Arti visive
Agli inizi del 21° sec. la produzione delle a. v. mostra di aver portato al massimo compimento le premesse poste cento anni prima, sia riguardo alle modalità di diffusione sia nel rinnovamento del linguaggio e dei temi. L'introduzione delle tecnologie avanzate, dei mezzi tecnici e scientifici di riproduzione e di trasmissione delle immagini, della fotografia hanno creato nuovi procedimenti espressivi che superano o contaminano le tecniche tradizionali delle arti visive. Stenta però a ricomporsi la frattura determinata dalle avanguardie storiche nei rapporti con il pubblico, fino a giungere a un paradosso insoluto. Da una parte, le opere manifestano un linguaggio criptico e di difficile interpretazione per il profano; qualsiasi ambito di ricerca, del resto, sviluppa terminologie specialistiche e l'a. v. non fa eccezione, a meno che non si aderisca all'opinione secondo cui l'opera deve essere in grado di comunicare emozioni a chiunque e immediatamente. Dall'altra parte, e nonostante queste difficoltà, l'attenzione verso l'arte contemporanea è notevolmente cresciuta, soprattutto da parte delle amministrazioni pubbliche e del mercato privato. La sua promozione è diventata sempre più intensa e ha toccato vette di grande impatto sociale, tanto da poter convenire con i teorizzatori di una produzione culturale adatta a creare intrattenimento e consenso: assumono un aspetto profetico, in particolare, le riflessioni di Th.W. Adorno e M. Horkheimer sull'industria della cultura e di G. Debord sulla società dello spettacolo.
I dispositivi di costruzione della storia dell'arte
La legittimazione culturale
Cosa si può considerare arte. - A partire dagli anni Ottanta del 20° sec. si è sviluppato un vasto e rinnovato meccanismo di committenza, che non coinvolge soltanto collezionisti privati, ma anche vari soggetti istituzionali. Nelle sue forme diverse, esso decreta quali siano gli artisti meritevoli di promozione culturale e commerciale. Queste dinamiche sarebbero di importanza relativa se si potesse stabilire, in base a criteri assoluti, cosa sia arte e cosa no e quali opere, quindi, riflettano maggiormente le caratteristiche della disciplina. Ma la fine del Novecento, come si è già accennato, non ha certo contribuito a risolvere tale nodo, presentando una produzione artistica in gran parte centrata sull'evoluzione del collage: l'inserimento dell'elemento comune e sovente casuale, di memoria cubista e dadaista, è esploso in una serie di pratiche che rende difficile distinguere tra opera d'arte e oggetto qualsiasi; solo il contesto può aiutare a chiarire il dominio di pertinenza. Inoltre, l'arte di fine millennio è stata connotata come mai prima da interventi di carattere tecnologico, con enorme espansione del video, della fotografia a colori, della fotografia digitale, di componenti sonore, di opere visibili solo in Internet. Un ventaglio di possibilità espressive senza precedenti si è affiancato ai linguaggi tradizionali di pittura e scultura, che peraltro continuamente riemergono, risultando inevitabilmente contaminati dal nuovo modo di creare e di comporre le immagini. La tecnologia del Duemila sta cambiando in maniera irreversibile forma, natura, iconografia e lessico della figura, come attesta il retroterra fotografico e filmico della pittura emersa nei tardi anni Novanta del Novecento. A partire da una scuola i cui maestri sono stati A. Katz (n. 1927), G. Richter (n. 1932), e la più giovane M. Dumas (n. 1953), si è giunti al nuovo realismo fotografico che connota le opere di artisti come K. Kilimnik (n. 1955), L. Tuymans (n. 1958), P. Doig (n. 1959), N. Rauch (n. 1960), E. Peyton (n. 1965). Tali mutamenti scardinano le modalità storicamente avallate di interpretazione del linguaggio iconico e tolgono validità a ogni criterio valutativo fondato sulla perizia esecutiva. Il 'saper fare' dell'artista non si elide, ma diventa una competenza che può abbracciare campi tra loro distanti, quali la capacità di organizzare eventi, di interpretare e trasfigurare luoghi, di sapere chiedere ai tecnici una certa postproduzione in un video o un certo effetto sonoro, di rendere interattiva un'immagine proiettata. Seguendo un itinerario iniziato con le avanguardie, l'opera si è vieppiù trasformata in uno stimolo percettivo alla ricerca di definizione. A questo proposito è necessario un breve excursus delle teorie estetiche che risultano più consentanee con l'ultima produzione artistica. Il filosofo M. Weitz ha proposto che si possa usare per la definizione di arte la stessa elasticità che L. Wittgenstein aveva ipotizzato per la definizione di gioco: un ombrello che riunisce una famiglia di elementi molto diversi tra loro e che pure avvertiamo come vicini. Le opinioni dei teorici convergono nel sostenere che la decisione di cosa riconoscere come arte spetti al sistema dell'arte, definizione coniata dal critico L. Halloway nel 1972; questa si può ritenere equivalente all'espressione mondo dell'arte usata dal teorico G. Dickie. Entrambe le locuzioni mettono in evidenza la natura collettiva della struttura che determina il consenso, anche se il termine sistema ha un più evidente richiamo a un meccanismo dinamico e composito. Dickie risulta comunque un punto di riferimento per avere formulato la cosiddetta teoria istituzionale, secondo la quale è appunto il mondo dell'arte, assurto a soggetto istituzionale, a decretare la possibilità che un oggetto sia candidato a essere considerato opera d'arte. Seguendo e perfezionando tale linea, il sociologo H. Becker ha sostenuto che le valutazioni dipendono da una 'interpretazione condivisa', della quale sono protagonisti anche artigiani, tecnici a vario titolo e chiunque sia venuto a contatto con l'opera soprattutto durante la sua esecuzione. A decretare la pertinenza di un oggetto al campo dell'arte non sarebbe, del resto, solo 'un' mondo dell'arte, ma contesti numerosi e variabili. Altrettanto numerosi e variabili sarebbero quindi i criteri della validazione: nessuna opera potrebbe mai dirsi definitivamente consegnata alla storia dell'arte. La sua identità in quanto opera dipende infatti dalle interpretazioni che ne vengono date e dunque anche dal contesto in cui viene a essere intesa, come ha sottolineato A. Danto. Il filosofo statunitense ha rilevato come l'occhio non sia mai vergine e sia sempre condizionato da un background culturale: le Brillo boxes di A. Warhol sono opere in quanto si indovina in esse un sistema di significazione, una stratificazione di riferimenti, una cultura intera condensata in un oggetto banale trasfigurato. In presenza dei nuovi linguaggi artistici, nel momento in cui il ready made non è soltanto una boutade ma una base di partenza pregnante, il problema si è fatto tanto aggrovigliato che qualcuno ha cercato di evitarlo del tutto. N. Warburton, per es., è giunto ad affermare che non vale la pena di dedicarsi alla definizione della categoria di arte; perduta ogni certezza data in merito dalla tradizione idealista, meglio occuparsi direttamente delle opere singole e del loro significato specifico. Ciò posto, per costruire l'ossatura di una storia dell'arte a partire da fenomeni assolutamente presenti e non setacciati dal tempo, diventa cruciale comprendere come agiscano gli attori del sistema dell'arte e quali mutazioni abbiano subito. Occorre comprendere come si comportino e come si incontrino le voci diverse di artisti, collezionisti, galleristi, mercanti, critici della carta stampata e del contesto universitario, curatori e direttori di museo. L'artista e l'opera con qualche possibilità di successo devono giungere a farsi notare da ciascuna di queste figure. La fama che può raggiungere un artista vivente resta comunque circoscritta a un ambito limitato; anche ad artisti come Warhol (1928-1987), J.M. Basquiat (1960-1988) e K. Haring (1958-1990) è stata tributata una grande notorietà, pur sempre limitata al mondo dell'arte, soltanto dopo la morte. Quello delle a. v. resta in ogni caso un modo espressivo più libero di altri, proprio grazie a questa sua lateralità e al fatto che il sistema di committenza è indiretto e non immediato, come nel caso dei prodotti industriali; il prodotto artistico infatti non è tenuto, per esistere, a compiacere direttamente nonché rapidamente il suo pubblico.
I musei. - L'intensificarsi di attenzioni rivolte all'arte contemporanea è attestato anzitutto dall'aumento dei musei, e dal rinnovato interesse che gli architetti hanno dimostrato nel progettare nuove strutture o nel riadattare spazi già esistenti (si veda in proposito l'ampio apporto teorico dell'architetto olandese R. Koolhaas). Nati in alcuni casi dalla ristrutturazione di impianti archeoindustriali, come la Tate Modern di Londra (Herzog & De Meuron, 2000), più spesso i nuovi musei sono edifici completamente nuovi, come il Guggenheim Bilbao Museoa di Bilbao (F.O. Gehry, 1997), il MART di Rovereto (M. Botta, 2002), la Kunsthaus di Graz (Peter Cook & Colin Fournier, 2003). Tali strutture, sovente dall'aspetto organico, a volte invece evoluzioni del modernismo, sono state realizzate attorno al 2000, quasi contemporaneamente, in Europa, America e Asia. Il modello funzionale che ricorre è quello nato con il Centre Pompidou di Parigi (R. Piano e R. Rogers, 1977), il primo centro per l'arte contemporanea a puntare sullo stesso doppio binario che si è affermato in seguito: all'esterno, un guscio architettonico stupefacente e di forte impatto visivo; all'interno, la convivenza tra collezione permanente e iniziative espositive subentranti, multidisciplinari, capaci di richiamare pubblico e stampa. Seguendo questa direzione, è stato possibile trasformare il museo dal luogo deprecato dalle avanguardie del primo Novecento, in quanto dedito alla conservazione, a quel centro dinamico nel quale ogni artista aspira a essere rappresentato, in quanto ganglio essenziale del sistema di validazione.
Le mostre. - Nella catena che conduce alla legittimazione degli artisti, riveste una parte determinante la strategia espositiva e la capacità di inserirsi nella specifica grammatica delle mostre. Le personali mettono a punto le fasi dell'itinerario creativo e del riconoscimento di un artista singolo, sempre più spesso queste esposizioni hanno luogo in gallerie private sperimentali o in centri non-profit; di qui si passa alle aree project dei musei, tesi con ciò a rendersi vitali attraverso una valorizzazione dei giovani del territorio e in generale delle generazioni entranti. Risulta poi di particolare importanza la mostra personale di mid-career, un'antologica che tende a fare il punto sulla produzione matura di un artista. Il passo successivo del riconoscimento è di norma una retrospettiva che celebra un lungo percorso artistico, all'interno di un museo prestigioso e con un forte apparato critico nel catalogo. Va da sé che i primi passi vengono assicurati a molti, mentre gli ultimi spettano soltanto a chi ha sopportato e superato una lunga serie di selezioni. Un altro lato saliente del processo di legittimazione è costituito dalle partecipazioni a mostre collettive, sia estemporanee, sovente a tema e realizzate all'interno di una struttura museale, sia periodiche, come la Biennale di Venezia, la Documenta di Kassel, la Biennale del Whitney a New York e biennali sorte o risorte un po' ovunque, soprattutto a partire dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso: da Manifesta, itinerante in Europa, alle Biennali di Lione, Istanbul, Santa Fe nel Nuovo Messico, l'Avana, Mosca, Kwangju nella Corea del Sud, Yokohama in Giappone e, ancora, appuntamenti in Cina come in altre regioni dell'Asia.
Gli sponsor. - Le mostre aumentano di numero ma gli organizzatori sono costantemente alla ricerca di pubblico e sponsorizzazioni. Se si osserva la vicenda della Biennale di Venezia, che per prestigio è riuscita a mantenersi al secondo posto nel mondo dopo la tedesca Documenta di Kassel, vediamo come l'afflusso non riesca a muoversi molto dalla media di 250.000 visitatori per circa quattro mesi di esposizione, una cifra pressoché analoga a quella toccata dalle sue prime edizioni alla fine dell'Ottocento.
Tali considerazioni dimostrano una volta di più che l'arte contemporanea non coinvolge un pubblico così vasto e resta circoscritta a un ambito essenzialmente elitario. Ciò inficia il rapporto con gli sponsor, che chiedono ampi ritorni di immagine e che per questo sono disponibili a finanziare anche mostre di scarso valore culturale, purchè di vasto richiamo turistico. Nei casi migliori, i finanziatori sono sempre meno disposti a fornire solo denaro e cercano di inserirsi nel processo ideativo della rassegna. Esemplare è da considerarsi il caso dell'azienda Illy, produttrice triestina di caffè: dopo un primo contributo economico alla Biennale del 1997, Illy ha voluto essere presente nella concezione stessa delle Biennali del 2003 e del 2005; seguendo un trend curatoriale che cerca di rendere le mostre sempre più interattive e partecipi dei bisogni dello spettatore, ha creato delle aree di relax nel percorso espositivo e vi si è dunque inserita a pieno titolo, con un design scelto in proprio. In generale, la sponsorizzazione tout-court, che non garantisca un ritorno veicolando il nome e comunicando i valori dell'ente sostenitore, tende a essere sostituita da interventi fortemente riconoscibili.
I curatori. - Posta la rilevanza di mostre e musei, è evidente che la figura del curatore ha assunto un'importanza decisiva. Che si tratti di un opinion leader o di un semplice organizzatore, a lui si deve un doppio tipo di scelta: in primo luogo, quella che porta l'artista a rendersi visibile nelle mostre; in secondo luogo, quella che porta le opere all'interno delle collezioni delle gallerie pubbliche. A ciò si aggiunga il progressivo affermarsi di una figura di curatore che è anche autore, laddove la mostra (per lo più collettiva) si presenti come una esposizione a sua firma. Le opere tendono allora a funzionare come illustrazione di una tesi personale e di un modo di procedere innovativo: mostre che hanno cambiato natura di sede in sede, come Cities on the move (a cura di H.U. Obrist e H. Hanrou, Vienna, Bordeaux, New York, Humlebaek, Londra, Bangkok, Helsinki, 1997-2000), o che hanno scelto come sede luoghi storici e simbolici, come la decennale Projekte. Skulptur (a cura di K. Koenig, Münster 1977, 1987, 1997, 2007), o che si sono affidate a un pool di curatori anziché a uno soltanto (Biennale di Venezia del 2003), dimostrano la ricerca di un rinnovamento della forma-mostra in molteplici direzioni. Figlio della figura del teorico alla Marinetti, alla Breton, all'Apollinaire, in realtà il curatore contemporaneo non accompagna un movimento, come fecero questi protagonisti delle avanguardie, né lo lancia, come accadde a critici del dopoguerra quali C. Greenberg (Action painting), P. Restany (Nouveau réalisme), G. Celant (Arte povera) e altri. Piuttosto, il curatore tende a individuare un problema e a metterlo in evidenza attraverso pratiche espositive. Punto di riferimento per questo modo di operare sono state personalità anche molto differenti tra loro. A due poli estremi si possono collocare lo svizzero H. Szeemann, curatore della Biennale di Venezia nelle edizioni del 1999 e del 2001, e l'americano J. Deitch, la cui mostra più importante è stata Post human (Losanna-Rivoli 1992-93): il primo ha sempre lavorato all'interno di strutture ufficiali e si è proposto come guru o guida spirituale. Il secondo è nato nell'ambito commerciale, consulente per le collezioni bancarie, uno dei curatori della Biennale veneziana nel 1993, dalla metà degli anni Novanta gallerista privato. Quali debbano essere i confini dell'operato del curatore, del resto, e quali limiti sia giusto che egli ponga tra l'espressione di sé e il rispetto delle opere, è questione che ha dato corpo a dibattiti, libri e convegni (Bätschmann 1997; Schubert 2000). Dopo quanto detto riguardo alle mostre, va precisato che è proprio la figura del curatore a essere deputata, sia nei musei sia nelle mostre, a raccogliere i fondi degli sponsor. Da qui il suo progressivo trasformarsi in un personaggio bifronte: da un lato, esperto e intellettuale creativo, dall'altro, manager che reperisce e gestisce un budget. Tanto maggiore è questa sua seconda capacità, quanto più forte è la sua credibilità anche dal punto di vista culturale.
Il mercato
Gallerie, fiere, aste. - Un ruolo importante nel mondo dell'arte contemporanea è giocato anche dalle gallerie private. Nel passaggio al 21° sec., queste hanno spesso profuso un impegno economico ingente per la produzione di mostre dei loro artisti. È soprattutto in queste occasioni che la critica ha modo di conoscere e di apprezzare un esordiente ma anche le nuove fasi creative di un artista affermato. La conseguenza di tale impegno, culturale ed economico, è che, da un lato, i galleristi cercano contatti sempre più stretti con il mondo dei curatori, tentando di costruire per il loro artista una credibilità culturale; dall'altro, i curatori si rivolgono ai galleristi come forma di aggiornamento. A tal proposito occorre menzionare le fiere d'arte che, cresciute notevolmente per quantità e qualità negli ultimi anni, si sono affermate come importante luogo di scambio di informazioni, oltre che di compravendita. Il loro ruolo tende a sovrapporsi a quello delle grandi mostre offrendo spesso, come corredo agli stands, vaste aree espositive e iniziative culturali collaterali. Si ricordano soltanto due casi significativi. La maggiore fiera d'arte contemporanea nel mondo, Art Basel, che si svolge annualmente a Basilea (Svizzera), ha aperto nel 2002 una filiale a Miami e, dunque, su suolo statunitense. Contemporaneamente ha preso corpo a Londra la fiera Frieze, nata dalla rivista omonima, con un target specializzato in gallerie che trattano esclusivamente arte contemporanea. Entrambi gli esempi attestano come, tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, ingenti somme di denaro siano pronte a riversarsi sul mercato dell'arte contemporanea. Probabilmente ciò è un effetto della crisi di borsa che ha inaugurato il 21° sec., con la brusca caduta dei titoli tecnologici, così come dell'ulteriore difficoltà negli investimenti tradizionali generata dalla diminuzione del costo del denaro. L'arte contemporanea si è attestata come forma d'investimento alternativa e attraente. A questo punto si può notare come stiano cambiando anche i parametri in base ai quali si forma il prezzo di un'opera. In particolare, si va riducendo la distanza tra operatori del cosiddetto mercato primario e del secondario. Per mercato primario si intende quello che riguarda un esordiente e i cui prezzi sono decisi da chi propone la vendita. Per mercato secondario si intende quello che rimette in circolazione opere che abbiano già avuto un primo compratore e che, quindi, passino di mano soprattutto attraverso una vendita all'asta. La cifra di aggiudicazione assume il valore di un dato oggettivo, sono i primi passaggi in asta infatti quelli che solidificano il valore di una firma e che decretano il successo commerciale di un certo artista. Verificando il percorso di alcuni protagonisti di grandi record nei primi anni del Duemila, si evince che arriva a tanto solo chi abbia un importante numero di presenze nelle mostre pubbliche internazionali. Il record in asta, a sua volta, giustifica e consente richieste di prezzi sempre più alti sul mercato primario. Non a caso alcuni artisti dal piglio imprenditoriale, tra cui l'inglese D. Hirst, hanno essi stessi messo all'asta i propri lavori: l'enfant terrible della voga britannica ha realizzato una vendita milionaria proponendo gli arredi/opera derivanti dallo smantellamento del suo ristorante londinese Pharmacy (2004). Alla radice di questi fenomeni va anche considerato che nel 1997 la casa d'aste Christie's ha iniziato una vasta operazione di marketing attraverso una nuova suddivisione tra arte moderna e arte contemporanea: da allora infatti la contemporary non inizia dal secondo dopoguerra, ma dal 1965, cioè dopo la corrente pop che rientra nel settore del moderno. Questa decisione, che ha iniziato a dare i suoi frutti con l'asta del 22 aprile 1998 a Londra e che è stata seguita da tutte le altre case d'aste, è stata dettata dalla difficoltà sempre maggiore di reperire e proporre opere precedenti. In questo modo, molte compravendite sono state spostate su una produzione recentissima, contribuendo a far nascere una grande bolla speculativa. Anche per questo i maggiori galleristi, soprattutto di New York, hanno sviluppato con il mondo delle aste un rapporto più intenso che nel passato. Riassumendo, il gallerista che si interessa di giovani artisti tende ad agire su più fronti: tiene contatti con chi realizza mostre e assembla collezioni pubbliche, ma anche con i collezionisti privati che si interessano di esordienti e con le aste, sulla cui piazza può cercare di vendere le opere degli artisti più noti.
In tal modo si genera un circolo virtuoso che al contempo innalza i prezzi e la reputazione dell'artista, salvo rendere impervio l'acquisto per i musei. Tutto questo tende ovviamente ad accadere su scala mondiale e in forma altamente mediatizzata; come mai prima, nel Duemila il vero successo non si lega a una reputazione nazionale, ma a una circolazione internazionale (Moulin 2003).
I premi. - Un'ulteriore modalità di validazione consiste nei premi, che dopo un lungo periodo di oblio nel corso degli anni Settanta hanno riacquistato forte vitalità. Ci sono premi per esordienti, il cui modello è soprattutto quello del Turner Prize: organizzato dalla Tate Britain di Londra insieme all'emittente televisiva Channel Four, esso ha lanciato durante gli anni Novanta e nei primi anni del Duemila tutti i protagonisti della presenza inglese nell'arte mondiale. Altri modelli di premio sono quelli che, come la DAAD (Deutscher Akademischer Austausch Dienst) di Berlino e l'Hugo Boss, segnano la fase intermedia della carriera di un artista e le imprimono nuovo impulso; infine, vi sono premi che riconoscono in maniera specifica la partecipazione a una mostra, come nel caso della Biennale di Venezia e dei suoi Leoni d'oro, o ancora quelli che celebrano una vita intera, come il Praemium imperiale giapponese.
Il collezionismo. - All'ingresso nel 21° sec. il sistema dell'arte appare come un organismo maturo con una definizione chiara dei suoi ruoli, anche se ancora in dinamica evoluzione. Si è giunti a questo soprattutto a partire dai primi anni Ottanta, quando l'emergere di una pittura neoespressionista mise a disposizione del collezionismo un tipo d'arte più appetibile e comprensibile rispetto ai documenti cartacei, alle fotografie in bianco e nero, alle testimonianze antifigurative dell'arte concettuale e processuale degli anni Settanta. Il decennio che corre dalla contestazione del 1968 fino al termine della crisi petrolifera è stato, probabilmente, quello nel quale i potenziali compratori sono stati maggiormente sfidati e ridotti a un gruppo di adepti. La maggiore disponibilità di denaro degli anni Ottanta, congiunta a un'arte di più facile vendibilità, ha favorito il collezionismo di fascia intermedia. A renderlo un fenomeno di portata sempre più vasta vanno considerati anche i nuovi bisogni di distinzione sociale correlati alla crescita dei redditi medio-alti: collezionare significa infatti mostrare uno stile di vita elevato, originale e guidato da una passione intellettuale che va al di là degli aspetti del mero investimento.
Le tipologie di collezionisti sono diverse, in parte in relazione alle possibilità economiche, in parte per tendenze caratteriali: vi sono quelli mossi da una passione tanto ammirevole quanto compulsiva; quelli disposti a rischiare, soprattutto per motivi speculativi; quelli alla ricerca di autostima, che attraverso l'arte contemporanea intendono palesare una mentalità raffinata, audace e rivolta al presente; quelli che tendono a farsi pubblicità e che, spesso, convogliano la loro collezione in un museo o in una fondazione privata. Tali categorie tendono a sovrapporsi, anche se ai fini della costruzione del valore e quindi della creazione della storia dell'arte è importante solo chi investe grandi somme. Un caso tipico è rappresentato dall'inglese C. Saatchi, uno dei maggiori fautori del successo di Hirst e degli Young British Artists nel corso della seconda metà degli anni Novanta. Saatchi si è anche proposto come finanziatore di un museo privato che reca il suo nome e come promotore di mostre che hanno fatto epoca. Prima tra tutte Sensation, partita con le opere dei suoi artisti preferiti dalla Royal Academy di Londra nel settembre 1997, per poi approdare a Berlino e a New York. Altro caso paradigmatico di collezionista opinion leader è stato, a partire dagli anni Novanta, il francese F. Pinault, che nel 2005 ha acquistato Palazzo Grassi a Venezia come sede per la propria collezione privata. È un fatto che al collezionismo è stato restituito un compito culturale di primo piano, compratori come questi sono tornati ad assumere un ruolo leader simile a quello che, nel passato, avevano avuto personaggi come G. Stein o S.R. Guggenheim.
Ultima tappa: la scrittura critica
Se confrontata con la vitalità delle pratiche curatoriali, una crisi profonda sembra aver colto la critica d'arte che si presenta sotto la forma scritta. Tranne casi eccezionali, i cataloghi delle mostre contengono testi semplificati e apparati documentari di spessore teorico discutibile. Le riviste d'arte, sorrette dall'introito pubblicitario proveniente da gallerie private e istituzioni, sono sempre più inclini a farsi meri contenitori di informazioni. Quotidiani e settimanali hanno aperto le loro porte ai linguaggi artistici sperimentali, benché l'accento sia posto sempre più sull'informazione e la trasformazione dei fatti artistici in attrazioni. I documentari destinati alla televisione sono spesso inficiati dalla tendenza - erede di una tradizione antichissima - a romanzare la vita dell'artista e a trasformarlo in personaggio leggendario. L'a. v., comunque, non si è dimostrata un soggetto particolarmente adatto alla televisione, neppure nell'epoca dei canali tematici e del digitale terrestre. La qualità del discorso critico tende a essere abbassata anche dal più potente concorrente della carta stampata, l'informazione via Internet. Benché la rete possa ospitare interi saggi e sia una fonte sempre più rilevante di aggiornamenti bibliografici, impone caratteristiche precise di fruizione: invita infatti a non superare le tre o quattro pagine di testo, misura massima per un lettore che sta davanti a uno schermo, limitando così l'articolazione del discorso. Gli approfondimenti restano appalto dei cataloghi delle mostre maggiori, ma soprattutto delle riviste legate alle comunità accademiche. Un ruolo determinante, per es., è stato assunto negli anni da October, rivista legata sia alla Columbia University sia al Massachusetts Institute for Technology per il tramite della cofondatrice R. Krauss. Tutti i maggiori collaboratori di Artforum, altra importante testata statunitense, risultano avere un ruolo in musei o facoltà universitarie. Per inciso, la critica d'arte italiana è diventata sempre più periferica rispetto a quella francofona, germanica e soprattutto anglosassone. Malgrado queste difficoltà e qualche disorientamento, in definitiva è ancora alla carta stampata e alla forma saggio, a cui si affianca sempre più spesso la pratica più neutrale dell'intervista, che viene data l'ultima parola sul valore di un artista e sulla sua posizione nella storia dell'arte; l'informazione spicciola tende a dare molta notorietà, ma spesso si rivela effimera. Il volume, che può diventare oggetto di studio, porta invece un'opera a essere parte della memoria collettiva.
Tuttavia è lecito pensare che la comparsa di un nome o di un'opera in un libro non si verifichi facilmente se l'artista non ha avuto dapprima un lancio nei musei, nelle mostre, nelle gallerie, nelle fiere, nelle aste, nel collezionismo. La scrittura critica arriva infatti alla fine del processo di legittimazione, connotato da una forte contaminazione tra il versante commerciale e quello culturale. Si sottolinea come i luoghi in cui si realizza la validazione storica delle opere siano tendenzialmente limitati alle aree economicamente dominanti, in cui vengono devoluti più fondi agli studi e all'editoria.
I temi di maggior rilievo agli inizi del 21° secolo
Si può partire dall'assunto che questo complesso meccanismo premi solo la speculazione economica, una posizione impossibile da smentire. Si può scegliere, però, di aver fiducia nella capacità di tutti gli attori coinvolti di fare emergere opere e autori davvero significativi: quelli, cioè, che sanno interpretare e trasfigurare la realtà. Le opere d'arte più riuscite sembrano avere infatti uno sguardo di sintesi sul presente e una capacità predittiva sulle urgenze future. Va notato come il periodo di passaggio tra il 20° e 21° sec. sia stato caratterizzato dalla fine dei movimenti di gruppo, capeggiati da un critico e guidati da intenti comuni, pratica ricorrente soprattutto fino agli anni Ottanta; in particolar modo nessun raggruppamento di artisti si presenta più come connotato da una tecnica specifica, considerata come fattore decisivo del rinnovamento; infine, neppure l'aspetto estetico dell'opera è più elemento dirimente. Per richiamare l'attenzione sui suoi lavori, un artista è sempre più libero di decidere se utilizzare ciò che potremmo definire bellezza o al contrario puntare su effetti raccapriccianti, un voluto cattivo gusto o l'indifferenza agli aspetti formali. Solo l'aspetto tematico sembra un criterio opportuno per dare conto delle ultime ricerche, se ne possono osservare alcune occorrenze.
La corporeità
Uno dei grandi affreschi creati dall'arte a cavallo dei due secoli è stato The cremaster cycle (1994-2002) di M. Barney (n. 1967), cinque filmati della durata complessiva di circa sette ore, la cui tematica è un intrecciarsi di storia degli Stati Uniti e di corporeità, indagata soprattutto nel mistero della riproduzione. Oltre all'artista stesso in molti travestimenti, dal criminale G. Gilmore a una divinità celtica in forma di fauno, vi compaiono una campionessa sportiva senza piedi, i seguaci di una setta che impone ai membri una deformazione del torace, una quantità di ballerine che insistono su richiami sessuali, oggetti di vaselina e paraffina che ricordano muco e altri umori. L'opera ha una struttura narrativa precisa, ma la caratteristica che la rende fondamentale è quella delle metamorfosi della fisicità. Barney e altri evocano i mutamenti cui si sta sottoponendo il corpo umano e le sue possibili ricadute nella storia, in un assedio sistematico offerto da protesi medicali, nuovi farmaci, possibilità di trapianti, stili di vita che allungano l'esistenza, fecondazione artificiale, cambiamento dei costumi sessuali e così via. In una chiave più serena, la svizzera P. Rist (n. 1962) mostra nei suoi video corpi nudi che ostentano mancanza di vergogna, quasi che i progressi della tecnologia abbiano qualche possibilità di ricondurre a una sorta di pacificazione del corpo e a un Eden rinnovato. Al contrario, le fotografie che C. Sherman produce dai primi anni Ottanta sotto forma di autoritratto sono una denuncia dell'incapacità di trovare la propria identità fisica: travestimenti di ogni genere, da protagoniste di film horror agli ultimi clowns degli anni Duemila, attestano un trasformismo esasperato e sofferto; simile a quello di Y. Morimura (n. 1951), che si ritrae in grandi fotografie travestito da occidentale e che mette in scena in tal modo il difficile rapporto di conquista tra Ovest ed Est. Un forte accento su una corporeità dolorosa, in cui i segni della liberazione sessuale sono stati pagati a caro prezzo, distingue molti artisti che hanno iniziato a lavorare nell'epoca della massima espansione dell'AIDS. Nelle fotografie di N. Goldin, scattate ad amici moribondi o ammalati, si sottolinea l'impotenza che, malgrado ogni scoperta scientifica, continua a predominare nei rapporti tra la persona e la sua salute. Un capitolo a sé riguarda la rappresentazione della corporeità in quanto campo in cui agiscono tabù: si vedano, per es., le rappresentazioni fotografiche di vecchie modelle da parte di A. Serrano (n. 1950), scandalose per un mondo sempre più concentrato sugli anni della giovinezza, nonché i corpi di persone focomeliche celebrati da M. Quinn (n. 1964) con copie in marmo statuario. Le opere di M. Kelley (n. 1954) e P. Mc Carthy (n. 1945), 'nate' a Los Angeles e improntate al regresso infantile, sembrano porsi come controparte dello scintillio artificiale di Hollywood. In Europa, e in particolare in Germania, fotografi della scuola di Bernd (n. 1931) e Hilla (n. 1934) Becher insistono su una rappresentazione del corpo come entità da catalogare freddamente (Th. Ruff, n. 1958), di cui osservare i comportamenti quasi in chiave etologica (Th. Struth, n. 1954), di cui sottolineare la convivenza al pari di formiche o altre specie sociali (A. Gursky, n. 1955) o addirittura presente soltanto sotto forma delle sue tracce (C. Höfer, n. 1944).
La soggettività
Nel mondo occidentale sono andate perdute le convenzioni che aiutavano a definire l'identità personale. La libertà lascia però aperto il varco a una vasta inquietudine, messa in scena già negli anni Settanta dagli autoritratti en travesti di B. Nauman (n. 1941), dai diari ossessivi stesi da H. Darboven (n. 1941), dalle performances con il proprio corpo, sovente scandalose e violente, di artiste come V. Export (n. 1940), A. Mendieta (1948-1985), G. Pane (1959-1990) tra le altre. Il linguaggio duro di quel decennio poco a poco si è stemperato e ha diminuito la sua urgenza, pur ricordando quelle stesse radici. Ecco allora che l'artista italiana V. Beecroft (n. 1969) ha creato performances che sembrano quadri viventi, in cui decine di modelle scelte e truccate in maniera professionale stanno per ore di fronte al pubblico. L'origine delle sue azioni è il desiderio di indagare, dominare e proporre la propria stessa identità moltiplicata. La ricerca del sé si è evidenziata soprattutto in artiste donne, che dalla seconda metà degli anni Novanta sono emerse in misura priva di precedenti. Per questo il decennio a cavallo tra il 20° e 21° sec. è stato anche il periodo nel quale si sono avute le maggiori rivalutazioni storiche di artiste che, nel passato, non avevano avuto grande visibilità. È il caso di L. Bourgeois (n. 1911), che si è trovata a novant'anni protagonista dell'inaugurazione della Tate Modern di Londra: il museo ha aperto infatti i battenti con una mostra di sue opere gigantesche, ragni di ferro che simboleggiano il doppio gioco affettivo, tra protezione e minaccia, della madre e della famiglia in generale. Analogamente Y. Kusama (n. 1929), performer a New York negli anni Sessanta, è stata riscoperta nella seconda metà degli anni Novanta come antesignana di un'arte ambientale che insiste sulla paura del disorientamento, sull'ossessione della sessualità, sulla fatica di essere donna. Sono di grande interesse anche alcune riletture storiche, quali quelle di F. Khalo (1907-1954), la pittrice messicana a lungo nota soltanto come moglie del muralista D. Rivera (1886-1957). I suoi autoritratti, celebrati anch'essi da una retrospettiva alla Tate Modern nel 2005, parlano della ricerca di un'identità composta da dolore fisico ricorrente, sterilità, desiderio di sedurre, libertinaggio, attaccamento alle radici e ribellione, quindi, rispetto a ogni forma di invasione culturale.
La crisi dell'idea di opera e di autore
Gli anni Novanta hanno visto una caduta decisa di ideologie preconfezionate. Ciononostante, forme di protesta civile e nei confronti dello stesso sistema dell'arte, assunto come simbolo del sistema sociale, sono proliferate trovando modi espressivi sempre diversi. F. Alys (n. 1959) ha sintetizzato il narcisismo e l'autopromozione degli artisti partecipando alla Biennale di Venezia del 2001 con un pavone vivo tenuto al guinzaglio; al contempo, ha realizzato una performance per la quale una lunghissima fila di persone spostava la frontiera del Messico con un pugno di sabbia messo in mano a ciascuno e depositato, appunto, sul confine: come dire che l'artista conserva il sogno e la possibilità di cambiare il mondo, a patto che non si fermi su una sterile autocelebrazione. L'eccessivo elitarismo dell'arte contemporanea è stato messo implicitamente sotto accusa da O. Eliasson (n. 1967), che nel 2004 ha trasformato in una spiaggia, con tanto di Sole artificiale, la sala delle turbine della Tate Modern di Londra; il museo si è trasformato così in un luogo di incontro popolare, attirando un milione di persone e superando ogni record di pubblico per una mostra di un artista vivente. Th. Hirshhorn (n. 1957) ha rifiutato di partecipare alla Documenta del 2002 nelle sue sedi canoniche, creando una sede distaccata della rassegna in un quartiere popolare di Kassel, pur di avere un dialogo con persone che non sarebbero mai andate a vedere la mostra. Alcuni artisti che operano nell'ambito dell'estetica relazionale, secondo una definizione del critico d'arte N. Bourriaud, hanno cercato di riconvertire l'opera in un nodo di rapporti umani proprio mentre il mercato insiste sul suo carattere di merce di lusso. R. Tiravanija (n. 1961), per es., ha realizzato mostre che consistono in offerta di cibo all'inaugurazione, o in una stanza a disposizione di chiunque desideri pernottarvi, o nella trasformazione di sedi espositive in centri di incontro organizzato. In un sempre più frequente scambio di ruoli, molti artisti si propongono anche come curatori: è stato il caso dello stesso Tiravanija e di G. Orozco (n. 1962) alla Biennale di Venezia del 2003 e di M. Cattelan (n. 1960) alla Biennale di Berlino del 2005.
È evidente che questo genere di esperienze mettono in discussione non soltanto la natura dell'opera, che si apre agli interventi del pubblico, ma anche quella dell'autore, dando corpo a intuizioni specifiche di filosofi come M. Foucault e R. Barthes. La maggiore sfida all'idea di stile individuale, e quindi appunto di autorialità, è arrivata con l'insieme di opere realizzate da un gruppo di artisti servendosi del medesimo materiale iniziale, le fattezze di una ragazza, AnnLee, disegnate per il mercato giapponese dell'animazione. Il personaggio è diventato protagonista di video completamente diversi realizzati da P. Huyghe e P. Parreno (n. 1964), che per primi ne acquistarono i diritti nel 1999, e poi ancora, tra gli altri, da D. Gonzales Foerster (n. 1965), Tiravanija, L. Gillick (n. 1964). L'opera di tale natura disorienta il compratore e si pone volutamente come una critica alla sua mercificazione: essa esiste, diversamente dalle opere immateriali del concettuale anni Settanta, ma è difficile decretarne l'autenticità, ossia uno degli elementi che la rendono desiderabile per il collezionismo.
L'incontro tra le culture
A partire soprattutto dalla discussa mostra Magiciens de la terre di Parigi (1989) e dalla Biennale di Johannesburg del 1997, il mondo dell'arte contemporanea ha cessato di essere arginato nei confini dell'Occidente e ha iniziato a estendersi verso i cinque continenti. Emblema della globalizzazione è stata la Documenta del 2002, curata a Kassel dal nigeriano O. Enwezor, il cui tema fondamentale è stato proprio la documentazione della realtà sociale delle aree del mondo più disagiate. Su una scia più specificamente politica si muovono le opere di artisti che danno voce a minoranze etniche, toccando soprattutto il problema del riassetto postcoloniale del mondo: tra questi S. Sierra (n. 1966), C. Garaicoa (n. 1967), Orozco, per il Centro e il Sud America, e numerosi artisti africani. Da ricordare i cicli di disegni animati del sudafricano W. Kentridge, in cui vengono raccontati abusi nell'ambito del lavoro, amori impossibili perché divisi dalla barriera razziale, sensazioni di colpevolezza da parte dei bianchi e sogni di libertà per i neri. B.I. Kingelez (n. 1948) ritrae la sua Kinshasa con i resti di lattine in alluminio e altri rifiuti riciclati del mondo occidentale, trasfigurati in una città ideale sempre in bilico tra utopia e disillusione. C. Ofili (n. 1968), immigrato inglese di seconda generazione, disegna donne nigeriane alla ricerca di ricordi che non ha più. Cantore della fine del comunismo e delle sue lacerazioni è l'ucraino I. Kabakov (n. 1933), creatore di 'installazioni totali' e cioè di ambienti che rievocano le stanze, le atmosfere, le memorie di un tempo passato che ha provocato ferite incancellabili. I tormenti dell'Asia musulmana sono stati descritti e addirittura anticipati dall'iraniana S. Neshat, che in video e fotografie racconta la divisione tra maschile e femminile, i riti coercitivi ma anche consolatori, un mondo in cui la guerra è ancora il maggiore mezzo per dirimere le contese. L'anglopalestinese M. Hatoum (n. 1952) parla di precarietà e senso di perdita: il suo grande mappamondo di biglie, steso sul pavimento, restituisce un senso di precarietà esistenziale oltre che geopolitica. Un capitolo a parte merita la comparsa della Cina, forte della sua sorprendente ascesa economica in ambito internazionale. È proprio nel rapporto con una cultura tanto lontana che si evidenzia la maggiore contraddizione di un'arte che si mondializza ma che, al contempo, impone un lessico ereditato dalla tradizione europea; l'Occidente a sua volta è appagato dal sapore di orientalismo descritto nell'omonimo saggio da E.W. Said (1978). Peraltro, i tempi di questa conquista sembrano essere giunti a una svolta e pare sempre più necessario leggere anche simbologie nate altrove. Si pensi al lavoro di Chen Zhen, nelle cui installazioni ambientali è sempre presente l'accenno alla lingua cinese, al buddhismo, alla maniera di abitare tipica della nativa Shanghai, alla tradizione medica orientale. Cai Guo Qiang (n. 1957) ha impostato parte del suo lavoro sull'utilizzo della polvere da sparo e sul rumore misto a luce dei fuochi d'artificio: una forma di divertimento e comunicazione insita nella cultura cinese. In generale, si può notare che il venire alla ribalta di molti autori cinesi, inaugurato dalla Biennale di Venezia del 1999, è confermato dal crescere di centri d'arte contemporanea in Cina, come l'ex fabbrica 798 di Pechino, dove si concentrano numerosi atelier e gallerie, e di un vocabolario che risente sempre più della commistione tra le espressioni artistiche dei diversi Paesi del mondo.
Il consumo
La società del consumo si fonda sull'esasperazione dei bisogni e sull'adorazione dell'oggetto, fonte di desiderio e di compiacimento. Questa tematica, già affrontata dalla Pop Art, è stata riletta con sguardo sempre più critico a partire dalla metà degli anni Ottanta, ma a rendere il tema scottante nell'epoca della globalizzazione è il confronto diretto con le aree povere del mondo. Continua a essere attivo un artista come J. Koons, al quale si deve il massimo compimento della poetica del kitsch. Il suo gigantesco cane di fiori vivi, che ricorda nelle forme un giocattolo di peluche, installato dopo l'inaugurazione davanti al Guggenheim Bilbao Museoa di Bilbao, è stato il simbolo di una stagione creativa in cui l'artista ha sottolineato il bisogno di colori pastello, di materiali luccicanti, di seduzioni infantili e di prodotti che, con la loro ripetizione seriale, e quindi priva di imprevisti, possano rassicurare. Consumare, peraltro, può indurre a una dipendenza compulsiva su cui giocano pericolosamente i messaggi pubblicitari. S. Fleury (n. 1961) ha posto l'accento sugli effetti dello shopping e su un modello di vita centrato sul possedere, tra borsette 'modello Grace Kelly' riprodotte in acciaio e carrozzerie di automobili dipinte con smalto per le unghie. B. Kruger (n. 1945), Leone d'oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2005, nelle sue opere ha sempre mimato la grafica pubblicitaria mettendone in luce, però, il suo rovescio, ossia la capacità manipolatoria soprattutto sul comportamento femminile. Una parola tragica sugli effetti del consumismo è detta anche dai fratelli Dinos (n. 1962) e Jake (n. 1966) Chapman: le loro sculture iperrealiste sono spesso state considerate fonti di scandalo pretestuose. I due artisti riproducono bimbi deformi, con organi sessuali al posto dei lineamenti del viso e con strutture ossee siamesi in modo da dare luogo a organismi dalle molte braccia, in riferimento all'eventualità che anche l'uomo possa diventare un prodotto, creando mostri genetici per farne schiavi sessuali o forza-lavoro a basso prezzo. Un altro aspetto dominante della 'galassia consumo' è quello del marketing orientato verso i giovanissimi e non a caso i personaggi dei manga e degli anime (fumetti e cartoni animati giapponesi) sono divenuti protagonisti delle opere di T. Murakami (n. 1962). L'artista giapponese rilegge quei giovani eroi come sculture di materiale plastico, sotto forma di ragazzini iperpotenti, spesso capaci di volare e accessoriati di ogni possibile gadget, dalle armi futuribili a speciali scarpe sportive. Protagonisti di un mondo che esclude gli adulti, innestano nell'età dell'adolescenza il mito del superuomo. Si sottolinea come il consumo dell'era ventura sarà quello di una civiltà always on, schiava del controllo e sempre connessa alla rete, in cui la mancanza di dimestichezza con la tecnologia delle comunicazioni significherà debolezza e nuovo analfabetismo.
Quanto al consumo nell'arte e dell'arte, esso è uno dei temi su cui si muove M. Cattelan: le sue operazioni più riuscite sono state volte a prendersi gioco del meccanismo speculativo che regola i prezzi. L'artista ha infatti volutamente contribuito ad alzare le sue quotazioni in asta, raggiungendo picchi milionari, attraverso una politica di provocazioni che hanno incluso una scultura iperrealista di papa Giovanni Paolo ii colpito da un meteorite (La nona ora, 1999) o tre fantocci che sembrano bambini impiccati (2004).
La spiritualità tra natura e collettività
Il rapporto dell'uomo con la spiritualità tende a volte a concretizzarsi in opere dall'intenso rapporto con la natura, sovente considerata un ambito di verginità messa a repentaglio dai possibili pericoli presenti nell'era delle modificazioni biologiche. Si pensi alle opere dedicate ai volatili realizzate da M. Dion (n. 1961) o ai microclimi adatti all'allevamento di piante e insetti da parte di H. Hakansson (n. 1968). Vi sono casi ancora più eclatanti nella medesima direzione: paradigmatico è quello del vulcano spento che J. Turrell (n. 1943) ha comperato in Arizona, il Roden crater. L'interno è stato ristrutturato e contiene sia celle per la notte, sia un osservatorio astronomico per dedicarsi alla visione del cielo senza inquinamento luminoso. R. Horn (n. 1955) si è ritirata per lunghi periodi tra i ghiacci islandesi al fine di osservare e fotografare quelle vastissime ed evocative solitudini. M. Abramovič (n. 1946) ha restaurato una casa centenaria nel Giappone rurale e l'ha trasformata nella Dream house (2000), un luogo del benessere dove ci si lava, si dorme, si medita. B. Viola (n. 1951) va proponendo opere video in cui riflette sul rapporto arte/vita sia con legami all'iconografia religiosa tradizionale (come nella rilettura della Visitazione del Pontormo in The greetings, 1995) sia con simboli universali come acqua, fuoco, alternanza tra luce e buio. Distacco dalle cose e tentativo di generare ambienti e immagini vicini alla spiritualità orientale, pur senza alcun richiamo direttamente religioso, stanno alla base dei templi (1999) e delle navicelle fantascientifiche (2005) realizzate dalla giapponese M. Mori. Tali ricerche sono svolte solitamente nel segno della laicità più assoluta, come nei casi della Salle des départs (sala mortuaria presso l'ospedale di Garches, Francia 1996) di E. Spalletti (n. 1940) e della cappella multiconfessionale allestita presso un'ospedale di Marsiglia (2003) da M. Pistoletto (n. 1933).
Meriterebbe una vasta riflessione il settore che riguarda il monumento o l'arte di celebrazione storica, capitolo che ha avuto notevole impulso, nonostante l'apparente inattualità del tema, con lo sviluppo della cosiddetta Public Art (arte nello spazio pubblico). Un ruolo di rilievo le è stato dato, per es., nella ricostruzione del centro di Berlino. Le censure sono spesso state feroci, e non solo da parte delle autorità: va ricordata quantomeno l'accoglienza discussa che hanno trovato una scultura del Cristo in piedi di M. Wallinger (n. 1959), esposta sul plinto vuoto di Trafalgar Square (1999), il monumento all'olocausto realizzato a Vienna (2000) da R. Whiteread (n. 1963), ottenuto mostrando il calco di una biblioteca abbandonata, la celebrazione del Central Park da parte di Christo (n. 1935), che vi ha installato temporaneamente un sistema di porte (2005). Anche quando l'artista si cimenti in celebrazioni collettive, è spesso accusato di eccessivo sperimentalismo, un'ulteriore conferma del paradosso iniziale, ossia della forbice tra ricerche specialistiche e rapporto con un pubblico più vasto.
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