SASSANIDE, Arte
L'arte S. prende nome dalla discendenza di Sāsān, sacerdote del tempio di Istakhr e signore della Pèrside (Fars), un nipote del quale, Ardashīr Papakan, dopo aver capeggiato una rivolta di grandi proprietarî terrieri contro il re Artabano V, della dinastia degli Arsàcidi che deteneva da secoli il potere nel regno parthico, si impadronì del governo nell'Iran, fondando così la dinastia sassanide, che regnò sulla Persia dal 224 a circa il 641 d. C., cioè sino alla conquista araba. La rivolta aveva fatto leva anche su motivi di sentimento nazionale, essendo la dinastia parthica degli Arsàcidi sempre stata considerata come elemento straniero all'Iran. Per tal modo lo spirito nazionale iranico diviene fattore sostanziale della cultura sassanide. La posizione difensiva adottata dai Parthi (specialmente sulla frontiera occidentale, verso Roma) cedette il posto a una pressione politica e militare sempre all'erta che, insieme alla maggiore unità raggiunta internamente fra i grandi feudatarî e alla conseguente maggiore ricchezza economica, conferì ai sovrani sassanidi una nuova capacità di espansione. Ardashīir conquistò rapidamente la Mesopotamia e la Battriana; ma il nuovo impero non può considerarsi come continuità e un ampliamento di quello parthico, perché ebbe struttura e caratteri notevolmente diversi. Di contro alle relative autonomie cittadine e alla tolleranza del regno parthico, si costituisce ora uno stato rigidamente accentrato, con un'inflessibile autorità civile e religiosa che riconosce in Ahura-Mazdāh (v.) la suprema divinità e si regola secondo un fermo e minuzioso protocollo. La capitale viene stabilita a Ctesifonte sul fiume Tigri, cioè fuori dell'Iran, nella Mesopotamia. Ad Ardashīr, fondatore della dinastia, successe il figlio Shāpūr I (v.), che nel 260 fece prigioniero, presso Edessa, uno dei due imperatori romani regnanti, Valeriano, che era stato proclamato Augusto dalle legioni del Reno, mentre il figlio Gallieno era stato nominato dal Senato. Nel 272 l'imperatore Aureliano distrugge la città di Palmira (v.), dopo di che le relazioni con Roma si stabilizzano. Con Shāpūr II (309-379) l'impero sassanide raggiunge per secoli la sua massima estensione; ma dal punto di vista artistico l'apogeo dovrà esser probabilmente riconosciuto nei regni di Ardashīr II (379-383) e di Shāpūr III (383-388). L'epoca di Cosroe II (590-627) segna l'ultima punta della ricchezza e della potenza dei sovrani sassanidi i cui eserciti penetrano in Egitto e giungono sotto le mura di Costantinopoli. Quindici anni dopo la morte di Cosroe II, sarà il crollo.
Lo svolgimento dell'arte s. è già stato esposto in un paragrafo della voce iranica, arte al quale si rimanda e che qui si intende solamente integrare dando, da un punto di vista complementare, una caratterizzazione sommaria, che tenga conto anche di più recenti scoperte e riflessioni.
(Red.)
A) L'arte s. da principio eredita e sviluppa certi aspetti della tradizione parthica. Ma l'arte s. appare in Persia, nella stessa regione degli Achemènidi, dove si trovano anche i più importanti dei loro monumenti. Non conosciamo monumenti parthici in questa regione e non ne conosciamo che pochi in paesi iranici; ricordiamo tuttavia i rilievi rupestri di Tang-i Sarvak, nella Susiana.
Per chi abbia presenti le sale ipostile della Persepoli achemènide, le grandi vòlte a botte di Hatra di età parthica sembreranno straordinariamente ardite. A chi ricordi i bassorilievi persepolitani, accurati ma freddi e stereotipi, le composizioni dipinte o scolpite di età parthica, a Hatra o a Dura, sembreranno testimonianze di una sensibilità calda e nuova. Nella creazione di ambienti quali l'iwān (v.), con le novità nella copertura (la vòlta), nei materiali usati (stucco), e ancora nella statuaria, nel rilievo, nella pittura, l'arte parthica presenta senza dubbio le caratteristiche di un'arte singolarmente nuova e viva rispetto ai precedenti achemènidi. Che l'impulso a questa vitalità sia di origine greca è fuori di dubbio; ma che lo sviluppo dell'arte parthica sia stato, in seguito, originale e quasi rivoluzionario, è cosa che deve essere ugualmente accettata (v. parthica, arte).
Un primo punto da considerare è perciò il problema della relazione tra l'arte S. e il suo vigoroso precedente parthico. Importanti sono le novità che essa sviluppa. L'architettura a vòlta, inaugurata in epoca parthica, si trova arricchita fin dall'inizio del periodo sassanide della cupola su pennacchi, innovazione destinata ad una immensa fortuna sia nell'Islam che in Occidente. Il rivestimento di stucco lavorato, inaugurato in epoca parthica, diviene in età sassanide una vera tappezzeria, che copre interamente le pareti, innovazione che darà vita in parte alla decorazione monumentale dell'Islam.
L'arte s. sarebbe dunque solo una continuazione dell'arte parthica che, sia pure arricchita da innovazioni, ne conserva i tipi architettonici, i temi iconografici, il repertorio ornamentale, senza cesure e senza deviazioni sostanziali, segnando solo la nuova tappa di uno sviluppo continuo? Il solo formulare questa domanda può far intravedere la risposta. Perché, se è chiaro che sotto certi aspetti tipologici l'arte S. continua l'arte parthica, è chiaro anche che per altri aspetti non meno importanti, si allontana da essa. E i cambiamenti sono di quelli che determinano uno stile nuovo. Essi si colgono nella decorazione degli edifici e di altri manufatti, nei motivi decorativi così come nel modo in cui essi vengono usati, ed anche nella composizione di scene figurate.
La decorazione architettonica parthica era pseudo-classica, la decorazione sassanide non lo è più. Certo, un grande monumento sassanide a Ctesifonte mostra ancora una facciata ad ordini sovrapposti, di tradizione parthica. E ugualmente si trovano ancora a Bishapur, a Taq-i Bustan, in stucchi di diverse provenienze, le consuete serie di ovuli, di acanti, di pampini, di racemi. Ma già K. Erdmann ha osservato con ragione che questi elementi non svolgono che un ruolo secondario: ormai, nei suoi elementi sostanziali, il repertorio è derivato da quello dell'antico Oriente, e non solo i motivi figurativi sono orientali, ma anche il modo come essi sono impiegati.
Prendiamo come esempio di questo mutamento la incorniciatura di nicchie di Fīrūzābād (v.). Sappiamo dagli edifici di Dura e di Hatra, come erano fatte le incorniciature di porte o di nicchie dell'epoca parthica: profili, mensole, decorazioni ad ovoli o ad acanto, tutto era di tradizione greca, ed il solo problema che esse presentino è quello delle deformazioni subite dagli elementi classici. A Fīrūzābād, al contrario, la decorazione è egittizzante (v. vol. iii, fig. 859); ma non sono state certo le porte di Memfi o di Luxor che ne hanno fornito il modello, bensì le porte egittizzanti della Persepoli achemènide. Una differenza, tuttavia, rivela i tempi nuovi, l'arco sostituisce l'architrave: se così non fosse potremmo crederci in presenza di un monumento achemènide, proprio come aveva creduto il Dieulafoy.
Se da queste incorniciature noi passiamo ad esaminare la decorazione dei rivestimenti, che prendono ora, grazie allo stucco, una straordinaria estensione, troviamo usati la treccia, la rosetta, il fiore di loto, la palmetta, l'albero della vita, tutta una serie di vecchi motivi orientali. Sicuramente essi possono venire modificati e combinati in composizioni che l'antico Oriente non aveva mai conosciuto, ma ciò che importa è il fatto che la decorazione assorbe tutto, invade tutto, investendo anche elementi di origine greca: motivi di fregio, come il meandro, sono usati come decorazione di pannelli; la decorazione copre anche le colonne che, come quelle di Damgan, sono pilastri rotondi senza base, ornati di un motivo a palmette.
Nei rilievi rupestri, nelle arti minori, il cambiamento è altrettanto notevole. Sulle pareti del Taq-i Bustan (v.), negli stucchi, sui piatti d'argento, si ritrova il vecchio tema orientale della caccia e delle prodezze in cui si esibiscono i sovrani; motivi antichissimi mesopotamici riappaiono nelle oreficerie, ma è soprattutto nella composizione delle scene figurate che si osserva un cambiamento radicale.
L'arte parthica, interrompendo la tradizione dell'antico Oriente, aveva presentato i suoi personaggi in assoluta frontalità; ora l'arte S. abbandona a sua volta la tradizione parthica e ritorna a quella dell'antico Oriente.
Ritroviamo nei monumenti di Shāpūr I e di Bahram I, ancora compresi entro il III sec. d. C., lunghe file di cortigiani, di soldati, di offerenti, di prigionieri, tutti di profilo, come li possiamo vedere nei monumenti di Dario e di Serse; tuttavia lo schema di profilo nelle scene narrative, non è più nell'arte S. l'unico modo di rappresentazione, come prima, ma solo il modo predominante. Nelle rappresentazioni del re la composizione è frontale, cosa di cui non c'è esempio prima dell'arte parthica. La visione di profilo, usata con coerenza per il viso, non si estende, per esempio, al torso, per il bisogno di mostrare la seconda spalla (K. Erdmann, E. Will); si trovano a volte dei personaggi di tre quarti che camminano come sulla punta dei piedi: questi sono sicuramente imitati da pitture di tradizione ellenistica, e la loro strana andatura da danzatrici si spiega (E. Herzfeld) con una mal interpretata visione prospettica dei piedi che proiettano l'ombra portata (naturalmente assente in scultura). Anche il bisogno di mostrare la seconda spalla è verisimilmente un altro elemento di tradizione greca. Vi sono infine novità iconografiche che riguardano il costume e gli armamenti. Nelle scene di pompa il re è a cavallo, cosa di cui non c'è esempio nell'antico Oriente, dove il re è a cavallo solo nelle scene di caccia.
In base a quanto è detto sopra, si può attribuire all'arte S. la definizione di una rinascenza riferendola all'arte achemènide (v.) il cui sviluppo era rimasto troncato dalla conquista di Alessandro di Macedonia. Una tale definizione può sollevare obiezioni, osservando le profonde differenze che separano l'arte S. dall'arte achemènide. Si potrà obiettare che il palazzo sassanide nella pianta, nei materiali costruttivi, nella copertura, è tutta altra cosa dal palazzo achemènide. Si potrà dire che Ctesifonte con il suo iwān e gli ordini sovrapposti della sua facciata; Taqi Bustan, anch'esso con il suo iwān, la rappresentazione frontale della scena di investitura nel timpano, le sue Vittorie ellenistiche, non fanno che continuare la tradizione parthica. Si potrà sottolineare ciò che distingue la composizione sassanide dalla composizione achemènide, e cioè il motivo completamente estraneo all'antico Oriente e tutto di tradizione parthica, della rappresentazione frontale del re in trono, accettata dalla scultura e dalle arti minori sassànidi. Non solo si potrà notare tutto ciò che l'arte S. deve all'arte parthica, ma se ne metteranno in evidenza anche le innovazioni. Il costume, la pettinatura, le armi, non riproducono infatti per nulla quelle degli Achemènidi. Il repertorio ornamentale mostra un gran numero di motivi nuovi, come per esempio il drago-pavone (v. senmurv), la coppia di ali, il motivo a nastro, che sono caratteristicamente sassànidi. Ma una rinascenza non è tanto la resurrezione di una grande arte del passato, quanto, invece, una sorta di presa di coscienza in rapporto al passato, la libertà riconquistata, la riflessione critica ritrovata. E tutto questo si traduce prima di tutto in un cambiamento dei motivi decorativi, con deliberata derivazione dall'arte del passato di elementi del suo repertorio e di alcuni dei procedimenti di rappresentazione e composizione.
Il palazzo sassanide, coperto a vòlta, non risuscita il palazzo ipostilo degli Achemènidi, né rinuncia al suo piano e alla copertura a botte dell'iwān parthico. Non bisogua cercare i precedenti achemènidi nei particolari del costume sassanide, non più di quanto non si cerchino antecedenti antichi nelle manifestazioni del Rinascimento italiano. E anche se il drago-pavone sassanide è sicuramente imparentato con i grifoni dell'antico Oriente, anche se la coppia di ali è probabilmente derivata dal vecchio motivo egittizzante del disco alato, anche se il motivo a nastro è sicuramente uno sviluppo delle bande del diadema ellenistico, essi restano tuttavia elementi tipici del repertorio sassanide, così come mille motivi del Rinascimento europeo, siano essi di tradizione antica o gotica, non possono essere tuttavia detti né antichi né gotici, ma sono tipici del loro tempo.
È un cambiamento di questa specie che, secondo l'autore di questo articolo, si è prodotto nell'Iran nel secondo venticinquennio del III sec. d. C. L'Italia di questa rinascenza sarebbe stata la Perside: Persepoli, Naqsh-i Rustam, visibili allora nei loro monumenti come lo sono ora, hanno svolto una funzione d'ispirazione. La decorazione architettonica achemènide, sollevata anche al rango di arte "nazionale" (quale che fosse l'origine dimenticata dei suoi elementi), dovette colpire per la sua maestà e far apparire fuori moda la decorazione pseudo-classica parthica. La perfezione del rilievo di Persepoli fece risultare goffo il rilievo parthico. La formula achemènide del rilievo narrativo, perfettamente conseguente con le sue lunghe sfilate di personaggi di profilo come nel triplice trionfo di Shāpūr I, fece sembrare incongruente e barbara la formula parthica dei personaggi allineati frontalmente, occupati più dello spettatore che delle proprie azioni. E forse bisogna ricordarsi che non c'era stata statuaria achemènide per spiegare che quasi non esiste statuaria sassanide.
Nel suo eccellente libro sull'arte s., K. Erdmann aveva avvertito la natura di questo cambiamento. Egli nota tra l'altro la natura "achemenizzante" della decorazione del palazzo di Fīrūzābād. Commentando i rilievi rupestri di questa località trova in alcuni di essi legami incontestabili con i rilievi persepolitani, e riconosce in altri la rinascita del vecchio schema orientale del "gruppo antitetico". A proposito del rilievo di Bishapur, che rappresenta l'investitura del re Bahram I (273-276) da parte del dio, egli nota che le cavalcature dei due cavalieri sono a tal punto simili che sembrano riflettersi l'un l'altra in uno specchio, ed aggiunge che lo "stile araldico" (Wappenstil) tipicamente orientale non può spingersi più oltre di quello che vediamo in questo monumento. A proposito delle interminabili sequenze di personaggi di profilo che ornano i registri del grande rilievo rupestre di Bishapur, nota che simili processioni si trovano a Persepoli: tutte le sue osservazioni lo portano verso l'affermazione di una rinascenza, concetto che però egli non aveva formulato. Pur ammettendo la possibilità di reminiscenze achemènidi in questo rilievo di Bishapur (reminiscenze indirette, egli crede opportuno precisare) lo Erdmann preferiva riallacciare questo monumento alle colonne istoriate romane (v. colonne coclidi), colle quali si possono constatare somiglianze esteriori, ma anche profonde differenze (come la particolare messa in valore della figura a cavallo del sovrano). Ponendo poi l'accento piuttosto sulla profonda differenza fra l'architettura sassanide e quella achemènide, considera la parentela della decorazione solo un fenomeno superficiale.
È a questo apprezzamento che non sapremmo più sottoscrivere; perché un cambiamento che produce un allontanamento da forme artistiche che ieri si ammiravano, e porta a trarre ispirazione da forme che invece si evitavano, è un cambiamento ben profondo. Quand'anche esso investa, nell'architettura, la decorazione degli edifici, molto più che la loro struttura e, nelle arti figurative, i procedimenti di rappresentazione e di composizione, più che i temi iconografici, ci rivela un mutamento di sensibilità tale da giustificare uno stile nuovo.
L'arte s. è strettamente legata alla nuova dinastia, nei palazzi e nei rilievi della quale appare bruscamente; e quindi la rinascenza sassanide non è che uno degli aspetti e uno degli effetti della grande opera di restaurazione nazionale intrapresa dalla dinastia.
Va considerato poi che la rinascenza sassanide si riallaccia all'antichità orientale al di là di un periodo intermedio sottolineato, nel suo punto di partenza, dall'apparizione in Oriente dell'arte più raffinata del tempo, quella ellenistica. E che malgrado i fecondi sviluppi dell'architettura, la produzione parthica doveva apparire, per la maggior parte, come la messa in atto di mal comprese lezioni greche, ed è quindi proprio nel periodo più tardo di essa che noi troviamo spesso (Tang-i Sarvak, la stele di Susa) il più profondo decadimento.
Vediamo invece l'architettura sassanide rimettere in vigore la decorazione persepolitana, eliminando a poco a poco la decorazione ellenizzante dei Parthi; vediamo la scultura sassanide rinunciare alla statuaria, rifiutare l'obbligo alla frontalità, legge compositiva inderogabile dello stile parthico, ritornare alle regole stilistiche e in parte al repertorio artistico dell'antico Oriente: possiamo dunque dire di essere in presenza di un cambiamento importante, complesso e durevole nei suoi effetti.
L'arte S. è attualmente molto meno conosciuta dell'arte parthica. Gli scavi non ci hanno detto finora che assai poco. Molti monumenti sassanidi, sia dell'architettura sia delle arti minori, sono datati ancora in maniera incerta. Essendo così scarsa la documentazione, si potrà trovare arbitraria l'importanza qui attribuita alla decorazione egittizzante di gusto neo-achemènide di Fīrūzābād, mentre si assegna alla facciata di Ctesifonte solo il trascurabile ruolo di decorazione parthica attardata. Altrettanto arbitraria può sembrare l'importanza che si attribuisce alle scene di caccia di gusto neo-orientale delle pareti di Taqi Bustan (v.), quando si dà alla scena di investitura, nel timpano di questo monumento, solo il valore di una sopravvivenza, giustificabile, del resto, in una scena di questo genere, dove la rappresentazione frontale si adatta a rendere sensibilmente la maestà, la presenza del re o degli dèi. In ogni caso (almeno sino a che nuovi scavi non portino alla luce eventuali monumenti che le contraddicano) l'ipotesi "rinascimentale" sembra preferibile alle altre: a quella, per esempio, dell'influenza delle colonne istoriate di Roma e di Costantinopoli su certi rilievi sassanidi, o a quella che pone l'arte s. nella tradizione dell'arte greco-iranica del I sec. a. C., così come noi la conosciamo, particolarmente nella Commagene.
L'arte parthica si ispirava all'arte moderna del tempo, che era l'arte greca. Questo rapporto di dipendenza cessa con l'arte s., nella quale i motivi ellenistici sono solo delle sopravvivenze.
Quale che sia l'importanza del debito che l'arte S. ha con l'arte greca e parthica, essa segna definitivamente la fine dell'epoca ellenizzante nelle arti del Vicino Oriente.
(D. Schlumberger)
B) Se una rinascita achemènide è consapevolmente perseguita dall'arte s., non è men vero che essa sviluppò alcuni caratteri proprî e chiaramente distintivi e che, tra essi, anche riflessi del contatto col mondo ellenistico e romano trovano la loro efficacia. Non è da trascurare il fatto che, all'inizio della nuova dinastia, si trovano iscrizioni di Ardashīr I e di Shāpūr I che danno accanto al testo in lingua e in scrittura nazionale, anche il testo in greco. Né che migliaia di uomini provenienti dalle province romanizzate della Siria vennero trasferiti nell'Iran sia come pngionien di guerra sia come forze di lavoro liberamente ingaggiate e che tra questi certamente vi furono anche artigiani e artisti, sotto Shāpūr I, Shāpūr II, Cosroe I (531-578), i quali costruirono templi e palazzi; eseguirono mosaici pavimentali (v. shāpūr), modellarono stucchi e produssero tessuti, portando con sé esperienze tecniche ellenistico-romane, ma adattandole al gusto sassanide.
Caratteristica fondamentale dell'arte s. rimase sempre il contenuto di esaltazione del sovrano, che ha ricevuto investitura divina, o di glorificazione della ricchezza e raffinatezza delle casate signorili, i cui artigiani imitavano i prodotti delle officine regali. È dunque un'arte eminentemente aristocratica e, per questo, di carattere essenzialmente decorativo, le cui immagini hanno sempre un valore in certo modo simbolico-evocativo, non mai di realtà. Da ciò discende anche un altro elemento caratteristico: che non solo nei piatti in metallo prezioso, nei vasi, negli stucchi e nelle stoffe, ma anche nei grandi rilievi rupestri, intagliati sulla roccia viva delle montagne a celebrazione delle imprese del sovrano (e che dovevano avere una vivace policromia), anche là dove le composizioni sono più grandiose, esse rimangono sempre accompagnate da una minuziosa ricerca dei particolari decorativi, della eleganza (che si manifesta nel dettaglio delle vesti, delle capigliature, ecc.). Lo Herzfeld considerava l'arte s. dominata soprattutto da una visione pittorica, anziché plastica, e in contrasto con il plasticismo parthico. Ma anche l'arte parthica, a ben guardare, era dominata dal gusto per la linea che regge il contorno e determina il gioco del panneggio. Senza dubbio l'arte s. concepisce la bellezza essenzialmente come luce e come spazio e nasconde, per esempio, le strutture architettoniche sotto la policromia dei rivestimenti in mosaico di vetro, o in stucco, creando in questa direzione un significativo precedente del gusto bizantino.
Una tipologia caratteristica, preferita dagli artisti sassanidi è il cosiddetto "galoppo volante" (cfr. la gemma con Shāpūr I e Valeriano, vol. iii, fig. 1218). Anche questo schema iconografico è essenzialmente espressione di potenza regale e al tempo stesso, di eleganza, di valore decorativo-simbolico. (Si ricordi il motivo quasi identico che compare sui rilievi egiziani). Le figure lanciate in un moto idealmente rapidissimo, sono in realtà statiche, "come in un film bruscamente fermato" (Ghirshman). Questo stesso gusto e questa stessa staticità producono una serie di motivi ornamentali geometrici "senza fine" cioè ricorrenti all'infinito, che prevalgono nei tessuti e nei vasi. Uno di questi motivi tipici, desunto dall'arte parthica (e probabilmente derivato da un motivo di foglie d'edera quale lo si vede sopra un rhytòn di Nisa, v. vol. v, fig. 684-85) è l'ornamento a serie di "cuori", che si troverà introdotto in Occidente verso la metà del sec. IV (calendario di Filocalo e camera L della Nuova Catacomba di via Latina a Roma).
Gli Arabi, che distrussero l'impero sassanide, restarono colpiti dalla ricchezza e dal lusso dei palazzi sassanidi e ne conservarono l'eco per secoli nella loro letteratura. La produzione di vasi e di coppe d'argento continuò anche sotto la dominazione araba e motivi sassanidi penetrarono perfino nelle ceramiche dell'epoca islamica. (Una ripresa nazionale, a partire dal 747, sfocerà poi nel califfato abbaside). Profughi iranici si sparsero nell'Asia Centrale (Turfan, Khotan), dove la corrente manichea proseguì il rigorismo religioso iranico. I discendenti dell'ultimo re sassanide si rifugiarono in Cina, dove (fino all'VIII sec.) i motivi iranici ebbero voga, come si vede chiaramente nel tesoro di Shōsoion a Nara, in Giappone, dove era stato raccolto da un imperatore giapponese. Gli artigiani ambulanti e il commercio dei tessuti (specialmente sete); più tardi anche la traslazione dall'Oriente di reliquie cristiane che venivano avvolte in stoffe preziose (v. tavola a colori vol. iv, p. 208), recarono anche in Occidente motivi dell'arte sassanide. Se ne trovano infatti numerosi nell'arte copta (v.) e bizantina; ma giunsero anche sino alla ornamentazione "romanica" nell'arte europea dell'XI secolo. Plutei e formelle del Duomo di Sorrento mostrano derivazioni da stoffe iraniche, probabilmente diffuse dal centro mercantile di Amalfi; una seta del museo di Ravenna attesta l'imitazione di tali motivi nel Medioevo. L'oreficeria sassanide, riccamente policroma, troverà echi nell'arte merovingia e verrà imitata anche nelle oreficerie della regione di Minussinsk (v.) in Siberia. Ancora nei tondi smaltati della pala d'oro nella basilica di S. Marco a Venezia e nella croce di Theophanu (circa 1050) del tesoro della cattedrale di Essen (Renania settentrionale), si possono riscontrare motivi "persiani" che sono in realtà sassanidi. L'influenza della tipologia regale sassanide si riscontrerà anche nella raffigurazione della maestà del Cristo nel timpano della cattedrale di Moissac nella Francia meridionale (circa 1130). L'arte s., per quanto ancora non perfettamente conosciuta nel suo particolareggiato decorso, si pone come elemento di primaria importanza storica nel trapasso fra antichità e Medioevo.
Bibl.: (Da aggiungere a quella data alla voce iranica, arte): O. Falke, Kunstgeschichte d. Seidenweberei, Tubinga s. d.; E. Herzfeld, Am Tor von Asien, Berlino 1920; id., La Sculpture rupestre de la Perse sassanide, in Revue d. Arts Asiatiques, V, 1928, p. 129 ss.; R. Pfister, Gobelins sassanides du Musée de Lyon, ibid., VI, 1929-30, p. i ss.; id., Les premières soies Sassanides, in Etudes Orient. du Mus. Guimet, II, 1932, p. 461 ss.; M. S. Dimand, Sasanian Wall-decoration in Stuco, in Bull. Metrop. Mus., XXVI, 1931, p. 193 ss.; E. Kühnel, Ausgrabungen d. zweiten Ktesiphon-Expedition, Berlino-New York 1933; A. Christensen, L'Iran sous les Sassanides, Copenaghen 1936 (19442); K. Erdmann, Die sasanidischen Jagdschalen, in Jahrb. d. preuss. Kunstsamml., 1936, p. 193 ss.; id., Die Kunst Irans z. Zeit der S., Berlino 1943; C. Trever, Nuovi piatti s. dell'Ermitage (in russo), Mosca-Leningrado 1937; E. Herzfeld, Iran in the Ancient East, New York 1941; F. Volbach, Oriental Influence in the Animal Sculpture of Campania, in The Art Bulletin, XXIV, 1942, p. 172 ss.; G. Contenau, Arts et styles de l'Asie Antérieure, Parigi 1948; M. Bussagli, L'influsso classico e iranico sull'arte dell'Asia centrale, in Riv. Ist. Naz. Arch. St. Arte, N. S., II, 1953, p. 171 ss.; J. Ebersolt, Orient et Occident. Recherches sur les influences byzantines et orientales en France avant et pendant les croisades, Parigi 1954; U. Monneret de Villard, L'arte iranica, Milano 1954, p. 75 ss.; R. Ghirshman, Argenteries d'un Seigneur sassanide, in Ars Orientalis, II, 1957, p. 77 ss.; D. Schlumberger, Descendants non méditerranéens de l'art grec, in Syria, 1960, p. 131 ss.; A. Godard, L'art de l'Iran, Parigi 1962, pp. 193-280; R. Ghirshman, Parthes et Sassanides, Parigi 1962 (trad. ital. 1963); D. Schlumberger, Sur l'origine et sur la nature de l'art des Sassanides, VIII Congr. Internat. d'Archéologie Classique, Parigi 1963, Rapports, p. 187 ss.
(Red.)