ROMANICA, ARTE
. Nella continuità dell'arte dal sec. X al XIII per tutta l'Europa occidentale ammettiamo la consueta divisione in due periodi - arte romanica, arte gotica - perché, sebbene il primo periodo prosegua nell'altro, in conseguente succedersi di concetti e di forme, esso è fortemente individuato in sé, tanto che l'arte romanica, nei suoi momenti e nelle opere maggiori, appare in antitesi con l'arte gotica, sorgendo da emozioni proprie, compiutamente espresse in capolavori. Meno necessaria è la divulgata suddivisione del periodo romanico in diverse fasi - primitiva, matura, di transizione al gotico - che non sono sicuramente definite nei caratteri e nel tempo: molti monumenti detti di transizione non sono che opere arretrate rispetto all'arte gotica da cui traggono motivi che innestano sulle forme romaniche. Accettando la divisione più generale, non sono tuttavia da trascurare i legamenti che articolano l'arte romanica non soltanto alla susseguente arte gotica, ma a quella dell'antecedente periodo carolingio-ottoniano (v. carolingia, arte; gotica, arte).
Il termine "arte romanica" venne in uso nella prima metà del sec. XIX nel fiorire degli studî sulle lingue e sulle letterature romanze, intendendo di accennare ai riscontri tra quelle e l'arte, nonché ai molti elementi derivati dal mondo romano: e ha avuto fortuna per entrambi quei motivi, sebbene l'arte romanica, nella quale predominò l'attività delle stirpi latine, si sia estesa in area assai più vasta che le lingue romanze, per tutti i paesi germanici e oltre.
L'arte romanica durò dal volgere del sec. X fin entro il XII, variamente nelle diverse regioni, così che in qualche luogo s'inoltra nel sec. XIII. Mentre nella vita sociale si maturavano nuove istituzioni, e nella cultura la materia antica e medievale era riplasmata in un nuovo armonico assetto, tra il primo affermarsi della coscienza individuale nei ceti, nelle città, nelle nazioni, essa sorse e si costituì in un impeto di rinnovamento, nello sforzo di liberarsi dai modi vieti per crearne dei nuovi; e nelle sue opere, anche in quelle che sono capolavori per libera rispondenza di forma e di spirito, lasciò il segno di quella sua laboriosa energia, in una grave robustezza, in un'inerzia non del tutto vinta, che toglie loro l'agile facilità poi conseguita dall'arte gotica, ma ne forma uno dei caratteri più costanti, e più elevati, di chiusa e oppressa forza.
In un momento iniziale l'arte romanica sembra rifarsi dal nulla, intesa a primordiali ricerche di tecnica; ma dopo quel primo periodo, che del resto non si ritrova in tutte le sue regioni, subito si giova di diversissimi elementi, che deriva non soltanto dai monumenti romani, ma dall'arte bizantina e da quella dell'Oriente cristiano e musulmano; e tutti li trasforma in propria sostanza. Le sue origini, seguendo il concatenato succedersi delle forme, specie nell'architettura, si sono volute rintracciare fino nell'inizio del Medioevo, distinguendo un'arte romanica primitiva (già questo enunciò il De Caumont, e ingegnosamente lo ha affermato il Puig y Cadafalch) da un'arte romanica secondaria, sviluppatasi dal sec. XI al XIII; ma in questa soltanto, ch'è propriamente "arte romanica", si ritrovano quel rinnovamento e quella tormentosa forza, mentre non si può disconoscere quanto essa deriva dal passato. Il suo sviluppo, tra il sec. XI e il XIII, fu incessante: da fasi in cui la ricerca dei procedimenti tecnici prevale su tutto, comprimendo o limitando l'emozione estetica, passò a espressioni sempre più libere e profonde.
Nella vastissima area dell'arte romanica, che trascese di tanto quella delle lingue romanze, vi furono centri di attività predominanti, zone neutre, regioni di conquista, e altre periferiche in cui l'immediato contatto con diversi modi dell'arte allentò, fin quasi a scioglierla, l'unione col più interno territorio romanico. Rapporti tra le diverse regioni erano mantenuti dagli artisti vaganti, dalle relazioni politiche, commerciali, religiose, esercitate queste ultime specialmente mediante gli ordini religiosi - fra tutti primeggiarono per numero di filiazioni e per attività nell'arte l'ordine cluniacense, poi il cisterciense (v. cisterciensi; cluniacensi) -, e anche col tramite dei pellegrinaggi, sebbene sia stata attribuita troppa importanza, nella diffusione delle forme artistiche, alle arterie stradali che portavano i pellegrini ai grandi santuarî, a Roma, a Santiago de Compostella. Ma quei rapporti non riuscirono mai a costituire l'arte romanica in un'assoluta unità. Questa era ostacolata dalla vivacità stessa della produzione artistica che moltiplicandosi tendeva a differenziare nei diversi centri anche i temi comuni; dall'azione di differenti fattori locali, attivi specialmente nell'architettura; dal vario intervento di differenti influenze esterne nei diversi luoghi; dall'esplicarsi dell'individualità degli artisti: e il territorio romanico uniforme soltanto in caratteri molto generici, e non sempre evidenti in tutte le arti, va diviso nettamente in molte regioni, che si frazionano ancora, dove fu più fervida operosità, in molte "scuole" diverse.
L'Italia nell'arte romanica ebbe varietà profondamente distinte, determinate non meno dal differente temperamento delle diverse regioni, come poi sempre nell'arte nostra, che dalle differenze di cultura e di relazioni esteriori: unita in parte strettamente al resto del mondo romanico, in altre parti fu aperta per facili vie alle influenze dell'arte bizantina e dell'arte musulmana, mentre per tutto conservava grandi le vestigia dell'arte classica, e finalmente di nuovo le osservava. Ma tra le varietà vi si scorgono dei caratteri comuni suoi proprî; già si rivela un'arte "italiana". Nella pittura e nella scultura, a paragone con le altre regioni romaniche, vi è una moderazione nelle stilizzazioni espressionistiche che avvia all'arte del sec. XIII; nell'architettura, pure tra le differenze delle varie scuole, v'è un senso di ampio spazio, uno studio intento più alla composizione di forme armoniche che alla risoluzione di problemi statici per cui fu precluso agli artisti italiani di maturare le forme gotiche; ma fu dato di anticipare in molti modi, già nell'arte romanica italiana, il Rinascimento.
La Francia, mentre vi si schiudeva la nuova poesia volgare, fu intensamente attiva e creatrice nelle arti: affermò in capolavori il nuovo stile, e vi preparò in ogni aspetto l'arte gotica. Molteplice nelle sue scuole, ebbe unità da un continuo scambio d'idee e di forme, per cui le sue opere maggiori si compongono quasi sempre in coordinato sviluppo: era il centro più vivo di elaborazione di quanto fu più nuovo nell'arte romanica. La Spagna, tramite a remote influenze, poté originalmente intervenire nella prima formazione dello stile romanico, poi congiunta in vario modo all'attività artistica francese, come le isole britanniche, anch'esse prima distinte da caratteri proprî poi unite strettamente alle vicine provincie francesi da scambî in cui sovente è difficile discriminare le diverse parti.
In Germania il periodo ottoniano aveva già preparato alcune delle qualità poi sviluppate nell'età romanica; e, in continuo nesso con la Francia e con l'Italia, vi fu intensa e particolare l'elaborazione del nuovo stile, propagandosi per tutto il mondo germanico e oltre, nell'Ungheria e sui limiti dei paesi slavi.
Architettura. - Il rinnovamento compiuto dall'arte romanica è manifesto nell'architettura con la progressiva conquista di nuovi modi costruttivi, che furono mezzo a trasformare dal passato l'aspetto degli edifici, a esprimerne nuove emozioni. È vero che analizzando la tecnica della costruzione non si troverebbe elemento che non fosse già stato adoperato in altre epoche, e che, dai pilastri compositi ai contrafforti, dalle vòlte a botte e a crociera alle vòlte su costoloni, i resti dei monumenti romani presentavano e suggerivano gli elementi principali che furono usati dai costruttori romanici; è vero che nella decorazione alcuni dei tratti più cari all'architettura romanica hanno precedenti lontani, e loggette, arcature, portali a strombo erano in uso, o in germe, nell'Oriente remoto; ma fu rinnovamento l'avere ripreso quei mezzi costruttivi, organandoli a nuovi scopi, mentre nel rielaborarli con faticosa lentezza e attraverso molte esperienze gli architetti romanici sembrano averli creati di nuovo.
Le varietà dell'architettura romanica che più innovarono i modi di costruire furono le più vigorose, sebbene nello sforzo di tramutarli non riuscissero sempre a opere così equilibrate nella tecnica e negli intenti, e perciò così esteticamente espressive, come altre varietà più tradizionali: esse diffusero i loro caratteri principali in tutta l'architettura romanica, anche dove non furono seguiti i loro procedimenti costruttivi; e furono quelle che prepararono l'avvento dell'architettura gotica. Si proposero inizialmente un problema murario ch'era imposto da necessità pratiche, o per deficienza di materiali lignei, o piuttosto per prevenire gl'incendî che tante volte avevano devastato le chiese costruite secondo il vecchio schema basilicale, con copertura a tetto: sostituire alle travi la muratura a vòlta o a cupole; e per risolvere le difficoltà di statica imposte da tale scopo modificarono in gran parte le forme costruttive tradizionali.
Nei secoli antecedenti, si erano costruite vòlte mantenendo sia pur debolmente le pratiche antiche, o seguendo quelle trasmesse dall'Oriente cristiano; ma erano vòlte di piccola apertura, su spazî ristretti come i valichi delle cripte, i deambulatorî della cappella palatina d'Aquisgrana, la cappella presso i Ss. Quattro Coronati a Roma (sec. IX), le navate di alcune chiese del sec. IX nelle Asturie - S. Michele di Lino, S. Maria di Naranco, S. Salvatore di Valdedios - per cui spetta alla Spagna un posto rilevante nella preparazione dell'architettura romanica. L'amplissima vòlta a botte del presbiterio della basilica ambrosiana di Milano, che sembra risalire al sec. IX e attesta fino da allora l'audacia dei costruttori lombardi, era stata sorretta con robustissime pareti; ma sarebbe stato impossibile gettare vòlte sulle ampie navate di basiliche edificate nei modi tradizionali, a colonnati e ad alte pareti sottili, traforate di grandi finestre, senza veder tutto sfasciarsi sotto le spinte laterali esercitate dalle vòlte. E gli architetti romanici tralasciarono i vecchi modi di costruzione per altri che fossero adatti a sostenere le vòlte. Già da tempo erano stati ideati, o erano stati appresi da monumenti romani e dell'Oriente cristiano, provvedimenti costruttivi atti a sostenere le spinte oblique delle vòlte, più accorti e più complessi che la massiccia struttura dei muri del presbiterio della basilica ambrosiana: già nelle chiese asturiane sopra menzionate l'esterno era stato rafforzato con enormi contrafforti; in altre chiese, dal sec. VIII in poi, ricercando un più stretto collegamento delle pareti, si erano sostituiti alle colonne i pilastri, anche compositi, cioè adatti a sostenere gli archi trasversali che potevano servire a una maggiore unità statica. Gli architetti romanici trassero partito da tali procedimenti ricercando con molti tentativi la soluzione integrale del problema della copertura a vòlte, spesso costretti ad accontentarsi di soluzioni parziali. Di certo presero a costruire vòlte sulle navatelle prima di provarsi a costruirle sulle navate maggiori: e restano molte chiese romaniche in cui soltanto le navatelle sono a vòlta, la navata maggiore è a tetto, così che non vi appariscono tutte le conseguenze del nuovo modo di struttura che si veggono nelle costruzioni in cui il sistema romanico a vòlte è compiutamente applicato. In queste, l'ampiezza delle navate fu diminuita per potere costruire più facilmente le vòlte; per resistere meglio alle pressioni oblique le pareti furono aumentate di spessore, le finestre ridotte dall'ampiezza antica a feritoie; i pilastri furono articolati sempre più "cruciformi", "compositi", "a fascio" - per sostenere con le loro membrature gli archi e il nascere delle vòlte; i contrafforti esterni, a rinforzo dei luoghi ove gli archi trasversi esercitavano pressione, furono costruiti più robusti; a equilibrare la spinta delle vòlte concorsero tutte le parti degli edifici collegate in compatto organismo di forze e di resistenze, di spinte e di controspinte: e in tutto ne riuscì mutato l'aspetto delle chiese romaniche da quello delle antiche basiliche occidentali. Rimasero di queste le linee generali della pianta; ma anche la pianta ebbe frequentemente complicazioni e aggiunte, in parte già preparate dall'architettura precedente, e allora composte in schemi più organici: cupola al termine della navata maggiore, sul transetto; transetto assai sviluppato, non raramente doppio; deambulatorio absidale, anche con cappelle perimetrali. Alla limpida semplicità delle precedenti costruzioni basilicali, al riposo delle linee nei colonnati e nelle coperture, alla luminosità degl'interni, sottentrarono la complessità d'una struttura serrata nelle massicce pareti, in robuste membrature, in complicati pilastri e angusti matronei, e per le strette finestre una luce incerta, in contrasto con le ombre che in molte chiese romaniche diffondono raccoglimenti quasi paurosi. Codesti caratteri, determinati dalle necessità costruttive, furono quasi immediatamente rivolti dagli architetti a nuovi effetti estetici; necessarî alla statica, furono subito adoperati come mezzo a nuovi effetti d'arte: la robustezza della struttura servì a esaltare la forza; gli edifici ostentarono la propria massa; questa, nei contrasti di spinte e controspinte, trovò equilibri per ergersi sempre più alta; e se anche la grande elevazione delle navate maggiori fu imposta dalla necessità di aprire finestre al sommo delle pareti, essa presto divenne uno dei fattori più forti nell'effetto delle nuove costruzioni.
Coperture in vòlte, e il robusto organamento d'ogni parte per sorreggerle, hanno i monumenti e le regioni romaniche che veramente elaborarono la nuova architettura, che diffusero le forme romaniche secondarie anche dove non furono accolte le principali e prepararono l'avvento dello stile gotico. Ma moltissime costruzioni romaniche non presentano quei caratteri maggiori, e tengono i nuovi modi soltanto in parti e in tratti meno importanti: coperte di travature e non di vòlte, mancano della ragione costruttiva di altre loro forme - anguste finestre, grosse pareti, pesantezza di struttura - per certo attinte dai monumenti più tipici, in cui ogni parte era logicamente coordinata alle vòlte.
Le vòlte prima adoperate dagli architetti romanici furono vòlte a botte, in tutto sesto o in sesto acuto, e vòlte a crociera: le prime, di facile costruzione e perciò frequenti, per sostenere la loro pressione ugualmente diffusa imponevano grande dispendio di materiale e forme raccolte e pesanti; le vòlte a crociera, scaricando la loro spinta sui quattro peducci, consentivano sostegni più articolati, alleggeriti dove le spinte erano meno forti, e i costruttori romanici le adoperarono più largamente. Poi, non senza l'esempio dei monumenti romani e dell'architettura musulmana, apparve la vòlta a costoloni, cioè rinforzata da nervature diagonali; e fu incentivo al trasformarsi dell'architettura romanica nell'architettura gotica, della quale rimase sempre uno dei mezzi più evidenti nell'esprimere slancio ed elasticità.
Al sistema romanico di costruzione in vòlte, più chiaro negli edifizî basilicali che in altri, si possono trovare dei precedenti, oltre quelli già ricordati - monumenti romani, chiese asturiane del sec. IX -, nell'architettura bizantina e, ancora più prossimi, nell'architettura armena; né sorprendono così remoti rapporti riflettendo ai grandi movimenti dell'Occidente romanico verso il Levante. Tra tutte le congeneri costruzioni di Armenia la cattedrale di Ani (v.) si potrebbe dire romanica nell'elevazione, nella schietta stereometria, nella forma dei pilastri e perfino nella decorazione; e, a meno di provare che non sia la stessa compiuta già nel 1010, bisogna ammettere che, con gli altri congeneri monumenti armeni, in modo diretto o mediato, abbia potentemente influito nel formarsi del più originale sistema architettonico romanico.
Anche i particolari costruttivi e la decorazione furono innovati, non senza suggerimenti esterni, con originalità consona al nuovo stile costruttivo: il paramento murario, di conci o di mattoni, ora uniforme nella sua solidità, ora variato dalla policromia; le facciate; le porte ampliate da strombi profondi che rivelano lo spessore dei muri, animate di ornati e di figure; l'ornamentazione, con repertorio svariatissimo per motivi e per provenienza, mentre la scultura accentuava le diverse parti, le facciate, i capitelli, i portali.
I maggiori centri di attività furono in Italia, in Francia, in Germania. Essi certamente ebbero molte reciproche relazioni; ma queste saranno sempre controverse, specialmente riguardo alla precedenza delle più importanti soluzioni costruttive, finché resti incerta la data di molti monumenti, difficile a stabilire anche per i molteplici rimaneggiamenti avvenuti in quasi tutte le costruzioni.
In Italia l'influenza dei monumenti antichi, i cui resti non erano per tutto ugualmente numerosi, né compresi; impulsi dall'esterno, differenti nei diversi centri; e già un proprio genio locale, concorsero a variare in molti modi regionali l'architettura romanica fino a far giudicare quasi isolate alcune delle sue opere maggiori - S. Marco di Venezia, la cappella palatina di Palermo - nelle quali invece si riaffermano, pure nel complesso ibrido o di forme assunte dal di fuori, i caratteri dell'arte italiana. L'attività del costruire fu grande e continua. Meno viva sul principio del sec. XI, di cui restano pochi monumenti (primeggia S. Miniato al Monte su Firenze), poi sempre più fervida, già sul finire di quel secolo si spiegò in grandi capolavori ancora superstiti: il duomo di Pisa, S. Marco di Venezia, S. Ambrogio di Milano, la cattedrale di Modena; nel sec. XII svolse, e moltiplicò svariatissime, le forme romaniche che soltanto nel corso del sec. XIII dovevano cedere lentamente alle gotiche.
Più vigorosa, e più conseguente delle altre varietà, fu la scuola che può ben dirsi "lombarda", perché i suoi caratteri più originali si vennero maturando nel centro della Lombardia, cui sono da collegare per molti aspetti il Piemonte, la Liguria e tutta la valle padana.
Operosissimi furono i costruttori lombardi non solo nelle loro terre, ma in altre parti d'Italia e fuori, come attestano documenti e iscrizioni, e come prova anche la tradizione poi continuata del loro migrare dappertutto. Essi dovettero essere i fattori più attivi della diffusione di quello stile che si vuol dire "romanico primitivo", di cui il Puig y Cadafalch ha rintracciato più compiutamente i monumenti e i resti in Italia, in Catalogna, qua e là per la Francia e nella Svizzera, nelle regioni renane: uno stile di estrema semplicità, e di tenace persistenza, che da lontani primordî si può seguire a Ravenna, nella Lombardia e in quella larghissima diffusione nei secoli X e XI, caratterizzato da coperture a tetto, ma anche in vòlte (come in S. Martino di Canigou e in altre chiese di Provenza e di Catalogna) e da decorazioni di archetti pensili, di lesene, di fornici.
I costruttori romanici del centro della Lombardia, dove fiorivano Milano e Pavia, rimasero fedeli a quelle decorazioni preromaniche, e altre ne elaborarono che individuano le loro opere: facciate con frontespizio a capanna, loggette pensili, portali incassati con profili multipli; ma su tutto si proposero il maggiore problema dell'architettura romanica - coprire in vòlte le basiliche - e sebbene la data di molti monumenti sia controversa, e vi sia anche chi nega ad essi qualunque priorità in un punto così essenziale, ci sembra ch'essi per primi abbiano risolto quel problema nel modo più completo e più fecondo, costruendo non soltanto vòlte di ogni genere, ma vòlte a costoloni su membrature organicamente predisposte.
Monumento capitale della scuola lombarda è la basilica ambrosiana di Milano, le cui navate furono ricostruite nella seconda metà del sec. XI: possente organismo di membrature complesse in pilastri, in archi, nelle vòlte dei matronei e delle navatelle, ancora avvolto in enormi murature, e pur tutto inteso a un suo effetto di ampiezza e di luce che volge ai proprî scopi le pesanti forme. Tutte le parti nella navata ambrosiana sembrano concepite con l'intento di coprirne lo spazio con vòlte: e che queste dovessero essere a costoloni, quali si conservarono nelle prime campate, lo accerta la forma dei pilastri maggiori e dei capitelli, in contrasto con l'opinione, ora diffusa, ch'esse siano state costruite soltanto alla fine del sec. XII. La chiesa di S. Michele di Pavia, che nell'aspetto attuale può risalire alla prima metà del sec. XII, sviluppando l'alzata della basilica ambrosiana, segna un ulteriore stadio dell'architettura lombarda la cui attività nel sec. XII è integrata, con varianti locali, da molti monumenti sparsi per tutta l'Italia settentrionale - basilicali, a pianta concentrica, a pianta complessa come il S. Fedele di Como - tra cui grandeggiano ancora le cattedrali di Modena, di Parma, di Piacenza, di Cremona, S. Zeno di Verona, S. Maria Maggiore di Bergamo. Risulta dal complesso di quei monumenti che i costruttori dell'Italia superiore, che genericamente si possono dire "lombardi", nel corso del sec. XII si applicarono sempre meno a costruire vòlte, o per seguire il gusto diffuso in Italia nelle costruzioni basilicali, o per ragioni pratiche (in origine era a tetto il duomo di Modena, com'è il S. Zeno di Verona), e non trassero dalla conoscenza della vòlta a costoloni le conseguenze ch'essi avevano preparate in molti modi e che portarono in Francia all'architettura gotica.
L'influenza dell'architettura lombarda oltralpe, indicata anche da notizie storiche, appare in costruzioni della Francia meridionale e della Catalogna, della Svizzera, della vallata del Reno, della Svezia, dell'Austria: e, senza esagerarne l'importanza, è da riconoscere come un iniziale coefficiente alla formazione dell'architettura francese e germanica. Diffusa in gran parte d'Italia, qua e là vi si manifestò in modo più intenso come nelle Marche, nel Lazio, in Dalmazia, nelle Puglie (v. le singole voci); penetrò in vario modo anche dove fiorirono scuole ben differenti.
Delle altre varietà dell'architettura romanica in Italia qui giova accennare soltanto le più importanti, nelle opere principali (v. italia: Arte). Quasi tutte evitarono, o poco curarono, i nuovi problemi statici, accettando soltanto le forme romaniche più esteriori: furono intente soprattutto a innovare la composizione degli spazî su schemi tradizionali modificati nelle proporzioni, nel ritmo, e da elementi diversi insieme rifusi.
A Venezia, dove in S. Marco (cominciato nel 1071) la complessa struttura ispirata a modelli bizantini compose un'armonia che si può dire classica, il duomo di Torcello (circa 1008) e S. Donato di Murano (circa 1141) sono individuati da tratti bizantini, lombardi e classici originalmente riplasmati insieme, ma cercano la stessa impressione di spazio e di serena chiarezza che in altri gradi è nelle architetture di Firenze, di Pisa e di Lucca, di Roma, della Sicilia, ognuna delle quali va pure distinta per particolarità proprie di struttura e di decorazione. Tra i maggiori monumenti della scuola pisano-lucchese, in cui fu largo l'intervento di costruttori e decoratori lombardi, sono il duomo di Pisa iniziato da Buschetto nel 1063, S. Frediano e S. Michele di Lucca, cui si accompagnano molte altre costruzioni della stessa regione e di Sardegna, nelle quali l'arte classica non spinge a frammentarie imitazioni, ma dà sostanza a un'arte nuova, che ben può dirsi pura espressione "romanica", la quale ne trasmuta le fo me e ne ricrea l'essenza, in un suo modo spazioso, chiaro, circoscritto da armonici limiti, che già rivela a fondo lo spirito italiano. Firenze nella chiesa di S. Miniato al Monte diede forma allo stesso animo con analoghi mezzi e con uguale altezza e originalità. A Roma, sotto l'insistente esempio delle basiliche dei primi secoli del Medioevo, si costituì una scuola di architetti e decoratori, rivolti non soltanto a emulare con grandezza le forme antiche, come nella chiesa di S. Maria in Trastevere (sec. XII), ma a trasfigurarle con la policromia e con nuovi ritmi: nell'atrio della cattedrale di Civita Castellana, nei chiostri (sec. XIII) del Laterano e di S. Paolo fuori le mura, per non ricordarne che i capolavori. Nell'Italia meridionale, dove tra varietà minori primeggiano l'architettura della Campania e la pugliese, questa attesta una grande civiltà anche in luoghi ora oscuri, un'arte poderosa che gli elementi variamente appresi dall'architettura pisana, dalla bizantina e soprattutto dalla lombarda rifuse in modo proprio, sempre consono allo stile italiano, nel S. Nicola di Bari, nelle cattedrali di Troia, di Trani, fra le altre grandiose, e nel duomo di Bitetto con intatta originalità durata fino al secolo XIV. E nella Sicilia i monumenti romanici sugli elementi diversi tratti dalla composita cultura dell'isola - musulmani, bizantini, normanni - mostrano non soltanto il potere creatore di un'arte che tutto fonde in unità, ma i caratteri dello stile italiano, di cui il duomo di Monreale è una delle più alte espressioni.
Come nell'architettura religiosa, in quella profana, sebbene ne siano o mai rari i resti, si trovano caratteri diversi di regione in regione, rispondenti alle differenze di cultura e di vita, e qua e là il segno di un'arte creatrice: se le costruzioni normanne di Palermo - la Zisa, la Cuba - ripetono modelli musulmani, a Roma la casa "di Cola di Rienzi" ricompone originalmente forme architettoniche antiche, non soltanto frammenti di sculture; in Toscana, per tutta l'Italia centrale, e con più particolare novità di costruzione a Pisa, nelle case a loggiati rivivono e si trasformano tradizioni, forse non mai scomparse, della casa romana; queste hanno sviluppi magnifici nei palazzi comunali dell'Italia settentrionale, mentre a Venezia l'architettura civile, pur essa movendo dai modi bizantini, ne sviluppava quelli che poi sempre doveva mantenere in certi aspetti essenziali, costruendo lievemente sul terreno instabile e compenetrando d'aria e di luce gli edifizî.
In Francia l'architettura romanica (v. francia: Arte) quasi per tutto s'impegnò presto nel problema di costruire vòlte; ne trovò svariatissime soluzioni coordinandole a particolari effetti estetici; rinnovò tutte le forme tradizionali sviluppando anche germi remoti, dalla pianta delle basiliche, che svolse in deambulatorî, in transetti a più navate, in cappelle perimetrali, all'alzata, congegnata variamente per illuminare in diversi modi l'interno, con torri a fianco delle facciate, con strutture torreggianti sul transetto che preannunziano le guglie gotiche. Non mancavano antecedenti a tali trasformazioni; né furono inutili nemmeno all'architettura francese gl'impulsi esterni: sul principio del sec. XI in Borgogna l'abate Guglielmo da Volpiano faceva costruire la chiesa di S. Benigno di Digione, a vòlte, e in Normandia egli assisteva alla ricostruzione della chiesa di Bernay, forse apportandovi l'esperienza dei costruttori lombardi; influssi bizantini, certo anche mediante la conoscenza del S. Marco di Venezia, giungevano ai costruttori di Perigueux e delle chiese a cupola dell'Aquitania; i monumenti antichi offrivano modello agli architetti provenzali per la costruzione delle vòlte. Questi, e altri diversi fattori, contribuirono a differenziare l'architettura romanica francese in gruppi, tra cui ebbero più forte individualità le scuole di Borgogna, di Normandia, di Provenza (v. le singole voci) pur tutte unite in un procedere e in un operare che divennero sempre più fervidi dalla fine del sec. XII.
Tralasciando le particolarità di scuole e di gruppi, non sempre nettamente distinti, sono da ricordare soltanto alcuni dei monumenti maggiori che segnano diverse fasi in quel procedere. Per il periodo primitivo, in cui la copertura in vòlte spesso fu attuata soltanto sulle navi minori: in Normandia, la diruta chiesa di Jumièges, costruita tra il 1040 e il 1067, con altissima navata a matronei, il S. Stefano di Caen; nella Borgogna, S. Filiberto di Tournus (1008-1019), forse anch'esso in origine con la navata maggiore a tetto; Notre-Dame-la-Grande di Poitiers, la cui facciata compatta di grosse membrature e di rilievi accompagna la struttura interna, tutta in vòlte a botte, oscura e grave come in altre chiese della regione (St.-Savin-en-Gartempe della fine del sec. XI, ecc.); le vaste e chiare chiese a cupola della scuola perigordina. Nel periodo successivo, sempre più ricco di capolavori: in Borgogna, la chiesa della badia di Cluny (v.), ora quasi interamente distrutta, eretta dal 1088 ai primi decennî del sec. XII, immensa nella complicata pianta a cinque navate con due transetti e con coro a deambulatorio e raggiera di cappelle, altissima nell'alzata, dominata all'esterno da cinque torri cuspidate, dentro con alti pilastri compositi e archi acuti, tutta in vòlte a botte di sezione acuta, e altre congeneri chiese della regione tra le quali la cattedrale di Autun, nelle cui decorazioni architettoniche sono notevoli, come a Cluny, i tratti classicheggianti, S. Maddalena a Vézelay, S. Lazzaro ad Avallon; nella Francia centrale, sul principio del sec. XII, Notre-Dame-du-Port a Clermont - Ferrand, la chiesa di Orcival; nella meridionale, S. Saturnino di Tolosa, S. Fede a Conques; per la Normandia, la chiesa della Trinità a Caen, e le costruzioni normanne d' Inghilterra, che furono così prossime allo schiudersi dell'arte gotica.
L'Inghilterra fu provincia dell'architettura romanica normanna, ma feconda di grandi opere, e presto con proprie tradizioni (v. inghilterra: Architettura). Sembra che le forme normanne vi fossero apparse nella chiesa abbaziale di Westminster a Londra già prima della conquista normanna; dopo, improntarono le sontuose chiese rinnovate nel sec. XI, come la cattedrale di Canterbury (poi goticamente ricostruita) al cui seggio era stato chiamato Lanfranco da Pavia abate di S. Stefano di Caen: e con altre, poi variamente modificate, la cattedrale di Ely, con la navata maggiore a tetto, ma di organismo serrato e così slanciato da sembrare gotico, come quello della cattedrale di Norwich; le cattedrali di Gloucester, di Southwell, di Malmesbury, la chiesa abbaziale di Tewkesbury, a enormi pilastri tondi; la cattedrale di Durham, tutta in vòlte a costoloni la cui data, supposta coeva al primo periodo della costruzione (1093-1133), è ancora controversa come quella delle vòlte ogivali di altre chiese normanne.
La Spagna, nelle regioni non occupate dagli Arabi, fu strettamente congiunta nell'architettura alla Francia meridionale; ma era pure in rapporti, specie nella Catalogna, con l'architettura lombarda, come sembrano accennare le molte chiese di stile romanico "primitivo", e confermano i documenti sui maestri lombardi impegnati nella cattedrale di Urgell, e quanto si può arguire dalla troppo ricostruita chiesa di S. Maria di Ripoll. La chiesa di Santiago de Compostella, iniziata nel 1078, compiuta nei primi decennî del sec. XII, rassomiglia a S. Fede di Conques e a S. Saturnino di Tolosa nella pianta con vasto transetto a tre navate, con coro a deambulatorio e raggiera di cappelle, nell'alzata con matroneo e vòlte a botte; S. Isidoro a León, S. Vincenzo ad Ávila riprendono variamente gli esemplari francesi, mentre sono più originali le costruzioni romaniche di Segovia, di Zamora (v. spagna: Arte). Nel Portogallo la cattedrale di Coimbra dipende dall'architettura francese forse mediante la chiesa di Santiago.
In Germania l'architettura ebbe possente individualità, benché non si proponesse i maggiori problemi costruttivi, anzi mantenesse di preferenza le coperture a tetto. Gli elementi derivati dalle tradizioni dell'epoca carolingia-ottoniana, e quelli importati dall'architettura lombarda, le cui vie di trasmissione si possono rintracciare nella valle del Reno, li ricompose con impareggiata grandezza: a vederli isolati, sia nella pianta sia nella decorazione architettonica, se ne può contestare l'originalità, poiché le absidi e i cori contrapposti risalgono alla planimetria di chiese carolingie, i capitelli cubici, le loggette e gli archetti pensili, come le lesene e le alternanze di pilastri e di colonne, alla Lombardia (sebbene ciò venga tuttora contestato), e i più semplici impianti basilicali discendono da remote tradizioni medievali; vedendoli invece nell'attuazione monumentale, si trovano magnificati con un senso di grandezza che alle maggiori chiese di Germania, alle cattedrali di Magonza, di Spira, di Worms, pur tanto simili agli edifici lombardi, dà aspetto tutto proprio.
La chiesa di S. Ciriaco a Gernrode, costruita nel sec. X e modificata in più parti nel sec. XII, eppure armonica nella pianta, che discende dalle basiliche paleocristiane e carolingie, e nella decorazione lombardeggiante, mostra lo spirito di tradizione che fu costante nell'architettura romanica in Germania anche dove essa è più originale. Ricordiamo fra le chiese a tetto, in qualcuna poi sostituito da vòlte, per il sec. XI il S. Michele di Hildesheim, la diruta abbaziale di Limburgo (Hardt), S. Servazio a Quedlingburg; per il sec. XII, la chiesa dell'abbazia di Paulinzella, la chiesa di Nostra Signora a Halberstadt: delle costruzioni in vòlta nel sec. XII (vòlte sono frequenti anche prima, nelle cripte e nelle navatelle delle chiese a tetto) la chiesa di Maria-Laach; poi le cattedrali di Magonza e di Spira, i Ss. Apostoli di Colonia, il duomo di Worms, che appartengono in parte al sec. XIII poiché, come in Italia, in Germania l'arte romanica resistette tenacemente alla gotica nel cosiddetto stile "di transizione".
Dai centri maggiori di attività si diffuse largamente all'intorno l'architettura romanica, ritenendo il segno della sua derivazione, modificandosi nei luoghi ove si trapiantava: occupò, fino all'avvento dello stile gotico, la Svizzera, i Paesi Bassi, la Scandinavia, l'Austria; lasciò monumenti nell'Ungheria, in Polonia, in Boemia, nell'Oriente latino, per tutto attiva, non soltanto nelle costruzioni sacre, ma in quelle civili e militari, nelle quali improntò, adattata alle pratiche necessità, la sua forza.
La scultura. - La scultura accompagnò l'architettura; fu anch'essa varia nelle diverse regioni romaniche benché non mancassero caratteri, scopi e momenti comuni dappertutto, mantenuti con scambî di opere, d'influenze e d'artisti. In alcune fasi sembra essere più strettamente legata all'architettura, e determinata nelle sue forme da questa; ma anche quando nel suo sviluppo appare più libera, e rivolta soltanto a esprimere il senso plastico, essa si mantiene concorde con le qualità più profonde dell'architettura romanica, non lasciando mai del tutto quel senso d'inerzia e di forza che la distingue dalla scultura gotica.
Nelle sculture in pietra (che furono appunto le più collegate all'architettura) si vedono più distinti diversi momenti della plastica romanica; e potrebbero condurre alle usate divisioni in periodi diversi - primitivo, maturo, di transizione allo stile gotico - se ciascuno d'essi non si presentasse come sufficiente al proprio fine. Invero, nelle opere della scultura romanica, in cui sia l'impronta d'una creazione geniale, l'inerte materia e i convenzionalismi apparentemente ingiustificati si mostrano necessarî allo scopo non altrimenti raggiungibile dall'arte: la rude possanza, a cui convengono le forme appena dirozzate e il tardo movimento; gli schemi architettonici, che vogliono immedesimare le sculture con le linee delle costruzioni, e vi riescono soprattutto riducendo convenzionalmente la libertà delle forme e dei movimenti; il voluto adattamento d'ogni parte a decorare, sono qualità e non difetti di quelle opere, di frequente mal comprese e giudicate.
La scultura in pietra, che da secoli aveva quasi interamente dimenticato la figura umana riducendosi all'ornato, sembra mossa sui primordî da un ridestarsi del senso plastico, prima involuto e confuso, poi sempre più consapevolmente intento a chiarirsi, a esprimersi, con l'ingenuità e il vigore di una rivelazione nuova. La coscienza dei più semplici aspetti plastici si manifesta nelle sculture romaniche primitive con la rude franchezza di una forza nascente: per essa il definire ora la massa compatta di un solido, ora qualche inusato trapasso di piani, infine il circoscrivere uno spazio quasi geometricamente, fu all'arte scopo sufficiente e alto perché essa lo raggiunge con tale intensità di effetti che mancò ai periodi di più sottile coscienza plastica. Da principio gli scultori romanici sembrano non riuscire a precisare più che con accenni il proprio concetto. Ma fu breve il periodo delle ingenue ricerche; presto intervennero fattori esteriori a determinare le sorti della scultura in pietra: le altre arti. Fra queste, nella plastica, l'intaglio in avorio aveva sue proprie tradizioni derivate dall'antichità e dal periodo carolingio, sviluppate anche al contatto con l'arte bizantina: e di certo incitò la scultura in pietra, se in avorî del periodo ottoniano e del principio del sec. XI - il secchiello del duomo di Milano, frammenti d'un paliotto d'altare ora dispersi in varie collezioni (nei musei di Monaco, di Berlino, ecc.) - sono già il modellare compatto e il senso della massa che distinguono uno degli aspetti più forti della scultura romanica, e se altri avorî preparano fino dall'età carolingia i modi espressionistici romanici. Ma non minore impulso venne agli scultori dalla pittura e dalla miniatura. Queste avevano una tradizione d'iconografia nelle grandi composizioni sacre murali e, nei manoscritti, in ogni genere d'illustrazioni; possedevano un complesso repertorio ornamentale; tenevano uno stile costitulito in formule convenzionali, adatte a una idealizzazione che mirava non soltanto a esprimere lo spirito religioso, ma ad adattare all'architettura le grandi decorazioni pittoriche. E l'influenza della pittura e della miniatura sulla plastica si manifesta variamente negli ornati, nell'interpretazione della forma (atteggiamenti, girari di pieghe, deformazioni ornamentali che hanno riscontro, e probabile origine, in opere pittoriche), nell'iconografia. In breve, mossa da quei diversi fattori, animata da quello stesso rinnovamento ch'era in tutte le arti, la scultura romanica accelerò il proprio sviluppo, affermandosi soprattutto nella decorazione monumentale, in cui l'opera dell'architetto andava unita a quella dello scultore: nei capitelli, nelle facciate, nei portali delle chiese.
La decorazione, varia nelle diverse regioni romaniche, rivestì ogni parte, ogni linea più evidente; lasciò il vieto repertorio, traendo da svariate parti e svolgendo molti motivi nuovi. Tra i quali divennero sempre più rari che in passato quelli geometrici, più frequenti i vegetali e gli zoomorfi: i vegetali, assai lontani dalle sottili individuazioni botaniche che furono poi nella scultura gotica, altrimenti oggettiva e idealizzatrice, anzi ridotti in schemi ornativi anche se pieni di vigore vegetativo; gli ornati zoomorfi, rispondenti alle generali qualità della plastica romanica, e sovente intesi a significati allegorici, attinti alle fonti copiose della nuova iconografia. Questa si spiegò mirabilmente nella scultura monumentale, iniziando i grandi cicli di rappresentazioni poi svolti ancora dall'arte gotica: rispecchiò l'accrescimento della cultura, derivando materia da credenze popolari, da dottrine religiose e intellettuali, da opere letterarie divulgate. Lo stile della scultura romanica, osservato nei rapporti tra spirito e forma, si manifesta nelle più alte opere con purezza cristallina, rispondendo pienamente i modi di espressione agl'intenti e ai concetti. In questi si possono distinguere due modi principali, l'uno espressionistico, l'altro ornamentale, mentre tra i due vi furono molti contemperamenti e, infine, ebbe sopravvento una maniera che lo conciliò a un nuovo fine. Il modo espressionistico sembra da principio il più attivo nel rigenerarsi del senso plastico. La scultura, ancora inesperta di molte difficoltà di tecnica e di espressione poi laboriosamente studiate, tentò di estrinsecare i più complessi moti interiori, spinta da quella necessità di espressione spirituale ch'è il primo movente dell'arte; e riuscì nell'intento qualche volta, cogliendo in impressioni sintetiche gli aspetti essenziali al proprio scopo, trascurando tutto il resto, con processo sempre insito nell'espressione estetica, ma forse non mai così evidente come in questo e in altri momenti primordiali dell'arte che ne derivano la propria forza. Nelle imposte di bronzo della cattedrale di Hildesheim poco conta che i corpi, i panni e i moti siano tanto lontani dall'ordinaria ragionevolezza, trascendendo i termini tenuti da un'arte più matura: essi estrinsecano intensamente ora l'atto imperativo del creatore, ora lo slancio reciproco di Adamo e di Eva, come gli altri affetti. Così, altre opere romaniche - dalle porte di bronzo del S. Zeno di Verona a quelle di Bonanno Pisano, dai rilievi del duomo di Modena a quelli di Moissac e di Autun - mostrano diffuso e perenne nella scultura lo stesso modo, cui si possono trovare lontane tradizioni, discendendo esso da quello delle miniature e degli avorî dei secoli IX e X, benché nell'età romanica riapparisca come nuovo.
Nel modo ornamentale, che presto si diffuse anche per l'azione della pittura e della miniatura, la scultura si subordinò più strettamente all'architettura, come più sensibilmente è visibile nelle figure addossate a stipiti e a colonne, dalle cattedrali emiliane a quelle di Corbie e di Chartres; ma anche fuori delle costrizioni architettoniche essa sottopose le forme - nelle proporzioni, nei moti, nei particolari - a una trascrizione ornativa, apparentemente arbitraria, daterminata invece dall'imperante idealismo, e presto maturata in meditate raffinatezze mediante proprie virtuosità di tecnica, quali si veggono nei sottili manierati rilievi della cattedrale di Autun indugiare in trasparenze di vesti, in ornati ad alveoli, in arditissimi sottoquadri. Lo sforzo di esprimere l'intimo, la capacità tecnica esercitatasi nella maniera ornativa, e la ricerca - non mai tralasciata in qualche "scuola" romanica - di rappresentare con semplice chiarezza il rilievo, si conclusero nello stile dell'ultimo periodo romanico: vi sussistono ancora i rapporti che vincolano la scultura monumentale all'architettura, ma nelle figure pur strette alle colonne dei portali, nei rilievi serrati entro i timpani e dentro gli architravi - come nei "portali dei re" della cattedrale di Chartres, nelle sculture dell'Antelami a Parma - la vita interiore, altrimenti profonda e complessa che in passato, traluce in una forma già rispondente ai suoi varî moti; e per essa si attenuano i vieti convenzionalismi, pure persistenti nella loro funzione architettonica, il virtuosismo serve alla sensibilità dell'artista, il senso della massa si subordina all'espressione: sta per schiudersi l'arte gotica.
Anche nella scultura il rinnovamento fu attivo e quasi sincrono in diverse regioni: a una lenta elaborazione, durata per gran parte del sec. XI, succedette l'intensa operosità del sec. XII, distinta in molte scuole. Spesso è impossibile accertare, ora per la cronologia incerta, ora per le influenze trascorrenti, quali siano i rapporti tra i diversi centri di attività. Inoltre, alcune regioni inizialmente più attive poterono poi diventare tributarie di altre; e i contributi di qualche scuola, minori quando si cerchino tra le sculture in pietra, poterono invece essere fondamentali mediante altre opere, come per la Germania con gli avorî e coi bronzi, che certo concorsero molto al primo rinnovarsi della plastica. Restano perciò controverse molte questioni di priorità e di dipendenza; ma a riguardare nel complesso la scultura romanica ben si vede che alcuni paesi vi ebbero parte minore, quantunque con proprie varietà stilistiche, e su tutti sembra primeggiare per qualità di arte, accanto alla Francia, anche l'Italia, unita a quella da continui rapporti onde risorgeranno sempre i dubbî sulla priorità nell'una o nell'altra del rinnovamento e di qualche concetto poi fecondo di sviluppo.
In Italia, la scultura monumentale, movendo da un primo affermarsi di ricerca della plasticità, che si manifesta nell'incipiente rotondeggiare degli ornati dianzi appiattiti su fondo incavato (Aquileia, transenne del duomo; Zara, musco: transenne, anche figurate), proseguì nelle sue varietà più vigorose a esprimere con semplicità un senso plastico sempre più complesso, aliena nelle sue opere più originali da quelle stilizzazioni ornative che pur qua e là si propagarono dalla Francia (Modena, duomo: rilievo della Maldicenza; Capua: porta della chiesa di S. Marcello, ecc.). D'altra parte, essa subì tanti influssi esteriori, soprattutto di esemplari classici, che molte volte ne fu diminuita la spontaneità del suo sviluppo. Quegli svariati influssi - classici, bizantini, musulmani, d'oltralpe - furono tra i maggiori coefficienti del suo differenziarsi in scuole regionali, presto determinate anche dall'individualità degli artisti.
Lasciando le cose minori per ricordare quelle di data certa, per il sec. XI la nostra scultura ha monumenti di grande arte: il pergamo del duomo di Canosa, (v. pulpito, XXVIII, tav. CXVII), opera di un Accetto (circa 1041), raffinnata e salda nelle quadrature e negli ornati, ispirata all'arte bizantina e alla musulmana, ma con forte tempra romanica come poi la cattedra episcopale (1078-1089) dello stesso duomo; il portale del duomo di Salerno (1071-1085); la croce dell'arcivescovo Ariberto (1018-1045; v. ariberto, IV, p. 304) nel duomo di Milano, che, pur nel leggiero rilievo di piastra a martello, fa intravvedere un robusto semplificare la forma, ripreso con nuova ingenuità dalla tradizione degli avorî ottoniani; la tomba di Gasdia e di Cilla (circa 1096) nell'atrio della Badia a Settimo presso Firenze, con robuste cornici di tori e di ovoli. Intorno a queste, altre sculture, probabilmente del secolo XI, mostrano gli svariati caratteri già allora conseguiti dalla scultura romanica in Italia: le parti più antiche delle porte bronzee di S. Zeno a Verona, grossamente impressionistiche, sotto influssi germanici; le sculture del pergamo di S. Ambrogio di Milano; gli stucchi dell'oratorio di Cividale, la cui data è controversa tra il sec. VIII e il XII, largamente ispirati all'arte bizantina.
Già nel sec. XI si distinguono caratteri che si svilupparono nelle varietà regionali della nostra scultura, la cui attività si moltiplicò incessantemente dal principio del sec. XII.
La scultura " lombarda", o più propriamente dell'Italia settentrionale, accompagnandosi alla possente architettura "lombarda", è una delle varietà meglio individuate. Vi si possono rintracciare derivazioni da opere delle arti minori, riflessi bizantini e classici, complessi rapporti oltramontani; e nondimeno sembra mossa da una sua forza persistente: dal crescente senso plastico, prima laborioso nel definirsi, poi chiaro e consapevole, che subordina a sé ogni altro fine, e - dalle opere di Wiligelmo a quelle dell'Antelami e di Guido da Como - intende soprattutto a rappresentazioni semplici e forti del rilievo entro spazî ben circoscritti. Fino dai primi anni del sec. XII Wiligelmo, operando con un gruppo di suoi aderenti specialmente nelle cattedrali di Modena e di Cremona, affermò con grande forza quei caratteri. Era stato preceduto di lontano dagli intagliatori di avorio, e più da vicino dai fonditori di Germania; riguardava con attenzione qualche scultura classica; ma ebbe un senso suo proprio del rilievo, dello spazio, della narrazione: e nel duomo di Modena ideò in modo nuovo, poi ricco di conseguenze, la decorazione della facciata, dei portali. Tra i continuatori di Wiligelmo nelle cattedrali emiliane emerge Nicolao che ne temperò il rude contrasto d'incavi e di risalti con riduzioni di piani e con fusioni del rilievo e del fondo, nelle sculture della cattedrale di Ferrara (1135) del S. Zeno e della cattedrale di Verona, ampliando l'iconografia nella decorazione plastica delle facciate. Sopraggiunsero poi, nella scultura "lombarda", influenze dell'arte bizantina a renderla anche più sensibile al modellato pittorico: lo provano gli stucchi del ciborio di Civate (v.) e quelli, altrimenti robusti, del ciborio del S. Ambrogio di Milano, probabilmente della seconda metà del sec. XII, ma spesso attribuiti perfino al sec. IX. Analoghi impulsi venivano dai rapporti con la scultura provenzale, accertati dall'iconografia e dagli ornati in un'antica iconostasi della cattedrale di Milano e soprattutto nel "pontile" del duomo di Modena, le cui sculture pur contrastano sempre con le provenzali - di Saint-Gilles e di Arles - per plastica robustezza. Altri influssi giungevano intanto dalla Borgogna e dalla Francia settentrionale in cui si preparavano le forme gotiche: coi provenzali, si veggono alla fine del sec. XII, e al principio del seguente, nelle opere dell'Antelami, la cui potente individualità, trasfusa anche in alcuni seguaci, emerge per il deciso senso della struttura e dello spazio, per l'arte che tenta l'intimo pur trattenuta ancora dalla materia. Nella prima metà del sec. XIII i continuatori dell'Antelami, fino a Guido da Como e all'autore dei rilievi nell'atrio della cattedrale di Lucca, seguitarono a mantenere, modificandole variamente, le qualità della scultura lombarda, ch'essi avevano propagato anche a Venezia e nella Toscana, da ultimo non più capaci di ulteriori sviluppi dinnanzi all'arte di Nicola Pisano.
A Venezia la scultura romanica, componendo pittorici modi bizantini con la forte struttura lombarda, diede grandi capolavori nel sec. XIII soprattutto all'esterno del S. Marco, seguita da maestro Radoano nel portale del duomo di Traù (1240). In Toscana nella regione pisano-lucchese, dove furono numerosi gli scultori venuti di Lombardia, essa ebbe molteplici tendenze e forme: espressionistiche nelle singolari porte bronzee di Bonanno Pisano (v.); pittoriche, affini a quelle della scultura provenzale (e non senza dirette relazioni) nelle opere di Guglielmo (v.) e dei suoi continuatori; nella prima metà del sec. XIII, sottilmente raffinate tra l'azione dell'arte bizantina e dell'arte classica, in decorazioni del Battistero pisano; potentemente plastiche nei rilievi della cattedrale di Lucca, affini alla maniera di Guido da Como. A Firenze, e nella sua area artistica, breve e circoscritta, la scultura diede importanza minima al rilievo figurato, massima alla quadratura architettonica variata di tarsie marmoree, traendo modelli soprattutto da avanzi romani e riuscendo a euritmie di spazî che preludono al Rinascimento. Né altrimenti operò a Roma dove con più originale e intensa attività i marmorari romani, i Cosmati (v.), composero policromia e plastica architettonica, e ispirati a modelli classici modellarono qualche volta con largo stile figure di animali, come il Vassalletto nella cattedrale di Anagni, ma rimasero poi incerti sul termine del sec. XIII dinnanzi ai nuovi modi gotici e toscani, a stento imitati da Giovanni e da Iacopo di Cosmato.
Nel Lazio diverse sculture in legno, della fine del sec. XII e della prima metà del XIII, hanno rapporti con la vasta arte romanica, non con i marmorari di Roma, prodotte da intagliatori dell'Italia centrale tra influenze lombarde e bizantine e non senza risentire vivamente della plastica francese (Madonna nel museo di Alatri; Madonna di Antico nel museo di Palazzo Venezia; Deposizione del duomo di Tivoli, ecc.): il grandioso rudere di una statua di S. Paolo nella Basilica Ostiense già si collega all'arte di Arnolfo.
L'Umbria, più operosa delle Marche nella scultura, nel sec. XII e al principio del XIII ebbe una scuola distinta per il vigore plastico conseguito probabilmente sotto influssi monumenti antichi della regione particolari ornamenti, un senso classico di composizioni largamente spaziate, maggior chiarezza di rilievo, che tendeva al tutto tondo: ne è capolavoro la facciata del S. Pietro a Spoleto (v. animali nell'arte, III, tav. LXXXIX).
Nell'Italia meridionale e nella Sicilia l'età romanica anche nella plastica, come nell'architettura, fu il tempo di più alta e più diffusa attività. Vi operarono fattori esterni più complessi che altrove nel confluire di civiltà differenti dall'Oriente bizantino e musulmano, dalla Francia attraverso i Normanni. La scultura bizantina gettò riflessi per tutto: ha lasciato qualche traccia nella Sicilia, e le porte di bronzo di Amalfi, di Atrani, di Montecassino, di Monte S. Angelo; fornì stampi e modelli a Barisano da Trani per le imposte bronzee delle cattedrali di Trani, di Ravello, di Monreale. La scultura musulmana trovò tramiti per tutto, e fino nel più interno Abruzzo (Lecce, Ss. Nicola e Cataldo; Reggio, museo: stucchi; Moscufo, S. Maria del Lago, ecc.). Dove erano più frequenti gli avanzi antichi, specie nella Campania, essi portarono non soltanto a saltuarie imitazioni, ma ad uno stile classicheggiante. In molti luoghi penetrarono i modi lombardi, riconoscibili alla robusta semplicità plastica (Barletta, duomo: facciata; Trani, duomo: gruppo nel transetto, ecc.); in molte opere sono impronte e riflessi dello stile francese (Trani, duomo: porta maggiore; Capua, porta di S. Marcello, ecc.). Nondimeno, tanti elementi e influssi eterogenei, che qua e là appariscono isolati, vennero rifusi dagli artisti meridionali, la cui attività si differenziò in gruppi e in scuole diverse. Sono tra queste le più importanti la scuola pugliese e quella di Campania. Nelle Puglie, che già nel sec. XI avevano opere come il pergamo e la cattedra del duomo di Canosa, sul principio del sec. XII il portale del duomo di Troia mostra nelle sculture marmoree e nelle fantastiche imposte di bronzo l'originale unione di cose differenti che poi si ritrova in molte altre sculture pugliesi (Bari, S. Nicola: portale maggiore; pergamo del duomo di Troia, ecc.) e riesce a capolavori come la finestra absidale del duomo di Bari. Nel sec. XIII la scultura nelle Puglie, molteplice più di quanto qui non si possa ricordare, riguardò più intentamente gli esemplari antichi che l'antica terra apula restituiva numerosi: e fu tale rinascita di forme e di spiriti classici, dalle mensole della cattedrale di Ruvo alle sculture di Castel del Monte e poi al pergamo di Nicola di Bartolomeo da Foggia (v.) a Ravello (1272), da dare argomento alla supposta origine pugliese di Nicola di Pietro d'Apulia: Nicola Pisano.
In Campania e nella Sicilia il sostrato culturale e artistico, non meno complesso che nelle Puglie, era altrimenti graduato specie negli elementi musulmani: questi vi diedero alla scultura smaglianti colori mentre essa confermava i suoi intenti pittorici su esemplari classici e bizantini. Gli avorî intagliati ad Amalfi o a Salerno, dalla metà del sec. XI al principio del XII, dal cofanetto di Farfa al paliotto d'altare del duomo salernitano, rivelano una stragrande varietà di derivazioni ma insieme una plastica che va dal segno sommario e più espressivo a delicate finezze di piani, e opera su ricchissimi temi iconografici. Succedettero poi in Campania e in Sicilia altre raffinate complicazioni di forme che attestano la squisita cultura artistica più che la capacità di creazioni ingenue e potenti: negli amboni (circa 1181) della cattedrale di Salerno e della cattedrale di Sessa Aurunca, nei rilievi di S. Restituta a Napoli, già del sec. XIII, nel mirabile chiostro di Monreale (v). Ma superarono quella studiata finezza l'autore della porta bronzea della cattedrale di Benevento, con arte audace nel cercare espressione in forme sommarie, e gli scultori della "porta di Capua" (circa 1240) traendo da esemplari antichi una più larga maniera.
In Francia il sec. XI fu laborioso e arido nella scultura più che in Italia, benché si vanti già nel 980 la statuetta d'oro di S. Fede nella sua chiesa a Conques (Tolosa), rarissimo saggio delle molte opere in cui l'oreficeria, non meno che l'intaglio in avorio, precedette la plastica monumentale. L'architrave scolpito (1020 circa) della chiesa di Saint-Genis-des-Fontaines, nei Pirenei, retto soltanto da simmetria, è informe nelle figure e di rilievo appena accennato; né è probabile che risalgano alla fine del secolo stesso i capitelli dell'abbazia di Cluny (Museo Ochier), le cui stilizzazioni rassomigliano troppo a quelle diffuse nella plastica del sec. XII inoltrato. Sugl'inizî di questo, in alcuni rilievi del chiostro di Moissac e del S. Saturnino della vicina Tolosa, ispirati anche a sculture romane e bizantine, il modellato è semplice, a larghe masse; ma presto lo schietto senso plastico, che poi riappare ancora qua e là (nella lunetta del portale di S. Fede a Conques e altrove), fu subordinato alla decorazione, per certo sotto l'influenza della pittura. La scultura si volse ad accentuare sulla modellazione il disegno: mirava così a una propria altezza d'arte, non solo con l'innestarsi meglio nell'architettura, ma con una fantastica stilizzazione delle forme, delle proporzioni, dei moti appropriata a idealizzare tutto in modo più astratto da ogni comune realtà. Già nella prima metà del sec. XII tale processo è compiuto nelle grandi sculture del portale dell'abbazia di Moissac e in altre di Tolosa; si prosegue, forse col migrare di artisti dall'Aquitania, nelle sculture della Borgogna: nel portale di S. Lazzaro di Autun, in quello di S. M. Maddalena a Vézelay, per ricordare soltanto i monumenti principali, Nel Giudizio Universale di Autun, forse anteriore al mezzo del sec. XII, grande è la perizia dello scultore - un "Gislabertus" - nell'intagliare a tutto tondo e nel sovrapporre al rilievo la complicata trama lineare dei sottili panni; né vi manca la volontà di rappresentare l'intimo, anzi trova accenti violenti fino al macabro; ma su tutto domina lo scopo di decorare, che giunge ad adattare i corpi alle accidentalità dello spazio da riempire, ma è in funzione di un idealismo assoluto.
Nei cosiddetti "portali dei re" della cattedrale di Chartres, che si possono riferire alla metà del secolo XII, quelle qualità si attenuano, pur persistendo, nelle figure addossate alle colonne (così nelle statue di Salomone e della regina di Corbeil), e vaniscono nel Cristo benedicente della lunetta maggiore, cedendo a nuovi scopi, di struttura retta da altra energia spirituale, che determinarono lo stile gotico, quale si svolse nella seconda metà del sec. XII, tra il lento dileguare dei modi romanici.
Molte varietà di gruppi e di scuole vi furono nella scultura francese unite da continui rapporti, ed è ancora controversa la loro reciproca situazione, soprattutto per l'incerta cronologia: si discute se nelle distrutte sculture dell'abbazia di Saint-Denis, supposte del tempo dell'abate Sugero (circa 1145), vi siano influssi di quelle di Saint-Gilles, in Provenza, o se queste non derivino da quelle, come qualcuno afferma. In modo particolare si distinguono la scuola d'Aquitania (a Tolosa, a Moissac, a Souillac, ecc.), con le sue propaggini in Spagna; quella di Borgogna, che sembra derivarne e svilupparne i caratteri (Autun, Vézelay, ecc.); la scuola che coprì di folte e rudi sculture la facciata di Notre-Dame a Poitiers e della cattedrale di Angoulême; la scuola provenzale, cui le insistenti influenze dei monumenti classici della regione, e specialmente dei sarcofagi cristiani, diedero ampî partiti nella decorazione architettonica, come si vede soprattutto nella facciata della cattedrale di Saint-Gilles, e attenuandovi i convenzionalismi ornamentali appresero una maniera rapida e pittorica. Di questa si trovano riflessi non soltanto in Francia (Autun, Museo lapidario: frammenti della tomba di S. Lazzaro), ma fino a Pisa e a Lucca, e, per il diffondersi dell'arte romanica nell'Oriente latino dei crociati, anche in Palestina. È probabile che il capolavoro della scuola provenzale - la facciata di Saint-Gilles, di certo antecedente quella di S. Trofimo d'Arles - non sia di molto posteriore alla metà del sec. XII anche per i suoi rapporti con l'arte dell'Antelami e degli scultori del duomo di Modena.
Alla Spagna settentrionale si potrebbe attribuire la prima iniziazione della scultura monumentale in Francia, attraverso la scuola d'Aquitania, se fossero certamente della seconda metà del sec. XI i capitelli e i rilievi del chiostro di S. Domingo di Silos nei quali al rinnovato senso del volume già si sovrappone la trascrizione ornativa in modi affini alle sculture di Moissac e di Tolosa, procedendo dall'opera degl'intagliatori di avorio (arca di S. Millàn de la Cogolla; Crocifisso di León, ora a Madrid, ecc.). Poi nella cattedrale di Santiago de Compostella una parte delle sculture della porta "de las Platerías" ha non dubbie relazioni con sculture del S. Saturnino di Tolosa; e mediante i continuati rapporti con la scultura francese si spiegano le diverse fasi della scultura romanica in Galizia, nelle Asturie, in certi caratteri particolari: nelle cattedrali di Toro, di Zamora, a S. Maria Real di Sangüesa, a S. Martino di Segovia, a S. Vincenzo di Ávila, nelle chiese di Armentia e di Estella, nella "Camara Santa" di Oviedo e nel "Pórtico de la Gloria" a Santiago per ricordare alcuni dei monumenti principali. In Catalogna s'intravvedono rapporti con la scultura lombarda e con la provenzale nelle sculture della facciata di Santa Maria di Ripoll, del chiostro della cattedrale di Gerona, della cattedrale di Tarragona.
Le isole britanniche furono partecipi della scultura romanica prima dell'invasione normanna: avevano opere della plastica irlandese e anglosassone che potevano contribuire forme e vigore al nuovo stile, come le croci istoriate di Ruthwell e di Bewcastle, attribuite ora al sec. VII, e ora al XII per l'ingenua forza del rilievo; inoltre, la miniatura inglese, già nel sec. X, pareva preparare le più audaci stilizzazioni lineari romaniche, svolgendole originalmente dalla tradizione carolingia. Dopo la conquista normanna, mentre la scultura era poco operosa in Normandia, si moltiplicarono svariate relazioni sculture dell'abbazia di Malmesbury, delle cattedrali di Rochester, di Ely, di Lincoln sino ai frammeuti conservati nella biblioteca della cattedrale di Durham e nel museo di York, già prossimi all'arte gotica; ma questi e altri minori monumenti superstiti non consentono di attribuire alla scultura delle isole britanniche quell'importanza nelle vicende della scultura romanica che la miniatura inglese esercitò in genere nello stile romanico oltramontano.
La Germania invece dovette avere parte preponderante nel periodo romanico iniziale con opere che vi saldano vitalmente l'arte del sec. XI a quella dell'antecedente età ottoniana trasformandone in modi originali le tradizioni: né che ciò sia avvenuto piuttosto nella plastica in metallo o in avorio che nella scultura monumentale in pietra può diminuirne il merito. L'altare d'oro di Enrico II (-1024), ora a Parigi nel museo di Cluny, come gli avorî attribuiti anche a intagliatori di Milano (ora nei musei di Monaco, di Berlino m in altre raccolte), rivelano un poderoso sentimento plastico che poté avere influenza anche sul formarsi degli scultori lombardi; le porte (1015) e il candelabro di bronzo del duomo di Hildesheim, come poi le porte di bronzo del duomo di Augusta, mostrano quanto quella forza plastica fosse pronta a piegarsi per cogliere vivamente l'espressione. Ma la scultura monumentale non ebbe durante il secolo XII un'originalità degna di quei principî: spesso, non senza diretti rapporti con la scultura lombarda (Quedlingburg, capitelli; Ratisbona, decorazione esterna di S. Giacomo; ecc.), insistette in una maniera semplice e robusta come nella lunetta di S. Cecilia a Colonia, negli stucchi di Gernrode e di Klostergröningen (Berlino, museo), in una lunetta del museo di Würzburg; o s'ispirò a sculture francesi (Extersteine, grande Crocefissione rupestre; Erwitte, chiesa: San Michele, ecc.). Poi, gli stucchi della cattedrale di Hildesheim e di Nostra Signora di Halberstadt, in cui la sodezza romanica già si scioglie in ritmi di linee gotiche, ritrovano in altri modi l'impeto di espressione proprio del periodo iniziale, e intensamente tedesco.
In tutte le altre regioni romaniche la scultura ha lasciato sue varie tracce: in Svizzera (Basilea, cattedrale; Neuchâtel, cattedrale; Münster, San Giovanni; Zurigo, cattedrale, ecc.); in Austria (Salisburgo, museo: lunetta; Vienna, S. Stefano); in Ungheria; nei Paesi Bassi (a Gand, a Maastricht), nella Scandinavia, con diversa derivazione dai suoi centri maggiori.
La pittura. - A guardarne l'insieme, trascurando sfumature e contraddizioni, nella pittura si possono distinguere due grandi zone le cui differenze, insistenti ma non sempre in assoluta opposizione, sul finire del sec. XIII riescono a una propria antitesi, tra la pittura gotica e quella di Giotto. Una zona - l'Italia, e meno fortemente qualche regione vicina - gravita intorno all'arte bizantina; l'altra zona, estesa dalla Catalogna alla Norvegia, non esente da somiglianze e da relazioni con la prima, appartiene all'orbita più originale dell'arte romanica e prepara la pittura gotica.
In Italia, dal sec. XI al XIII non mancarono centri di attività che affermarono nella pittura caratteri proprî ed ebbero momenti di alto potere creativo, da Montecassino a Roma alla Toscana alla Lombardia; e bisognerà riconoscerne le differenze, le relazioni, e quell'individualità che apparisce assai prima della fine del sec. XIII, quando si manifesta più altamente con Cimabue a Firenze, con P. Cavallini a Roma, con Duccio a Siena. Ma non si possono disconoscere anche nelle opere più singolari della pittura romanica italiana, come gli affreschi delle storie di S. Clemente e di S. Alessio nella Basilica celimontana di Roma, le relazioni con la pittura bizantina: esse in altre opere formano sostrato a uno stile che si può ben dire "italo-bizantino", in altre si affermano con tanta forza e purezza da non lasciar distinguere - nei musaici di Sicilia e di Venezia - la parte degli artisti italiani da quella dei bizantini, e da ultimo sono la base su cui sorgono a modi proprî Cimabue, il Cavallini, Duccio e infine, spiccandosene, Giotto medesimo.
La pittura bizantina, con scolastico semplificare presentata come intenta soltanto al colore, era invece molto complessa non pure per la vastità della sua area con centri diversi, o per varietà di tendenze, che vanno dall'"illusionismo" delle miniature auliche alla maniera piatta delle miniature popolari, dell'arte copta e dell'armena, ma nei suoi capolavori del secolo VIII al XIII (musaici di Damasco, di S. Sofia a Costantinopoli, di Dafni presso Atene, ecc.), per svariati temperamenti di qualità plastiche e cromatiche, lungamente elaborati, e sublimati in formule. Essa così poté dare impulsi, in Italia, o anche germi, a molti diversi sviluppi: al più comune convenzionalismo bizantineggiante, che ne adottò le formule, impoverendole di significato, o sovrapponendole ad altri intenti (Roma, affreschi del secolo XIII nell'oratorio dei Ss. Quattro Coronati; Anagni, duomo: parte degli affreschi della cripta, ecc.); al colore in funzione di forma dell'arte del Cavallini e di Duccio; al disegno e al rilievo di Cimabue. E perché aveva sempre coordinato i suoi mezzi al fine d'istoriare con semplicità, con chiarezza, e con drammatica commozione, anche coi suoi schemi iconografici operò sulla pittura in Italia e non fu assente al formarsi dell'arte di Giotto.
Pure, l'accertamento delle influenze bizantine sulla pittura in gran parte d'Italia troverà sempre contraddittori, intenti a valutare invece le forze che naturalmente le contrastavano, a Roma, in Toscana, nell'Italia meridionale; lo si ammette, nondimeno, per solito con larghezza rispetto ai monumenti superstiti in Sicilia e a Venezia, le cui relazioni con l'Oriente bizantino sono più innegabili. In Sicilia i musaici del sec. XII e XIII a Palermo (v.), a Monreale, a Cefalù, e fin quelli del principio con purezza, e sovente raggiungendo nel modo più alto il loro scopo, i modi bizantini nell'iconografia, nei convenzionalismi e nel complesso stilistico; né è facile sorprendervi volute deviazioni. A Venezia, e nella sua regione, i musaici di Torcello, di Murano, di Trieste sono vigorose propaggini della pittura bizantina; della quale i musaici della Basilica Marciana, dalla fine del sec. XI al XIV, rispecchiano molte varietà, modificandole sempre più sensibilmente nel sec. XIII fino a quel musaico della facciata (1275) in cui s'intravvede tra le derivazioni bizantine una nuova maniera lineare, certo di artefici veneziani.
Ma influssi bizantini operarono anche dove la pittura vi fu soggetta meno immediatamente e poté assumere forme più originali. Tra queste, di tratto in tratto rivelate soltanto da qualche grande monumento, sugl'inizî del sec. XI sono gli affreschi dell'abside di S. Vincenzo a Galliano presso Cantù (circa 1007), in Lombardia, distinti per energico senso plastico e per grandiosità monumentale in uno stile a cui contribuirono riflessi della miniatura germanica del secolo X nel forzare movimenti ed espressione, l'arte bizantina nel colorito, probabilmente la contemporanea pittura romana anche nell'iconografia. A Roma si affermava nel secolo XI una scuola pittorica, preparata da remoti antecedenti nella decorazione monumentale, favorita dalla continuità di lavoro, dai grandi esemplari del principio del Medioevo osservati sempre meglio; e gl'influssi bizantini, che non mancarono, non ne sommersero le qualità. Ne sono capolavoro gli affreschi dell'antica basilica di San Clemente al Celio, ora sotterranea, eseguiti probabilmente fra il 1084 e i primi anni del secolo XII: storie di San Clemente e di S. Alessio, in cui sulla modellazione bizantineggiante attenuata si compongono sottili ritmi lineari. Ma l'attività della stessa scuola, dal secolo XI al XIII inoltrato, si riconosce in molti altri dipinti; su tutti, negli affreschi della chiesa di Sant'Elia presso Nepi - opera dei fratelli romani Giovanni e Stefano e del nipote Niccolò - e nel trittico del Salvatore nella cattedrale di Tivoli. Intanto, nei musaici che nel secolo XII ripresero a ornare le basiliche romane (San Clemente; santa Francesca Romana; Santa Maria in Trastevere, nella conca absidale) la pittura romana trovava una crescente fermezza di modellazione e ricchezza di colorito, volgendosi con fervido studio ai grandi monumenti musivi del principio del Medioevo.
Sembra superfluo, dinnanzi ai molti fattori di rinnovamento ch'erano in Roma, invocare una supposta influenza della pittura della Campania sulla scuola romana. La Campania nel sec. XI, e più intensamente nell'età dell'abate Desiderio (1057-1087) - poi papa Vittore III -, aveva un vivo centro di operosità a Montecassino e nelle dipendenti badie benedettine; ma il maggior monumento superstite della pittura campana, gli affreschi della chiesa di S. Angelo in Formis, appunto del tempo di Desiderio, non mostra particolari affinità con la scuola romana: come in altre pitture dell'Italia meridionale, dei secoli XI e XII, il linguaggio artistico bizantino che ne forma il fondo vi è modificato da un accento proprio, a violenti contrasti, che caratterizza la scuola campana.
Con la scuola romana ha relazione, per gli accentuati contorni, come per primo affermò P. Toesca, la croce dipinta da un Guglielmo, nel 1138, ora nella cattedrale di Sarzana, di certo una delle più antiche fra le grandi croci dipinte per le iconostasi delle chiese di Toscana e dell'Umbria. Ma, se impulsi poterono venire da Roma alla pittura in Toscana, quivi nel sec. XII e per tutto il XIII, fu grande fiorire di opere in diversi centri, a Pisa e a Lucca, a Siena, a Firenze dove qualità particolari individuano scuole diverse e già gli artisti, non più tutti anonimi - i Berlinghieri a Lucca, Enrico di Tedice a Pisa, Guido a Siena, maestro Còrso a Firenze - anche prima di Giunta Pisano, di Duccio e di Cimabue. Nel secolo XIII la comprensione sempre più intera della pittura bizantina non soltanto nel suo complesso di formule stilistiche ma nel suo spirito, ora classicamente composto, ora patetico, mantenne la pittura toscana fuori dell'orbita gotica, di cui soltanto qua e là risentì qualche azione. Intenta ad affermare la propria individualità di fronte alla stessa arte bizantina, la pittura toscana ne sviluppò in modo proprio così le tendenze plastiche come le qualità emotive: e dopo Giunta Pisano fu l'arte di Cimabue e di Duccio. Nello stesso tempo la larga conoscenza della pittura bizantina, attestata e superata in modi originali già nel secolo XII dagli affreschi di S. Pietro a Civate (v.), nell'Italia settentrionale portava agli affreschi della cripta del duomo di Aquileia, e a quelli del battistero di Parma; a Roma preparava Iacopo Torriti e la grande individuale arte di Pietro Cavallini.
Fuori d'Italia influssi bizantini furono intensi, come nella miniatura, nella pittura dei paesi germanici meridionali, a Salisburgo, a Ratisbona, mescolandosi in vario modo alla maniera più schiettamente oltramontana (e sono qui da ricordare gli affreschi della cappella di Castel Appiano, in Alto Adige, che segnano le relazioni tra la Germania e l'Italia attribuiti al sec. XII ma forse del XIII): essi si ritrovano diffusi un po' per tutto e più volte rinnovati, dalla Catalogna all'Inghilterra, ma più o meno sopraffatti da opposti intenti. Attiva per certo in ogni regione anche oltralpe la pittura murale non vi ha lasciato per tutto opere monumentali; nondimeno le sue vicende si possono seguire, riflesse e qualche volta anticipate, nelle copiosissime opere della miniatura. La quale nei manoscritti germanici della fine del sec. X ha le forme compatte, i raccolti moti, le intente espressioni che si veggono negli affreschi delle chiese di Oberzell a Reichenau e di Goldbach, del principio del sec. XI, e ne salda i rapporti con l'arte dei secoli IX e X; nei manoscritti inglesi della stessa età procede dalle tradizioni carolinge a stilizzazioni lineari che antecedono quelle della pittura del sec. XII; in manoscritti catalani e aquitani del sec. XI, francesi e tedeschi del XII, ha paralleli alle non numerose opere che ancora restano della pittura murale. In questa, a riassumerne la linea saliente di sviluppo, come nella miniatura, dal sec. XI al XIII, si vede prevalere sulla visione ed espressione plastica una maniera che attenua il rilievo, dà sempre maggior valore alle linee di contorno componendole su modi ornamentali, si conclude infine nello stile gotico (v. gotica, arte).
La Spagna settentrionale e in particolare la Catalogna hanno affreschi, e anche tavole - paliotti d'altare -, in cui codesto stile ornamentale, nel sec. XII pur non giunto ancora all'assoluta rinuncia del modellato, già sembra senza residui realistici di accenni alla profondità e al rilievo: anche gli elementi bizantini, che non vi mancano, vi sono soverchiati e trasformati in audaci trascrizioni ornative che nella calligrafia delle spiccatissime linee di contorno e nel contrasto forte di toni staccati trovano mezzo a fantastiche trasfigurazioni e a geniali adattamenti alla decorazione architettonica. Sono tra le maggiori rivelazioni della scuola catalana gli affreschi delle chiese di S. Clemente e di S. Maria di Tahull (v. catalogna, IX, tav. CXXXVIII), e altri ora raccolti nel museo di Barcellona, mentre gli affreschi della fine del secolo XII nella cappella reale di S. Isidoro a León, e quelli di S. Baudel de Berlanga mostrano con meno forza e con minore purezza, le stesse tendenze. Erano, queste, comuni per tutto nella pittura oltramontana, se pur variamente contrastate e modificate: si veggono, per ricordare alcuni dei principali monumenti, negli affreschi della chiesa di Saint-Savin-sur-Gartempe, forse del principio del secolo XII; in quelli della chiesa di Berzé-la-Ville, in Borgogna, più penetrati d'influssi bizantini e perciò di maniera meno lineare; in Inghilterra negli affreschi della chiesa dell'abbazia di St. Albans e della cattedrale di Canterbury; in Germania nei dipinti della chiesa di Schwarzrheindorf, del duomo di Gurk, delle chiese di Soest e di Goslar, nelle decorazioni del soffitto di S. Michele a Hildesheim, e anche in dipinti su tavola, quali si vedono a Berlino, museo: trittico; a Firenze, Museo Nazionale: Madonna, ecc.
Dove i monumenti superstiti siano meno rari, così per la Catalogna nel sec. XII come per la Germania nel sec. XIII, tra le comuni tendenze romaniche emergono caratteri particolari a diverse scuole, determinati da diversi fattori, tra cui è sempre principale la varia influenza bizantina, e quasi sempre confermati dallo stile delle miniature prodotte nello stesso ambiente.
Le arti minori. - Le arti minori accompagnarono concordi le maggiori, improntando il potere creativo romanico fino dove l'arte si confonde con l'industria, e rivelandolo in aspetti imprevisti con multiformi prodotti. Avevano loro officine più attive nei monasteri, come dimostra anche il prezioso trattato Schedula diversarum artium di Teofilo (se pur questi non sia da indentificare col monaco e orafo Roggero di Helmershausen); ma erano esercitate largamente da laici. Se alcune, per i loro particolari procedimenti tecnici, come l'arte delle vetrate e l'oreficeria, si possono supporre appartate in proprie tradizioni, e altre sono invece più legate alle sorti delle arti maggiori, come l'intaglio in legno o la plastica in stucco, tutte furono congiunte nell'unità dell'arte romanica: e qui, lasciando le particolarità già accennate in altri luoghi (v. avorio; bronzo; legno; ecc.), giova porre in evidenza soltanto quei loro rapporti, o come l'una integri le vicende dell'altra, e tutte concorrano a compiere l'aspetto dell'arte romanica.
La miniatura, favorita dalla crescente produzione di manoscritti, ebbe i suoi centri maggiori presso gli scriptoria più attivi: portata per sua natura a ripetersi, vi si costituì qua e là in scuole che mantennero a lungo e svilupparono certi caratteri proprî, qualche volta incitando la pittura e la scultura, anche con il loro repertorio iconografico. In Italia già nel sec. XI vanno più chiaramente distinte la scuola lombarda, nei suoi disegni a penna e a tinte piatte (codici di Warmondo nella cattedrale d'Ivrea, ecc.); la meridionale, che ebbe stretti contatti con la pittura bizantineggiante; la scuola umbro-romana, le cui opere hanno frequenti paralleli nelle pitture del sec. XII dell'Italia centrale. Nel sec. XIII in Italia la miniatura più che la pittura risentì dello stile gotico, propagato facilmente dai codici miniati oltralpe; ma in gran parte, e fino al principio del Trecento, seguitò ad attenersi ai modi bizantineggianti, svolgendoli nei molti manoscritti ornati a Bologna, e in altri che riflettono in vario modo le qualità della pittura a Siena, a Firenze, a Roma.
In Inghilterra la miniatura inizialmente ebbe singolare originalità riprendendo già nel sec. X esemplari carolingi e traendone proprie energiche stilizzazioni del movimento e della forma in una convulsa maniera lineare (mss. della scuola di Winchester); nel secolo XII, insinuò nel tortuoso e spiccato disegno cenni più consistenti di modellazione, un colorito steso e brillante, in opere che sono i capolavori dello stile ornamentale della pittura romanica e ne mostrano tutti i rapporti d'idealizzazione e di forma con la scultura. La Francia sembra non avere uguagliato, né per altezza d'arte, né per omogeneità di sviluppo, la miniatura inglese di cui risentì continuamente l'influenza; ma sono di singolare originalità le illustrazioni di un'Apocalisse proveniente dalla chiesa di S. Severo in Guascogna (Parigi, Bibliothèque Nationale), della seconda metà del sec. XI, perché la maniera a tinte piatte e a contorni vi è condotta a estremo sviluppo pur mirando a composizioni monumentali degne della pittura murale: una maniera che ha qualche rapporto anche con le miniature spagnole del sec. XI (Bibbia di Farfa; manoscritti dei commenti di Beato all'Apocalisse). Nelle quali si possono congetturare influssi dell'arte musulmana di Spagna, anche dei mozarabi (v.), intenta alle stesse riduzioni in contorni e in superficie. In Germania, e nei paesi a essa congiunti, la miniatura aveva grandi precedenti nell'età ottoniana, e ne seguitò da principio le tradizioni: come le miniature della scuola di Reichenau, quelle dell'Apocalisse di Bamberga, capolavoro del principio del sec. XI, in uno stile che si vale soprattutto dei contorni e delle superficie, includono ancora molti residui della miniatura classica e carolingia.
Poi si andò differenziando in diverse scuole, tra cui più importa di ricordare, per le relazioni con la pittura murale e per la forte influenza bizantina, quelle di Ratisbona e di Salisburgo, e fino nel sec. XIII la scuola di Turingia e Sassonia.
L'arte vetraria, che nelle vetrate dipinte offriva alla pittura nuovi incentivi alle sue trasposizioni della forma e del modellato in semplici contorni e in piani colorati, già da molto tempo in Italia ornava di colori le finestre; ma, a giudicare dai monumenti superstiti, si applicò prima oltralpe che in Italia a grandi decorazioni: le più antiche vetrate italiane dipendono dallo stile gotico oltramontano mentre in Francia - nella cattedrale di Chartres, a Saint-Denis - ne restano del sec. XII.
I musaici di pavimento (v. musaico) istoriati - più numerosi nell'Italia settentrionale, nelle regioni renane, nella Francia meridionale - a contorni e a tinte piane, per lo più a bianco e nero, sono da riunire a miniature e pitture dello stesso stile sebbene anch'essi fossero ispirati a esemplari classici, presenti in tanti aspetti all'arte romanica.
I tessuti, oggetto di continuo commercio col Levante bizantino e musulmano, furono mezzo frequente al propagarsi di remoti motivi ornamentali nell'arte romanica; diedero modello agli opifici occidentali che poi si distinsero per caratteri diversi: a Palermo, a Lucca, a Firenze, e in seguito oltralpe. Anche i ricami (v.), molte volte ispirati a stoffe orientali, presto riflessero in molte varietà la pittura e la miniatura romanica: per l'Italia, il manto imperiale di Enrico II (Bamberga, duomo) rammenta le miniature cassinesi già sul principio del secolo XI; i modi bizantineggianti e quelli della scuola romana della fine del sec. XIII si ritrovano nei ricami della cattedrale di Anagni; oltralpe, i ricami di Bayeux (biblioteca) e quelli in opus anglicanum, già volgente al gotico, diffusi in tutta Europa, e i ricami in opus theotonicum si accompagnano ai modi della miniatura in Inghilterra, in Francia e in Germania. Della ceramica, anch'essa tramite a remote influenze, sono incertissime le opere e le vicende, e non vanno delineandosi che dopo il sec. XIII.
Gl'intagli in avorio, così importanti a integrare la storia della scultura, furono uno dei più agevoli mezzi a scambî d'idee e di forme. In Italia, a riguardare quanto ne rimane, dovette esserne assai scarsa la produzione nei secoli XI e XII, quasi nulla nel XIII, benché il gruppo degli avorî di Amalfi e di Salerno sia copioso, bene individuato, ricco di rapporti con la plastica spagnola e bizantina, vigorosamente romanico. Fuori d'Italia l'intaglio in avorio ha rare ma preziose opere nella Spagna (arca di S. Millán de la Cogolla, crocifisso di S. Isidoro di León, ecc.), in Inghilterra; più numerose e concatenate nella Germania.
Gl'intagli in legno, sia in lavori di decorazione, sia in opere di plastica più pura, seguirono ovviamente nel repertorio di ornati e nella fattura lo stile delle diverse varietà regionali; pure, a volta a volta, vi aggiungono tratti nuovi, come attenendosi a loro particolari modelli: lo mostrano le sculture lignee della regione romana nei loro rapporti con la scultura francese (e tra altro la grande Deposizione del duomo di Tivoli che ha analogia non soltanto con la posteriore Deposizione del duomo di Volterra, ma con quella di S. Juan de las Abadesas in Catalogna), i crocifissi derivati in diverse regioni dal "Volto Santo" di Lucca, il crocifisso della cripta del duomo di Bologna nei suoi rapporti con la scultura francese della metà del sec. XII, le porte di S. Maria in Campidoglio a Colonia, del duomo di Spalato (1214), di chiese degli Abruzzi e di Francia.
Il bronzo fu la materia più docile a improntarsi ora della laboriosità con degl'impulsivi segni della scultura, specie nelle porte istoriate, in Germania e in Italia, a spiegarne tutta la fantasia come si vede nella vasca battesimale di Reniero di Huy a Liegi, in piccoli oggetti, nel candelabro della cattedrale di Gloucester (Londra, Victoria and Albert Museum) e infine in quello del duomo di Milano. E l'oreficeria, molteplice nei procedimenti e nelle opere, integrò in modo mirabile la complessa attività dell'arte romanica, negli smalti, nei nielli, nei lavori di rilievo, in composizioni variatissime di forme ornamentali e architettoniche: essa rivela meglio l'importanza di alcune regioni in quell'arte, e l'opera di artefici la cui azione si ripercosse potente nella produzione delle arti maggiori. Ogni sua tecnica durante l'età romanica fu trasformata da un potere creativo che l'adattò a nuovi intenti, e sovente l'adoperò a capolavori: lo smalto che, lasciata la tecnica ad alveoli solita agli orafi d'Italia bizantineggianti, unì ai rilievi il colore in audaci trasposizioni ornative, nelle opere renane e di Limoges; il niello, che nella trascrizione grafica delle forme riuscì dai primi modi romanici a quelli pittoricamente complessi di Nicola da Verdun nel suo capolavoro di Klosterneuburg; il rilievo, che nella seconda metà del sec. XII, nelle opere di Godefroi de Claire e dello stesso Nicola da Verdun fu a paro della scultura monumentale. (V. tavv. XI-XXVIII).
Bibl.: Si indicano qui soltanto gli scritti ipù importanti tra quelli di contenuto più vasto e alcuni dei più recenti, rimandando alla bibl. delle diverse voci per quelli più particolari intorno ai diversi rami dell'arte romanica e dei suoi artefici.
Sull'arte romanica, in genere e in particolare: J. Quicherat, Mélanges d'archéologie et d'histoire, Parigi 1886, p. 86 segg.; le storie generali dell'arte, fra cui, anche per la storia degli studî quelle di C. Schnaase (Geschichte der bildenden Künste im Mittelalter, II, 2ª ed., Düsseldorf 1871); di F. X. Kraus (Geschichte der christlichen Kunst, II, i, Friburgo in B. 1897); di A. Venturi (Storia dell'arte italiana, III, Milano 1904); di A. Michel (Histoire de l'Art, I, Parigi 1905); di P. Toesca (Storia dell'arte italiana, I, Torino 1913-26); di F. Burger, (Handbuch der Kunstwissenschaft, Potsdam 1913 e segg.); di M. Aubert (Histoire universelle de l'Art, I, Parigi 1932). E inoltre: E. Mâle, L'art allemand et l'art français au moyen âge, Parigi 1918; R. Hamann, Deutsche und französische Kunst im Mittelalter, Marburgo 1922.
Sull'architettura: G. Dehio e G. von Bezold, Die kirchliche Baukunst des Abendlandes, Stoccarda 1892; A. Choisy, Histoire de l'architecture, Parigi s. a., II; P. Frankl, Die frühmittelalterliche und romanische Baukunst, in F. Burger, Handbuch der Kunstwissenschaft, Potsdam 1926; T. Rivoira, Le origini dell'architettura lombarda, 2ª ed., Milano 1908; A. Kingsley Porter, Lombard Architecture, New Haven 1912: J. Strzygowski, Die Baukunst der Armenier und Europa, Vienna 1918; M. Salmi, L'architettura romanica in Toscana, Milano 1927; J. Puig y Cadafalch, La Geografia i els origens del primer art romànic, Barcellona 1930; J. Baum, L'architecture romane en France, 2ª ediz., Stoccarda 1928; R. De Lasteyrie, L'architecture réligieuse en France à l'époque romane, Parigi 1931; M. Aubert, L'art français à l'époque romane, ivi s. a.; V. Lampérez y Romea, Historia de la arquitectura cristiana española en la edad media, 2ª ed., Madrid 1930; G. Dehio, Geschichte d. deutschen Kunst, I, Berlino 1921: L. Gal, L'architecture religieuse en Hongrie, Parigi 1929.
Sulla scultura (oltre alle opere generali già citate, anche per bibl. particolare): E. Mâle, L'art réligieux en France au XIIe siècle, Parigi 1924; W. Vöge, Die Anfänge des monumentalen Stiles im Mittelalter, Strasburgo 1894; A. Kingsley Porter, Romanesque Sculpture of the pilgrimage Roads, Boston 1923; id., Romanische Plastik in Spanien, Monaco 1928; H. Focillon, L'art des sculpteurs romans, Parigi 1931; G. Dehio e G. v. Bezold, Die Denkmäler der deutschen Plastik, Berlino s. a.; E. Panofski, Die deutsche Plastik des XI. bis XIII. Jahrh., Monaco 1924; M. Salmi, La scultura romanica in Toscana, Firenze 1928; P. Deschamps, La sculpture française à l'époque romane, Parigi 1930; J. Baum, Malerei und Plastik des Mittelalters, Potsdam 1930; Prior e Gardner, Medieval Figure-Sculpture in England, Cambridge 1912.
Sulla pittura (oltre alle opere generali citate): P. Toesca, La pittura e la miniatura in Lombardia, Milano 1912; J. Wilpert, Die römischen Mosaiken und Malereien der kirchlichen Bauten vom IV. bis XIII. Jahrh., Friburgo 1917; J. Gudiol i Cunill, La pintura mig-eval catalana, Barcellona 1927; R. van Marle, Le scuole della pittura italiana, I, L'Aia 1932; G. Swarzenski, Die Salzburger Malerei, I, Lipsia 1913; H. Karlinger, Die hochromanische Wandmalerei in Regensburg, Monaco 1920.
Sulle arti minori: E. Molinier, Histoire générale des arts appliqués à l'industrie, Parigi 1896 segg.; Th. Bossert, Geschichte des Kunstgewerbes, V, Berlino 1932; P. Clemen, Belgische Kunstdenkmäler, Monaco 1923; A. Goldschmidt, Elfenbeinskulpturen aus der romanischen Zeit, Berlino 1926; id., Die deutschen Bronzethüren, Monaco 1926; A. Boeckler, Abendländische Miniaturen, Berlino 1930; O. von Falke e H. Frauberger, Deutsche Schmelzarbeiten des Mittelalters, Francoforte 1904.