arto
Voce dotta, dal latino artus, di cui conserva il valore di " stretto ", " angusto ". Con l'astratto ‛ artezza ' trova un uso ripetuto in D., che probabilmente l'introduce nella lingua, sempre nella Commedia e sempre in rima : in If XIX 42 volgemmo e discendemmo... / là giù nel fondo foracchiato e arto, nel fondo cioè della bolgia dei simoniaci, che per altro non è da ritenere meno ampio di quello delle altre bolge : stretti sono evidentemente gli spazi tra i fori nei quali sono conficcati i peccatori, vicinissimi gli uni agli altri, così che restano passaggi angusti e malagevoli per chi vi cammina. Analogamente in Pg XXVII 132 fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte : le vie sono " strette - osserva il Chimenz - in senso materiale e spirituale : cioè, difficili, e quindi pericolose ". Due volte ancora l'aggettivo è usato nel canto XXVIII del Paradiso : la prima volta (v. 33 Sopra seguiva il settimo sì sparto / ... che 'l messo di Iuno / intero a contenerlo sarebbe arto) per esprimere particolarmente la capacità insufficiente dell'intero arcobaleno a contenere il settimo cerchio dei Principati nel Primo Mobile, la seconda volta (v. 64 Li cerchi corporai sono ampi e arti) nel senso generico di " meno ampi ", " angusti ". Il Vandelli (in Lett. dant. 1919) nota che questo latinismo due volte ripetuto nello stesso canto è sottolineato ulteriormente dagli altri due latinismi rape (v. 70) e rape (v. 72).