Vedi URARTEA, Arte dell'anno: 1973 - 1997
URARTEA, Arte (v. vol. VII, p. 1060, s.v. Urartu e S 1970, p. 881)
Il regno di Urartu, che ha in origine il suo centro nell'Anatolia orientale, intorno al lago di Van, e che ha esteso il controllo del territorio in aree attualmente facenti parte dell'Armenia e dell'altopiano persiano, ha avuto una preistoria per noi alquanto oscura (se non per alcuni riferimenti dei testi assiri a partire dalla fine del II millennio a.C.) e una storia sufficientemente chiara per quasi tutto il periodo del suo fiorire. Il regno di Urartu sorge in quel periodo in cui si consolidano, dopo i sommovimenti della fine del II millennio che hanno visto in Anatolia la scomparsa dei poteri centrali, le strutture regionali (al centro la Frigia, il Tabal nella parte meridionale dell'altopiano, e a occidente la Lidia, la Licia e la Caria) o civiche (i regni neoittiti dell'area sud-orientale). I monarchi urartei, sostanzialmente sospinti dalla collocazione geografica del regno a una relazione con le realtà situate più a oriente, modella sia la forma dello stato sia le espressioni ideologiche e artistiche secondo i tipi correnti nell'area siro- mesopotamica; quanto ai loro predecessori dell'Armenia e dell'Azerbaigian, quel poco che sappiamo fa intravvedere, anche in questo periodo, ambiti di attrazione verso le forme culturali già affermate nelle pianure mesopotamiche (si vuole vedere una connessione con il mondo hurrita del II millennio sia per la lingua sia per certi tratti dell'iconografia).
Secondo la ricostruzione storica, il regno di Urartu modella le sue strutture politiche e amministrative sullo stato rivale per eccellenza, quello assiro, interessato alle materie prime e ai rifornimenti in genere degli altipiani anatolico-persiani. A partire dal primo sovrano, Sarduri, la dipendenza intenzionale dall'Assiria è dimostrata dalla lingua impiegata nell'iscrizione cuneiforme di fondazione della rocca di Van, in lingua assira. Invece un segnale chiarissimo di indipendenza è l'adozione dell'urarteo a partire dalla seconda generazione di sovrani (Išpuini, c.a. 824 a.C.); dobbiamo quindi presumere una presenza di «esperti» provenienti dalle pianure meridionali e una conseguente trasmissione di modelli ideologici e iconografici.
La più ampia documentazione della cultura materiale urartea si trova nelle città fortificate e nelle fortezze, nella produzione di materiali di pregio (tra i quali spiccano i bronzi e gli avorî) e nella ceramica, nonché nella decorazione palaziale che consiste quasi unicamente in affreschi.
Le componenti maggiori della cultura urartea nel suo complesso (quale è testimoniata dagli affreschi, dai bronzi, dagli avorî, dalla glittica, ecc.) sono basate su prototipi assiri e siriani al passaggio tra II e I millennio, senza che si possa discernere un originale contributo indigeno se non per quello che riguarda la produzione ceramica di maggiore qualità. A tutt'oggi infatti non esistono sostanziali ricerche su quanto esisteva prima della costituzione del regno, non solo per i materiali di maggior pregio, quando ve ne siano, ma soprattutto nel campo della costruzione di fortezze e insediamenti di maggior momento nonché della produzione ceramica che potrebbe costituire un utile filo conduttore per rintracciare elementi di continuità (il tentativo di trovare un filone di collegamento con la produzione della cultura transcaucasica del III millennio è senz'altro fuorviante). L'elemento iconografico resta ancora alquanto enigmatico anche senza prescindere dalle ovvie connessioni con le altre culture coeve (e precedenti): un esempio può esser dato dalla lastra che reca un carro con cavalli privo di guidatore e con nemici uccisi; in un altro caso, un sigillo, una figura - probabilmente un sovrano - si trova in adorazione di fronte a un carro a cui è legato un albero. Si tratta evidentemente di un inconsueto sistema di abbreviazione iconografica. Discussa è anche l'identificazione delle diverse figure divine in posizioni non usuali ovvero impiegate come elementi in scene non principali (van Loon).
L'elemento più appariscente dell'architettura è la vastissima rete di forti e fortezze, con o senza strutture pubbliche (palazzi e templi) all'interno, che costellano tutto il territorio sotto amministrazione urartea.
I precedenti di questo tipo di strutture difensive e di controllo non sono ancora noti nel dettaglio, ma negli ultimi anni si vanno intensificando le ricerche di fortezze della fine del II e dell'inizio del I millennio, specie in Armenia, nell'area del lago Sevan e nell'Anatolia orientale, fortezze che possono/costituire ragionevolmente una base concettuale oltre che tecnica per i successivi sviluppi della fine del IX secolo.
Purtroppo le due capitali, Tušpa, la rupe di Van, e Rusakhinili (Toprakkale) sul fianco del Zimzimdağ, sono state distrutte e spogliate dei materiali da costruzione. Nel primo sito, che è quello originario della dinastia e che ospita le camere e le tombe monumentali sotterranee, restano in pratica solamente gli incassi nella roccia a testimoniare l'estensione dei lavori. Nonostante la desolante situazione è stato possibile ricostruire a Toprakkale, oltre ad alcune terrazze, la pianta del tempio susi.
Le fortificazioni, in senso generale, presentano caratteristiche simili; sono per lo più poste su uno sperone collegato al massiccio montuoso retrostante mediante una sella fortificata; sono presenti sistemi di approvvigionamento idrico. Si è voluta vedere un'evoluzione della muratura, da tipi più semplici e lineari, correnti sotto Menua, ad altri più complessi con contrafforti e torri aggettanti, sia quadrate che semicircolari, a partire dal regno di Išpuini. Nell'area dell'Azerbaigian iraniano vi sarebbe un'evoluzione: da contrafforti posti tra le torri si passa a una serie continua di contrafforti lungo la cortina muraria (Forbes). Questa sequenza per altro non è riscontrabile nel territorio armeno dove a Karmir Blur (a differenza di Arin Berd) permangono tipologie più antiche. Le cortine murarie sono erette in basalto, andesite o calcare, spesso cavato direttamente sul posto durante la sistemazione del rilievo che veniva approntato per sostenere l'alzato, il quale terminava in alto con un coronamento più o meno elevato in mattoni crudi. Secondo altri autori (Azarpay) la tecnica di costruzione della parte in pietra subirebbe un'evoluzione, da un tipo «ciclopico», di tradizione pre-urartea a uno tendenzialmente isodomico, generalmente a doppio paramento con riempimento inerte. Secondo la descrizione di Sargon II, nel resoconto della campagna del 714 a.C., le mura potevano elevarsi sino a 20 m con un coronamento di merli, come è testimoniato anche da una lastra di bronzo. Le porte erano situate lungo l'asse di maggiore comunicazione verso la città bassa nonché verso il luogo di approvvigionamento idrico. L'interno dell'area fortificata veniva sistemato a terrazzi sui quali si elevavano i diversi edifici a seconda della funzione del sito. Data la gerarchia degli insediamenti, dalle capitali provinciali ai semplici posti di avvistamento, eretti anche in pianura su minime elevazioni o su insediamenti precedenti (monticoli), le differenze sono notevoli.
Le strutture all'interno delle fortificazioni, nei casi maggiori, fungono da centri polivalenti, di rappresentanza, di abitazione, di amministrazione e di magazzinaggio. L'esempio migliore è rappresentato da Arin Berd (Erebuni), una vera e propria residenza reale, seguito da Karmir Blur, che forse ha caratteri più spiccatamente amministrativi; ambedue furono erette da Argišti I (786-764 a.C.) nell'attuale Armenia. Le due residenze fortificate presentano caratteristiche interessanti. Anche se permangono alcuni dubbi di dettaglio sulla ricostruzione della pianta del palazzo di Arin Berd, non si può fare a meno di notare una chiara ripartizione dello spazio con la presenza di larghi vani di rappresentanza e di sale a colonne; queste ultime sono molto probabilmente il risultato di un intervento dell'epoca dei governatori achemenidi, supponendo per altro che l'articolazione planimetrica risalga al progetto originale. Questo prevedeva tra l'altro la presenza di due strutture templari, una della quali presenta la classica pianta quadrata ad angoli sporgenti e l'altra, forse meno chiara, per la trasformazione, secondo gli scavatori, in un tempio del fuoco, con la cella all'estremità di una lunga sala trasversale. È comunque interessante la presenza di un portico antistante al tempio quadrato, secondo un sistema che trova la migliore esemplificazione nel sito di Altintepe. La fortezza di Karmir Blur invece mostra l'impianto del pianterreno o del sotterraneo entro cui era il sistema di magazzinaggio: vani lunghi e stretti in serie o a celle. Su questo si doveva ergere il piano di ricevimento e di abitazione che fruiva dei supporti dei muri sottostanti. L'elemento più cospicuo è dato dal perimetro murario che oltre alla parte costruita racchiude anche un largo spazio destinato alle attività all'aria aperta; le mura seguono la morfologia della rocca articolandosi in contrafforti regolari che verso la piana sono intervallati da torri quadrangolari. Verso l'ingresso si trova un edificio che potrebbe avere, come nella fortezza di Bastam (Rusakhinili), funzioni di ricovero per i cavalli e i carri. Di notevole importanza sono le strutture templari che si riassumono al meglio negli edifici di Altintepe e di Haika Berd (Çavuştepe). Lo splendido paramento inferiore in blocchi di pietra biancastra o azzurrina presenta una finitura perfetta e una messa in opera priva di ulteriori accorgimenti; su alcuni punti si trovano iscrizioni che assumono, nel loro ductus, una monumentalità particolare. La ricostruzione della struttura, per la quale spesso ci si affida alla rappresentazione assira del tempio di Muṣaṣir, prevede una cospicua elevazione e una copertura a quattro spioventi, il che evidentemente richiama le torri cultuali di Pasargade e di Naqš-e Rostam (Fārs), anche se con alcuni mutamenti. Già lo Herzfeld sosteneva che una serie di elementi architettonici della Persia achemenide trovava origine nelle strutture palaziali urartee. Tuttavia, a parte un forte senso coloristico, comune del resto a tutto il Vicino Oriente (e oltre), l'unico elemento che potrebbe trovare una rispondenza è il colonnato interno ovvero le file di colonne disposte variamente lungo il perimetro, come nella grande sala di udienze del palazzo di Ciro a Pasargade e poi a Persepoli; per altro esiste una tradizione indipendente dell'altopiano persiano come è adesso esemplificata a Hasanlu, nel IX sec. a.C.
Le tombe scavate nella roccia sono di carattere monumentale e destinate sicuramente alla dinastia (Tušpa); altre sono di minori dimensioni (come a Qal’a-ye Ismail Agha) per personaggi sempre di rango elevato, all'interno delle mura; altrove sono fuori dell'insediamento (Ališar presso Nakhičevan, Malaklu, Sangar). Con soffitto piano o bombato, presentano una serie di nicchie e una o più camere secondarie che si aprono nel largo vano centrale: si è ritenuto che le nicchie servissero per gli ossuari dato che la cremazione è attestata nell'Urartu, ma la scoperta di tombe sotterranee costruite con blocchi squadrati ad Altintepe ha mostrato come venissero impiegati sarcofagi litici con copertura a botte. Le cavità sotterranee inoltre venivano impiegate anche per altri scopi, come è evidente a Tušpa.
La città bassa è bene esemplificata a Bastam e a Karmir Blur, dove il modulo della casa presenta una partizione entro un quadrato di 10 X 10 m con un cortile interno di 5 X 10 m sul quale si affacciano i magazzini e il vano di abitazione che poteva trovarsi, costruito con materiali leggeri, al primo piano; le strutture sono allineate secondo assi viari secondari su un'area che può raggiungere i 30 ha al cui centro si trova la strada lastricata che esce dalla fortificazione, dinanzi a cui si trova una piazza, anch'essa parzialmente pavimentata in pietra. Le strutture di Zernaki Tepe, con una pianta assolutamente regolare, sono state attribuite a un'iniziativa urartea ma è probabile che siano d'età assai più tarda.
Lo scavo delle strutture palaziali e templari urartee ha portato alla luce una serie di decorazioni parietali, più 0 meno frammentarie ma sempre di cospicuo interesse. Dai siti di Altintepe, Karmir Blur e soprattutto Arin Berd è stato possibile avere un'idea abbastanza precisa, sia dal punto di vista iconografico che stilistico, del tipo di decorazione che abbelliva le strutture di rappresentanza. I motivi possono essere di natura religiosa ma anche, apparentemente, secolare. Al primo gruppo appartengono le processioni divine, gli animali sacri e il c.d. albero della vita. Le scene di caccia, le raffigurazioni di gruppi di animali da allevamento e le scene di attività agricola apparterrebbero al secondo, per quanto ogni motivo ha in sé una carica che lo ricollega al mondo soprannaturale. Sebbene, come anche negli altri campi figurativi, la traccia provenga dal mondo assiro, la coloritura del disegno, effettuato probabilmente a secco, è più vivace, impiegando diversi toni di rosso, verde, ocra e nero su uno sfondo chiaro. Una serie di elementi decorativi, come i merli, le rosette, le palmette, l'albero sacro con divinità 0 geni ai lati, i quadrati dai lati concavi verso cui si inchinano tori androcefali, leoni e tori, vengono mutuati dall'Assiria ma interpretati con uno spirito indipendente o comunque diverso. La documentazione di Arin Berd permette di vedere come in pratica molti se non tutti i vani importanti possedessero una decorazione pittorica, per lo più a larghe fasce ripetitive con rosette, merli, alberi sacri con figure ai lati, ghirlande di frutta. Nella grande sala del palazzo di Arin Berd, adibita in età persiana a magazzino, si trova una figura divina di grandi proporzioni con almeno cinque fasce di elementi decorativi al lato; vi sono anche le tracce di una processione di figure divine, alcune delle quali tengono in mano un ramoscello e altre una situla, una scena di caccia dal carro in un paesaggio connotato da alberi, cespugli e vegetazione di palude. Tra i frammenti si nota una figura assai vivace di un cavallo impennato e una immediatezza di inventiva si riscontra anche nel gregge guidato da un pastore, aiutato dai cani, e nella scena dell'aratura. Nel Tempio di Khaldi si trova una rappresentazione della divinità resa con formale rigidità, accanto a fasce decorative.
La plastica urartea di grandi dimensioni è pochissimo documentata; che esistessero statue a grandezza naturale, collocate nei santuari, è desumibile dalla raffigurazione del sacco di Muṣaṣir da parte di Sargon II e dall'unico esempio sopravvissuto, da Tušpa, che mostra una figura, mancante ora di testa e piedi, con le braccia strette al corpo e in mano simboli divini, di scarso modellato e attenzione ai dettagli. I rilievi, anche se non numerosi, mostrano un tono decisamente alto nella resa plastica: a parte il rilievo di una tomba presso Doğubayazit, con una figura a braccia alzate, un toro e una figura imberbe, di difficile lettura, che risulterebbe l'unico esempio di rilievo funerario, una serie di decorazioni su blocchi rappresenta un contributo alla decorazione e alla comprensione dell'iconografia urartea. Il rilievo di Adilcevaz, ritagliato e smembrato nel castello medievale, originariamente collocato nella fortezza di Kefkalesi, fondata da Rusa II, mostra una divinità, maschile o femminile, montata su un toro, al lato di un albero a foglie lanceolate che possono essere viste (Porada) anche come cuspidi di lancia (si vedano gli esemplari monocuspidati dinanzi al tempio di Muṣaṣir e le cuspidi depositate come doni votivi); un'interessante ipotesi vede il rilievo duplicato ai lati di una porta (Seidl). I blocchi architettonici di Kefkalesi mostrano un edificio con torri e mura merlate: l'elemento decorativo principale è un essere alato che tiene in mano una situla e un cono; alberi monocuspidati si trovano entro vasi alla base delle torri; in alto due uccelli rapaci lasciano pendere dal becco un coniglio. L'identificazione degli esseri alati e non alati, posti su animali (tori e leoni), non è univoca; sebbene il dio dello stato urarteo sia Khaldi (venerato a Muṣaṣir, al di fuori della sfera territoriale propria dello stato urarteo) di grande importanza è Tešeba, esito del dio della tempesta del mondo anatolico e hurrita del II millennio. Già in un frontino per cavallo datato dall'iscrizione al regno di Menua, si rappresenta una divinità alata montata su un toro. Questo tipo di raffigurazione, che trova antecedenti nell'iconografia del II millennio, pare precedere l'analoga tipologia assira, presentando per altro alcuni caratteri peculiari come la resa dei piedi della divinità a mezza groppa dell'animale. Secondo il van Loon molti elementi risalirebbero al mondo hurrita senza per altro che ci sia la possibilità di identificare i punti di passaggio. Una componente siriana o neoittita sarebbe visibile nella produzione degli avorî (Altintepe) secondo Akurgal e van Loon; se i motivi sono genericamente urartei (come anche la tecnica di lavorazione a scaglie, nel caso del leone di Altintepe, che non sembra propria di regioni che disponevano di maggiore abbondanza di materia prima) è ben probabile che la tecnica (e altri elementi) sia stata trasmessa da artigiani provenienti dai centri di antica e affermata produzione. Per quanto l'impiego dei sigilli sia attestato nell'Urartu, come nelle altre culture del Vicino Oriente, la cattiva conservazione di tavolette e cretule non ha finora permesso la costituzione di un vero e proprio corpus; gli elementi fin qui accertabili, comunque, indicano l'esistenza di uno stile derivato da motivi aulici e altri di carattere «popolare» (Seidl).
Recentemente gli scavi clandestini, da presumere molto attivi in questi ultimi anni, hanno portato sul mercato una larga quantità di oggetti metallici: tra questi le cinture e le lamine votive costituiscono i gruppi più interessanti. Le prime, rinvenute anche negli scavi armeni e datate, insieme agli scudi e agli elmi, ad Argišti I e Sarduri II, mostrano un'arte di corte che si dispiega in decorazioni ripetitive che comprendono cacce e animali fantastici. E in questo tipo di materiale che si coglie meglio la tendenza dell'arte u. verso schemi in cui prevalgono gli assi orizzontali e verticali, riscontrabili anche in opere monumentali come i due rilievi in andesite, da Erzincan, in cui il toro ha un aspetto sfilato e piuttosto rigido, da collegarsi allo stile corrente sotto Rusa III (si veda un suo scudo da Toprakkale). L'esito finale è ben rappresentato da una cintura da Zakim (Oltu) in cui i diversi elementi decorano il campo suddiviso da un motivo vegetale stilizzato. Le lamine votive sono interessanti in quanto rappresentano l'unico elemento che renda conto dei motivi di una produzione che non sia palatina: vi sono raffigurate in prevalenza divinità di vario tipo, con una gamma di resa che va da uno schema semplice, talvolta assolutamente naïf, a raffigurazioni più complesse che riecheggiano i prodotti di maggior momento (Kellner).
Un capitolo a parte è costituito dalle numerose statuette prevalentemente in bronzo con parti in avorio e pietra: le più famose sono quelle di Toprakkale che sono state identificate dal Barnett come gli elementi del trono di Khaldi: la concezione è quella che è attestata dagli avorî siriani (per lo più smembrati) e dalle raffigurazioni assire di mobili (in particolar modo dell'epoca di Sargon e Sennacherib); anche in questo caso la scansione geometrica è prevalente. La produzione comprende anche statuette a tutto tondo, forse cultuali, come quella di Toprakkale, maschile, o quella di Darabey che mostra una figura femminile seduta, dove è maggiormente evidente una certa resa plastica.
Di carattere urarteo, anche se sono state avanzate altre ipotesi circa i centri di fabbricazione (Herrmann), sono le prese decorate di grandi recipienti in bronzo («Assurat-taschen). E. Akurgal, nella sua sinossi sull'arte urartea (divisa, su base prevalentemente stilistica, in tre fasi, antica, 780-685 a.C., media 685-645/605 a.C., tarda 645/605- 580 a.C.) ne ha tratteggiato in maniera eccellente lo sviluppo e le particolarità; sia le protomi taurine, leonine, a testa di grifone, che le prese a testa di «sirena» o di genio godono larga diffusione e costituiscono l'elemento più noto: in Anatolia (tumulo M di Gordion), in Grecia (Olimpia), in Etruria (Vetulonia). Se è evidente che i prodotti urartei venivano largamente accettati nel circuito commerciale e culturale del bacino del Mediterraneo e in quello del Vicino Oriente, ci sfugge al momento il meccanismo di diffusione, specie per quanto riguarda la corrente di ritorno; si tengano comunque presenti i contatti politici che lo stato urarteo intrattenne con la Siria settentrionale durante le lotte contro l'Assiria, giungendo in pratica sino alle soglie del mar Mediterraneo. V. anche caucaso, CULTURE DEL.
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Özgüç, Jewellery, Gold Votive Plaques and a Silver Belt from Altintepe, ibid., pp. 33-37; O. Belli, H.-J. Kellner, V. Sevin, Urartäische Bronzegürtel mit Inschriften, in AnadoluAraj Χ, 1986, pp. 317-326; U. Calmeyer-Seidl, Zu einem Pferde-Pektorale des Iipuini, ibid., 309-314; U. Seidl, Urartu as a Bronzeworking Centre, in J. Curtis (ed.), Bronzeworking Centres of Western Asia c. 1000-539 B.C., Londra 1988, pp. 169-175; H.-J. Kellner, Ein bemerkenswertes Medaillon, in Ê. Emre (ed.), Anatolia and the Ancient Near East. Studies in Honor of T. Özgüç, Ankara 1989, pp. 235-236; R. B. Wartke, Toprakkale. Untersuchungen zu den Metallobjekten im Vorderasiatischein Museum zu Berlin (diss.), Berlino 1990; H.-J. Kellner, Gürtelbleche aus Urartu (Prähistorische Bronzefunde, XII, 3), Stoccarda 1991; Ri Merhav, A. Ruder, The Construction and Production of a Monumental Bronze Candelabrum of King Menua of Urartu, in A. Çilingiroglu, D. H. French (ed.), Anatolian Iron Ages. Proceeding of the II Anatolian Iron Age Colloquium Held at Izmir, 1987, Oxford 1991, pp. 75-96. Si veda per il particolare interesse dei contributi e la ricchezza dei materiali, spesso di dubbia provenienza: R. Merhav (ed.), Urartu: A Metalworking Center in the First Millennium B.C. (cat.), Gerusalemme 1991. - L'iconografia è trattata specificamente in: U. Seidl, Torschützende Genien in Urartu, in AMI, n.s., VII, 1974, pp. 115-119; P. Calmeyer, Zur Genese altiranischer Motive, III. Felsgräber, B. Urartäische Vorbilder, ibid., VIII, 1975, pp. 101-107; O. A. Taşyürek, Darstellungen des urartäischen Gottes Haldi, in S. Şahin (ed.), Studien zur Religion und Kultur Kleinasiens, II. Festschrift für Friedrich Karl Dörner, Leida 1978, pp. 940-955; S. Eichler, Götter, Genien und Mischwesen in der urartäischen Kunst (AMI, Suppl. 12), Berlino 1984; M.N. van Loon, Anatolia in the First Millennium B.C., Leida-New York-Colonia 1991, pp. 15-29. - Glittica: U. Seidl, Die Siegelbilder, in W. Kleiss e altri, Bastam, 1. Ausgrabungen in den urartäischen Anlagen 1972-1975, Berlino 1979, pp. 137-149; P. Calmeyer, U. Seidl, Eine frühurartäische Siegeldarstellung, in AnatSt, XXXIII, 1983, pp. 104-114; D. Oates, J. Oates, An Urartian Stamp Cylinder from North- Eastern Syria, in IrAnt, XXIII, 1988, pp. 217-218. - Per varî argomenti: H. Kyrieleis, Urartäische Elfenbeinreliefs aus Nimrud, in Berliner Jahrbuch für Vor- und Frühgeschichte, V, 1965, pp. 199-206; id., Urartäische Möbel, in Throne und Klinen (Jdl, Suppl. 24), Berlino 1969, pp. 23-35; S. I. Hodjasch, Schizzi preparatori per gli affreschi di Erebuni, in SMEA, XIV, 1971, pp. 61-64; N. Truchtanova, Un idolo di pietra da Erebuni, ibid., pp. 57-59; H.-J. Kellner, Ein datierte Silberfund aus Urartu, in Anadolu, XIX, 1975-76, pp. 57-67; S. Salvatori, Notes on the Chronology of Some Urartian Artifacts, in East West, XXVI, 1976, pp. 77-96. - Per ricerche sul campo e scavi: Y. Boysal, Aznavur- 'da definesilerin merdana çikardigi Urartu eserleri («Opere urartee rivenute dai cercatori di tesori ad Aznavur»), in Belleten, XXV, 1961, pp. 199-209; B. Ögün, Die Ausgrabungen von Kef Kalesi bei Adilcevaz und einige Bemerkungen über die urartäische Kunst, in AA, 1967, pp. 481-503; R. D. Barnett, More Addenda from Toprak Kale, in AnatS, XXII, 1972, pp. 163-178; P. E. Pecorella, M. Salvini, Tra lo Zagros e l'Urmia, Ricerche storiche e archeologiche nell'Azerbaigian iraniano, Roma 1975; W. Kleiss e altri, Bastam..., cit.; A. Erzen, Çavuştepe, Urartian Architectural Monuments of the 7th and 6th Centuries B.C. and a Necropolis of the Middle Age, Ankara 1988; W. Kleiss e altri, Bastam II. Ausgrabungen in den urartäischen Anlagen 1977-1978, Berlino 1988; A. Çilingiroğlu, The Early Iron Age at Dilkaya, in A. Çilingiroglu, D. H. French (ed.) op. cit., pp. 29-38. - Per rapporti preliminari di scavo, si vedano le relazioni di M. T. Tarhan, A. Çilingiroğlu per la rocca di Van e Dilkaya e altri negli annuali Kazi Sonuçlari Toplantxsi pubblicati dalla Eski eserler ve müzeler genel müdürlügü di Ankara, nonché in TürkAD.