Vedi ARTENA dell'anno: 1973 - 1994
ARTENA
La Civita di A. occupa in territorio volsco la sommità di un alto monte calcareo che costituisce, all'imbocco della valle del Sacco, di fronte a Palestrina ed a Velletri, la punta più avanzata dei monti Lepini verso settentrione.
Assai incerta è l'identificazione di questa antica città, perché il nome di A. è stato dato al vicino paese in una restituzione toponomastica recente, in base ad un'attribuzione per altro del tutto gratuita: più probabile appare una ricostruzione del nome in Fortinum, in base alla menzione di un popolo di Φορτινεῖοι o di Foretii ricordato in queste contrade dalle fonti antiche e che avrebbe perpetrato il proprio nome nel Montefortino con cui appare menzionato il vicino paese fin dal primo Medioevo (per le testimonianze ceramiche il luogo appare già abitato nel VI sec. a. C.).
Le rovine della città antica costituiscono un complesso urbano grandioso, articolato in una serie di terrazzamenti digradanti ed impostati sull'accidentalità del terreno calcareo. Le mura, come i terrazzamenti, sono costituite in una massiccia e poderosa opera ciclopica apparentemente molto rozza, a grandi blocchi appena sbozzati e connessi tra di loro con un larghissimo uso di tasselli: la forma dei macigni, spesso naturalmente rettangolare, ha facilitato la loro messa in opera secondo stratificazioni più o meno orizzontali. Tali strutture vengono a formare vasti piani urbani scendenti da settentrione alle maggiori aree più basse: dalle mura ai terrazzamenti interni tutta la pianta urbana fa capo, articolandosi su larghe e comode strade, ad una grande terrazza superiore, su cui è da riconoscere il centro religioso e civile della città.
Le mura che presentano alla loro sommità uno spessore di poco variabile dai m 2,20, sono formate da una doppia cortina di blocchi i cui massi sono condotti in profondità a cuneo, ad incastrarsi coi blocchi della fronte interna. Il largo uso di macigni parallelepipedi, giungenti nelle loro maggiori dimensioni a superare spesso la lunghezza di 2 m, conferisce alla struttura un aspetto spesso imponente. Le mura si conservano fino all'altezza massima di 4 m, mentre i terrazzamenti interni raggiungono, nel loro esempio maggiore, i 7 m.
All'interno la città si articola secondo un impianto molto regolare, ortogonale per quanto lo permette l'accidentabilità calcarea della montagna, secondo terrazzamenti maggiori o minori disposti in asse colle vie principali: queste, facenti capo a tre porte, lastricate e larghe 8 o 9 m, collegano su quattro cardini le varie parti della città. Lungo la rampa risalente al Foro e di per sé centro della congiungente dei cardini, è da ritenere che si disponesse ancora la zona nobile, commerciale e pubblica della città, scaglionata su quel percorso a gradinate monumentali. La città, già segnalata in studi di M. René de la Blanchère, di Th. Ashby e di G. I. Pfeiffer, è stata solo recentemente oggetto di una serie di saggi di scavo e di ricerche sistematiche, condotti dal 1964 al 1969: in questi si è datata la costruzione dell'impianto urbanistico alla fine del IV ed alla prima metà del III sec. a. C. La città, in base alla mancanza di elementi posteriori, appare essere già abbandonata alla fine del II o all'inizio del I sec. a. C.
Gli scavi, oltre alla determinazione cronologica delle mura e dei terrazzamenti maggiori, si sono volti ad alcune porte, ad alcuni isolati, al complesso sistema di approvigionamento idrico, alla struttura viaria urbana ed extraurbana. Inoltre a due santuari; uno a N-O, entro l'area urbana, l'altro a S-E, fuori delle mura, e che risultano essere stati frequentati nel IV e nel III secolo a. C.
I risultati delle ultime ricerche sono stati solo in parte pubblicati, mentre per il resto è in preparazione un volume della Forma Italiae.
Bibl.: M. René de la Blanchère, in Mélanges d'Archéologie et d'Histoire de l'École Française de Rome, I, 1881, pp. 161-180; Th. Ashby - G. I. Pfeiffer, in Supplementary Papers of the American School in Rome, I, 1905, pp. 87-107; L. Quilici, in Not. Scavi, XXII, 1968, pp. 30-74.