è stato eretto per un'occasione specifica. Nel caso dei restanti arredi bisogna esaminare unicamente determinati modelli fondamentali, che corrispondono al differente orizzonte di aspettativa di un visitatore del foro, del teatro o delle terme.
L'immaginario nello spazio abitativo. - Come hanno dimostrato studi sulla sistemazione di statue nelle ville romane e sul gusto abitativo nelle case di Pompei, l'universo figurativo greco della villa tardorepubblicana (che a sua volta derivava in gran parte dalla cultura abitativa delle città ellenistiche) fu determinante per l'assetto degli spazi abitativi durante tutta l'età imperiale. Nell'ambito della casa le raffigurazioni dovevano riferirsi alle gioie della vita, poiché si voleva dimenticare la quotidianità, il lavoro, lo stato.
In ogni caso mancavano temi appropriati e quando, a partire dal tardo I sec. d.C., questi si diffusero, p.es. su mosaici e sarcofagi, si rifacevano soprattutto a divertimenti quali i giochi del circo, le lotte di gladiatori o la caccia. Statue, pitture parietali e mosaici dovevano rispecchiare nella casa un mondo più elevato che riguardava arte e cultura, miti greci, Greci illustri, ambienti sontuosi, costosi argenti ellenistici, giardini artistici: pitture e statue hanno qui la funzione di evocare associazioni di ricchezza, lusso e felicità. Lo spazio figurativo della casa si costituisce, ancor più di quello pubblico, grazie all'esuberante apporto di raffigurazioni singole e di elementi figurativi che, p.es. nelle pitture parietali, sono collocati uno accanto all'altro senza alcuna intrinseca correlazione, e dei quali fanno parte anche l'architettura e la decorazione architettonica, con le loro peculiari correlazioni.
Si è potuto dimostrare come si siano precocemente costituiti dei modelli di base per la sistemazione delle sculture nelle ville e nelle case, o per la tematica della pittura parietale, nonché, analogamente, per la loro destinazione a determinati ambienti o parti di edifìci, il cui collegamento ideale con edifici greci legati all'educazione (pinacoteche, biblioteche, ginnasî, stadî) era spesso determinante per la scelta dei temi figurativi. Villa Adriana si differenzia nella sua sistemazione dalle ville di lusso tardorepubblicane essenzialmente per l'ampiezza degli ambienti decorati e per la quantità delle opere d'arte.
Problemi riguardanti la relazione tra decorazione figurativa e funzione degli ambienti appaiono ricchi di prospettive anche per ricerche future; tra questi, p.es., merita attenzione la distinzione tra gli ambienti destinati a ricevere gli ospiti e le parti private della casa. Che gli ambienti destinati alla servitù fossero decorati in maniera semplice o non fossero decorati affatto si spiega da sé. Alla luce di questo impiego funzionale del mondo figurativo della casa e in base alla molteplicità di significati delle immagini che spesso vengono usate allegoricamente e interpretate in senso astratto, la ricostruzione di programmi differenziati, indirizzati a soddisfare le esigenze di un determinato committente, sembra avere poche prospettive. I modelli standardizzati potrebbero essere più istruttivi per la rappresentazione dei valori e delle aspirazioni e anche per quanto di sé presumeva il proprietario della casa.
Poiché arte e cultura greca, in cui la conoscenza mitologica valeva quanto l'interesse per la poesia e per la filosofia o per i grandi uomini del passato, avevano un valore intrinseco, anche senza ulteriori correlazioni semantiche, ne risulta che, nei casi singoli, non esiste alcun obbligo di fornire un'interpretazione. Alla base della scelta di figurazioni mitologiche per le pareti di un ambiente di Pompei può esservi una tematica densa di significati, ma non è indispensabile che essa sia presente dal momento che connotazioni quali «pinacoteca», «mito greco» o «pittura greca», rendevano la decorazione, già in quanto tale, sufficientemente apprezzata.
Questo vale presumibilmente non solo per la trattazione di cicli figurativi, ma anche per singole opere. Nella c.d. scultura ideale, nelle copie e rielaborazioni di capolavori greci, accanto a prodotti in serie di mediocre qualità, si incontrano sempre opere eccellenti, che rivelano chiaramente il conoscitore di arte greca e che debbono essere esaminate con attenzione. Lo stesso si può ipotizzare per la decorazione delle camere sepolcrali, nonché per le urne di marmo e per i rilievi dei sarcofagi. Che le raffigurazioni sulle tombe o nelle tombe debbano avere una relazione con la morte o con l'aldilà è un'idea moderna. Nella decorazione figurata repubblicana e della prima età imperiale, rivolta verso l'esterno, dominava chiaramente l'autorappresentazione sociale, che svolgeva un ruolo importante anche nelle camere sepolcrali riccamente decorate di II sec. d.C., come nella necropoli sotto S. Pietro.
Per il resto la decorazione delle camere sepolcrali riflette le stesse aspettative presenti nelle case dei vivi. Il significato di un sarcofago con rilievo mitologico può anche esaurirsi nel suo valore artistico e culturale. Nella raffigurazione del defunto come filosofo, poeta o Musa viene espresso il legame tra amore per la cultura e rappresentazione. Tuttavia i miti potrebbero rappresentare anche un complesso linguaggio allegorico e simbolico: tutto dipendeva dalle aspettative di committente e osservatore.
Anche l'ambito della casa (e della tomba) rappresentava dunque, considerato in generale, un particolare spazio figurativo variamente suddiviso, al quale veniva destinata la rappresentazione di determinati valori. Per la comprensione del sistema generale del linguaggio figurativo romano è premessa essenziale questo coordinamento delle singole raffigurazioni con i diversi spazî.
Arte dell'imperatore e autorappresentazione del cittadino. - La «rappresentazione» venne elaborata quale ulteriore importante aspetto della funzione sociale delle opere d'arte di età imperiale. L'influenza e le crescenti pretese dei condottieri tardo-repubblicani sono connesse all'erezione di monumenti onorarî sempre più imponenti, come quello di Siila sul Campidoglio, statue-ritratto che infrangevano tutte le regole precedenti, imponenti edifici rappresentativi, fino al Teatro di Pompeo e al Foro di Cesare. Nella prima età imperiale si andò elaborando un repertorio fisso di statue e monumenti onorari con determinate cifre figurative, secondo le quali l'imperatore si faceva raffigurare. È importante, per una corretta interpretazione dei monumenti, fare una distinzione tra quelli commissionati dalla famiglia imperiale stessa e quelli per mezzo dei quali hanno voluto manifestare il loro omaggio all'imperatore il senato, le città, i diversi gruppi sociali o i singoli individui. A parte determinate eccezioni, non esisteva alcuna «propaganda» pilotata dall'alto, confrontabile con le moderne esperienze pubblicitarie. La schiacciante rappresentazione del potere politico nella persona dell'imperatore, della sua famiglia, del suo esercito e dei suoi funzionarî, diffusa dovunque, venne realizzata solo in minima parte per espresso volere dell'imperatore; la maggior parte venne promossa dagli stessi sudditi. In tal modo essi stabilivano un'identificazione con le pretese e i valori rappresentati dall'imperatore e dal suo apparato.
L'interesse verso l'autorappresentazione politica ha determinato importanti risultati in più campi. Si pensi soltanto al programma figurativo dei Fori Imperiali, di singoli edifici di rappresentanza, alle serie monetali, alle colonne e agli archi onorari o anche allo studio dei ritratti imperiali.
Nelle statue-ritratto dell'imperatore e della sua famiglia, testa e corpo, non più collegate in maniera organica come già nelle immagini dei principi ellenistici e degli uomini politici di età repubblicana, trasmettono messaggi separati. Ma contrariamente a quanto avvenuto in precedenza, si andò formando un canone elaborato da un numero ancora limitato di tipi e di schemi che serviva a esprimere qualità e valori politici in forme convenzionali (statue di togati, di loricati, statue equestri, effigies nude, statue in tenuta da caccia). Si affiancano i corpi di divinità, per lo più riprendendo un tipo dell'arte greca, con l'aiuto dei quali soprattutto le dame della famiglia imperiale vengono a essere identificate con determinate persone divine (Concordia, Pietas, Pax, Fortuna, ecc.).
Il ritratto dell'imperatore, che pure è collegato a questi tipi greci, possiede tuttavia delle caratteristiche proprie e non di rado risponde a una ben determinata esigenza, quella dell'autorappresentazione imperiale. L'impronta classicistica del ritratto di Augusto, p.es., dipende da una ben precisa comprensione di sé, come, analogamente, l'aspetto di uomo anziano ma anche energico di Vespasiano, i ritratti aristocratici e distaccati degli Antonini, l'aria poco curata e l'espressione violenta di Caracalla. Gli originali o i modelli di questi ritratti debbono dipendere dal consenso imperiale, mentre le copie debbono essersi diffuse senza l'approvazione statale e poterono essere utilizzate in ugual misura per busti, statue e ritratti monetali. Grazie ai raffinati metodi della critica delle copie si è riusciti a stabilire con certezza i tipi e le successioni cronologiche della maggior parte dei ritratti degli imperatori. Si è anche dimostrato che, di regola, tutti i ritratti di un imperatore dipendono da modelli elaborati nella capitale (anche se le divergenze delle copie possono non essere irrilevanti); questo garantiva, nonostante la diversità della tradizione formale nelle varie provincie e città, l'uniformità dell'immagine dell'imperatore in tutto l'impero.
I c. d. rilievi storici. - Nel riprodurre i tratti fisionomici dell'imperatore, l'effettiva rispondenza alla realtà aveva meno importanza della forma di autorappresentazione da lui desiderata, e lo stesso vale naturalmente anche per i c.d. rilievi storici, collocati su archi di trionfo, su colonne onorarie, altari, templi e altri edifici pubblici. Studi recenti hanno dimostrato che in questi rilievi non è importante tanto la descrizione realistica e veritiera di determinati avvenimenti, quanto le idee guida che sono alla base di ogni azione e le qualità dei protagonisti in rapporto a un preciso canone. Gli avvenimenti reali vengono filtrati attraverso assunti ideologici, in modo tale che in ogni avvenimento concreto riguardante un imperatore, sia in pace sia in guerra, risulti evidente l'esemplarità del suo operato. Le iscrizioni che accompagnano i tipi monetali permettono di intendere le scene corrispondenti sull'Arco di Traiano a Benevento come rappresentazione di concetti guida di tipo politico: osservazione, questa, che G. Rodenwaldt già aveva fatto a proposito dei c.d. sarcofagi di generali. Anche le azioni e gli avvenimenti raffigurati sulle colonne di Traiano e di Marco Aurelio possono essere considerati una successione di atti rituali per mezzo dei quali l'osservatore collegava determinati valori, senza con questo perdere il senso del rapporto con la realtà. L'avvenimento storico non è importante in quanto tale, ma solo se può essere inteso come realizzazione di determinate aspettative di valori. E questo riguarda sia gli usuali concetti cardine dell'ideologia politica, sia particolari capacità o qualità dei protagonisti. S. Settis ha, p.es., dimostrato che le sequenze degli avvenimenti sulla Colonna Traiana si possono direttamente confrontare con le qualità e i comportamenti del condottiero e del suo esercito, quali sono descritti nei trattati militari di un Frontino o di un Onasandro. Tra le azioni effettive dell'imperatore e la loro traduzione in immagini esiste un legame dialettico: campagne militari, comprese le cerimonie di profectio e adventus, così come le elargizioni di denaro o le cacce, assumono il significato di atti rituali che debbono essere compiuti di nuovo da ogni imperatore. Non muta il significato se i nemici cambiano, poiché l'avvenimento storico ha la sola funzione di dimostrare le capacità del singolo imperatore e del suo esercito.
I formularî tipologici fissi del linguaggio figurativo imperiale corrispondono alla stabilità della struttura sociale. La raffigurazione degli avvenimenti assume sempre più, nel corso dell'impero, una forma ideale, e questo finisce con il riguardare anche la rappresentazione dei singoli dettagli. Così già il maestro del c.d. Grande Fregio Traianeo non è mai interessato alla rappresentazione della realtà o al reale equipaggiamento dei nemici, ma, anche nella riproduzione di questi particolari concreti, si attiene a criteri di valutazione preordinati e a regole e concetti ideologicamente precostituiti. Nella storiografia, tali preconcetti si percepiscono chiaramente nel caso del rapporto di Lucio Vero con Frontone che doveva descrivere la campagna dell'imperatore contro i Parti (Verus, Fronto, II, 3, 2). Similmente dovette esistere una stretta collaborazione tra committente e artista almeno durante periodi di importanza fondamentale come l'età augustea, ma mancano quasi del tutto fonti dirette in proposito.
Autorappresentazione del cittadino. - Il linguaggio figurativo pubblico ebbe un'influenza sotto molti punti di vista anche sull'autorappresentazione e sull'autocoscienza dei cittadini. Nell'arte ritrattistica è in particolar modo evidente la dipendenza dell'autorappresentazione, soprattutto nei ceti medî, dai modelli forniti dalla classe dirigente. Questo vale già negli ultimi decennî della repubblica e in età augustea per i rilievi funerarî dei liberti romani, con i loro ritratti a grandezza naturale ridotti per lo più a busti. I rilievi erano murati sulle facciate delle tombe prospicienti la strada e si potevano considerare una sorta di sostituto delle statue onorarie pubbliche. In ogni caso l'immagine esibita, connotata dall'atteggiamento severo e dall'abbigliamento corretto, derivava direttamente da quello della classe dirigente. Per il resto alcune peculiarità iconografiche di questi rilievi si sono potute spiegare quali espressioni delle esigenze di rappresentazione di classi specifiche: p.es. il particolare valore della toga come simbolo dei liberti, le mani unite a indicare il matrimonio legittimo o la raffigurazione dei bambini nati liberi.
A partire dall'età augustea nell'arte del ritratto si giunge all'identificazione con i valori diffusi dai ritratti della famiglia imperiale. Il singolare fenomeno dell'assimilazione dell'immagine ritrattistica fa sì che vengano prodotti «volti d'epoca», in sintonia con l'iconografia imperiale. L'imperatore e la sua famiglia rappresentavano nella società gerarchicamente strutturata di età imperiale il sommarsi di tutte le qualità positive, e rappresentavano dunque un modello irrinunciabile. Questo vale non soltanto per il portamento, la foggia della pettinatura o il vestito, ma anche per l'assunzione di cifre figurative impiegate nell'arte statale, a indicare, p.es., le virtù, maschili o femminili. Anche l'immagine dell'imperatore che trionfa sui nemici o uccide belve feroci può essere utilizzata nell'arte funeraria in modo completamente astratto quale simbolo della virtus di un uomo, o anche di un bambino.
Il carattere altamente simbolico e astratto del linguaggio figurativo di età imperiale rendeva possibile anche un fenomeno come la c.d. apoteosi privata. Anche qui era la famiglia imperiale, che a sua volta poteva seguire prototipi greci, a far da modello. Se un'anziana dama era rappresentata con un corpo nudo, di Venere di tipo classico, come Spes in stile arcaistico o come Fortuna, Cerere o Musa, o se un medico era raffigurato come Esculapio, o un mercante come Mercurio, i tipi statuari delle corrispondenti divinità simboleggiavano determinate caratteristiche e qualità, celebrate alla stregua di panegirici in lode dei defunti così eternati. Da ciò discendono importanti conseguenze per il modo in cui l'arte classica poteva essere impiegata.
I ritratti servivano direttamente all'autorappresentazione privata, ma bisogna distinguere, sia nella casa, sia nella tomba, tra l'effetto verso l'esterno e la funzione di cornice nella vita domestica. Naturalmente le facciate delle case e i prospetti delle ville testimoniavano lo stato del proprietario, così come per le tombe. Nell'imponenza e nella ricchezza di forme dei monumenti funerari tardorepubblicani si rispecchiano spirito di competizione e apertura da parte di quella società; nell'isolamento del recinto funerario e nella diffusa standardizzazione delle facciate funerarie della prima età imperiale si rappresenta, invece, la stabilizzazione delle strutture sociali e la regolarizzazione delle esigenze.
Roma e le provincie. - Già nel corso del I sec. a.C. Roma era diventata, grazie all'afflusso di artisti greci, il centro artistico più importante nel bacino del Mediterraneo. Con l'istituzione dell'impero, ci si orientò in tutto il territorio, nei campi più significativi dell'arte figurativa, verso i modelli elaborati dalle officine urbane. Data la struttura gerarchica della società imperiale, non sarebbe stato pensabile altrimenti; giacché i modelli dell'autorappresentazione imperiale erano a Roma, qui furono fissate le direttrici del culto tributato all'imperatore, qui risiedevano i più influenti e potenti committenti, nonché i migliori artisti e architetti. Ma anche per gli standards della publica magnificentia e per il lusso abitativo, nelle provincie si adottarono abbondantemente i modelli urbani. L'autorità del centro dell'impero, anche nel linguaggio figurativo «politico», non si fondava su regole imposte dal governo, ma sembra essersi formata attraverso un processo indipendente, in base a interazioni sociali.
Come conseguenza vi fu in molti campi una estesa standardizzazione del linguaggio figurativo, e in parte probabilmente anche del contesto della vita quotidiana. Le statue onorarie classicistiche femminili, che con il loro abbigliamento stereotipato imitavano prototipi della scultura greca (come la Piccola e la Grande Ercolanese), fanno supporre che anche l'abbigliamento rappresentativo seguisse questi modelli; l'uniformità delle acconciature dei capelli si può stabilire in base ai ritratti. Anche nell'autorappresentazione imperiale si possono individuare solo occasionalmente peculiarità delle officine provinciali, così come per altre classi di opere d'arte quali il mosaico o la pittura parietale, nonostante particolari forme espressive di singoli territori. Questa standardizzazione rappresentava però anche un aspetto positivo del linguaggio figurativo di età imperiale, in quanto, in uno stato costituito da più popolazioni, ne diveniva il sistema di comunicazione. In qualsiasi angolo dell'impero potevano essere comprese le forme facili e i semplici simboli; essi costituivano il patrimonio culturale comune dei popoli, e come tali rappresentavano un elemento importante della loro identità di abitanti dell'impero romano. Nei territori della Germania e dei Balcani come in alcune regioni remote dell'Asia Minore e della Siria, l'«ellenizzazione» nella forma di cultura cittadina avvenne solo nel corso dell'età imperiale e significò contemporaneamente «romanizzazione». Un elemento importante non solo per calcolare il grado di sviluppo economico, ma anche per valutare il processo di ellenizzazione, accanto all'edilizia cittadina è la rappresentazione, sotto forma di ritratti, della borghesia. In alcune regioni ha inizio solo nel corso del II o già nel III sec. d.C. e si deve interpretare come l'identificazione delle relative classi dirigenti locali con i valori della cultura imperiale, e come simbolo della coscienza di tale appartenenza.
Solo nella cornice del linguaggio figurativo standardizzato possono, nell'ambito delle varie regioni dell'impero, essere enucleate le varie peculiarità, le tradizioni culturali locali, le diverse condizioni sociali, gli intendimenti specifici. Fenomeni come, p.es., il collegamento tipologico dei ritratti funerari di Palmira con i ritratti «realistici» delle mummie attendono ancora una spiegazione.
Finora le singole provincie sono state studiate troppo come unità concluse e troppo poco in relazione con il centro rappresentato da Roma. E sussiste ancora la tendenza a valutare le particolarità dal punto di vista della qualità artigianale, sulla base delle opere d'arte prodotte nei centri artistici. Così non di rado vengono sopravvalutate le sculture della Grecia e delle città greche e dell'Asia Minore: nell'ambito dell'arte ritrattistica, accade tuttavia che proprio nelle città greche l'assimilazione ai modelli di Roma risulti particolarmente evidente.
Linguaggio figurativo e mentalità. - In passato gli studi si sono interessati prevalentemente all'«evoluzione stilistica» e si è così fatta una distinzione tra l'ambito più statico dell'arte dei copisti orientata verso i modelli greci e i generi più inclini alle innovazioni, specificamente romani, come il c.d. rilievo storico e il ritratto. Attualmente invece si cerca di considerare unitariamente l'arte di età imperiale, alla stregua di un sistema globale di comunicazione. Studiando la funzione dei singoli generi nel contesto concreto degli spazi figurativi, sorgono problemi riguardanti la composizione del linguaggio figurativo come tale, il suo «vocabolario» e la sua «sintassi», l'estensione e i limiti delle sue potenzialità di significato (T. Hölscher).
Il fine di questo genere di ricerca consiste, oltre che nell'interesse teorico dei problemi della comunicazione, nella ricostruzione di particolarità della condizione spirituale e della mentalità della società di età imperiale. Formazione e utilizzazione del linguaggio figurativo lasciano infatti indubbiamente spazio a considerazioni sulle possibilità di pensiero e di rappresentazione. Questo linguaggio figurativo non è dunque il risultato di una concezione intellettuale o artistica, ma il prodotto di processi anonimi, nei quali si ripercuotono le aspettative e i valori della società.
È da premettere che i tipi figurativi e i singoli elementi iconografici, così come i metodi di composizione e di rappresentazione, di regola dipendono da modelli greci. Non è stata dimostrata la differenza tra generi dell'a. r. più classicistici e altri più tipicamente romani. Tutto il linguaggio figurativo dell'impero romano è, nella sua struttura fondamentale, classicistico. Determinanti in questo senso furono, da una parte, le conseguenze della genesi storica, ovvero della situazione di acculturazione tipica del periodo tardo-repubblicano, dall'altra il ruolo di modello attribuito da Augusto all'arte greca classica e arcaica per la realizzazione della sua edilizia rappresentativa a Roma. Alla base di questo atteggiamento classicistico era l'idea che il mondo greco avesse risolto i problemi formali in modo talmente perfetto che non era più possibile creare opere di uguale valore se non imitando i suoi esemplari migliori o combinando gli elementi più belli. La forma artistica greca aveva la funzione di marchio di qualità, che attribuiva valore e dignità a ciò che per mezzo di essa veniva rappresentato. Per la concreta scelta formale, all'artista si offriva come repertorio tutta l'arte greca dal periodo arcaico fino al tardo ellenismo, in quanto tutto ciò che era greco veniva considerato «classico»; in realtà la scelta ubbidiva a delle regole, in parte già elaborate dalla teoria retorica greca del II sec. a.C. Determinate forme stilistiche erano allora state caricate di giudizi di valutazione di portata estetica, e consigliate per la rappresentazione di determinati soggetti: p.es. lo stile di Fidia per le immagini di divinità, di Policleto per quelle di eroi, di Lisippo per la raffigurazione di uomini. Relativamente a questi modelli, nella pratica si venivano a creare consuetudini di scelta. Così scene di rappresentazione politica venivano per lo più redatte in forme artistiche grecoclassiche, mentre le scene di battaglia si avvalevano del patetico linguaggio figurativo dell'ellenismo. La scelta dei temi riguarda nella stessa misura i tipi figurativi, il modo di comporre e la tendenza stilistica. Poiché con ogni scelta stilistica era collegata, almeno in teoria, anche una valutazione - come autorità o dignità inviolabile con le scene di rappresentazione imperiale nei tipi figurativi e nella veste formale dell'arte classica, ardore ed energia irresistibile con le scene di battaglia in stile ellenistico - non solo ogni singola immagine, non importa di quale genere, ma anche i singoli elementi figurativi e quindi il «modo di esprimersi» (formulazione stilistica della composizione ed esecuzione), rappresentavano delle dichiarazioni di valore.
Il sottinteso sistema di valori era semplice e relativamente concluso. Esso rappresentava un'ideologia interiorizzata da ampie fasce della società, che si era formata con la creazione del principato e la proclamazione dell'avvento dell'aurea aetas per opera di Augusto. Una gran parte della società di età imperiale era evidentemente convinta di vivere in un mondo ben governato e di godere di una cultura che le veniva offerta come una scelta del meglio tra tutto quello che i Greci avevano creato.
Queste idee erano da un lato collegate al mondo figurativo e al rituale del mito imperiale, a garanzia dell'ordine, della sicurezza e della magnificenza del potere, dall'altro al paradigma della cultura greca, che era presente nella letteratura, nell'arte, nelle abitudini di vita, praticamente ovunque, e pervadeva la maggior parte degli avvenimenti e delle esperienze quotidiane. Quanto accadeva nel linguaggio figurativo dell'arte è paragonabile a quello che parallelamente si verificava nelle tematiche della letteratura: l'attualità del presente e le esperienze di vita del singolo venivano sperimentate come riflesso della cultura e della mitologia greca e in essa inquadrate.
La concretezza del mondo reale non poteva più essere l'oggetto immediato dell'osservazione, della ricerca e delle reciproche relazioni. L'arte la rifletteva con le sue immagini simboliche e astratte, nel quadro del sistema di valori prefissato. Ma questo significa che non erano più possibili, e invero neppure più auspicabili, nuove particolari sperimentazioni, quali p.es. sono state, in modo addirittura eclatante, rappresentate nell'arte realistica del primo ellenismo. Delle esperienze negative di miseria umana, di dolore, sofferenza e morte le immagini parlavano soltanto in ben determinate situazioni, in cui però il loro significato era già anticipato dallo spazio figurativo e dal contesto. Lo stesso valeva per le immagini che rappresentavano gioia di vivere e piacere. Anche in tal caso i tipi figurativi stabiliti e i modi di rappresentazione, grazie al loro simbolismo e valore prefissato, offrivano orientamenti che sottoponevano anche questo campo alle regole della società. Le intemperanze dionisiache, p.es., venivano illustrate soltanto in relazione al semiumano corteggio del dio, mentre l'ebbrezza di Dioniso veniva nobilitata con formule figurative della pace beata, o attraverso lo stile arcaistico.
Le immagini suggerivano dunque un mondo senza tempo, con valori religiosi, politici e culturali prefissati dall'antichità e immutabili. Il linguaggio figurativo, nel suo intreccio inglobante ogni aspetto della vita, rappresentava pertanto un essenziale fattore di stabilità del sistema sociale. Ogni tipo di comunicazione visiva implicava il rafforzamento dell'ordine costituito.
Anche considerando il fenomeno dal punto di vista del destinatario delle immagini, si ha l'impressione di un ordine estremamente statico. Già gli spazi figurativi collegati a una funzione creavano determinati orizzonti di aspettativa per la comprensione dei messaggi. Giacché il linguaggio figurativo evidenziava in forme molteplici un codice di valori semplice che in ultima analisi consisteva in pochi elementi essenziali, immagini e messaggi si ripetevano sempre, nonostante l'abbondanza di variazioni. Caratteristico dell'a. r. di età imperiale è dunque, accanto alla stabilità, un alto grado di ridondanza. L'osservatore doveva pertanto di regola recepire il linguaggio figurativo «di sfuggita» e in maniera selettiva. L'abbondanza di immagini nello spazio figurativo pubblico o nella casa riccamente arredata non dipendeva da una considerazione sistematica di programmi conclusi, ma suggeriva una forma di «lettura» discontinua e sporadica.
Di recente la complessa successione figurativa della Colonna Traiana può essere additata a esempio di come si ripetano determinati schemi fondamentali e messaggi di valori con essi collegati, di come il lungo snodarsi di immagini venga suddiviso in sequenze di ordine prefissato. La ripetizione di determinati slogan è così frequente che si potrebbe giungere alla conclusione che il maestro creatore immaginasse degli osservatori, che non soltanto leggessero in sequenza lineare, ma spostassero continuamente lo sguardo in alto e in basso. La vista della quantità di statue sistemate sulle scene teatrali a più piani o dei grandiosi pannelli figurati sugli archi onorarî doveva provocare un identico effetto.
Questa massiccia offerta di immagini doveva presupporre osservatori che avevano già tanta familiarità con i loro messaggi - almeno nelle linee fondamentali e nel «vocabolario» più importante delle immagini - da pervenire quasi automaticamente dai particolari all'insieme. Anche la comunicazione per immagini si esplicò pertanto con rituali fissi, in cui non ci si dovevano aspettare variazioni sostanziali.
Le opere d'arte di qualità più elevata, create accanto alla produzione di massa soltanto a Roma e in pochi altri centri artistici in tutta l'età imperiale, dimostrano, però, che accanto all'osservatore superficiale, durante tutto questo lungo periodo vi erano anche osservatori «attenti», in grado di percepire le finezze di un'opera complessa sia nello stile che nell'iconografia. Questo osservatore colto si inserisce nella tradizione del conoscitore d'arte tardo-ellenistico o tardo-repubblicano, quale p.es. si può intuire nella polemica ciceroniana contro la figura di Verre. La sua cultura si basava sull'amore per l'arte delle corti ellenistiche e sulle discussioni teoriche delle scuole di retorica ellenistiche. Si deve supporre che anche in questo campo, nel corso dell'età imperiale, competenze individuali abbiano lasciato il posto a una topica culturale standardizzata.
Le problematiche riguardanti i collegamenti tra linguaggio figurativo e possibili riflessi sulla vita e sulla mentalità sono ancora agli inizî. Sarebbe interessante determinare in che misura comportamenti reali nella vita quotidiana, p.es. nella scelta di un abbigliamento greco classicistico o anche nel costume borghese di rappresentarsi sotto l'aspetto di uomo nutrito di filosofia, possano essere stati determinati da valori diffusi dal linguaggio figurativo. In ogni caso, anche sotto questo aspetto si vanno lentamente stemperando le precedenti tendenze degli studi incentrate sull'esame delle sole tradizioni iconografiche e artistiche, all'interno di ben determinate categorie tipologiche.
Le strutture fondamentali dell'universo figurativo dell’imperium romanum restano invariate dall'inizio del principato fino al III sec. d.C. inoltrato. Nondimeno, all'interno di questa compagine stabile si possono individuare alcuni processi di trasformazione più o meno dinamici. Nella società gerarchicamente strutturata i mutamenti nella considerazione di sé e nel gusto sono di regola condizionati dalla famiglia imperiale e dalla corte. Anche se una nuova foggia di abito o di acconciatura in un primo momento può venire adottata da un determinato gruppo sociale, p.es. da filosofi o da militari, essa può raggiungere un valore universale e propagarsi per tutto l'impero soltanto se la famiglia imperiale si identifica con essa, determinandone così la diffusione. Finora questo fenomeno si è constatato nella maniera più chiara nell'arte del ritratto. Acconciature, ma anche atteggiamenti e considerazione che di sé aveva la borghesia vennero improntati ai modelli della famiglia imperiale.
Alla base di queste trasformazioni del gusto possono esservi motivi diversi. Potrebbe trattarsi di semplici fenomeni esteriori di moda (come p.es. il cambiar pettinatura di un'imperatrice o di una principessa), ma potrebbero anche rispecchiare dei fondamentali cambiamenti politici o culturali, oppure dei precisi programmi. Alle più importanti componenti delle trasformazioni del linguaggio figurativo appartengono nuove forme di rappresentazione imperiale, che vengono adottate anche nell'autorappresentazione privata e determinano per un certo tempo nuove forme di autoconsiderazione e un insieme di valori - si pensi ai numerosi elementi figurativi dell'arte ufficiale augustea sulle urne o sugli altari funerarî, ma anche alle pitture parietali e al mobilio degli ambienti abitativi del I sec. d.C. Certamente, di regola è difficile determinare che cosa significhino in un ambito privato quelli che in origine erano dei simboli politici e in che modo il linguaggio simbolico astratto si sia adattato a un codice di valori borghese.
Un processo continuativo di trasformazione si osserva nell'autorappresentazione dell'imperatore, in cui l'aspetto privato del princeps inter pares sempre più cede il passo a favore delle qualità militari. Questa «militarizzazione» del linguaggio figurativo imperiale ha degli effetti sui rilievi dei sarcofagi e sull'autorappresentazione privata. Spesso nuovi, spettacolari monumenti dell'arte imperiale ridanno vita all'iconografia di ambito privato, senza che sia possibile ricostruirne l'effettivo collegamento. Anche la nascita di nuove forme artistiche, come nella c.d. svolta stilistica di età antonina, non fu il risultato di una trasformazione lenta, ma si produsse quale reazione a un nuovo monumento pubblico particolarmente significativo, in questo caso probabilmente la Colonna di Marco Aurelio a Roma. Non solo nuove forme di autorappresentazione, ma anche nuove sperimentazioni caratteristiche di determinati periodi devono essere state realizzate da una piccola cerchia di artisti operanti a Roma.
A partire dal tardo II sec. d.C. i processi di trasformazione guadagnano in dinamica, senza che tuttavia in un primo tempo vengano indebolite le strutture del linguaggio figurativo. Alla lunga, però, la cultura classica perde la sua forza pregnante di modello, e il passaggio a nuove forme di potere fa sì che l'imperatore, elevato in posizione ieratica, non possa più fungere da modello di riferimento per tutta la società. È questo fatto, dunque, a determinare la creazione delle strutture eterogenee dell'arte tardoantica, ma le cause di questa destabilizzazione in larga misura non sono state ancora messe in luce.
Da questa trasformazione sostanziale e formale, di recente collegata con i mutamenti dell'autorappresentazione dell'imperatore e degli ideali della società, si devono distinguere i cambiamenti a livello dell'artigianato, le innovazioni e i «sintomi di stanchezza» di determinati modi di produzione e di tradizioni di bottega.
Nel campo dell'arte ritrattistica il cambiamento di stile, a livello dell'esecuzione materiale - il trattamento della capigliatura e dell'incarnato, o l'impiego di certe caratteristiche per il dettaglio degli occhi, delle orecchie o delle sopracciglia - è chiaramente in rapporto diretto con il mutamento paradigmatico del ritratto imperiale. Un cambiamento nell'autorappresentazione imperiale - p.es. sotto Nerone e Vespasiano, quando il modello classicistico di rappresentazione di età augustea fu sostituito da forme più «ellenistiche» e «realistiche» - richiedeva di regola una trasformazione di tutto il complesso di forme, da quelle dei singoli elementi fino al dettaglio della resa di un ricciolo. Le officine che lavoravano per la rappresentazione imperiale fornivano i nuovi modelli, presto diffusi rapidamente per tutto l'impero attraverso vie finora non del tutto identificabili, determinando anche un cambiamento di stile nella produzione artigianale. È a questo rinnovamento dei rispettivi modi di produzione artigianale che ci si deve di regola rivolgere per stabilire l'effettiva successione cronologica dei monumenti. Risulta sempre più evidente che particolarità dell'esecuzione artigianale, derivate dai nuovi modelli dell'arte imperiale, in tempi più o meno lunghi si usurano: fatto che si manifesta di frequente in irrigidimenti formali e in manierismi. Soprattutto in tempi in cui dalla famiglia imperiale venivano offerti nuovi modelli in successioni veloci, come nel periodo tra Domiziano e Adriano, si arriva a una giustapposizione cronologica, non solo dei modelli, ma anche dei procedimenti di realizzazione artigianale.
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(P. Zanker)
DALLA TETRARCHIA ALLA FINE DELL'IMPERO D'OCCIDENTE. - L'arte tardoantica non è un campo di ricerca nettamente definito. La pluralità delle discipline che il suo studio comporta non rispecchia soltanto l'ampio spettro delle problematiche che essa abbraccia, ma anche la varietà delle definizioni di cui la materia stessa è stata oggetto, anche riguardo ai suoi limiti cronologici (p.es. Bianchi Bandinelli, 1970: fine II-fine IV sec.; Kitzinger, 1977: III-VII sec.).
È generalmente regredita la tendenza a considerare e interpretare globalmente l'arte tardoantica, grazie anche al fatto che in singoli campi le conoscenze sono notevolmente aumentate; è ora possibile delineare in un quadro fortemente eterogeneo un'epoca multiforme che sfugge a una definizione superficiale. Le grandi esposizioni (New York, 1977; Francoforte, 1983) hanno in parte assunto il ruolo che nei primi decenni di questo secolo era proprio delle pubblicazioni monografiche; nei cataloghi delle mostre si trovano spesso dettagliate analisi su questioni particolari e trattazioni di interesse generale e qui, come in molte raccolte di saggi, si manifesta una propensione verso il lavoro di équipe, tendente a superare la divisione fra la specializzazione individuale e un interesse di carattere generale nei confronti della ricerca.
H. P. L'Orange ha cercato di stabilire una relazione fra la struttura formale di oggetti d'arte tardoantichi e l'organizzazione dello stato e della società. I mutamenti fondamentali nei diversi campi ai quali è rivolta questa analisi vanno ricercati nell'epoca tetrarchica e costantiniana.
R. Bianchi Bandinelli considera la storia dell'arte tardoantica essenzialmente come la fine della forma classica e della sua contrapposizione con i mezzi espressivi dell'«arte plebea» che a essa si erano sovrapposti. Secondo lo studioso, tuttavia, il fenomeno è successivo alle rivolte sociali del III sec., e non comportò una semplice sostituzione dell'«arte plebea» alla corrente stilistica «classicistica»; al contrario, esso è solo parzialmente documentabile. La persistenza del classicismo si può spiegare in base a tendenze restauratrici nell'ambito dello stato e della società, o nell'atteggiamento di emulazione da parte delle nuove classi nei confronti della vecchia aristocrazia. Tuttavia il futuro appartiene all'«arte plebea», le cui forme annunciano l'arte medievale.
E. Kitzinger opera una distinzione tra movimenti stilistici «diretti dall'interno» (innerdirected) e «diretti dall'esterno» (outerdirected), cioè tra sviluppi determinati da impulsi di origine non artistica, e quindi in molti casi preordinati, e sviluppi in cui ciò non avviene. Un ruolo importante svolge anche quella componente che in molti campi della storia dell'arte viene da tempo definita con il termine «modi». Tale espressione indica le diverse maniere stilistiche adottate dagli artisti in rapporto a un dato tema o a una certa funzione. Così, oltre agli aspetti determinanti del linguaggio formale, quali lo stile di un'epoca o di una regione, la tradizione artigianale, la questione dei modelli, ecc., si postula un altro elemento che tiene conto soprattutto del rapporto funzionale di un'opera d'arte e quindi anche del ruolo del destinatario.
Basandosi sui principî della teoria della comunicazione, L. Schneider intende la figurazione singola come una componente interna al sistema del linguaggio figurativo tardoantico. Ricostruire questo sistema significa recuperare il contesto associativo dell'epoca, liberare l'opera singola dal suo isolamento e interpretarla come parte di un processo interattivo, nel quale anche al fruitore spetta un ruolo determinante.
In tal modo l'analisi della forma e del contenuto delle immagini è notevolmente avvantaggiata; tuttavia per comprendere un'opera d'arte quale testimonianza di un contesto storico, il metodo necessita di essere integrato dall'indagine diacronica.
Negli ultimi venticinque anni sono stati compiuti, sebbene non in maniera uniforme, molti progressi nel campo dello studio e della presentazione del materiale. Corpora, cataloghi di musei e di mostre, convegni e singoli studi sono finalizzati al rilevamento e alla presentazione di diverse categorie di monumenti, alcune delle quali sono divenute accessibili alla ricerca soltanto grazie a tali pubblicazioni (p.es. la terra sigillata tardoromana o le decorazioni metalliche di casse e mobili). Spesso accade che monumenti già noti divengano comprensibili, in modo nuovo, grazie agli interventi di restauro e alle relative pubblicazioni (p.es. il soffitto dipinto dell'aula del Palazzo di Treviri o la cupola a mosaico del Mausoleo di Centcelles, presso Tarragona). Gli scavi hanno non soltanto riportato alla luce oggetti d'arte di grande pregio e di importanza storica (p.es. mosaici dell'Africa settentrionale, della Spagna o del Vicino Oriente; ritratti di Efeso o di Afrodisiade), ma hanno anche contribuito al progresso delle conoscenze nel campo dell'architettura, dell'urbanistica, dell'arredo di epoca tardoantica (p.es. Apamea, Efeso, Nea Paphos, Stobi). La crescente accuratezza dei metodi di ricerca e di scavo porta a una maggiore considerazione dei reperti tardoantichi e medievali, anche in scavi finalizzati alla scoperta di strati più antichi.
In contrasto con la tendenza allo studio monografico, caratteristico dell'epoca precedente, negli ultimi venticinque anni la ricerca ha rivolto particolare interesse a questioni concernenti i rapporti contestuali. Quindi, stile e iconografia sono ora di frequente considerati non più come due campi separati, ma come parti di un insieme che è soggetto a determinate condizioni storiche. In molti casi, la rinuncia all'analisi del singolo oggetto (che come istanza di metodo non è nuova) non solo ha decisamente favorito la comprensione del singolo monumento, ma, viceversa, è stata usata come punto di partenza per l'interpretazione di un insieme di rapporti storici o storico- culturali. Così, p.es, nella discussione concernente il proprietario della Villa di Piazza Armerina, basata sull'esame dei confronti, si è passati dai tentativi di spiegare il monumento in quanto legato a determinate personalità o a singoli imperatori, al concetto «tipologico» che considera una tale costruzione come caratteristica per una parte della ricca aristocrazia senatoriale romana.
Un caso analogo è, p.es., fornito dal tesoro di Kaiseraugst. Si tratta del tipico corredo, forse in parte composto da doni dell'imperatore, di un funzionario di alto rango probabilmente della cerchia di Magnenzio, come risulta dall'analisi dei reperti e dal contesto di rinvenimento.
Negli ultimi anni l'opinione tradizionale sulla rigidità della struttura statale tardoantica si è modificata. Essa risulta invece caratterizzata da una sorprendente permeabilità verticale soprattutto nell'apparato militare e amministrativo, a dispetto di tutte le tendenze di burocratizzazione e fossilizzazione gerarchica dell'amministrazione. Gli esempî estremi sono forniti dai Germani che vengono a occupare le più alte cariche pubbliche, ma anche la genealogia delle celebri famiglie «antiche» dell'alta aristocrazia senatoriale romana del tardo IV e del V sec. in genere non si spinge al di là del III secolo. Così come la nobiltà, che ha la pretesa di far risalire le proprie origini agli inizî della storia romana, discende in realtà dalla tarda epoca imperiale, i tentativi da parte dell'ambiente conservatore di restaurare la presunta prassi religiosa e la morale della repubblica e della prima età imperiale, de facto prendono come punto di riferimento i culti, in genere orientali, del tardo paganesimo: il fulcro della politica religiosa di Giuliano è la venerazione del dio Sole. Fra gli ultimi culti pagani della fine del IV sec. a Roma, il più importante era quello di Cibele. Neanche il potente movimento del neoplatonismo sviluppò in modo coerente il patrimonio spirituale platonico; esso piuttosto cercò di realizzare una sintesi ideologica di diversi concetti filosofici e religiosi sulla base di ideali sincretistici molto diffusi. D'altro canto gli sforzi di Diocleziano di ridar vita al culto delle antiche divinità romane, in special modo a quello di Giove, attraverso l'elaborazione di una sistematica teologia del potere, a lungo andare non furono coronati dal successo. Ancora sotto Aureliano, il Sol Invictus rappresentava una sorta di divinità suprema dell'impero; Costantino lo nominò suo comes prima di porsi sotto la speciale protezione del Dio cristiano. Entrambe le religioni soddisfacevano le forti esigenze di salvazione nutrite dai contemporanei più degli ormai superati culti degli dei olimpici.
È alle classi elevate che appartengono i committenti e i destinatari della maggior parte dei manufatti artistici risalenti al IV e al V secolo. Per molti di questi personaggi, tuttavia, l'elevata posizione sociale e il modo di vita che ne consegue sono ancora una novità e ciò si riflette anche nel rapporto con i costosi oggetti d'arte. A ogni modo, l'atmosfera spirituale imperante è molto diversa da quella in cui viveva l'antica élite, prima delle trasformazioni apportate dalla crisi del III secolo. Di questo si deve tener conto quando si voglia considerare criticamente la situazione della ricettività dell'arte tardoantica, che spesso, a prima vista, rivela una sorprendente continuità tematica.
La situazione economica del IV sec. è in genere considerata favorevole. Essa è caratterizzata dalla crescente importanza del colonato per le strutture sociali ed economiche in campo agricolo e dalla persistenza del lavoro servile. Il problema sembra risiedere nella minore efficacia dei tentativi dello stato di sfruttare le risorse. I metodi adoperati a tale scopo portarono all'impoverimento e alla demotivazione dell'aristocrazia municipale e all'istituzione del patrocinio. Mentre la ricerca archeologica ha fornito numerose testimonianze di ricchezza privata (lussuose ville, riccamente arredate, messe in luce in quasi tutte le zone dell'impero), la quantità di edifici pubblici cala drasticamente. Tuttavia bisogna tener conto della crescente importanza rappresentata dalla costruzione di chiese, atto che già all'epoca di Costantino assume un importante ruolo politico. In tutto l'impero gli oggetti d'arte vennero prodotti sempre più esclusivamente su commissione ecclesiastica e (in misura inferiore) statale. L'arte privata si limita in maniera crescente all'artigianato e all'arredamento (mosaici pavimentali). Scompare quasi del tutto la scultura, precedentemente al servizio dell'autorappresentazione privata come ritrattistica, plastica ideale e produzione funeraria. In tutto questo, un ruolo determinante va sicuramente attribuito a motivi religiosi e ideologici, così come sono esposti in special modo (ma non esclusivamente) nei dogmi cristiani, alle trasformazioni sociali del III sec., che causarono la scomparsa di gran parte del vecchio ceto dei destinatari della produzione artistica, ovvero all'interruzione delle tradizioni artistiche e artigianali che non sempre furono recepite senza aver subito dei mutamenti sostanziali.
Urbanistica e architettura. - Con la fine del ruolo di Roma come sede fissa dell'imperatore, profilatasi già nel III sec., nelle nuove residenze dell'epoca tetrarchica sorgono vaste costruzioni, spesso solo residenze temporanee, che occupano le posizioni più favorevoli da un punto di vista militare e geografico (Treviri, Aquileia, Sirmium, Salonicco, Nicomedia, ecc.). Più tardi questo fenomeno interesserà particolarmente la capitale, Costantinopoli (inaugurata nel 330), e le residenze della corte romana d'Occidente (Milano, Ravenna). La documentazione sull'aspetto delle nuove capitali non è, però, uniforme. Sembra che alcune soluzioni urbanistiche riprese da Roma siano state comuni alla maggior parte delle località, p.es. l'associazione del palazzo (spesso con mausoleo imperiale) al circo o all'ippodromo, in quanto luogo della comunicazione quasi istituzionalizzata fra il popolo e i vertici del potere politico-militare.
La più significativa esemplificazione dell'urbanistica dell'epoca è offerta da Costantinopoli, la cui superficie passa dai 6 km2 dell'epoca costantiniana ai 14 km2 degli inizi del V secolo. Gli indispensabili interventi infrastrutturali ebbero come esito creazioni monumentali, in special modo nell'ambito dell'approvvigionamento idrico (acquedotti, cisterne). Così, nell'organizzazione amministrativa come nell'architettura, la nuova capitale è costruita secondo il modello di Roma. Si va dall'emulazione di modelli generali, come, p.es., i diversi fora oppure il complesso palazzo/ippodromo, fino all'imitazione di specifici gruppi di monumenti (colonne istoriate di Teodosio e di Arcadio) e all'assimilazione dell'ippodromo al Circo Massimo romano mediante l'erezione al suo interno di due obelischi (Obelisco di Teodosio, «Obelisco murato»). Per ovviare alla mancanza di significative opere d'arte figurativa, Costantino ne fece portare a Costantinopoli da diverse città dell'impero.
Con Diocleziano e Costantino, Roma attraversa l'ultimo periodo di fioritura in campo architettonico, fatta eccezione per gli edifici di culto. Vanno menzionati i numerosi interventi di restauro operati in seguito all'incendio del 283, il rinnovamento strutturale del Foro Romano, la costruzione della Basilica Nova sotto Massenzio e Costantino, gli edifici di Massenzio sulla Via Appia (la villa, il circo, il mausoleo) e diversi importanti impianti termali (terme di Diocleziano, di Costantino, di Elena). All'epoca di Costantino la costruzione delle chiese diviene uno dei compiti principali dell'architettura, che vede spesso impegnato l'imperatore in persona (p.es. nella Basilica Lateranense). Se non si tratta di chiese costruite ex novo, i nuovi edifici di culto si sviluppano da domus ecclesiae o tituli di epoca precostantiniana (p.es. S. Pudenziana), o sorgono sulle tombe dei martiri (p.es. S. Pietro).
In altre metropoli dell'impero, quali Alessandria, Antiochia ό Cartagine, si vive una fase di prosperità e vengono costruiti soprattutto nuovi edifici pubblici, fino a quando, analogamente a quanto accade a Roma saccheggiata nel 410 dai Visigoti e nel 455 dai Vandali, il verificarsi di diverse catastrofi non darà inizio alla decadenza. Nel 540 Antiochia viene conquistata dai Sasanidi, nel 439 Cartagine cade sotto il dominio dei Vandali e nel 533 sotto quello dei Bizantini.
A partire dal III sec., la crescente insicurezza militare fa sorgere l'esigenza di strutture difensive. Le città, che dalla media età imperiale in poi in gran parte non erano fortificate, si vedono progressivamente cingere di mura, e da ciò il loro aspetto sarà modificato. L'esempio più noto, sia per la tarda antichità, sia per l'epoca moderna, è rappresentato dalle mura di terraferma di Costantinopoli, costruite agli inizi del V sec. sotto Teodosio II.
Le chiese paleocristiane rispondevano perlopiù a due tipi principali: la basilica e la chiesa a pianta centrale. Ambedue si erano sviluppati dall'architettura profana romana, l'uno dalla basilica giudiziaria e commerciale l'altro dagli edifici termali. Il classico tempio greco-romano, invece, che aveva al suo interno l'immagine di culto, mentre l'altare era di regola posto all'esterno dell'edificio, così come esternamente si svolgevano le cerimonie rituali, non viene più riproposto come tipo edilizio. I culti orientali, che in epoca tardo-imperiale contavano ancora molti seguaci e che allo spazio interno del tempio conferivano un ruolo importante, si servirono, di solito, di altri tipi architettonici.
Testimonianze artistiche in ambito pubblico e privato. - L'insieme delle testimonianze pervenuteci rispecchia la struttura sociale e il sistema di valori dello stato tardoantico, caratterizzato da una minuziosa organizzazione gerarchica e amministrativa. Il possesso di costosi prodotti di artigianato artistico, quali vasellame in metallo prezioso o suppellettile in avorio, serviva anche a evidenziare il rango del proprietario; ciò riveste particolare importanza in un'epoca di crescente permeabilità verticale in campo militare e amministrativo e di regolamentazione forzata della vita pubblica. Gli oggetti d'arte assumono pertanto spesso carattere di insegna (v. p.es. la Notitia dignitatum). Molto significativi sono, da tale punto di vista, i doni offerti dall'imperatore e da funzionari di alto rango ai loro subalterni (dittici in avorio), in quanto particolarmente adatti ad assolvere una funzione di rappresentanza. Tipiche testimonianze o complessi di rinvenimenti sono da considerare, p.es, il tesoro di argenteria di Augst, un rinvenimento di argenterie dal Vicino Oriente con coppe di largizione e i busti imperiali a Monaco (e Magonza?), il missorium di Teodosio a Madrid o la coppa di Valentiniano a Ginevra.
Sebbene il repertorio monumentale dell'arte ufficiale continuasse a essere tramandato, esso perse importanza, almeno per quanto riguarda la scultura. A partire dal IV sec. la maggior parte dei ritratti scultorei erano rilavorazioni di pezzi più antichi. L'imperatore veniva rappresentato in diversi modi, ma più spesso in veste di generale (Colosso di Barletta, dittico Barberini) o in trono (monete, missorium di Teodosio). Attraverso la ricerca archeologica è stato possibile conoscere alcuni esempî di rappresentazioni pittoriche e musive di imperatori in grande scala: p.es. la raffigurazione dei tetrarchi nell'ambiente dedicato al culto imperiale a Luxor (con la sua presunta funzione di immagine di culto, essa è un'importante testimonianza di quanto ora si preferisse la pittura alla scultura); la galleria imperiale costantiniana in un portico della zona del Laterano probabilmente appartenente alla Domus Faustae·, o le rappresentazioni, probabilmente di Costante I in trono, nel Mausoleo di Centcelles. I cassettoni dipinti di Treviri, verosimilmente pertinenti al palazzo imperiale, si suppone non rappresentino personaggi coevi, ma figure allegoriche. I ritratti che non rappresentano membri della famiglia imperiale mostrano personaggi raffigurati sempre più frequentemente nell'esercizio delle loro cariche pubbliche, ossia come sacerdoti o funzionari, soprattutto nelle vesti di organizzatori di giochi, con il fazzoletto (mappa) in mano. Tali soggetti trovano testimonianza sia nella plastica a tutto tondo (Afrodisiade), sia nel campo delle arti minori, p.es. sui dittici in avorio o in categorie meno costose di oggetti, quali il vasellame in vetro e la ceramica con decorazione a rilievo.
A età tetrarchica e costantiniana vanno ascritti numerosi rilievi monumentali di carattere ufficiale, esemplificati a Roma dall’Arcus Novus di Diocleziano e dall'Arco di Costantino, a Salonicco dall'Arco di Galerio e a Nicea (Iznik) dai resti di un monumento simile. In emulazione dei modelli romani, tra la fine del IV e gli inizî del V sec. furono realizzate a Costantinopoli le colonne istoriate di Teodosio e di Arcadio, come pure l'Obelisco di Teodosio. I rilievi delle loro basi (nel caso dell'obelisco scene raffiguranti l'imperatore in trono, in occasione dell'erezione del monumento nell'ippodromo) consentono di analizzare in maniera esemplare le caratteristiche formali e iconografiche dell'arte aulica tardoantica.
Con la scultura a tutto tondo viene sempre più a mancare una parte importante dell'arredo delle abitazioni dei ceti elevati. Le decorazioni più note sono quelle dei mosaici pavimentali policromi, attestati in tutte le regioni dell'impero. Non è ancora possibile giudicare se le principali località in cui sono avvenuti tali rinvenimenti o le rispettive regioni (p.es. l'Africa settentrionale, la Siria con Antiochia e Apamea, Cipro) corrispondano ai più importanti centri antichi di produzione o se, invece, non riflettano più favorevoli condizioni di conservazione o semplicemente lo stato attuale della ricerca (come sembrano dimostrare più recenti reperti da regioni finora scarsamente rappresentate). Emergono chiare differenze regionali; nei mosaici figurati dell'Africa del Nord dominano, accanto ai comuni simboli della fortuna, rappresentazioni di ambientazione realistica, quali la caccia, le attività agricole e l'arena; i soggetti mitologico-narrativi hanno un ruolo secondario. La decorazione tende a perdere il carattere pittorico e ricopre le superfici basandosi sulla combinazione di singoli elementi giustapposti. Nei centri orientali (il più famoso è Antiochia) vengono preferite le composizioni figurative pittorico-illusionistiche alla maniera dei dipinti su tavola cari alla tradizione ellenistica, spesso di contenuto mitologico o allegorico. Ai temi tratti dalla vita reale non viene dato alcun ruolo significativo e nel V sec. si affermano mosaici riproducenti moduli decorativi tratti dalla produzione tessile.
Elementi cristiani compaiono solo di rado (cappelle private), contrariamente a quanto documentato per oggetti d'uso comune, quali vasellame in metallo, vetro e terracotta. Soprattutto in Africa settentrionale esistevano importanti centri di produzione ceramica dalla ricca decorazione a rilievo.
Tipica componente dell'arredo domestico tardoantico sembra sia stato l'arazzo: alcuni esemplari si sono conservati grazie al clima secco dell'Egitto, dove avevano un'utilizzazione secondaria all'interno delle tombe.
Arte cristiana. - All'età precostantiniana possono essere riferiti soltanto esempî isolati di un'iconografia specificamente cristiana. Si tratta di scene bibliche in pitture tombali o su rilievi di sarcofagi di III sec. avanzato (particolarmente frequente la storia di Giona). E possibile, ma non dimostrabile, che ad altri motivi, per lo più ispirati alla simbologia beneaugurante di ambientazione bucolica, quale p.es. quello del «Buon Pastore», sia attribuito in alcuni casi isolati un significato cristiano. La svolta costantiniana determina un arricchimento del repertorio di carattere biblico e cristologico. Analogamente alla chiesa che, avendo acquisito un ruolo determinante nella vita pubblica, assume strutture e insegne dell'amministrazione statale, l'arte cristiana ricorre in modo crescente a modelli e motivi propri dei monumenti imperiali, come nel caso della rappresentazione del Cristo in trono o trionfante. Oltre che in diversi oggetti di uso non solo liturgico, l'iconografia cristiana è documentata principalmente nei sarcofagi e nei mosaici parietali. Con la costruzione delle chiese tali mosaici assumono un nuovo significato come genere artistico, anche se è necessario tener presente che strutture murarie risalenti a epoca precristiana solo di rado sono riuscite a conservarsi. I tentativi di dimostrare l'esistenza di uno specifico stile cristiano nelle arti figurative non hanno avuto successo.
L'eredità classica. - L'osservatore moderno è colpito nel constatare la sopravvivenza di soggetti pagani, spesso conservatisi immutati, nell'arte pubblica e «privata» (come pure nella letteratura), in un'epoca in cui il cristianesimo già da tempo rappresenta la religione di stato (p.es. la comparazione di Teodosio a Eracle nell'arco del Forum Tauri a Costantinopoli, o mosaici pavimentali di tema mitologico in abitazioni private ancora nel VI sec.). I motivi sono molteplici e di rado possono essere individuati con esattezza, come nel caso dei contorniati romani, medaglie di produzione non ufficiale o semiufficiale, distribuite in occasione di giochi o di assunzioni di cariche, ispirate, nelle loro tematiche retrospettive, al patrimonio ideale dell'aristocrazia senatoriale conservatrice.
Nel momento in cui il cristianesimo diviene il credo ufficiale, non esisteva alcuna alternativa al patrimonio figurativo classico; alcuni temi potevano essere utilizzati in forma allegorica al servizio dei dogmi cristiani (p.es. i motivi delle favole animalistiche). Tuttavia l'accettazione del Dio cristiano quale massima potenza ultraterrena non significò necessariamente, per l'uomo della tarda antichità, il totale allontanamento dalle altre divinità e dai temi a esse connessi, specialmente perché l'atteggiamento fondamentalmente sincretistico del tardo impero favoriva una visione d'insieme delle diverse divinità quali manifestazioni di una stessa entità. Ma, soprattutto, ancora in epoca tardoantica la scuola e l'università basavano i loro insegnamenti esclusivamente sul materiale classico. La formazione era di tipo classico e chi volesse darne dimostrazione poteva farlo solo attingendo al bagaglio tradizionale. Questo costituiva anche una riserva per la sempre più malvista rappresentazione della nudità e della sessualità; un aspetto che emerge più chiaramente nella polemica dei Padri della Chiesa come, p.es., nelle componenti «voyeuristiche» delle ekphràseis tardoantiche (cfr. S. Nicola di Myra). La scelta dei temi mitologici nelle decorazioni delle abitazioni era spesso motivata da scopi specifici, come, p.es., la rappresentazione del padrone di casa. Notevole interesse esercitano i miti incentrati sulla caccia che si prestano a essere rigorosamente attualizzati, spogliati dei tratti tipici originari (abbigliamento, bottino e tipo di caccia) per evidenziare il riferimento al committente e al destinatario. Non si potrebbe immaginare la sopravvivenza dei temi classici nelle epoche successive, se non si fosse mantenuto vivo un interesse nei loro confronti attraverso tali trasformazioni.
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(W. Raeck)