Vedi SUDARABICA, Arte dell'anno: 1966 - 1997
SUDARABICA, Arte
1. - Inquadramento storico e influenze. - L'interpretazione di una cultura artistica e della sua storia è in rapporto diretto con la definizione di una cronologia. Ora, dalla fine del secolo scorso fino al 1950 circa, la concezione cronologica predominante fu quella, elaborata da E. Glaser e F. Hommel, che faceva risalire due dei grandi regni sudarabici (Ma῾īn e Qatabān) fino al XIII sec. a. C., mentre quello di Saba si sarebbe affermato a partire dall'VIII sec. a. C. Così si era portati a collocare l'arte S. antica in parallelo con l'arte assiro-babilonese e a mettere in rilievo i motivi che potevano avvicinarla a quest'ultima: stambecchi impennati, albero della vita, che si trova su dei sigilli e su un altare, o anche una specie di Gilgamesh (v.) coi leoni, rappresentato da un piccolo bronzo. Ma tutto il resto di questa cultura artistica restava senza confronti entro questo quadro cronologico, e si doveva concluderne che nell'Arabia meridionale si era sviluppata una cultura chiusa in se stessa e specifica.
I primi scavi, intrapresi nel 1927 dalla Caton Thompson nell'Hadramut (a Hureida) e da C. Rathjens e H. von Wissmann nello Yemen (a Huqqa) non confermarono affatto questo schema cronologico. Il contesto archeologico, a Hureida, non offriva niente di anteriore al V sec. a. C., benché gli oggetti ritrovati, per il loro stile e la loro grafia, appartenessero alla più antica fase sabea. A Huqqa, centro di epoca più recente, si riscontrò una visibile influenza ellenistica. La teoria di Glaser e Hommel continuava tuttavia ad essere considerata valida. Ma gli scavi americani cominciati nel 1951-52 nel centro di Timna῾, l'antica capitale del regno di Qatabān, hanno dimostrato fin dall'inizio l'impossibilità di questa cronologia alta. Invece di collocarsi anteriormente al regno di Saba, tra il XIII e l'VIII sec., l'apogeo del regno di Qatabān, attraverso la sua produzione artistica, si situava chiaramente in epoca ellenistica. Gli studiosi americani hanno quindi adottato una cronologia che può dirsi "media", datando ancora Saba a partire dall'VIII sec. a. C., ma ammettendo la coesistenza dei due altri regni, insieme a quello di Saba, in epoca ellenistica. W. F. Albright, dopo aver abbassato per tre volte la sua cronologia dell'ultima fase del Qatabān, ammette per ora che la fine della capitale, Timna῾, vada fissata al 10 della nostra èra. I bronzi di stile ellenistico che vi furono trovati sarebbero da datare tra il 75 e il 25 circa a. C. Si tratta soprattutto di leoni di bronzo cavalcati da fanciulli (v. vol. vi, figg. 1115, 1116) e inoltre di una statuetta di matrona seduta, che gli scavatori chiamarono lady Bar'at, dal nome della dedicante (ma è piuttosto da riconoscervi una immagine della dea alla quale era dedicata la statua).
Tuttavia, a partire dal 1954, I. Pirenne ha proposto una revisione generale della cronologia precedentemente ammessa. Sulla base del parallelismo tra lo stile della grafia sudarabica e gli stili successivi della grafia greca, nonché dello studio dell'evoluzione paleografica, dell'esame archeologico e di quello delle fonti greche che trattano dell'Arabia meridionale, l'autrice ha posto le basi di una cronologia "bassa", diversa da quella di W. F. Albright. Secondo tale cronologia, i più antichi monumenti sabei conosciuti fin qui non risalgono più indietro del V sec. a. C.
Se si ammette questa datazione, l'arte s. antica non appare più isolata e specifica: essa segue in primo luogo, visibilmente, l'arte persiana achemènide. Il motivo delle false finestre, impiegato appieno nella decorazione architettonica del tempio di Mārib (v.), scavato dagli Americani, la struttura, ad enormi massi disposti a paraste e bugne, come pure lo stile del bassorilievo, e perfino la tecnica delle opere di irrigazione, si ricollegano all'arte e alla tecnica della Mesopotamia persiana e non assira. L'esame attento dei motivi mesopotamici nell'arte s., mostra che essi corrispondono ad una interpretazione che ne era stata fatta a partire dal III sec., e che si ritrova in Fenicia: pinnacoli a gradini, rami di alloro, rosoni, grifoni e, invece dell'albero della vita, una palmetta.
Come datare l'arte di influenza ellenistica?
Gli oggetti di Timna', che Albright colloca nel corso del I sec. a. C., devono essere attribuiti al I sec. d. C. In effetti, un esame dei frammenti di ceramica di questo centro, quale quello dovuto all'esperto H. Comfort, come pure lo studio delle monete e quello delle fonti epigrafiche e letterarie, conducono ad ammettere che l'ultima fase di vita della capitale del Qataban si prolunga nel corso dei primi due secoli della nostra èra. Così il modello dei leoni in bronzo è sembrato doversi collocare intorno al 75 d. C., ciò che conferma l'analisi stilistica fattane da B. Segall. La statuetta di bronzo di lady Bar'at non sembra puramente ellenistica, ma trova il suo parallelo a Seleucia sul Tigri, in uno strato archeologico che si data al 100 circa d. C. Così si chiarificano l'epoca e le zone di influenza che determinano l'arte ellenistica del Qatabān.
Si arriva alle stesse conclusioni ove si esamini l'insieme della documentazione sudarabica e non più soltanto gli oggetti scoperti a Timna῾. Lo scavatore di Huqqa, Rathjens, ha tentato di presentare una sintesi della storia dell'ellenizzazione nell'arte s., ma lo stato presente della documentazione e delle ricerche ha portato a modificare alcune delle sue conclusioni. È nei primi anni della nostra èra che appare l'inizio di un influsso ellenistico nella statuaria e nella decorazione architettonica. Per quanto riguarda la prima, le statue di tre re successivi del piccolo regno di ᾿Awsān ci offrono un esempio particolarmente significativo: infatti, dal primo al terzo di essi, si osserva il passaggio dallo stile tradizionale ad un trattamento nuovo, ove l'influenza ellenica appare nell'introduzione della toga e del chitone, come pure nella cura dei particolari (calzature, capigliature). Ma la presenza dei baffi attesta che bisogna cercare il centro di questo influsso nell'arte parthica ellenizzata. Queste stesse constatazioni possono essere fatte a proposito di una serie di stele scolpite su cui appare (come speriamo di aver dimostrato) l'effigie di una dea (vedi sotto). Anche qui al tipo tradizionale succede, verso gli inizi della nostra èra, un modello più ricco di particolari (collana, braccialetti, tunica pieghettata, pettinatura a "boccoli"). In seguito, la statuaria tradizionale sembra essere abbandonata, mentre appare l'uso di statue in bronzo. Se la nudità ricorda in esse l'arte greca, i baffi, la capigliatura stilizzata e resa minuziosamente nei suoi particolari attestano che il modello, ancora una volta, derivava dalle regioni parthiche. Nell'architettura, si introduce la decorazione a tralci nel I secolo. Questa volta è in Siria che si possono riconoscere i modelli: tralci di vite semplici o a racemi intrecciati tra loro, o anche animati da piccoli personaggi o, infine, a protomi di animali fuoriuscenti dalle foglie. Il frontone con la dea di Mārib offre una doppia indicazione relativa alla cronologia e all'influsso: il grifone alato che vi appare, a testa di ghepardo e a coda di pesce, con il punto di giunzione nascosto sotto una cintura di foglie di acanto, combina con i modelli di tritoni, che ornano le vasche del tempio di Baalbek, nel II secolo. Il tralcio resta in uso sino alla fine dell'arte s., ma lo stile ellenistico dei primi due secoli si altera, e si fa luce una stilizzazione nuova: disegno sommario, solco lineare unito alla scultura, in cui il rilievo è ottenuto scavando profondamente il fondo (tecnica "a negativo"), ciò che crea forti ombre ed un risultato eminentemente ornamentale. Questo stile, che appare anche nell'arte copta del IV sec., annuncia l'arte bizantina. Il frammento di porta al Museo del Louvre ne offre un bell'esempio, interessante anche per la presenza di un medaglione ("testa d'angelo" fra due ali) che indica insieme l'età del monumento e gli influssi che vi appaiono.
In quest'ultimo periodo dell'arte s. si rivela, infine, un influsso indiano. Gli archeologi americani hanno trovato a Khor Rori (porto della costa dell'Oman) una statuetta di danzatrice di tipo puramente indiano. Ma anche in una lastra scolpita frammentaria (appartenente ad un collezionista di Zurigo), si può riconoscere l'influsso indiano nel personaggio femminile, mentre la composizione d'insieme del pezzo reintegrato e il personaggio nudo danzante sono da riaccostarsi a rilievi di Hadda (v.) o di Begram (v.) della stessa epoca.
La storia dell'arte s. termina con l'invasione persiana del 575 d. C., dalla quale il regno sabeo non ebbe il tempo di riprendersi prima dell'avvento e la penetrazione dell'Islam, che mise fine a questa cultura pagana e ne distrusse i monumenti. Per ordine del Profeta fu demolito il celebre palazzo Ghumdān dei re himyariti di Saba, di cui lo storico Hamdāni, nel X sec., descrisse il primitivo splendore.
Il numero ancora ristretto dei resti appartenenti a questi dieci secoli di storia sudarabica basta già a permettere di distinguere le tappe di questa cultura artistica e individuare gli influssi che su di essa esercitarono tutti i centri culturali ai quali era collegata da porti e vie carovaniere. Ci resta ora da esaminarne gli aspetti specifici.
2. - Architettura. - Le imponenti rovine dei più antichi monumenti che sussistono ancora risalgono al periodo dei "mukarrib" di Saba (V-IV sec. a. C.). Dopo aver realizzato l'unità politica delle tribù, essi intrapresero la costruzione dei grandi templi a Mārib e a Sirwah, e della gigantesca diga di Mārib, che assicurò la fertilità di un suolo ora invaso totalmente dalle sabbie del vicino deserto. Essa fu restaurata più volte nel corso dei secoli, e la sua rottura precedette di poco la sparizione della civiltà sabea. La struttura della diga, come la tecnica di irrigazione sudarabica, ricorda quella persiana achemènide: pietre da taglio enormi (da 1,50 a 2 m), messe in opera a paraste e bugne e unite senza cemento, ma talvolta con giunti metallici. I grandi templi sono costruiti con pietre simili, ma i muri sono a doppia parete, rinforzati ogni tanto da strati di pietre perpendicolari, con gli intervalli riempiti di terra e pietrame. Il muro di Mārib sarebbe stato alto circa m 9,50 e spesso da m 4,30 alla base fino a m 3,60 alla sommità.
A Sirwah come a Mārib l'ampia cinta più o meno ovale (che a Mārib aveva un diametro di circa 100 m) consisteva di muri senza finestre, coronata di un fregio a dentelli a dente di lupo o con stambecchi stilizzati. Era preceduta da un peristilio con enormi pilastri monolitici (da m 7,50 a 8), senza capitelli e muniti di grappe per la messa in opera degli architravi di pietra. A Mārib, innalzandosi il muro ovale, si aggiunse un ingresso porticato (verso il 325 a. C., data cui va attribuita l'iscrizione commemorativa).
Dai dati raccolti dagli archeologi americani, l'uso del capitello appare in due edifici assai prossimi al grande tempio di Mārib e che devono essere di poco posteriori ad esso. Nel tempio di Bar῾an (poco dopo il 300), la parte alta dei pilastri è scolpita con un triplice ordine di dentelli, analoghi a quelli del fregio del muro. Ora, nel "mausoleo" si trova il capitello con la stessa decorazione e fissato da una grappa.
La pianta ovale fu in seguito abbandonata. Il tempio Dar Bilqīs di Sirwah, posteriore al primo, è su pianta rettangolare, una camera interna doveva esservi preceduta da un laghetto circondato da un portico. Il tempietto di Huqqa, scavato nel 1927 da Rathjens e von Wissmann, è ancora posteriore; esso presenta una pianta più complicata. Secondo la ricostruzione proposta, si tratterebbe di un edificio rettangolare, preceduto da un atrio a baldacchino sopportato da 9 colonne, aperto sopra un cortile interno, munito di cisterna e circondato da un portico.
Il regno di Ma῾īn conquistò la sua indipendenza da Saba verso il 350 a. C., ma è impossibile precisare la data di costruzione del grande tempio. Ne sono visibili, ancora in piedi, enormi pilastri monolitici, tagliati a paraste e bugne, che sostengono degli architravi massicci simili ai pilastri. Questo complesso doveva costituire il portico.
In questi diversi templi si può seguire l'evoluzione del pilastro verso la colonna. Nel tempietto di Hureida, scavato dalla Caton Thompson, appaiono dei pilastri ornati di listelli e di fasce digradanti; ma nel secondo tempio di Sirwah, appare la colonna scanalata, con il capitello del tipo antico, a dentelli. A Huqqa, la colonna è ottagonale, con capitello rettangolare, che combina una decorazione dentelli e listelli. Frammenti di colonne di questo tipo, sparsi sui campi di rovine di Mārib, attestano che vi furono edifici costruiti in questa stessa epoca. Ma soprattutto a San῾a, centro più tardo di cultura sabea, si trovano resti di colonne che presentano varianti dei tipi ora descritti.
Un disegno di Glaser e un capitello inedito (fotografato da Geukens) provano che all'inizio della nostra èra si utilizzò il capitello pseudo-corinzio. In epoca tarda, se ne possono osservare le varianti decadenti grazie a due rilievi con figurazione di colonne (la Lastra di Hombrechtikon già citata, e la stele C.I.H., 419).
Lo storico yemenita del X sec. Hamdānī ci ha lasciato la descrizione dello splendore dei monumenti del periodo finale, himyarita. Non ne restano più che avanzi dispersi, ma che permettono tuttavia di farsi un'idea della realtà architettonica di quello che ha descritto Hamdānī.
Secondo Hamdānī, i leoni di bronzo erano adoperati nei palazzi dei re di Saba e di dhu-Raidān (in epoca tarda) in due luoghi: come ornamento della base delle colonne e anche dei quattro angoli della stanza superiore, sulla terrazza. Questi ultimi erano cavi e il vento ruggiva passandovi attraverso. Noi abbiamo infatti dei resti di leoni di bronzo. Alcuni di stile ellenistico (esemplare del British Museum e quelli provenienti dagli scavi di Huqqa), un altro (al museo di Cambridge) stranamente stilizzato secondo un modulo che ci sembra piuttosto orientale che hittita (come credeva A. Roes).
3. - Decorazione delle lastre iscritte. - È assai vicina a quella architettonica. Nella fase più antica le iscrizioni sono decorate, come i capitelli, di listelli e dentelli. Inoltre, sono ornate di orli scolpiti con figurazioni di simboli divini: bucrani e stambecchi. Questi ultimi, in genere di profilo, in piedi o sdraiati, sono disposti gli uni sugli altri, per quanto riguarda le fasce laterali, o a fregio nell'orlo superiore. Sul più bell'esemplare del genere, sono anche trattati ad altorilievo e disposti frontalmente.
Nel II sec. a. C. s'instaura la moda delle lastre di bronzo iscritte. La loro decorazione consiste dapprima di motivi mesopotamici e, l'abbiamo detto, ne rappresenta un adattamento tardivo: grifoni, rosoni, sfingi, palmette (C.I.H., 73). Poi, come nella decorazione architettonica, appare il tralcio di vite (C.I.H., 83, 94, 96).
Le iscrizioni su pietra, a partire dagli inizî della nostra èra fino ad epoca tarda, possono ricevere una decorazione a sfingi e grifoni (Louvre 4098) o di animali (Museo Naz. Romano Ja 475). Il bucranio, simbolo divino, conserva il suo posto (R. E. S., 3568). Un genere particolare di iscrizione, ornato di sculture, appare dopo l'inizio della nostra èra: esso commemora dei personaggi, che vi sono rappresentati nelle loro attività normali: cammelliere (Ryckmans 549), guerriero, contadino (Bossert, nn. 1304, 1309, 1307, 1310). Poi si rappresenteranno anche, su due o tre registri, scene della vita quotidiana e domestica (Bossert, nn. 1302, 1303).
4. - Altari. - Se ne conoscono di due tipi: la tavola da libazioni e l'altare da incenso. I fregi di stambecchi in serie sono usati (come nella parte superiore dei muri dei templi) per formare l'orlo superiore delle tavole da libazione (R. E. S., 2846 A, 3252, Instanbul 7680), o anche di altari da incenso particolarmente ornati. Il bucranio forma il gocciolatoio delle tavole da libazione, dai più andanti (Thompson, n. 7) ai più fini (R. E. S., 3252).
Il piccolo altare da incenso è evidentemente caratteristico dell'Arabia meridionale, paese degli aromi. Paragonabile a quelli che sono stati trovati in Palestina, si presenta in un primo tempo come un semplice blocco di pietra, con quattro piedi rudimentali, scavato a conca nella sua faccia superiore e con nomi di aromi iscritti sulle sue quattro facce. È in genere ornato di fasce di triangoli allineati (R. E. S., 3853). Più tardi, si cerca di alleggerirne la forma facendo dei piedi più alti e incavati. Questo tipo di altare non appare più a partire dall'inizio dell'èra volgare. Un altro tipo, raro nella fase arcaica (ad esempio Fakhry, p. 126, ornato di due stambecchi impennati ai lati di una palmetta), diventa comune. Il cubo della pietra scavata è posto su una base in forma di piramide tronca, e decorato dei motivi tradizionali. (fregio di stambecchi, false finestre, listelli) ma anche della falce lunare che chiude tra le sue punte il disco solare.
Nel corso dei primi tre secoli della nostra èra, si daranno al sostegno piramidale una base sempre più larga e delle facce sempre più inclinate.
5. - Stele e statuette votive. - Le stele aniconiche, o a faccia umana, o con simbolo divino, le statuette, le teste e le maschere che si trovano le une accanto alle altre (per esempio nella necropoli di Hagiar bin Humeid, scavata dagli Americani) sono senza dubbio oggetti funerarî. Tuttavia le iscrizioni ci indicano, d'altro canto, che si dedicavano agli dèi statue o riproduzioni di cammelli o di cavalli. E le lastre scolpite non sembrano tutte funerarie.
Comunque, la forma più semplice di monumento iconico è in primo luogo un tipo di stele con occhi rotondi o a losanga, con una base che reca il nome iscritto. In seguito si scolpisce, in forma schematica, il viso umano (Bossert, n. 1312).
La statuetta rappresenta talvolta il personaggio seduto. Accanto ad esemplari di buona qualità (ad esempio C.I.H., 983), ve ne sono altri rozzi (R.E.S., 4721 e 4567), imitati senza eccessive difficoltà da falsari locali.
Si poteva anche inserire una testa scolpita in una nicchia scavata nella parte superiore di un monolito rettangolare. Come elemento intermedio tra la stele a faccia umana e la testa scolpita a tutto tondo si trova la maschera ad altorilievo, ricavata da un blocco di pietra svasato sotto il collo e le orecchie, a formare una base. Le più accurate avevano gli occhi e i sopraccigli incrostati.
Alcune stele, più rare, presentano un personaggio di profilo, con le spalle di faccia, che avanza con la mano destra alzata in un gesto di adorazione o di preghiera. Ancora più rari sono i busti scolpiti con zoccolo iscritto.
Ma i pezzi più caratteristici della statuaria s. sono le statuette di uomini in piedi, con gli avambracci tesi in avanti. Il corpo è trattato in modo del tutto convenzionale; le forme sono appena accennate sotto la tunica semplice o incrociata. Le gambe, corte e massicce, servono piuttosto di appoggio al blocco di pietra, che collegano alla base iscritta. E tuttavia il volto è spesso interessante e vivo.
Questo tipo di statuaria è abbandonato all'inizio della nostra èra, dopo che l'influsso ellenistico, visibile nella statua dell'ultimo re di Awsān (vedi sopra), portò a preferire un'arte più realistica, quale si realizza nella moda delle statue in bronzo, di cui abbiamo parlato.
Sui monumenti votivi si trovano anche immagini divine: il bucranio, che simboleggia la divinità maggiore, e una immagine di dea. La prima è trattata in altorilievo, e si stacca dalla superficie nuda di una stele, sostenuta da una base. All'inizio della nostra èra prevale uno stile più decorativo e lineare, a spese della qualità plastica.
L'immagine femminile, nella quale è da riconoscere una dea, è quella di una donna formosa, con la mano destra alzata a benedire, la sinistra riportata sul petto a stringere un cesto di spighe. Il corpo, rappresentato fino a metà del ventre, è inquadrato da una specie di sciarpa che pende ai due lati ad arco di cerchio. Dea della prosperità e della fortuna, di cui crediamo che la statuetta di bronzo trovata a Timna῾ (lady Bar'at) rappresenti una effigie, secondo un modello preso all'arte alessandrina e in uso a Seleucia sul Tigri. Tra l'immagine di stile antico e questa forma presa a prestito, si trovano degli esemplari (dell'inizio della nostra èra) dove la figura tradizionale è trattata con un aumento di ornamentazione e di particolari che indica, l'abbiamo visto, una influenza ellenistica imbastardita.
6. - Arti applicate. - Per l'epoca più antica, conosciamo tutta una gamma di recipienti di alabastro: piatti, tazze, piccoli recipienti a tre piedi (musei di Aden e dell'Università di Pennsylvania).
Gli oggetti di bronzo e d'oro sembrano risalire soprattutto all'epoca persiana ed ellenistica. Lo stambecco che salta, colto nel suo slancio, è fissato sopra una lucerna, di cui costituisce l'ansa; lo stambecco che si impenna è addossato ad un recipiente. Stambecchi e leoni, nell'atto di sollevare una zampa anteriore quasi verticalmente, formano la decorazione di una lamina d'oro (Bossert, n. 1374). Ancora stambecchi si ritrovano su alcuni sigilli d'oro (Bossert, n. 1373). Esistono numerosi sigilli fino alla fase più tarda, ma ancora non studiati.
Bibl.: Per la riproduzione fotografica dei monumenti: C.I.H. = Corpus Inscriptionum Semiticarum, IV, Inscriptiones Himyariticas continens, Parigi 1889-1932; R. E. S. = Repertoire épigraphique sémitique. - D. H. Müller, Süd-arabische Altertümer im Kunsthistorischen Hofmuseum, Vienna 1889; C. Conti Rossini, Dalle rovine di Ausàn, in Dedalo, VII, 1927, pp. 727-54; H. Th. Bossert, Altsyrien, Tubinga 1951; C. Rathjens, Sabaeica, in Mitt. aus d. Museum für Völkerkunde in Hamburg, XXIV, 1953-55; A. Jamme, Les antiquités sud-arabes du Mus. Naz. Romano, in Mon. Ant. Lincei, XLIII, 1956; G. Ryckmans, Inscriptions sud-arabes, in Le Muséon, XL-LXXV, 1927-1962, passim. - Scavi: C. Rathjens - H. Wissmann, Vorislamische Altertümer (Rathjens-v. - Wissmannsche Südarabien - Reise, II Bd.), Amburgo 1932; G. Caton-Thompson, The Tombs and Moon Temple of Hureidha (Hadhramaut), Oxford 1944; M. Tawfik, Les monuments de Ma'ïn (in arabo), Il Cairo 1951; A. Fakhry, An Archaeological Journey to Yemen, Cairo 1952; Ph. Wendell, Qataban and Sheba, Londra 1955 (con traduzioni); Barone R. Bowen Jr.-F.P. Albright (col contributo di varÄ altri studiosi), Archaeological Discoveries in South Arabia, Baltimora 1958; Ray-L. Cleveland, Preliminary Report on Arch. Soundings at Sohâr ('Omân), in Bull. of the Am. Schools of Or. Research, CLII, 1959, pp. 11-19; id., The 1960 Am. Arch. Expedition to Dhofar, ibid., CLIX, 1960, pp. 14-26. Cronologia e storia dell'arte: A. Grohmann, Zur Archäologie Südarabiens, in D. Nielsen, Handbuch der altarabischen Altertumskunde, Copenaghen 1927, pp. 143-176; C. Rathjens, Kulturelle Einflüsse in Südwest-Arabien von den ältesten Zeiten bis zum Islam, in Jahrbuch für Kleinasiatische Forschungen, I, Heidelberg 1950; A. Roes, Un grand bronze hittite trouvé en Arabie, in Syria, XXX, 1953, pp. 45-71; A. M. Honeymon, The Hombrechtikon Plaque, in Iraq, XVI, 1954; J. Pirenne, La Grèce et Saba. Une nouvelle base pour la chronologie sud-arabe, Parigi 1955; B. Segall, The Art and King Nabonidus, in Am. Journ. Arch., LIX, 1955, pp. 315-18; id., Problems of Copy and Adaptation in the second Quarter of the First Millennium b. C., ibid., 1956, pp. 165-170; J. Pirenne, in Syria, XXXIV, 1957, pp. 210-13; id., Le rinceau dans l'évolution de l'art sud-arabe, ibid., XXXIV, 1957, pp. 99-127; B. Segall, Sculpture from Arabia Felix-The Earliest Phase, in Ars Orientalis, II, 1957, pp. 35-42; J. Pirenne, Notes d'archéologie sud-arabe, I, in Syria, XXXVII, 1960, pp. 326-347; II, ibid., XXXVIII, 1961, pp. 284-310; id., Le royaume sud-arabe de Qatabân et sa datation d'après l'archéologie et les sources classiques, Lovanio 1961; id., Notes d'archéologie sud-arabe, III, in Syria, XXXIX, 1962, p. 257 ss.; H. Goetz, in Archaeology, XVI, 1963, p. 187 (statuetta di Khor Rori); A. Grohmann, Arabien, Monaco 1963.