SABEA d'Etiopia, Arte
Dal 1913, quando apparve la relazione della Deutsche Aksum-Expedition, fin verso il 1945, si conosceva la cultura sabea di Etiopia solo attraverso il tempio di Yehà, le sue poche iscrizioni, il suo fregio a teste di capra selvatica (ibex) e l'iscrizione di Cascasè. Tutto questo era già sufficiente per dimostrare che con scrittura, lingua e divinità simili a quelle dell'Arabia meridionale (v. sudarabica, arte), questa cultura poteva essere chiamata sabea. In seguito, oltre ai centri di Cohaitò, Toconda, Agula e Adule che, essendo con ogni probabilità databili alla nostra èra, non possono essere considerati sabei, gli studiosi italiani trovarono una iscrizione sudarabica a Der'a e scoprirono presso Cascasè due monumenti di grande interesse (oggi al Liceo di Asmara): un altare con iscrizione sudarabica ed una sfinge. A cominciare dal 1955, poi, la creazione di un Istituto Etiopico di Archeologia, con esperti francesi, ha portato alla scoperta di nuovi documenti, alcuni messi in luce casualmente durante i lavori agricoli ad Hawila Assaraw (a N-E di Makallè), altri provenienti dagli scavi archeologici nella zona dei villaggi di Melazò e di Haulti, a S-E di Aksum: si tratta di iscrizioni, altari, alcune grandi statue ed un trono scolpito, che sono pezzi di fondamentale importanza. Le tombe di Yehà hanno restituito sigilli in bronzo e la località di Matara ha dato un frammento di testa di statua.
Possiamo fin d'ora concludere che questa cultura si estendeva identica su tutto l'altipiano del Tigrè etiopico: si presenta in effetti in tre zone principali, disposte pressappoco a triangolo, e ciascuna con un importante sito archeologico sabeo. A N-E Cascasè forse con Der'a; a S-E una località che si deve ancora identificare nei pressi di Hawila Assaraw; a S-O, nelle vicinanze di Aksum, Yehà e Melazò.
Le iscrizioni ci documentano che "il mukarrib di Da'amat e Saba" regnò nella regione S-E e che il grande dio sabeo vi aveva un tempio. Un altro tempio era nella regione di Melazò, oltre al grande tempio, ancora in piedi a Yehà. Di Cascasè noi conosciamo un re, e l'altare che proviene da tale località è dedicato a Dhat Ḥimyam, altra divinità sudarabica.
L'identità dell'arte delle due regioni è chiara per quanto riguarda la scrittura, la forma degli altari e la statuaria. La scoperta a Matara, a S di Cascasè di un frammento di testa di statua identica a quella di Haultì prova che vi regnava la stessa arte.
Datazione. - Non sarebbe ammissibile datare i documenti etiopici diversamente dalle corrispondenti iscrizioni sudarabiche, perché si ritrovano nel Tigrè tutti gli stadi grafici attestati nell'Arabia meridionale tra il 460 ed il 300 circa a. C. L'iscrizione di Der'a, soltanto, è di poco posteriore, ma essa è isolata e di un cattivo stile. Il vaso iscritto del lago Tana è senza dubbio un oggetto importato, già della nostra èra. Per la statua da Hawila Assaraw sussistono dubbi perché non è certo che la base con grafia del 450 a. C. circa, le sia appartenuta; di una fattura più ruvida delle statue di Haultì, essa non deve pertanto esserne molto lontana. Lo scavatore di Haultì è stato in dubbio sulla data da assegnare al trono scolpito ed alle statue per il fatto che il luogo presenta un solo livello e vi si trovano figurine di epoca tarda. L'incertezza va eliminata, secondo noi, dalla constatazione che il luogo non è che un modesto rialzo, di tarda epoca, dove sono stati trasportati, quali offerte, oggetti presi dal loro vero luogo che resta ancora da scavare.
Lo stile delle lettere incise sul trono ed il fregio di stambecchi, caratteristici dell'arte sudarabica del V sec., ne assicurano la datazione. Le statue sono senza dubbio all'incirca contemporanee. Gli altari iscritti sono datati al V e IV sec. a. C. dalle loro grafie. L'iscrizione reale di Cascasè è più tarda, verso il 300; ma l'altare ha la grafia antica. Quanto alla sfinge, essa porta inciso un nome in una scrittura sabea aberrante; poichè l'altare porta anch'esso un graffito di reimpiego senza dubbio la stessa cosa può dirsi della sfinge. Sembra dunque che l'insieme di questi monumenti riguardino un periodo che va dal V sec. al principio del III a. C.
Architettura. - Dato che i monumenti trovati durante gli scavi di Haultì-Melazò non erano in situ nelle piccole costruzioni messe in luce, il solo monumento che resta è l'imponente tempio di Yehà che in epoca cristiana accolse una chiesa. L'edificio ha pianta rettangolare ed è accompagnato da iscrizioni del V sec. a. C. (m 18,66 per 15,02). I santuarî sudarabici più antichi sono ovali. Il più antico tempio rettangolare era ritenuto quello di Sirwah, ma esso non è paragonabile a quello di Yehà. Questo comprendeva una cella con quattro colonne che sostenevano un secondo piano, con due finestre in facciata. Gli archeologi tedeschi hanno supposto l'esistenza di una gradinata monumentale. Oltre alla pianta che non trova riscontro in alcuno dei templi sudarabici conosciuti, anche il modo di costruire i muri è differente. Essi si presentano con una doppia cortina di pietre da taglio mentre, nell'Arabia meridionale, tra le due cortine è ammassato materiale di riempimento. Ma la somiglianza con l'arte sudarabica è completa per quanto riguarda la tecnica del taglio delle pietre, grossi blocchi lunghi da uno a due metri accuratamente bugnati e divisi da listelli piatti. In più, il basamento è costituito da otto filari di pietre, un poco arretrati l'uno sull'altro così da assumere forma piramidale. Tutto questo è stato ritrovato dagli archeologi americani nel basamento del gran tempio di Marib (v.). Infine due frammenti di un fregio di teste di capra selvatica incastrati nel muro della chiesa attuale, attestano l'uso di questa decorazione di moda nell'Arabia meridionale.
Altari. - Come nell'Arabia meridionale, anche nella cultura sabea si trovano altari da incenso e altari da libagione. Ma, mentre il piccolo altare cubico manca qui del tutto, sono stati trovati altari da incenso più grandi che a Saba e di una forma (a piede troncoconico e sezione cilindrica) che non era finora documentata. Per le sue dimensioni e per la complessità della decorazione architettonica il grande altare ad incenso di Hawila Assaraw supera tutti i suoi simili dell'Arabia meridionale, della stessa epoca.
L'altare a libazione è composto di un piano con gronda, come nell'Arabia meridionale, probabilmente posato su di un zoccolo, oppure è un altare-bacino come quello di Cascasè, senza paralleli nell'Arabia meridionale, ma conosciuto a Meroe, dove esso è ornato dal segno ankh. L'altare di Hawila, il cui piano è una semplice lastra, è anch'esso simile ad una forma attestata a Meroe. Il bucranio che costituisce in Arabia la cornice di gronda degli altari o degli edifici è qui sostituito da una testa di leone. Questo tipo è attestato ancora tre volte come cornice di un edificio o di frantoio o di tavola di libazione. Ma questi documenti potrebbero essere di un'epoca più tarda del precedente. Uno proviene da Der'a, dove l'iscrizione trovata risale probabilmente al II sec. a. C. Gli altri due sono dai dintorni di Aksum (v.).
Scultura. - È rappresentata dalla piccola statua (m 0,46) di Hawila Assaraw, dalle grandi statue di Haultì (m 0,80), dal trono scolpito e dalla sfinge di Cascasè. Tutto questo insieme si differenzia ancora più nettamente dall'arte dell'Arabia meridionale.
Se facciamo astrazione da una serie di grossolane piccole figurine votive le quali, se pur non sono opera di falsari, non meritano il nome di arte, la statuetta seduta è rappresentata in Arabia da due buoni esemplari, dove il seggio è raffigurato come sulla nostra statuetta ma, al di fuori dell'atteggiamento generale, i tratti tipici delle nostre statue (teste intere con la rappresentazione della capigliatura, abiti ornati, frange, collane a contrappesi, coppe nelle mani o palme sulle ginocchia, lavorazione degli occhi) non vi si ritrovano.
Una statuetta sudarabica del Museo Nazionale Romano (n. 121.113), che differisce da tutti gli esemplari d'Arabia, si avvicina curiosamente alla grande statua di Haultì: lunga tunica a piccole pieghe, larga collana a pettorale e contrappesi. La sua iscrizione permette di situarla verso il 300 a. C. È questa una prova che la statuaria del Tigrè etiopico dipende dall'arte sudarabica? Sembra, al contrario, che questo unico esemplare d'Arabia, più piccolo, più povero di stile e un poco più tardo, sia un'imitazione del modello etiopico e non un prototipo. Tanto più che numerosi frammenti trovati a Haultì ed a Matara provano che le due statue di Haultì avevano anche altre repliche.
Il trono scolpito ha la forma di un baldacchino alto m 1,40 poggiante su piedi a zoccolo di bovide. Le due facce laterali portano due bassorilievi quasi identici; un fregio di stambecchi sdraiati, di profilo, corre sulle facce anteriori della pietra e sul bordo del baldacchino per riunirsi sul davanti, intorno ad un albero di vita. Questo fregio ed i piedi in forma di zampe di bovide, sono tipicamente sudarabici, ma il rilievo non trova repliche in Arabia. Infine la sfinge di Cascasè non ha niente in comune con grifoni o sfingi alate, di tradizione fenicia, che si trovano su alcuni rilievi sudarabici di epoca molto più bassa. Un fregio di protomi di sfingi trovato a Matara, benché certamente posteriore, prova che questo motivo della sfinge con collare era molto comune nel Tigrè.
Si è ammesso sin qui, secondo la tesi di C. Conti Rossini, che questa cultura antica dell'altipiano del Tigrè non era che un ramo diretto della cultura sabea dovuto a immigranti sudarabici. I nuovi documenti che ci mostrano un'arte strettamente legata senza dubbio all'arte S. di Etiopia, ma anche relativamente individuata e che non ha per niente i caratteri di un'arte provinciale, inferiore e subalterna, obbligano ad attenuare questo punto di vista. I caratteri specifici di questa arte porranno agli storici il problema delle sue connessioni con altre aree culturali.
Il personaggio maschile del trono, la sfinge accovacciata e senza ali, il collare a pettorale e contrappesi richiamano l'Egitto. Nei secoli immediatamente posteriori alla data dei nostri rilievi, vedremo a Meroe (v. nubia) questo stesso tipo di bassorilievo, piatto e lineare; vedremo regine sedute che somigliano alle nostre statue o che sono ritratte in atteggiamento di offerta agli dèi, come i personaggi femminili del nostro trono. Rivedremo questi occhi orlati di una fettuccia in rilievo con lunghe connessure, che evocano gli occhi dipinti degli Egiziani. I tipi di altare, come abbiamo visto, sono simili.
L'influenza dell'Egitto è resa ancor più verisimile dalla scoperta di due coppe egiziane di epoca saita insieme al ritrovamento di Hawila Assaraw. Ma d'altra parte, l'arte del Tigrè ha qualcosa di rude (nella sfinge, nelle gronde a testa di leone, nelle statue) che potrebbe essere riferito a un certo primitivismo, ma che evoca anche l'arte sirohittita, di poco anteriore (VII sec.), in cui si ritrovano gli stessi temi: leoni minacciosi, sfinge, dea seduta e reggente una coppa. È alla ricerca storica che spetterà di chiarire la portata di questi indirizzi e di interpretarli.
Arti minori. - Oltre ad un gruppo di gioielli ancora inedito, che fu trovato a Haultì, conosciamo dei suggelli di vasaio in bronzo. Essi sono semplicemente decorativi, oppure portano delle lettere: in tal modo alcuni possono essere attribuiti al periodo sabeo. Gli esemplari di Yehà (superiori ai due soli esemplari conosciuti d'Arabia meridionale) offrono delle stilizzazioni di forme animali. Ma si sono trovati anche a Yehà esemplari con lettere sudarabiche del periodo della decadenza o proto-geez, il che ci introduce nel problema del declino di questa cultura sabea.
Cos'è avvenuto nel periodo che separa la piena cultura sabea dall'inizio di una civiltà aksumita? Le tombe di Yehà mostrano l'apparizione di un nuovo tipo di scrittura a fianco della scrittura sudarabica. Altre località rivelano anch'esse una grafia sudarabica imbastardita (Dibdib) e che appare talvolta come proto-geez (Fiqya).
Non possiamo assegnare ancora con sicurezza oggetti scolpiti a questo periodo, eccetto una testa di sfinge molto rudimentale conservata al Liceo di Asmara. Località come Matara, dove il livello aksumita sembra giacere su un livello sabeo, aiuteranno forse a chiarire questo problema affidato ancora una volta agli storici.
Bibl.: D. Krenker, Th. von Lüpke, R. Zahn, Deutsche Aksum-Expedition, vol. II, Ältre Denkmäler Nordabessiniens, Berlino 1913; C. Conti Rossini, Storia d'Etiopia, Bergamo 1928; A. Davico, Ritrovamenti sud-arabici nella zona di Cascasé, in Rassegna di Studi Etiopici, V, 1946, p. 1-6; id., Ieha, Tsehuf Emni e Derà, ibid., 1947, pp. 12-22; Annales d'Ethiopie (pubblicati dalla Sezione di Archeologia del Governo Imperiale d'Etiopia), I, Parigi-Addis Abeba 1955; III, 1959; IV, 1962; V, 1964; H. de Contenson, Les monuments d'art sud-arabe decouverts sur le site de Haoulti (Ethiopie) en 1959, in Syria, XXXIX, 1962, p. 64-87; tav. V-VIII; J. Pirenne, Notes d'archeologie Sabéo-éthiopenne, in Annales d'Ethiopie, VI (in corso di stampa).
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