ARTISTA
Non è possibile delineare un quadro unitario dello stato giuridico e della condizione sociale degli artefici nel mondo antico; molte sono le variazioni da età a età e da luogo a luogo. Si suol dire che in epoca omerica non esisteva alcun significato spregiativo connesso con la classe degli artigiani. È vero che dèi e eroi lavorano e costruiscono oggetti d'uso guerriero e di uso domestico, ma è anche vero che già esistevano dei "demiurgoi", i quali prestavano la loro opera su mercede e formavano come una classe distinta dal resto; inoltre la loro specializzazione li portava ad essere considerati al di fuori di ogni singola nazionalità. Pertanto, se non può credersi che la separazione tra cittadini e artefici, o almeno quel senso di sufficienza che ha più o meno accompagnato chi esercitasse un mestiere, fosse sopraggiunto come una conseguenza delle condizioni sociali della Grecia di età classica, certo è che a Sparta e nelle repubbliche aristocratiche un artigiano non poteva essere cittadino; le arti erano lasciate agli schiavi o ai meteci. Anche laddove le arti erano incoraggiate e i mestieri aperti a tutti i cittadini, come ad Atene, la posizione sociale dell'a. non era diversa. Anche se di epoca tarda, le voci di un Plutarco (Pericl., ii) e di un Luciano (Somn., ix) rispecchiano un concetto classico: nella loro ammirazione verso le opere di Fidia e di Policleto prescindono dalla personalità umana dell'artista "che sarà sempre un artigiano, un operaio, un uomo che vive del lavoro delle sue mani".
"Mai fino ad oggi" scrive Plutarco "davanti allo Zeus olimpico e alla Hera di Argos si è risvegliato in un giovane nobile e ben dotato il desiderio di diventare anch'egli un Fidia o un Policleto... Un'opera d'arte può rallegrare per la sua bellezza; ma ciò non significa che necessariamente il suo creatore meriti la nostra stima".
Un famoso passo di Aristotele (Polit., iii, 3, 2) affermava solennemente il principio che "la ottima polis non farà mai cittadino un artefice (bànausos)" in quanto gli artefici lavorano manualmente per la comunità nella stessa relazione in cui un servo lavora per il padrone.
In tarda epoca greca, o per naturale evoluzione delle relazioni sociali, o per influenza romana, compaiono in Grecia collegi o associazioni (koinà) delle varie arti; il tipo di koinòn più famoso, per la sua attività di carattere letterario, fu, nell'epoca ellenistica e romana, quello degli attori tragici e comici, (Διονυσιασταί, Διονυσιακοί; οἱ περὶ τὸν Διόνυσον τεχνῖται e simili) che, organizzati con finanze proprie, culti proprî, gerarchie proprie, erano in grado di fornire tutto il personale necessario a un dato spettacolo, dai registi, agli attori, ai suonatori d'orchestra, coreografi, pittori di scenarî, sarti per il vestiario, e così via. In epoca imperiale diventa più comune la denominazione di sönodos, che è però, sembra, da considerarsi una parte del koinòn. La loro condizione giuridica, dato che dovevano per lo più lavorare fuori della propria patria, era basata su privilegi tradizionali che si ripetevano ovunque (come la asylìa, o asphàleia, la atèleia, la proxenia, promantèia, prodikìa ecc.). Anche a Roma è caratteristica generale che l'attività artigiana sia disdegnata rispetto al servizio militare e all'agricoltura; però fin dall'epoca regia gli artefici liberi sono uniti in corporazioni o collegia. Questi collegia ricevono poi una specie di organizzazione statale con privilegi e tasse particolari (v. Artifex). Comunque, sono profondamente distinte da queste attività le cosiddette artes liberales, quelle cioè che possono essere esercitate da persone libere ed "ingenue"; "liberalia studia accipimus quae Graeci eleutheria mathemata appellant: rhetores continebuntur, grammatici, geometrae" (Dig., l, 13, 1); e Cicerone aveva distinto gli onorari "liberales" da quelli "sordidi" e aveva elencato (De orat., iii, 32, 127) nelle arti liberali la geometria, la musica, la grammatica, la poesia. Anche Seneca (Epist., 88, 18) ricusa di inserire tra le arti liberali la pittura e la scultura in bronzo e marmo (non enim adducor ut in numerum liberalium artium pictores recipiam non magis quam statuarios aut mar,norarios, ecc.) e (ibid., 18) dice: le immagini degli dèi si onorano, ma si disprezzano gli scultori che le hanno fatte.
Una categoria speciale sembra voler rivendicare Vitruvio per l'architetto (v.), il quale deve al tempo stesso esser pratico conoscitore della struttura muraria e scientifico espositore dei principî teorici dell'arte: "itaque architecti (i, 1, 1), qui sine litteris contenderant ut manibus essent exercitati, non potuerunt efficere ut haberent... auctoritatem". E deve conoscere il disegno, la geometria, la mitologia e la storia, la musica, un po' di medicina e di diritto, l'astronomia (cfr. iii, pr. 1; vii, 5, 7: subtilitas artificis adiciebat operibus auctoritatem; vi, pr. 4; ecc.).
Anche i pittori appaiono più considerati, socialmente, degli scultori: in certo modo in una posizione intermedia fra questi e gli architetti. Plinio (Nat. hist., xxxv, 77) dice che dalla prima metà del IV sec. a. C., cioè dal tempo di Pamphilos maestro di Apelle, il disegno venne introdotto nella paidèia di ogni giovane greco ben nato.
Mentre le città greche dell'età classica spendevano somme assai rilevanti, tenuto conto dei loro bilanci, per monumenti architettonici e opere d'arte, il guadagno degli a., anche dei maggiori, non era superiore a quello della giornata di un artigiano. Entrambi questi dati si possono ricavare da dati epigrafici. Platone, del resto (Menon, p. 91 D), dice a Protagora che egli, il famoso sofista, guadagnava più di quello che fossero mai stati i guadagni di Fidia e di dieci altri scultori messi insieme. Ma c'era un modo, per a. di grande autorità, di arrivare a maggiori guadagni: facendosi appaltatori dell'insieme dei lavori nei quali le loro opere dovevano inserirsi. Così troviamo Fidia, ad un certo momento (Plut., Pericl., 31), indicato come ergolàbos (ἐργολάβος), cioè imprenditore.
Un certo mutamento nel concetto dell'a. si ha con l'età ellenistica. Nei regni ellenistici si ebbe una forte concentrazione di ricchezza e l'arte divenne un mezzo di espressione della potenza del sovrano; sicché anche l'a. ne riceve un riflesso. Su iscrizioni di questo tempo si trovano a. partecipi di cariche cittadine religiose e, probabilmente, anche civili. Si fanno più frequenti i casi di artisti (come gli scultori Xenokrates di Atene e Antigonos di Karystos) in possesso di una cultura filosofica, e scrittori di cose d'arte. Ancora nel corso dell' ellenismo si deve essere giunti alla scoperta del valore della personalità dell'a., e alla sua valutazione come elemento decisivo per la qualità dell'opera d'arte. L'a. verrà, adesso, equiparato al poeta, che crea sotto ispirazione divina. Ma una netta formulazione di questo concetto non si avrà che nel III sec. d. C. (Kallistratos, Stat., 2, 3; cfr. I. Overbeck, Schriftquellen, n. 1164, 1265); l'artista verrà detto "demiurgo della verità" (δημιουργὸς ἀληϑείας) e la sua opera considerata, quindi, non più soltanto frutto di una pratica manuale, ma opera di creazione.
Bibl.: J. Burckhardt, Vorträge 1844-1887, Basilea 1919, p. 202 ss.; P. Waltz, La vie des artisans dans la Grèce ancienne, in Revue historique, CXVII, 1917, p. 9 ss.; B. Schweitzer, Der bildende Künstler. u. d. Begriff d. künstlerischen i.d. Antike, in Neue Heidelberger Jahrbücher, N. F., 1925, p. 28 ss. Calcolo delle spese sostenute per alcune delle principali opere dell'acropoli di Atene: E. Cavaignac, Études sur l'histoire financière d'Athènes, Parigi 1908, p. 102 ss. Costo delle statue in bronzo: A. De Ridder, in Rev. Arch., 1915, II, p. 107. Da aggiungere alle iscrizioni ivi citate, una da Priene (n. 25; II sec. a.C.) e una di Knidos (C. Newton, Discoveries, II, n. 49). Iscrizioni con conteggi di spesa: Partenone ed Eretteo: W. B. Dinsmoor, in Am. Journ. Arch., XVII, 1913, p. 53 ss., 242; XXV, 1921, p. 233 ss.; p. 245 ss.; thòlos di Epidauro: J. Keil, Athen. Mitteil., XX, 1895, p. 20 ss., p. 405 ss.; tempio di Apollo a Delfi: Dittenberger, Sylloge3, 3, I, c. 236, p. 317; tempio di Delos, fino al 250 a. C.: I. G., XI, 2, n. 144 l. 27; n. 158 l. 51; n. 159 l. 62 ss.; n. 161 l. 83; n. 162 l. 46; n. 203 l. 60; n. 287 l. 87; Ch. I. Karouzos, Περικαλλὲς ἄγαλμα, in Epitymbion Chr. Tsountas, Atene 1940, p. 535 ss.; R. Bianchi Bandinelli, L'artista nel mondo classico, in Arch. Class., IX, 1957, p. i ss.
(S. Ferri - R. Bianchi Bandinelli)