ARTISTA
Con il termine a. si indica genericamente l'ideatore, che nella maggioranza dei casi coincide con l'effettivo esecutore, di un'opera caratterizzata da elevati contenuti intellettuali o religiosi e da una forma ricca di valori estetici. Anche se come tale - e quindi come intellettuale - l'a. appare esplicitamente riconosciuto solo a partire dal Rinascimento, i primi segni di tale nuova considerazione cominciano a manifestarsi già tra la seconda metà del sec. 13° e gli inizi del successivo.Nel corso del Medioevo i termini con cui gli a. vengono indicati di preferenza nei documenti o con cui essi stessi siglano le proprie opere sono artifex e magister; essi infatti sono considerati 'artefici', cioè esecutori delle c.d. arti meccaniche e non di quelle liberali, caratterizzate da un'applicazione essenzialmente intellettuale.L'a. (artifex) del Medioevo può essere definito solo in relazione all'opera da lui eseguita, non come personalità e non in virtù del particolare ruolo creativo che in epoca moderna lo qualifica e che pone automaticamente il suo lavoro al di sopra dei mestieri artigianali. Nel Medioevo le attività collegate al concetto di a. erano per la maggior parte nettamente distinte dalle artes liberales, di contenuto scientifico-intellettuale, e annoverate invece fra le manuali artes mechanicae.I mutamenti che fra il sec. 6° e il 16° intervennero a modificare sia la struttura sociale ed economica sia il concetto di arte - nonché le diverse condizioni di ceto, stato e reputazione, variabili da professione a professione - non permettono di delineare in modo unitario e nettamente definito la figura dell'a. medievale; è tuttavia in ogni caso errato il giudizio riduttivo secondo cui questi si sarebbe ritirato, modesto e anonimo, dietro la propria opera, creata con devota umiltà solo a maggior gloria di Dio. Perfino gli a. monaci delle botteghe conventuali univano alla speranza nella ricompensa ultraterrena orgoglio mondano e aspettative di fama. Ciononostante, nel complesso, è vero che l'a. medievale, anche quando se ne conoscono il nome e le notizie della vita o addirittura, come per alcuni casi nel periodo tardogotico, i tratti del volto, si differenzia dall'a. moderno in quanto quest'ultimo è personalità essenzialmente individuale. L'opera dell'a. medievale era invece legata di norma a uno scopo specifico: egli svolgeva un compito che faceva parte di un insieme più vasto; mancavano l'autonomia dell'arte e il ruolo divinatorio dell'a. moderno, individuabili, nel caso dell'a. medievale, tutt'al più solo a posteriori.Solo in ambito bizantino e in poche città, dell'Italia e della Francia meridionale si riscontra dalla Tarda Antichità all'Alto Medioevo una certa continuità di professioni artistiche specializzate; altrove il nuovo corso medievale pose l'a. di fronte a mutate condizioni. È nelle corti franche e longobarde che orafi come s. Eligio arrivarono a ricoprire alte cariche ed eruditi di corte come Eginardo furono esperti in questioni di architettura, arte libraria e toreutica. Possono attestare la posizione di cui godeva in epoca carolingia un valente a. sia l'iscrizione postuma di Oddone di Metz, architetto della Cappella Palatina di Aquisgrana ("Egregius Odo magister explerit Metensi fotus in urbe quiescit") sia, sul lato posteriore dell'altare d'oro in S. Ambrogio a Milano, l'autoritratto di Vuolvinio magister faber che viene incoronato dal patrono della basilica. A fronte del prestigio che le arti e i loro rappresentanti potevano raggiungere presso la corte carolingia e nei monasteri a essa legati, si ha contemporaneamente notizia di botteghe in cui lavoravano servi non liberi. Dunque non l'attività in quanto tale elevava l'a. ma la sua posizione a corte. Fino a tutto il sec. 11° sembra essere mancata del tutto la figura dell'a. autonomo, che vive in città in modo autosufficiente, anche se certamente non si trattava sempre di a. monaci o dipendenti da monasteri. Anche gli a. laici liberi erano infatti in massima parte soggetti agli incarichi loro affidati dai conventi o dal capitolo vescovile e dunque a questi subordinati.Benché vengano continuamente celebrate nelle fonti, le versatili capacità di artisti che sono al contempo alti prelati (per es. nel caso del vescovo Bernoardo di Hildesheim), probabilmente fin dall'Alto Medioevo dovette diffondersi una tendenza alla specializzazione, come dimostrano a più riprese le testimonianze figurative del 12° e del 13° secolo. Allo scriba si aggiungeva il miniatore, la rilegatura del manoscritto liturgico era opera dell'orafo e dell'intagliatore d'avorio, agli scalpellini e ai muratori sovrintendeva un architetto (o un ingegnere) con cognizioni specifiche. La pittura murale, l'opus sectile, i mosaici e le vetrate richiedevano esperti in queste tecniche; la scultura in stucco o in legno, la fusione del bronzo e, in seguito, anche la statuaria costituivano a loro volta settori specialistici, ai quali si aggiunsero nel sec. 12° la pittura su tavola e quella vascolare. Le apprezzatissime arti tessili costituivano un campo importante, nell'ambito del quale gli a. erano di norma donne, documentate spesso, del resto, anche come miniaturiste.Di norma gli a. dell'Alto Medioevo erano monaci o frati laici e numerosi abati e vescovi si vantavano di saper praticare l'arte dell'architettura e dell'oreficeria. A tale proposito è necessario tuttavia sottolineare la netta separazione che vigeva fra artes liberales e artes mechanicae: per es. nella costruzione di chiese i lavori più ordinari con materiali meno pregiati venivano a quanto sembra affidati a frati laici o a servi. In alcuni monasteri esistevano botteghe collegate a uno scriptorium, in cui lavoravano per lunghi periodi miniatori, intagliatori di avorio e orafi specializzati.Un manuale dettagliato e un prontuario per queste attività è rappresentato dall'opera del monaco Teofilo, Diversarum artium schedula, risalente al 1100 ca., che si ricollega solo in parte alla tradizione antica ed è di carattere esclusivamente pratico. Se tale scritto, il cui autore va probabilmente identificato nell'orafo Ruggero di Helmarshausen, è incentrato soprattutto sulle arti minori, il Libro dell'arte di Cennino Cennini, redatto intorno al 1400, è dedicato prevalentemente ai generi pittorici.In ogni caso, fossero monaci o laici liberi, gli a. dovettero essere fino a tutto il sec. 13° prevalentemente itineranti. Lo testimoniano soprattutto nel campo dell'architettura le singolari realizzazioni di squadre edilizie, come i magistri Antelami, i Comacini o i Campionesi, che, provenienti dalla zona dei laghi dell'Italia settentrionale e attive in varie località del loro territorio d'origine, vennero chiamate a partecipare a vaste imprese edilizie anche al di là delle Alpi (Spira, Magonza).La posizione sociale degli a. nel maturo e tardo Medioevo era caratterizzata principalmente dal fatto che essi risiedevano nelle città, la cui fioritura nei secc. 11° e 12° aveva posto le premesse per lo sviluppo in loco di attività artigianali e artistiche relativamente sicure. Gli a. cittadini si scontravano innanzitutto con la concorrenza delle botteghe conventuali da cui li proteggevano in genere le normative che proibivano ai monasteri di lavorare per il 'libero mercato'.Come le altre professioni, anche quelle artistiche, a partire dai secc. 12°-13°, vennero inquadrate sempre più frequentemente in corporazioni che avevano lo scopo, ostacolando il più possibile la concorrenza, di assicurare lavoro ai singoli membri. Le norme statutarie riguardavano la promozione a maestri, il numero degli apprendisti, l'orario di lavoro, la qualità e il magazzinaggio del materiale, i prezzi e l'attività di propaganda. Erano esenti da restrizioni solo le committenze delle corti e, in qualche caso, dei vescovi. A partire dalla fine del Duecento si osserva all'interno delle corporazioni la tendenza da un lato a una forte specializzazione delle attività artigianali, dall'altro alla rivendicazione, da parte di alcuni a. attivi presso le corti, di una maggiore autonomia, in virtù delle nuove basi 'scientifiche' su cui si fondava la loro attività.Poiché non sempre si potevano realizzare opere architettoniche di vasto respiro nel quadro di un'attività legata alle corporazioni, per incarico di istituzioni ecclesiastiche e in parte anche dei Comuni si formarono organizzazioni di lavoro autonomo, esterne alle associazioni cittadine: le corporazioni edili. La concorrenza di queste ultime tra di loro e il confronto fra gli a. all'interno di una stessa corporazione portarono a risultati notevoli nell'architettura e nella scultura. A N delle Alpi le opere rimanevano in genere anonime, per quanto gli autori possano apparire personalità fortemente caratterizzate (per es. il Maestro di Naumburg), mentre in alcune zone dell'Italia e nella Francia meridionale divengono di norma le iscrizioni celebrative e le firme. Gli a. ottennero fama nella letteratura del tempo, ma per lo più, salvo casi eccezionali, come Dante, Petrarca o Boccaccio, solo presso le corti: come intorno alla metà del sec. 13° sotto Enrico III in Inghilterra (1207-1272) e poco dopo presso gli Angioini a Napoli e sotto Alfonso X il Saggio (1221-1284) in Spagna. Nel Trecento, oltre a Napoli, centri d'arte importanti per pittori, architetti, orafi e miniatori furono le corti francese e borgognona, nonché quella imperiale di Carlo IV (1316-1378) a Praga. Il prestigioso invito a recarsi a corte poteva fornire alla città natale dell'a. famoso l'occasione per offrirgli un'alta carica, in concorrenza con la corte stessa. L'a. medievale dipendeva dalla committenza, anche se risulta quasi impossibile, nella maggior parte dei casi, chiarire le modalità del conferimento dell'incarico e rimane quindi per lo più insoluto il problema del contributo dell'a. nell'elaborazione del contenuto dell'opera.L'architettura come scienza teorica, e dunque matematica, deteneva nel Medioevo una posizione particolare fra le arti e poteva essere prevista nella formazione intellettuale di un dotto. Fino a che punto questo interesse teorico e anche letterario si riflettesse nella pratica edilizia è difficile da valutare o dimostrare. Gli architetti appartenevano di norma a un ceto sociale diverso da quello degli intellettuali, che erano anche i più importanti committenti. Tuttavia il prestigio dell'architetto si fondava sulle sue cognizioni tecniche e sull'esperienza acquisita, che lo distinguevano dai lavoratori con compiti puramente esecutivi. Evidentissimo appare per es. in una miniatura (Modena, Arch. Capitolare, O. II.11, c. 1v), il livello gerarchico che distingue l'architector Lanfranco, il capomastro abbigliato con vesti indicative di un certo rango, dagli artifices, gli operai specializzati, e dagli operarii, semplice manodopera.Negli autoritratti di età tardogotica gli attributi dell'architetto, la squadra e il compasso, sottolineano l'aspetto legato alla geometria e squisitamente intellettuale di questa attività; l'alta reputazione di un architetto come Peter Parler, la sua posizione sociale e naturalmente anche i suoi compensi derivavano da queste sue cognizioni.Se si volesse tuttavia stabilire una gerarchia delle arti figurative nel Medioevo, si dovrebbero porre di gran lunga al primo posto quelle che utilizzavano materie preziose, come l'oreficeria, ma anche le arti tessili. Gli orafi furono i primi a. a ottenere cariche a corte: in epoca merovingia s. Eligio, prima orafo, poi capo della zecca, divenuto il consigliere più importante di Clodoveo II, fu eletto vescovo di Noyon alla morte del re. Oddone e suo figlio Edoardo detenevano, come orafi, una posizione rilevante alla corte del re Enrico III d'Inghilterra. Nel 1270 Filippo III l'Ardito (1245-1285), re di Francia, conferì all'orafo di corte Raoul un titolo nobiliare: si tratta del primo caso noto di a. asceso al rango di nobile. Committenze di grande importanza, come i reliquiari, venivano eseguite dividendo il lavoro fra più maestri e aiutanti. In alcuni casi è tramandato, grazie alla firma, il nome del maestro principale (per es. Nicola di Verdun nell'ambone dell'abbazia di Klosterneuburg presso Vienna e nel reliquiario della cattedrale di Tournai). Con sorprendente frequenza si conservano i nomi di scultori e di fonditori di porte bronzee, come Riquinus, Waismuth e Avram, autori della porta della cattedrale di Santa Sofia a Novgorod, o Bonanno Pisano, che realizzò le porte del duomo di Pisa e della cattedrale di Monreale.Sono pervenute in gran numero le firme di amanuensi e miniatori: particolarmente importante la laudatio per il monaco Eadwin, nella seconda metà del sec. 12°, che accompagna l'immagine del copista e forse anche autore delle miniature del manoscritto conservato a Cambridge (Trinity College, R. 17.1, c. 283v). "Scriptor: Scriptorum princeps ego nec obitura deinceps / Laus mea nec fama quis sim mea littera clama / Littera: Te tua scriptura quem signat picta figura / predicat Eadwinum fama per secula virum [...]", Il più bell'esempio di autoritratto di miniatore compare nella scena di genere, ambientata in uno scriptorium, che chiude un manoscritto del 1140 ca., contenente opere di Agostino (Praga, Kapitulni Kníhovna, A. 21, c. 153r). L'artista Hildebertus, che nell'autoritratto del Breviario di Olmütz si definisce pictor (Stoccolma, Kungl. Bibl., A. 144), siede abbigliato con vesti sontuose davanti a uno scrittoio sorretto da un leone, mentre più in basso, su uno sgabello, il suo aiutante Everwinus è intento a eseguire una pittura ornamentale.Dal tardo sec. 13°, ma in particolare nel Trecento, la pittura su tavola costituì la fonte principale di guadagno di un gran numero di a. attivi nelle città, grazie al considerevole aumento di committenze da parte di confraternite e ricchi privati e alla diffusione di nuove forme di devozione che lasciavano ampio spazio alla fioritura di immagini. L'esistenza di botteghe pittoriche a Venezia, Siena, Firenze e in altre città italiane può essere dimostrata, per generazioni, in base alle firme o ad altri atti documentari. Solo pochi a., come Simone Martini, riuscirono a svincolarsi, nell'ambito delle corti e degli incarichi statali, dai limiti sanciti dallo statuto delle corporazioni e a ottenere fama internazionale. Gli esempi più significativi di iscrizioni relative ad a. riguardano architetti e scultori attivi nei secc. 12°-13° in Italia. L'architetto del duomo di Modena, celebrato in forma letteraria nella cronaca dell'opera (Modena, Arch. Capitolare, O. II. 11), beneficiò di una iscrizione encomiastica apposta sull'edificio: "[...] Ingenio clarus Lanfrancus doctus et aptus / est operis princeps huius rectorq(ue) magister [...]"; sulla facciata si può leggere anche l'elogio relativo allo scultore: "[...] Inter scultores quan / to sis dignus onore cla / ret scultura nu(n)c Wiligelme tua". Tali formule elogiative, caratteristiche della prima arte monumentale romanica, si trasformarono per lo più nel sec. 12° in semplici firme, certamente a causa dei vincoli imposti dalle corporazioni. Agli inizi del sec. 13° la firma esprimeva spesso l'esigenza di sottolineare la 'dottrina' dell'a. e solo a partire dal Trecento, nell'età di Giotto, perse significato a favore dei media letterari. Non è possibile, di norma, classificare le opere di a. medievali in rapporto al concetto dell'imitazione dell'antico o della natura: il miniatore dell'Evangeliario di Lindisfarne (Londra, BL, Cott. Nero D.IV) o l'autore del crocifisso di Werden (Essen, Schatzkammer der Propsteikirche St. Ludgerus) sono altrettanto autonomi rispetto a questi valori quanto gli architetti delle cattedrali gotiche. Ciononostante, nella storia dell'arte godono di particolare fama quegli a., scultori o pittori, i quali, come Nicola Pisano o Giotto, si avvicinarono già in età medievale a criteri che dovevano in seguito diventare precipui e costanti in età rinascimentale; in questo senso rappresentano recenti scoperte della storia dell'arte il disegnatore del Salterio di Utrecht (Utrecht, Bibl. der Rijksuniv., 32), lo scultore della statua di Elisabetta nel duomo di Bamberga o l'orafo Nicola di Verdun. Attraverso lo studio delle forme antiche, tali a. mossero i primi passi verso l'equiparazione della propria attività alle scienze letterarie e matematiche.La differenza fra l'arte del Tardo Medioevo e quella del Rinascimento va ravvisata non tanto nella situazione e nelle condizioni di vita dell'a., quanto nel suo diverso atteggiamento nei confronti dell'Antichità e delle teorie antiche come valori paradigmatici. A partire dal sec. 13° si erano gettate le basi di un più diretto rapporto degli a. con le corti; d'altra parte le condizioni di vita di molti a. del Rinascimento appaiono equivalenti, nell'ambiente cittadino delle corporazioni, a quelle che sappiamo proprie dei loro colleghi medievali. Alla 'promozione' a corte corrispose nel Tardo Medioevo l'ascesa di alcuni ricchi a. ai ceti patrizi delle città. Alcuni giunsero a rivestire l'ufficio di borgomastri: per es. Tilman Riemenschneider a Würzburg, Albrecht Altdorfer a Ratisbona, Lucas Cranach a Wittenberg. Se i committenti dell'a. moderno, che ne favorirono l'emancipazione dall'artigianato, furono da un lato la corte e dall'altro la borghesia urbana, bisogna tenere presente che già nel Medioevo l'una e l'altra erano forze operanti e condizionanti alla base della produzione artistica: gli a. che in questo senso anticiparono in parte l'arte moderna, come Giotto e Jan van Eyck, raggiunsero la pienezza della propria dimensione nel contrasto di queste due committenze in concorrenza fra loro.
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La civiltà bizantina non aveva un termine corrispondente al concetto generico di a., nonostante si usasse una varietà di espressioni per definire i pittori di affreschi e icone (zográphos, historiográphos), i miniatori di libri o gli esecutori di opere su commissione (ktístes). In genere era proprio il committente (ktétor) a essere considerato il vero artefice e la persona cui spettavano le lodi per la bellezza dell'opera. A parte talune eccezioni, un a. era genericamente classificato come technítes, termine che in nulla lo distingueva da un artigiano o da un operaio, categorie alle quali era sostanzialmente assimilato dal punto di vista economico e sociale. Ciononostante nei rari casi in cui si è conservata qualche notizia della biografia di un a., questi viene descritto come persona di un certo rango: nel sec. 9°, per es., il pittore Lazzaro partecipò a due missioni diplomatiche a Roma e nel sec. 11° Pantaleimone trattava alla pari con l'igumeno di uno dei principali monasteri costantinopolitani. Alcuni a. erano abbastanza ricchi da fungere in proprio quali committenti di monumenti: Gregorio, un orafo del sec. 10°, finanziò la costruzione di una chiesa a Trani, mentre all'inizio del sec. 14° un pittore di nome Michele Proeleusis fece ricostruire e restaurare un monastero sulle terre che aveva preso in affitto. Da documenti notarili e, più raramente, da iscrizioni su monumenti e oggetti sono noti ca. ottanta nomi di artisti. Di rado, per altro, si fa menzione di a. in opere letterarie e tale fenomeno può significativamente sottolineare la scarsa considerazione di cui essi godevano anche presso gli scrittori. Un'eccezione è costituita dalla lode del mosaicista Eulalio (forse del sec. 12°) che compare nelle pagine di numerosi autori. Lo scarso apprezzamento degli a. era del resto una convenzione che essi stessi accettavano. Su un famoso trittico d'avorio (Roma, Mus. del Palazzo di Venezia) l'artefice, riprendendo il tópos della modestia, tiene a dichiarare in una apposita iscrizione quanto siano deboli la mano e lo strumento che hanno scolpito l'immagine di Cristo.Va notato peraltro che, a differenza di quanto accadeva in genere nell'antica Roma, a Bisanzio la pratica artistica non era considerata disdicevole, tanto che l'abilità nelle arti figura a volte tra le doti attribuite agli imperatori: Costantino VII (912-959) avrebbe praticato l'arte della lavorazione dei metalli e la pittura, mentre suo padre, Leone VI, è ricordato anche come autore di ritratti di altri imperatori e patriarchi. Queste notizie non sono probabilmente attendibili, tuttavia è già molto significativo il fatto che circolassero. La tradizione secondo cui s. Luca avrebbe svolto l'attività di pittore di icone rendeva anche per un cristiano accettabile il mestiere di a.; nei testi agiografici inoltre si narra spesso di pittori che riuscirono a portare a termine le opere loro commissionate con l'aiuto di santi. Malgrado risultasse in tal modo minimizzato il talento degli a. ed enfatizzato il ruolo dell'intervento soprannaturale, i pittori appaiono comunque considerati nel novero di coloro ai quali era accordata l'esperienza di visioni celesti - sono infatti spesso descritti come 'ispirati' o 'esperti' - così da far desiderare ai 'dilettanti', sia laici sia monaci, di possedere la loro maestria.Sembra che l'a. non fosse legato a rigide specializzazioni e questo contribuisce a spiegare le affinità di ordine stilistico e iconografico che accomunano le diverse produzioni artistiche. Mentre documenti quali il Codex Theodosianus (XII, 4, 2) e il Libro degli Eparchi (in J. Zepos, P. Zepos, Jus graecoromanorum, Athinai 1931, II, pp. 371-392) distinguono per ragioni di ordine amministrativo gli artigiani secondo le loro attività, i pittori di tavole come Pantaleone illustravano anche libri, gli intagliatori d'avorio lavoravano probabilmente anche la steatite e altri materiali, come accadeva normalmente in Europa occidentale dove, durante l'inverno, quando le chiese non potevano essere affrescate, gli a. si dedicavano alla pittura su tavola. Nei pochi monumenti in cui si conservano mosaici e affreschi medievali, come nella chiesa del Salvatore in Chora (Kariye Cami) a Costantinopoli, entrambi i tipi di decorazione murale possono essere attribuiti a un'unica bottega. I mosaici di ampie dimensioni, realizzati in luoghi remoti come il monte Sinai (monastero di S. Caterina), presuppongono l'importazione di paste vitree già lavorate, localmente non reperibili. Ovunque l'arte musiva fosse praticata, era necessaria un'organizzazione di tipo industriale: l'appuntamento del letto d'intonaco e dei disegni preparatori, l'erezione delle impalcature e infine l'allettamento delle tessere richiedevano la presenza di maestranze specializzate. Per la decorazione a fresco - a giudicare dalle iscrizioni superstiti - erano sufficienti uno o due pittori, eventualmente affiancati da un assistente. La nozione di 'bottega' come luogo di produzione di oggetti portatili, benché accolta da molti studiosi, non sembra confermata da quanto è noto circa l'organizzazione della produzione artistica; il già citato Pantaleimone, per es., secondo la tradizione lavorava a casa propria, mentre il Codex Theodosianus, del sec. 5°, ricorda botteghe in luoghi pubblici e studi di pittori (pergulae) che sembrano essere stati simili alla stanza attrezzata con un ritrattista al cavalletto, raffigurata in una miniatura del manoscritto di Dioscoride, del sec. 6° (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Med. gr. 1, c. 5v). Si è più volte ipotizzato che botteghe di pittori affiancassero gli scriptoria nell'ambito dei monasteri; mancano tuttavia prove documentarie a sostegno di questa tesi e sembra piuttosto che le opere venissero generalmente commissionate a professionisti esterni. Si conosce ben poco della formazione degli a.: a parte le notizie su una vedova siriana della metà del sec. 6° che insegnava a pagamento, non esistono altre testimonianze analoghe o riferibili a scuole d'arte in senso stretto. Probabilmente tra gli a. laici il mestiere si tramandava di padre in figlio. Un pittore cretese, nel testamento stilato nel 1436, in cui assegna le sue icone a diverse chiese, lascia gli strumenti della sua professione e i suoi disegni al figlio non ancora nato. La formazione dei monaci a. può essere esemplificata dall'apprendistato di Alipio, "destinato dai suoi genitori a studiare la pittura di icone" (Mango, 1972) e impiegato come assistente dei mosaicisti bizantini attivi nel monastero delle Grotte a Kiev.Si può supporre che gli a. conoscessero a memoria la maggior parte dei soggetti, in ogni caso essi utilizzavano tecniche che permettevano loro di lavorare rapidamente. Si è potuto calcolare che i frescanti dipingevano in media m2 7 di parete al giorno; la bottega che lavorava con Teofane il Greco, all'inizio del sec. 15°, dipinse in una sola stagione tutta la chiesa dell'Annunciazione nel Cremlino di Mosca. La rapidità di esecuzione era del resto molto apprezzata: Astrapas, probabile soprannome del pittore Michele, attivo in Serbia un secolo prima, significa 'simile al lampo'. Gli a. bizantini utilizzavano formule prestabilite e forse album di modelli, ma disponevano di una libertà maggiore di quanto non si creda comunemente. La grande varietà riscontrabile sia nei dettagli iconografici sia nello stile e nella composizione delle opere sembra infatti confermare l'ipotesi che non esistesse un controllo, almeno per quanto concerne questioni estetiche. Modelli e schemi decorativi convenzionali venivano modificati in relazione alle dimensioni e alla pianta dell'edificio da decorare e, probabilmente, alle possibilità finanziarie della committenza. I risultati sono ancora oggi visibili: la somiglianza che presentano nell'insieme molti programmi decorativi tra loro coevi è dovuta sia al sistema di produzione sia a concezioni teologiche definite e, presumibilmente, di carattere normativo.Nell'arte bizantina, come si è detto, il committente prevaleva sull'a., che rimaneva, in genere, un semplice esecutore. Gli a. restavano perciò in gran parte anonimi e, con poche eccezioni, come quella del gruppo di miniatori che decorò il Menologio di Basilio II (Roma, BAV, gr. 1613), non si conoscono firme di a. prima del 12° secolo. L'affermazione del concetto d'identità dell'a., che si manifestò a partire da quel momento nella miniatura e che solo raramente prese la forma più esplicita dell'autoritratto, come testimonia forse un vangelo a Melbourne (Nat. Gall. of Victoria, 710/5, c.1v), coincise con il diffondersi di analoghe tendenze individualistiche nella pittura monumentale. Nel sec. 14° Kaliergis, attivo a Béroia (Grecia), poteva proclamarsi il migliore pittore di tutta la Tessaglia. Episodi di tal genere sono tuttavia da interpretare come eccezioni nel quadro della cultura bizantina, fenomeni isolati che non trovano riscontro, per es., nel culto del 'maestro' diffuso a partire da questo momento nella civiltà artistica italiana.
Bibl.: I. Ševčenko, On Pantoleon the Painter, JÖByz 21, 1972, pp. 241-249; C. Mango, The Art of the Byzantine Empire 312-1453: Sources and Documents, Englewood Cliff (NJ) 1972, p. 222; V. Djurić, A. Tsirturidu, Namentragende Inschriften auf Fresken und Mosaiken auf der Balkanhalbinsel vom 7. bis zum 13. Jahrhundert, Stuttgart 1986; A. Cutler, J.W. Nesbitt, L'arte bizantina e il suo pubblico, Torino 1986.A. Cutler
Poco si sa della figura dell'a. nel mondo musulmano. È noto che il profeta Maometto non incoraggiava le attività artistiche, in ispecie quelle architettoniche, se è attendibile la tradizione secondo la quale egli avrebbe detto: "Un edificio è la più vana delle imprese che possano divorare la ricchezza dei credenti" (Ibn Sa῾d, al-Ṭabāqāt al-kubrā, I, 2, 181); ciononostante nell'Islam le architetture, soprattutto pubbliche, ebbero uno straordinario sviluppo. Semmai è fra la committenza pubblica e privata che corre una precisa e netta demarcazione, piuttosto che fra 'lecito' e 'illecito' desunti da una pretesa iconoclastia nell'estetica musulmana. Per ciò che concerne la funzione sociale dell'a., inteso come colui che opera in ambito figurativo, va sottolineato come essa fosse circondata da rispetto, ma mai di importanza preminente. Erano le figure dei letterati e, in misura anche più notevole, degli scienziati, oltre che dei teologi, quelle che emergevano nei circoli di corte.Non molto è dato sapere sulla storia personale degli a. attivi in ca. quattordici secoli. Ciò è dovuto in parte a una divisione del lavoro che spesso rispondeva a regole di collettivismo funzionale (forse più accentuato che non nelle botteghe medievali occidentali), in parte al fatto che, in un'arte essenzialmente decorativa, la lezione del passato e la riproposizione (con infinitesimali variazioni) del medesimo motivo costituivano uno dei fili conduttori dell'esperienza artistica. Le officine di corte, come in epoca ottomana matura (secc. 16°-18°) il naqqāshkhāna, erano responsabili dell'elaborazione delle iconografie. Un'altra caratteristica peculiare al mondo musulmano era quella della straordinaria mobilità degli a., che volenti o nolenti, seguivano gli spostamenti della corte, a loro volta determinati da fattori bellici.È un settore in continua evoluzione quello che si presenta agli occhi dello studioso. Di una certa utilità nel ricostruire le scuole artistiche musulmane è la nisba, un aggettivo indicante il luogo di nascita o di provenienza con il quale gli a. completavano il loro nome; così Abu'l-Qāsim, autore, nel 1301, di un fondamentale trattato sull'arte ceramica, assimilabile a Li tre libri dell'arte del vasaio di Piccolpasso, indicava nella sua nisba la provenienza da Kashan, centro famosissimo della produzione fittile persiana medievale. Ovviamente, la nisba non fornisce sempre un'indicazione precisa, anche perché in alcuni casi l'appellativo geografico era usato per indicare provenienze remote. Gli a. vivevano a corte ed erano compensati per il loro lavoro con un salario fisso e con liberalità nel caso di prestazioni straordinarie. Anche se il procedere dell'opera era prestabilito, l'attività manuale era tutt'altro che disprezzata; le fonti storiche ricordano come i sultani apprendessero, nella loro fanciullezza, almeno un'arte. Fra le più popolari erano la miniatura e la calligrafia, soprattutto quest'ultima, per la sua connessione con il Corano e quindi con il mondo religioso; anche l'oreficeria e l'arte dei giardini furono praticate da più di un principe. Molte opere musulmane sono anonime (anzi l'anonimato costituisce la regola, più che l'eccezione), essendo concettualmente secondario il nome dell'artefice, mentre è molto più spesso ricordato quello del committente. Nel caso in cui si abbia la firma dell'a. questa permette, grazie alla nisba, di localizzare e seguire lo sviluppo di una determinata arte. Una caratteristica che emerge abbastanza chiaramente dall'onomastica degli a. è la tendenza, soprattutto nelle arti decorative - che costituiscono una parte così rilevante dell'espressione musulmana -, alla trasmissione delle nozioni tecniche di padre in figlio. Ciò corrisponde a un orientamento della società medievale musulmana (che un atteggiamento di deciso conservatorismo nei confronti delle strutture sociali portò assai avanti nel tempo) a chiudersi in circoli ben precisi, nei quali ognuno svolgeva il proprio ruolo secondo uno schema preordinato. In epoca ottomana, già nel sec. 15°, la società artistica era distribuita in corporazioni, come nel mondo medievale europeo.Un settore nel quale si ha qualche informazione relativa all'attività degli a. è quello della pittura dei codici. Nel 1544 il calligrafo e bibliotecario Dūst Muḥammad scrisse una storia dei pittori di codici di ieri e di oggi, lo ῾Ḥālat-i Hunarvarān', che offre importanti informazioni - anche se lontane dalla meticolosa precisione di Vasari - sui pittori del passato, quali il celebrato Aḥmad Mūsā (attivo all'epoca del sovrano mongolo Abū Sa῾īd, 1316-1336), di cui lo scrittore poeticamente afferma che "svelò il volto della pittura e inventò il tipico stile in uso oggi", implicitamente confermando con ciò il tradizionalismo in auge nel mondo islamico. Un analogo trattato, degli inizi del Seicento, di Qaḍī Aḥmad è altrettanto utile sul piano delle attribuzioni stilistiche, anche se queste vanno prese con una certa cautela, come del resto tante affermazioni tradizionali: basti pensare che Mānī, il fondatore della fede manichea, è ritenuto in Persia a. dalle leggendarie capacità magiche. Se in virtù dei trattati a loro dedicati si conoscono i nomi dei miniatori, come il già ricordato Aḥmad Mūsā, Shams al-Dīn, Bihzād, Sulṭān Muḥammad, Rīza῾Abbāsī e altri, molto poco si sa degli altri a., eccezion fatta per i tessitori dei ṭirāz (manifatture di Stato), che talvolta firmavano, con tanto di nisba, le loro opere. Molte architetture, al contrario, sono anonime e solo in epoche relativamente recenti si hanno notizie abbastanza dettagliate su importanti maestri, come Sinan (1489-1588), il più famoso architetto del mondo musulmano, che ricopriva una prestigiosa carica statale presso la Sublime Porta, sovrintendendo alle opere pubbliche. Eppure anche a proposito di una personalità così eccezionale si riscontrano inspiegabili vuoti e scarse cognizioni relative alla sua vita e metodologia di lavoro, il che sembrerebbe confermare il ruolo per certi versi marginale dell'a. nel contesto sociale musulmano.
Bibl.:
Fonti. - Ibn Sa'd, al-Ṭabāqāt al-kubrā, a cura di H. Sachau, I, Leiden 1905; Dūst Muhammad, Ḥālat-i Hunarvarān, a cura di M.A. Chaghatay, Lahore 1936; Calligraphers and Painters. A treatise by the Qadi Ahmad, son of Mir Munshi (circa A.H. 1015/A.D. 1606), a cura di V. Minorski, Washington 1959.
Letteratura critica. - L. Massignon, Les méthodes de réalisation artistique des peuples de l'Islam, Syria 2, 1921, pp. 47-63, 149-160; T.W. Arnold, Painting in Islam. A Study of the Place of Pictorial Art in Muslim Culture, Oxford 1928 (New York 19652); L. Binyon, J.V.S. Wilkinson, B. Gray, Persian Miniature Painting, Oxford 1933; J. Sourdel-Thomine, Art et société dans le monde de l'Islam, REI 26, 1968, pp. 93-114; O. Grabar, The Formation of Islamic Art, New Haven-London 1973 (trad. it. Arte islamica. La formazione di una civiltà, Milano 1989); J. Sourdel-Thomine, Libertés et liberté de l'artiste dans le monde islamique médiéval, in The Concept of Freedom in the Middle Ages, Islam, Byzantium, and the West, "IV Colloquia Penn-Paris-Dumbarton Oaks, 1982", Paris 1985, pp. 153-154; J.M. Rogers, F. Çağman, Z. Tanındı, The Topkapı Sarayı Museum. Islamic Miniature Painting, London 1986.G. Curatola