Arti inferiori
Gli arti inferiori sono collegati al tronco dal cingolo pelvico, formato dalle due ossa dell’anca articolate saldamente con l’osso sacro e con il coccige. Ciascun arto si può considerare diviso dal tronco per mezzo di una linea che dalla spina iliaca posterosuperiore segue il margine superiore della cresta iliaca, poi la piega inguinale, fino a raggiungere il tubercolo pubico. L’arto inferiore si può suddividere in sei regioni: anca, coscia, ginocchio, gamba, collo del piede e piede. La struttura ossea degli arti inferiori è robusta e, per ciascun arto, è rappresentata dall’osso dell’anca, dal femore, che forma la coscia, dalla tibia, che con il perone costituisce la gamba, e dalle ossa del piede. A differenza di quanto avviene negli arti superiori, per motivi ontogenetici e per adattamenti funzionali i muscoli flessori sono situati anteriormente e gli estensori posteriormente. Gli arti inferiori rappresentano la struttura principale cui è affidata la funzione statica e dinamica dell’intero corpo umano
Superficialmente, la massa muscolare è contenuta in una robusta fascia connettivale, che delimita in profondità spazi e logge in cui sono compresi, oltre ai muscoli, i vasi e i nervi profondi, responsabili dell'irrorazione e dell'innervazione dell'arto stesso. Le arterie profonde sono la femorale e la poplitea; quest'ultima, continuazione della prima, si suddivide poi in arteria tibiale e tronco tibioperoniero. Le vene safene formano il circolo superficiale e, con numerose anastomosi, si collegano alle vene profonde. I nervi principali sono costituiti dal nervo femorale, ramo del plesso lombare, dal nervo sciatico, ramo del plesso sacrale, e dalle loro diramazioni. I nervi superficiali determinano l'innervazione sensitiva della cute dell'arto.
L'articolazione dell'anca, o coxofemorale, collega l'arto inferiore al bacino. Essa, pur garantendo ampia mobilità alla coscia e all'arto, deve soprattutto assolvere al compito di sostenere i carichi derivanti dalla postura eretta, ed è quindi caratterizzata da una notevole stabilità, assicurata da solidi legamenti, da potenti masse muscolari, nonché dal particolare orientamento del collo del femore rispetto sia alla cavità acetabolare sia alla diafisi femorale. L'articolazione coxofemorale è composta di una porzione appartenente all'osso iliaco, l'acetabolo, e della parte superiore del femore. L'acetabolo o cotile si presenta come una cavità emisferica, posta sulla superficie laterale, o esterna, dell'osso iliaco. Esso è delimitato dal ciglio o margine, che inferiormente appare interrotto dall'incisura ischiopubica. La sua superficie interna è distinta in due porzioni: una periferica, più propriamente articolare, e una profonda, la fossa dell'acetabolo, interna all'articolazione ma non utilizzata per lo scorrimento dei capi articolari.
La porzione del femore coinvolta nella articolazione dell'anca è la sua estremità superiore o prossimale, costituita dalla testa, dal collo e da due rilievi utili alle inserzioni muscolari: il grande trocantere e il piccolo trocantere. La testa del femore è rivolta verso l'interno e in avanti, ha un raggio di circa 23 mm e rappresenta approssimativamente 2/3 di sfera, mentre il collo del femore è un segmento osseo cilindrico, schiacciato leggermente dall'avanti all'indietro, il cui asse delimita con l'asse del femore un angolo aperto inferiormente e medialmente, di circa 130°. L'articolazione dell'anca si compone inoltre della capsula articolare, che si fissa a livello dell'osso iliaco sul contorno dell'acetabolo e inferiormente sul femore, comprendendo la testa e il collo. Sul contorno dell'acetabolo è inserita una fibrocartilagine, il cercine cotiloideo, che completa la capsula e riduce il raggio di curvatura della cavità, per renderlo così più congruo a quello della testa del femore. I legamenti di cui è dotata questa articolazione ‒ l'ileofemorale, il pubofemorale e l'ischiofemorale ‒ sono essenzialmente dei rinforzi della capsula, disposti sul suo versante anteriore.
Nella cavità articolare si trova un legamento interosseo robusto, il legamento rotondo, lungo circa 30-35 mm, che si fissa sul fondo dell'acetabolo e sulla testa del femore. I muscoli che determinano i movimenti di flessione della coscia sono: lo psoas, o ileopsoas, il tensore della fascia lata, l'adduttore lungo e l'adduttore breve, il sartorio, il retto femorale e il pettineo. L'estensione della coscia è determinata dai muscoli grande gluteo, piriforme, semimembranoso, semitendinoso, bicipite femorale (capo lungo), grande adduttore e quadrato del femore. Nell'adduzione della coscia sono coinvolti i muscoli psoas, pettineo, otturatore esterno, adduttori, grande gluteo, semimembranoso, semitendinoso e gracile. Il movimento di abduzione della coscia è operato dai muscoli glutei, tensore della fascia lata, piriforme e otturatore interno. La rotazione esterna è determinata dai muscoli psoas, otturatore esterno e interno, sartorio, piriforme, quadrato del femore, nonché dai glutei. La rotazione interna, infine, è data dal grande adduttore, dal medio e piccolo gluteo, e dal tensore della fascia lata.
I rapporti tra femore e cingolo pelvico sono, per alcuni aspetti, simili a quelli tra omero e cingolo scapolare, dato che il bacino si muove in modo tale da disporre la superficie articolare dell'acetabolo nella posizione più favorevole ai movimenti del femore. Tuttavia, il cingolo pelvico ha una mobilità propria estremamente più limitata rispetto al cingolo scapolare, ed è per questo motivo che i movimenti dell'arto inferiore risultano meno ampi e complessi di quelli dell'arto superiore. Peraltro, l'articolazione coxofemorale è dotata di una stabilità molto maggiore, e ciò risulta essere perfettamente rispondente alla necessità di sostenere i carichi meccanici continuamente scambiati tra parte superiore del corpo e arti inferiori. L'articolazione dell'anca consente comunque al femore, il più lungo osso del corpo, movimenti simili a quelli dell'omero, seppure di minore estensione. L'arto inferiore può quindi essere orientato in tutte le direzioni dello spazio mediante combinazione di movimenti semplici che possono essere classificati come segue:
a) flessione ed estensione: i movimenti si svolgono sul piano sagittale, e nel loro insieme costituiscono i più ampi movimenti attuabili dall'articolazione coxofemorale. A partire dalla posizione di postura eretta, l'ampiezza della flessione può raggiungere il valore massimo di 140°, se tale movimento viene eseguito a ginocchio flesso. Se il ginocchio è esteso, la flessione del femore è limitata a 90°, a causa della tensione dei muscoli posteriori della coscia. Il movimento di estensione dell'anca è assai meno ampio di quello della flessione (circa 20°) ed è limitato soprattutto dalla tensione del robusto legamento ileofemorale.
b) abduzione e adduzione: i movimenti si svolgono sul piano frontale. L'abduzione allontana l'arto inferiore dall'asse corporeo e può estendersi per circa 45°. La simultanea abduzione delle due anche consente quindi di allontanare tra loro gli arti inferiori, fino a formare un angolo di 90°. Mediante allenamento, tale angolo può essere notevolmente aumentato, fino a raggiungere, per es., i 180°, come nella posizione di spaccata frontale. Per raggiungere tale ampiezza, però, il movimento di abduzione deve essere accompagnato da altri, quali la rotazione esterna del femore, la rotazione in avanti del bacino e l'estensione del segmento lombare del rachide. Nella postura eretta, il movimento di adduzione può aver luogo soltanto spostando preliminarmente un arto leggermente in avanti o all'indietro rispetto all'altro. L'ampiezza massima dell'adduzione è di 30°. c) rotazione: i movimenti si attuano intorno all'asse meccanico del femore, individuato da un segmento che unisce il centro della testa del femore con il centro dell'articolazione del ginocchio. Quando la gamba è estesa, la rotazione esterna del femore porta la punta del piede all'infuori, raggiungendo un'ampiezza massima di 60°.
La rotazione interna è di ampiezza minore, circa 30°, e determina lo spostamento della punta del piede all'indietro.
L'articolazione dell'anca, oltre a consentire un'ampia mobilità al femore, deve essere altresì dotata di una stabilità atta ad assicurare la congruità tra le superfici articolari della testa del femore e dell'acetabolo. Anche durante l'applicazione di carichi meccanici considerevoli, come per es. quelli che vengono a gravare sull'articolazione durante la postura eretta o, ancor più, durante la deambulazione o la corsa, la lussazione dei capi articolari viene impedita soprattutto da fattori legamentosi e muscolari. A questi bisogna aggiungere il ruolo svolto dalla particolare architettura del collo del femore. Il suo orientamento rispetto all'acetabolo e all'asse femorale è un fattore di stabilità che consente l'ottimale trasferimento di forze tra femore e bacino. Alla nascita, l'assetto tra femore e bacino non è ancora quello più conveniente ai fini della stabilità. La posizione migliore viene raggiunta successivamente, grazie a una rotazione mediale del femore. In alcuni neonati si può riscontrare una lussazione congenita dell'anca, probabilmente connessa anche a un esagerato atteggiamento di flessione dell'anca fetale.
Il ginocchio è un'articolazione complessa, comprendente l'articolazione tra femore e tibia e l'articolazione tra femore e rotula. Un complesso apparato capsulolegamentoso e un robusto apparato muscolare limitano la mobilità del ginocchio, facilitandone il compito statico. L'articolazione del ginocchio è costituita dalle superfici articolari, fornite dal femore, dalla tibia e dalla rotula, e dai mezzi di unione, o apparato capsulolegamentoso. Le superfici articolari sono la troclea e i condili femorali, il piatto tibiale e la faccia posteriore della rotula. La troclea è disposta anteriormente all'estremità distale del femore, i condili inferiormente e posteriormente. Il piatto tibiale è situato sull'estremità prossimale della tibia ed è costituito da due superfici pianoconcave, specie la mediale, separate da una superficie rugosa, che accolgono i condili femorali. La rotula, o patella, osso sesamoide di forma pressoché triangolare posto nello spessore del muscolo quadricipite femorale, presenta la superficie articolare sul versante posteriore, che si adagia sulla troclea femorale. L'apparato capsulolegamentoso è distinto in un compartimento mediale, uno laterale e un versante posteriore, cui si aggiungono strutture intrarticolari, come i menischi e i legamenti crociati. Il compartimento mediale è essenzialmente rappresentato dal legamento collaterale mediale, struttura connettivale nastriforme, lunga circa 10 cm e larga 1 cm, che dal femore raggiunge la tibia sul suo lato mediale. Il compartimento laterale è costituito dal legamento collaterale laterale, un cordoncino cilindrico di circa 4-5 cm, teso dal femore alla testa del perone. Questo versante è rinforzato dal tratto ileotibiale, che è la porzione terminale del tendine del muscolo tensore della fascia lata. Il versante posteriore dell'apparato capsulolegamentoso del ginocchio presenta due legamenti di scarsa importanza funzionale, il popliteo obliquo e l'arcuato.
Anteriormente, il ginocchio è completato dall'apparato estensore, costituito dal tendine del muscolo quadricipite, dalla rotula e dal tendine rotuleo, che di tale muscolo può essere considerato morfologicamente il tendine terminale, e che fissa inferiormente la rotula alla tibia. La capsula articolare del ginocchio delimita il cavo articolare, si fissa sul femore e sulla tibia, e presenta discontinuità e rinforzi. Le discontinuità si trovano a livello della rotula, sul cui contorno si ancora la capsula, e a livello dei margini superiori e inferiori delle facce esterne dei menischi. A livello del versante posteriore dei condili femorali, la capsula si presenta invece notevolmente ispessita e prende la denominazione di gusci condiloidei.
I menischi presenti all'interno del ginocchio sono due, esterno e interno: si tratta di strutture fibrocartilaginee a sezione triangolare, con una faccia superiore leggermente concava, su cui scorrono i condili femorali, una inferiore piana, che poggia sulla tibia, e una laterale esterna. I menischi hanno forma di C, l'esterno più chiuso e l'interno più aperto. Per quanto riguarda i legamenti crociati, elementi responsabili della stabilità in senso anteroposteriore del ginocchio, quello anteriore, più corto (1,5-2 cm), è teso dalla superficie prespinosa della tibia al condilo esterno del femore, mentre il posteriore, più lungo (4,5-5 cm), è teso dalla superficie retrospinosa della tibia al condilo interno. I legamenti crociati sono dotati di innervazione e irrorazione proprie.
A partire dalla posizione di completa estensione del ginocchio, l'angolo di flessione può avere un'ampiezza massima di circa 135°. Nel corso della flessione, i condili femorali, con il loro movimento rotatorio, tendono a oltrepassare il bordo posteriore del piatto tibiale, ma sono trattenuti dai legamenti crociati, dalla fascia lata e da altre strutture di contenimento. All'aumentare dell'angolo di flessione, il legamento crociato anteriore viene messo in tensione e determina uno slittamento anteriore dei condili femorali sui menischi. A partire dalla posizione di completa flessione, l'estensione del ginocchio avviene mediante rotazione dei condili femorali in direzione del bordo anteriore del piatto tibiale. Nel corso di tale movimento, il legamento crociato posteriore entra in tensione e determina uno slittamento posteriore dei condili femorali sui menischi. Nell'azione estensoria, la forza sviluppata dal muscolo quadricipite femorale viene trasmessa alla tibia da un insieme di strutture costituenti un complesso anatomofunzionale che prende il nome di apparato estensore del ginocchio. Gli elementi di tale apparato meccanicamente più sollecitati sono il tendine del quadricipite, la rotula e il tendine rotuleo.
L'apice della rotula, orientato verso il basso, dà inserzione al legamento rotuleo, il quale, proiettandosi inferiormente, presenta il suo punto di inserzione distale sulla tuberosità della tibia, e da un punto di vista funzionale può essere considerato un tendine, in quanto costituito da fibre connettivali che sono in diretta continuità con quelle del tendine del quadricipite. La superficie posteriore della rotula, che si articola con l'estremità distale del femore, è munita di una cresta longitudinale che si adatta perfettamente alla gola della troclea femorale.
Durante i movimenti di flessione ed estensione del ginocchio, l'apparato estensore scorre sulla profonda scanalatura costituita dalla gola della troclea femorale e dalla superficie intercondiloidea. Da un punto di vista biomeccanico, durante l'azione estensoria operata dal quadricipite femorale, la rotula svolge un ruolo molto importante. Essa, infatti, agendo come una sorta di puleggia, amplia l'angolo di inserzione del legamento rotuleo sulla tuberosità della tibia, aumentando, di conseguenza, il vantaggio meccanico del quadricipite femorale. Nella posizione di completa estensione, la rotazione assiale del ginocchio è impedita dalla tensione sviluppata dai legamenti laterali e crociati. Nella posizione di flessione, invece, il movimento di rotazione assiale del ginocchio è reso possibile dalla riduzione della tensione dei legamenti collaterali e della fascia lata. Quando il ginocchio è flesso ad angolo retto e oltre, è possibile determinare una rotazione assiale interna ed esterna della gamba rispetto alla coscia, con un angolo massimo di circa 60-70°.
Nella postura eretta, l'articolazione del ginocchio è in posizione di leggera iperestensione (circa 5°). In tale condizione, il peso del corpo gravante su di essa tende ad aumentare l'angolo di estensione, in quanto la linea di gravità del baricentro del corpo cade di poco anteriormente ai punti di contatto dell'articolazione. Il movimento di iperestensione, che sarebbe conseguente a questo particolare assetto meccanico del corpo, viene contrastato soprattutto dal legamento crociato posteriore, coadiuvato almeno in parte dai legamenti laterali e dal tessuto fibroso del piano posteriore della capsula articolare. L'interazione meccanica che si stabilisce tra la forza di gravità e le forze di reazione degli elementi capsulolegamentosi sopra indicati determina il blocco fisiologico del ginocchio, e consente quindi il mantenimento della postura eretta anche senza l'intervento dei muscoli che si oppongono alla gravità (estensori). In posizione retta, l'articolazione presenta un valgismo fisiologico, con angolo ottuso aperto lateralmente pari a 170-175°. Quest'angolo è formato da due componenti: una femorale, pari a 81°, delimitata dall'asse del femore e dall'asse trasversale bicondiloideo, e una inferiore, pari a 93°, tra quest'ultimo e l'asse della tibia. Va infine ricordato l'asse meccanico dell'arto inferiore, che unisce i punti centrali delle articolazioni dell'anca, del ginocchio e del collo del piede.
Il collo del piede è quella regione, disposta tra la gamba e il piede, che comprende l'articolazione tibiotarsica, o caviglia. In superficie e posteriormente, il collo del piede mostra il rilievo del tendine di Achille, delimitato sui lati dalle docce retromalleolari, mediale e laterale. Lateralmente si apprezzano i rilievi dei malleoli, anteriormente quelli dei tendini dei flessori dorsali del piede. L'articolazione tibiotarsica è determinata dalle superfici articolari presenti sulle estremità distali della tibia e del perone, e dalle facce superiore, mediale e laterale dell'astragalo. La faccia superiore dell'astragalo è a forma di troclea, con una gola mediana disposta in senso anteroposteriore e due versanti, di cui l'esterno più esteso. La caviglia è dotata di una capsula e di legamenti: il legamento tibiale, mediale, e il legamento fibulare, laterale. Il legamento tibiale è denominato deltoideo perché di forma triangolare. Irradiandosi verso il basso, esso congiunge il malleolo mediale all'astragalo, allo scafoide e al calcagno. Il legamento fibulare unisce invece il malleolo laterale all'astragalo e al calcagno. L'articolazione tibiotarsica consente i movimenti di flessione ed estensione del piede. La flessione dorsale del piede è determinata dai muscoli tibiale anteriore, estensori lunghi delle dita e dell'alluce e peroniero anteriore. L'estensione o flessione plantare è data dai muscoli tibiale posteriore, lunghi flessori delle dita e proprio dell'alluce, tricipite surale, plantare e peronieri lungo e breve. Sull'estremità distale della tibia sono presenti due superfici articolari, una orizzontale, per la faccia superiore dell'astragalo, e una verticale, per il versante mediale dell'astragalo. Sull'estremità distale del perone, infine, si trova invece una sola superficie articolare, posta sul malleolo laterale, per il versante laterale dell'astragalo.
L'articolazione tibiotarsica è adatta a funzioni di sostegno e di movimento. Nella postura eretta, essa sopporta l'intero peso del corpo, mentre durante la locomozione deve anche assicurare i movimenti tra gamba e piede. Il carico meccanico viene sopportato dalle estese superfici articolari della tibia e dell'astragalo, che consentono movimenti solo sul piano sagittale: flessione ed estensione. Avendo come riferimento la postura eretta, il movimento di flessione consente l'avvicinamento del dorso del piede alla faccia anteriore della gamba ed è detto anche flessione dorsale; la sua ampiezza massima è di 20°. Il movimento inverso, l'estensione, è denominato anche flessione plantare e ha un'ampiezza massima di 30°. La mobilità della caviglia è soprattutto controllata dai muscoli soleo, tibiale anteriore e gastrocnemio, con i quali collaborano anche i muscoli più direttamente implicati nel movimento delle dita del piede. La stabilità trasversale della caviglia è assicurata dalla sua architettura e da robusti apparati legamentosi di rinforzo.
La tibia e il perone, saldamente uniti dai legamenti tibioperoneali e dal legamento interosseo, costituiscono, con la loro porzione malleolare, una solida struttura arcuata nella quale è trattenuto l'astragalo. Quest'ultimo è inoltre fissato ai malleoli mediante gli apparati legamentosi mediale e laterale, che ne impediscono i movimenti di rotazione intorno al suo asse longitudinale. I muscoli estensori della caviglia, globalmente considerati, sono molto più sviluppati e forti di quelli addetti alla flessione. Le ragioni di tale differenza sono in parte riconducibili al diverso impegno meccanico dei due gruppi di muscoli nel mantenimento della postura eretta. Infatti, poiché in tale posizione la proiezione al suolo del baricentro corporeo viene per lo più a cadere al davanti dell'articolazione della caviglia, il mantenimento della postura è assicurato dalla continua e potente azione di opposizione alla gravità dei muscoli estensori.
Il piede è quella regione che, con la sua architettura ossea e muscolotendinea, assicura all'uomo la stazione eretta e un corretto meccanismo di deambulazione. L'evoluzione del piede, da organo prensile dotato di grande flessibilità a meccanismo più rigido, adatto a un'azione propulsiva e di sostegno, spiega la sua complessità strutturale. I muscoli e le strutture scheletriche atti alla prensione sono ancora presenti, ma il loro ruolo è molto ridotto rispetto alle componenti del piede implicate nella postura eretta e nella locomozione. Lo scheletro del piede è costituito dalle ossa del tarso, del metatarso e delle dita. Le ossa del tarso sono l'astragalo, il calcagno, il cuboide, lo scafoide e i tre cuneiformi. Le ossa del metatarso sono cinque ossa lunghe con base, testa e corpo. Le ossa delle dita sono le falangi: due per l'alluce e tre per le altre quattro dita. Nel suo insieme, lo scheletro del piede può essere distinto in una porzione laterale e inferiore, e in una mediale superiore. La porzione inferiore, detta anche calcaneare, è rappresentata dal calcagno, che è l'elemento posteriore, dal cuboide, disposto davanti al calcagno, e dalla base del quarto e quinto metatarso.
La porzione superiore o astragalica è costituita, dall'indietro in avanti, dall'astragalo, dallo scafoide, dai tre cuneiformi, anteriormente ai quali si dispongono le prime tre ossa metatarsali. Tra le articolazioni proprie del piede si distingue l'articolazione astragaleocalcaneale, che consente la sovrapposizione dell'astragalo al calcagno; essa è dotata di due superfici articolari per ciascuna delle due ossa, che sovrapponendosi delimitano un canale, il seno del tarso, nel quale è contenuto un robusto legamento interosseo. L'astragalo e il calcagno con le loro superfici anteriori si articolano rispettivamente con lo scafoide e il cuboide. Questa articolazione è denominata articolazione mediotarsica di Chopart. Le ossa del tarso si articolano con le ossa del metatarso, determinando l'articolazione tarso-metatarsica o di Lisfranc. Più precisamente, il primo cuneiforme si articola con la base del primo metatarso, la base del secondo metatarso è incastrata fra i tre cuneiformi, mentre il terzo metatarso si articola con il terzo cuneiforme. Gli ultimi due metatarsi si articolano con il cuboide. Infine, completano le articolazioni del piede le articolazioni metatarsofalangee, che sono condiloartrosi, e le articolazioni interfalangee, che sono trocleoartrosi.
Nel loro insieme, le ossa del piede disegnano la volta plantare, la cui corretta morfologia è condizione di un ottimale appoggio al suolo, in condizioni sia statiche che dinamiche. La volta plantare è sostenuta da tre archi: due disposti in senso anteroposteriore e uno disposto trasversalmente. L'arco plantare mediale è costituito, dall'indietro in avanti, dal calcagno, dall'astragalo, dallo scafoide, dal primo cuneiforme e dal primo osso metatarsale. In condizioni statiche, tale arco poggia al suolo esclusivamente sulle sue estremità anteriore, testa del primo metatarso, e posteriore, tuberosità del calcagno. La chiave di volta di questo arco è lo scafoide, che in condizione di appoggio dista dal suolo circa 15-18 mm. L'arco laterale è costituito dal calcagno, dal cuboide e dal quinto metatarso. Anche questo arco poggia al suolo solo mediante le sue estremità anteriore, testa del quinto metatarso, e posteriore, tuberosità del calcagno. In condizioni statiche, il cuboide rappresenta il punto più alto di questo arco, che solitamente dista dal piano di appoggio circa 3-5 mm. L'arco trasversale o anteriore è costituito dalle teste dei cinque metatarsi, di cui solo il primo e il quinto poggiano al suolo; il secondo ne rappresenta il punto più alto, in quanto dista dal piano di appoggio circa 9 mm. Le strutture osteoarticolari del piede sono rivestite da tendini, strutture connettivali e cute, nonché da elementi vascolari e nervosi. Il sistema venoso dell'arto inferiore origina dalle reti venose, plantare e dorsale del piede, le quali, confluendo nelle rispettive arcate, daranno origine alle vene superficiali dell'arto inferiore, quali la grande e la piccola safena.
A livello del collo del piede, strutture connettivali delimitano spazi entro i quali si collocano tendini, vasi e nervi. Anteriormente al collo del piede, il legamento anulare del tarso con i suoi setti profondi delimita medialmente uno spazio, attraversato dai tendini dei muscoli tibiale anteriore, estensori dell'alluce e delle dita e peroniero anteriore. Questo spazio è attraversato anche dal nervo tibiale anteriore. Nella regione plantare del piede è presente una robusta struttura, l'aponeurosi plantare, che con i suoi setti profondi delimita tre logge: mediale, media e laterale.
Le articolazioni del piede sono numerose e complesse, e servono sia a cambiare la posizione rispetto alla gamba (movimenti di rotazione longitudinale e di lateralità), sia a modificare la forma e la curvatura dell'arco plantare. Le articolazioni più implicate in questi movimenti sono quelle tra le ossa del tarso e del metatarso. Oltre al movimento di flesso-estensione, che si realizza a livello dell'articolazione tibiotarsica, i movimenti del piede sono: abduzione e adduzione, che si attuano sul piano orizzontale (la prima determina lo spostamento della punta del piede verso l'esterno, la seconda verso l'interno) e hanno un'ampiezza totale di circa 40°; rotazione interna ed esterna, che si effettuano attorno all'asse longitudinale del piede e, in analogia ai movimenti della mano, vengono anche detti, rispettivamente, di supinazione e di pronazione; l'ampiezza della supinazione, di circa 50°, è maggiore della pronazione, circa 30°. Le dita del piede, brevi e a motilità limitata, possono compiere movimenti di flesso-estensione e di lateralità, grazie all'intervento di muscoli intrinseci ed estrinseci del piede che agiscono sulle articolazioni metatarsofalangee e interfalangee.
Si noti che, in conseguenza della sua evoluzione, l'alluce del piede umano ha perso l'importante movimento di opposizione, ma ha acquisito un rilevante ruolo nella locomozione: la sua vigorosa flessione nella fase terminale dell'appoggio del piede al suolo costituisce un meccanismo propulsivo che assume importanza sempre maggiore con l'aumentare della velocità di locomozione.
La volta plantare svolge il compito di distributore del carico meccanico e di ammortizzatore elastico. Nella postura eretta, il peso del corpo viene trasferito al terreno e ripartito sui tre punti di appoggio della volta plantare: l'appoggio posteriore, che sopporta il carico maggiore, e i due appoggi anteriori, esterno e interno. Durante la deambulazione, il carico meccanico si trasferisce ciclicamente dal tallone, nella presa di contatto al suolo, all'avampiede, durante la fase finale dell`appoggio. Nel corso dell'appoggio, la volta plantare subisce deformazioni elastiche, per effetto delle quali tende ad appiattirsi. La resistenza e l'elasticità della volta sono dovute in larga misura ai legamenti che tengono unite le numerose ossa del piede e ai muscoli intrinseci ed estrinseci che agiscono su di esso e che sono responsabili dell'integrità dell'arco plantare. Il piede può perdere la sua resistenza meccanica allo stress gravitazionale per varie cause. La conseguenza più evidente di questo evento è l'appiattimento della volta plantare, la quale comporta sia il disallineamento delle ossa del piede, sia la deformazione delle sue componenti muscolari, tendinee e legamentose. Tali alterazioni possono determinare una predisposizione alla perdita dell'equilibrio.