ARTIGIANATO DIGITALE.
- L’importanza del fare nella cultura americana. Un ripensamento del lavoro artigiano in Europa. Evoluzione tecnologica e lavoro artigiano. Artigiani tradizionali e artigiani digitali. Un nuovo ecosistema del valore. Bibliografia. Webgrafia. Sitografia
La riscoperta del lavoro artigiano ha costituito un tratto comune a molte economie avanzate nel corso degli ultimi dieci anni. Le profonde trasformazioni che hanno segnato la nostra economia e le crisi che ne hanno punteggiato l’evoluzione a partire dalla seconda metà degli anni Novanta hanno innescato a più riprese un dibattito sulle nuove forme del lavoro in un’economia e in una società della conoscenza. Questo dibattito ha avuto declinazioni diverse negli Stati Uniti e in Europa innescando trasformazioni economiche e sociali in parte convergenti.
L’importanza del fare nella cultura americana. – Negli Stati Uniti diverse pubblicazioni hanno contribuito a stimolare una nuova visione del lavoro e dell’innovazione. Mark Frauenfelder, autore del volume Made by hand (2010), è stato fra i primi a riflettere sul tema del fare come strumento di apprendimento e di scoperta della cultura materiale che ci circonda. Ex giornalista e profondo conoscitore della new economy, Frauenfelder ha avuto il merito di riproporre il valore del fare a partire da una riscoperta della complessità degli oggetti che fanno parte della nostra vita di ogni giorno. Una maggiore consapevolezza rispetto al mondo materiale che ci circonda stimola una maggiore capacità di valutazione della qualità e una cultura del consumo più consapevole.
Il volume di Matthew B. Crawford, Shop class as soulcraft (2009), ha avuto meriti analoghi. Dopo un lungo cursus accademico di tipo classico, Crawford ha aperto la sua officina di riparazioni di motociclette d’epoca in West Virginia. Nel suo saggio Crawford sottolinea come attività spesso considerate banali, come, per es., la riparazione di un motore, richiedano una creatività e una capacità di comprensione dell’intelligenza altrui nettamente superiori a quelle necessarie per la realizzazione di attività intellettuali. Il racconto della sua vicenda personale e, soprattutto, la sua originale riflessione sul lavoro hanno contribuito a ripensare in modo critico l’assunto per cui un’economia e una società della conoscenza sono di per sé un’economia e una società dell’immateriale.
In questi e in molti altri spunti che hanno segnato il dibattito americano, la riscoperta del fare non ha mai assunto caratteri regressivi, legati al rimpianto per mestieri perduti e per un’organizzazione tradizionale della società, ma ha piuttosto rappresentato un elemento di critica ai limiti dell’attuale assetto economico e sociale e un punto di partenza per guardare diversamente al futuro. Il libro Makers (2009) di Cory Doctorow, ha prefigurato una vera e propria battaglia tra i fautori di un nuovo modo di lavorare, i makers appunto, e le grandi corporations, interessate a perpetuare un sistema economico fondato su logiche di innovazione e diritti di proprietà nettamente sbilanciati a favore della finanza.
La forza di queste idee non è rimasta confinata a circoli limitati di lettori appassionati del tema. Proprio Frauenfelder è divenuto nel 2005 direttore della rivista «Make», il mensile promosso da Dale Daugherty, che in pochi anni è diventato uno dei punti di riferimento della comunità dei makers. La forza del movimento, in particolare negli Stati Uniti, è legata principalmente alla capacità di queste nuove figure di riproporre attività anche di tipo tradizionale in una nuova cornice culturale e tecnologica. Proprio da questo progetto editoriale è nato il circuito delle Maker Faire, le fiere dei makers che, prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo, hanno dimostrato di poter aggregare una comunità sempre più ampia di appassionati e di professionisti.
Un ripensamento del lavoro artigiano in Europa. – In Europa la rivisitazione di attività manuali legate a mestieri consolidati ha avuto un percorso diverso. Nel mondo anglosassone, profondamente segnato dall’eredità culturale delle opere di John Ruskin e William Morris, la rivisitazione della figura dell’artigiano ha coinciso con una critica serrata dei limiti del capitalismo finanziario e delle sue crisi cicliche. Il libro di Richard Sennett, The craftsman (2009), sviluppa in maniera compiuta la riproposizione di un’idea di lavoro e di lavoratore capace di fare da argine a logiche di produzione e di consumo che mettono l’uomo ai margini dello sviluppo economico. Alla divulgazione di una nuova sensibilità rispetto al saper fare di matrice artigianale ha contribuito anche l’iniziativa di tante istituzioni culturali. Il Victoria and Albert museum di Londra, in particolare, ha promosso nel 2011 la mostra The power of making: l’esposizione ha raccolto una vasta documentazione sul-l’attualità dei mestieri tradizionali e sulle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie rispetto alla possibilità di nuove attività economiche. La mostra, insieme ad altre iniziative promosse dalla stessa istituzione, ha contribuito a riproporre il valore del fare entro una cornice culturale contemporanea (Victoria and Albert museum 2011).
In campo economico è opportuno ricordare quanto la rivalutazione del lavoro artigiano abbia contribuito a ridefinire il valore dei beni riconducibili al settore del lusso. In Francia, alcuni operatori di prima importanza come Louis Vuitton e Hermès hanno organizzato campagne pubblicitarie con le quali hanno inteso dare grande visibilità al lavoro artigiano, con l’obiettivo di legare il valore dei loro prodotti a un patrimonio culturale immateriale cui in passato non è stata assegnata la dovuta importanza. In diversi Paesi del Nord Europa la valorizzazione del saper fare tradizionale ha coinciso con una stagione di sperimentazioni nel campo del design, nella convinzione che il patrimonio di pratiche e di conoscenze incorporate nei gesti del lavoro artigiano costituisca un serbatoio di spunti cui il design può e deve attingere per nuove traiettorie di innovazione.
In Italia il dibattito sull’attualità del lavoro artigiano si è imposto non senza difficoltà. Tale dibattito ha coinciso storicamente con quello sulla piccola impresa manifatturiera e di servizi e ciò ha reso difficile mettere in evidenza il contributo che il lavoro artigiano ha prodotto in tutti i settori del made in Italy, a prescindere dalla dimensione di impresa (cfr. Micelli 2011). Un’analisi più attenta consente oggi di guardare con occhi nuovi al debito che molta manifattura italiana, dalla meccanica al mobile-arredo, dalla moda all’agroalimentare, dovrebbe riconoscere al patrimonio di saperi di matrice artigianale ereditati e mantenuti in tanti territori d’Italia. Molte medie e grandi imprese italiane devono parte significativa della loro competitività a un sistema di competenze che ha consentito loro di sviluppare strategie fondate sulla varietà e sulla differenziazione dei propri prodotti.
Evoluzione tecnologica e lavoro artigiano. – La possibilità di considerare il lavoro artigiano come parte essenziale di sistemi economici evoluti non dipende semplicemente dall’efficacia e dalla bontà del percorso di legittimazione culturale e sociale avviato negli Stati Uniti così come in Europa. Dipende anche dai profondi cambiamenti che stanno caratterizzando le tecnologie della produzione e dall’evoluzione della rete. Proprio i cambiamenti avviati su questi fronti, in particolare l’imporsi delle tecnologie della manifattura digitale, collocano il lavoro artigiano sulla frontiera delle trasformazioni tecnologiche di quest’ultimo decennio.
Con l’espressione digital manufacturing si indica solitamente quell’insieme di tecnologie destinate alla produzione di manufatti che hanno come tratto specifico quello di saldare insieme le potenzialità di utensili consolidati con la capacità di calcolo del computer e della rete. Va sottolineato che queste tecnologie non rappresentano in sé e per sé una novità. La prima macchina a controllo numerico è stata realizzata all’inizio degli anni Cinquanta al MIT (Massachusetts Institute of Technology) grazie alla combinazione fra un tornio e il computer. Le macchine che sfruttano le potenzialità del taglio laser sono presenti sul mercato dagli anni Settanta e hanno conosciuto una forte diffusione nelle imprese industriali. Le stampanti 3D (v. stampa tridimensionale), la tecnologia più visibile ed emblematica del digital manufacturing, hanno iniziato a diffondersi sul mercato già a metà degli anni Ottanta e molte delle loro funzionalità – come, per es., la prototipazione rapida – sono diffuse anche in Italia dalla metà degli anni Novanta.
Ciò che rappresenta davvero un elemento di discontinuità rispetto al passato – e che prefigura quella che Chris Anderson (2010) ha definito la rivoluzione industriale prossima ventura – è l’abbattimento del costo di queste tecnologie e la loro crescente facilità d’uso. Da un lato questi strumenti, in particolare le stampanti 3D, hanno raggiunto costi talmente contenuti da renderle accessibili anche al mercato dei professionisti e delle famiglie. Questo abbattimento dei costi è stato possibile grazie allo scadere di molti brevetti internazionali e alla diffusione di nuove forme di proprietà intellettuale di tipo open source. La facilità d’uso di questi strumenti, per contro, è legata all’utilizzo di interfacce uomo/macchina di tipo semplificato, analoghe a quelle dei software per PC, e alla possibilità di fare riferimento a comunità di pratica capaci di promuovere la condizione della conoscenza attraverso il web così come attraverso reti di laboratori dedicati (FabLab e Makerspace).
L’etichetta digital manifacturing non deve essere limitata, peraltro, all’intelligenza digitale che oggi qualifica i processi manifatturieri. Anche i prodotti possono diventare ‘intelligenti’ grazie a tecnologie che consentono di aumentare in modo sensibile la loro capacità di interagire con gli utenti e con l’ambiente circostante. Le schede Arduino, piccoli processori di bassissima potenza e molto semplici, inventate e sviluppate da Massimo Banzi e dal suo gruppo di lavoro (2002-05) in una logica open source, rappresentano a questo proposito l’emblema di una nuova generazione di tecnologie in grado di contribuire in modo significativo alla connettività di oggetti in passato privi di intelligenza e interattività. Queste schede consentono anche a persone con limitate conoscenze tecniche, acquisita un po’ di esperienza con il linguaggio di programmazione, la progettazione di oggetti d’uso comune che abbiano al loro interno un’intelligenza digitale.
Il concorrere di tutti questi fattori contribuisce in modo decisivo a un rapido processo di democratizzazione dei mezzi di produzione. Rispetto alle logiche tipiche della produzione di massa, le tecnologie del digital manufacturing consentono a una nuova generazione di artigiani digitalizzati di sviluppare una competitività fondata sulle economie di varietà e di personalizzazione inimmaginabili con tecnologie di tipo tradizionale. Quanto al rapporto fra utilizzo delle nuove tecnologie e permanenza di pratiche e conoscenze legate alla tradizione, ciò che emerge dalle prime evidenze empiriche disponibili enfatizza il valore economico, oltre che culturale, di progetti in grado di combinare in modo efficace saper fare tradizionale e nuove tecnologie.
Artigiani tradizionali e artigiani digitali. – L’introduzione delle nuove tecnologie produce un rinnovamento della figura dell’artigiano e del contesto organizzativo e di mercato all’interno del quale è chiamato a operare.
Una prima novità riguarda la proiezione internazionale della sua attività. Se l’artigiano tradizionale ha operato principalmente all’interno di un perimetro geografico ben definito (prevalentemente la sua città di riferimento), l’artigiano digitale opera in un contesto internazionale che riconosce la sua specificità. Questa proiezione internazionale non si traduce semplicemente nella possibilità – peraltro importantissima – di accedere a nuovi mercati grazie a piattaforme di commercio elettronico sempre più efficaci. Coincide, anche e soprattutto, con la possibilità di interagire in modo innovativo con culture e sensibilità diverse da quelle che caratterizzano il mercato domestico, in modo da contribuire a processi di innovazione di prodotto un tempo esclusiva di grandi organizzazioni di carattere multinazionale.
Un secondo nuovo aspetto che caratterizza il profilo degli artigiani digitali è legato al rapporto con la conoscenza e con la sua divulgazione (cfr. Bettiol 2015). Gli artigiani tradizionali hanno custodito gelosamente i propri segreti, consentendo solo a chi partecipava direttamente al processo di produzione di appropriarsi gradualmente di quell’insieme di conoscenze che definisce un mestiere. Gli artigiani digitali sviluppano una prospettiva diversa: tendono a raccontare il prodotto per rendere esplicito il suo valore culturale e l’impegno necessario alla sua realizzazione.
Anche in questo caso la tecnologia gioca un ruolo fondamentale nel rendere disponibili, a basso costo, infrastrutture per la comunicazione multimediale che oggi giocano un ruolo essenziale nel promuovere in modo efficace e innovativo la storia del prodotto e i suoi elementi di specificità. L’urgenza di un nuovo racconto del lavoro artigiano è particolarmente importante quando i prodotti sono complessi, come nel caso di tanta parte del made in Italy. Solo una comunicazione adeguata può rendere comprensibili oggetti caratterizzati da una storia e da una sofisticazione altrimenti inaccessibile a chi proviene da culture diverse dalla nostra.
Un nuovo ecosistema del valore. – La proiezione commerciale a scala internazionale, così come le attività di comunicazione e marketing dei nuovi artigiani, hanno un crescente bisogno di tecnologie e di servizi per risultare economiche anche in presenza di una scala dimensionale contenuta. Nel prossimo futuro è plausibile immaginare che il ventaglio di queste attività on-line si ampli in modo consistente. La possibilità di accedere a finanziamenti per la promozione di progetti innovativi, per es., trova oggi un supporto efficace in servizi come Kickstarter.com o Indiegogo. La selezione del personale e la formazione continua trovano uno spazio crescente in social network dedicati come, per es., Linkedin.
L’importanza crescente della dimensione digitale nella gestione delle attività di impresa non deve suggerire una diminuzione della rilevanza del territorio rispetto alla competitività degli artigiani digitali. Sul terreno della ricerca e della prototipazione gli artigiani digitali trovano una sponda importante nella rete dei FabLab e dei Makerspace oggi diffusi a scala internazionale. Questi spazi ospitano un’ampia gamma di tecnologie per la manifattura digitale e aggregano una varietà di profili professionali (dai semplici appassionati agli specialisti del settore): a differenza di tante strutture dedicate all’innovazione e al trasferimento tecnologico, questi laboratori consentono dinamiche di diffusione della conoscenza che si fondano sulla partecipazione attiva e sull’informalità. La possibilità di un aggiornamento continuo degli artigiani digitali passerà attraverso la qualità di queste nuove infrastrutture spesso localizzate nei centri urbani e nelle aree metropolitane.
Anche le strutture distributive e commerciali nelle città sono oggi oggetto di profonde trasformazioni. Rispetto al passato, lo spazio del commercio dei nuovi artigiani digitali si presenta prima di tutto come spazio di interazione e di esplorazione: grazie alle nuove tecnologie il cliente può definire in modo nuovo il prodotto finito e, in alcuni casi, partecipare attivamente alla sua costruzione. Questi spazi commerciali di nuova generazione, già oggi visibili in molte metropoli internazionali, si pongono l’obiettivo di stimolare l’acquisto di un prodotto che ancora non c’è, innescando la curiosità di una domanda più attenta e consapevole.
Bibliografia: M.B. Crawford, Shop class as soulcraft. An inquiry into the value of work, New York 2009; C. Doctorow, Makers, Londra 2009; R. Sennett, The Craftsman, New Heaven (Conn.) 2009 (trad. it. L’uomo artigiano, Milano 2010); M. Frauenfelder, Made by hand. Searching for meaning in a throwaway world, New York 2010; S. Micelli, Futuro artigiano: l’innovazione nelle mani degli italiani, Venezia 2011, 20145; M. Bettiol, Raccontare il made in Italy: un nuovo legame tra cultura e manifattura, Venezia 2015.
Webgrafia: C. Anderson, In the next industrial revolution, Atoms are the new bits, «Wired», 2010, http://www.wired.com/ 2010/01/ff_newrevolution/ (15 marzo 2015); N. Gensherfeld, How to make almost anything. The digital fabrication revolution, «Foreign affairs», 2012, http://www.foreignaffairs.com/articles/138154/ neil-gershenfeld/how-to-make-almost-anything (15 marzo 2015).
Sitografia: Victoria and Albert museum 2011, http://www.vam. ac.uk/ content/articles/p/powerofmaking/.